Amedeo e Ludger erano a Madrid, che avevano deciso di visitare prima di andare a Venezia. All’arrivo della mezzanotte si baciarono, come stavano facendo molti dei ragazzi che li circondavano, festeggiando il capodanno in uno dei locali gay del quartiere San Lorenzo.
Erano stati giorni ricchi di emozioni diverse; il proposito di gustare il viaggio, vissuto innanzitutto come occasione per stare costantemente insieme, li rendeva euforici al punto da allontanare qualsiasi tristezza.
Amedeo cercò di pensare ai suoi amici come faceva ogni anno a mezzanotte, ma ancora una volta ci riuscì con alcuni secondi di ritardo: come sempre iniziò da Sebastiano, e subito dopo tornò ad abbracciare e baciare Ludger, prima di affondare nell’angoscia che gli procurava saperlo da solo.
Sebastiano era seduto sulle stesse tegole del tetto di Firenze dove aveva portato Amedeo non molto tempo prima. Guardava la cupola concentrando tutti i suoi percorsi mentali su di lui, immaginandoli per gioco come un circuito nervoso attraversato da scintille elettriche. Aveva rinunciato a sentire della musica, perché sarebbe stata inquinata dal frastuono che saliva dalla strada e scendeva dal cielo. Non beveva e non fumava da giorni; si sentiva solo, e gli sembrò che la grana dello scorrere del tempo stesse riacquistando uno spessore diverso. In senso di immobilità che non veniva intaccato dai festeggiamenti che lo circondavano, e la solitudine, gli regalavano un senso di sollievo. Era sicuro che Amedeo fosse tra le braccia di Ludger; mentre guardava la cupola pensò che lui era al sicuro, e che non aveva niente di altrettanto importante.
Giulia era avvolta dalle braccia di una ragazza di cui non ricordava il nome, molto lontana dall’essere lucida; aveva intorno una moltitudine di donne in festa, in uno dei recinti blindati in cui nessun uomo sarebbe potuto entrare. Aveva sentito Elisa quella sera, e il contatto con la sua amica rendeva il pensiero di Sebastiano più ossessivo. Quell’assimilazione le era sembrata una profonda ingiustizia, ed aveva troncato la conversazione promettendole che ne avrebbero parlato al suo ritorno. Con il telefono appena spento in mano decise di mandare giù qualsiasi cosa le avessero offerto, con il proposito di dimenticare anche il nome della madre.
Elisa e Lorenzo erano a una festa sullo stesso terrazzo dove avevano festeggiato anche il capodanno precedente: lei indossava l’ennesimo vestito regalato da Sebastiano, e la stoffa scivolava sul suo corpo con una consistenza quasi liquida. Le famiglie di entrambi insistevano nel riempire i loro pensieri sui preparativi per il matrimonio, ma i loro pensieri erano focalizzati sulla situazione tra Sebastiano e Giulia. Lorenzo sdrammatizzava, affermando che sembrava un allenamento per gestire l’adolescenza della futura prole. Quella sera si mescolarono agli altri invitati concentrandosi esclusivamente sul presente; mentre salivano le scale per raggiungere la terrazza lei ricordò con malinconia la stessa circostanza, vissuta un anno prima con Sebastiano. Quando arrivarono in cima la città esplose ancora una volta. Elisa si strinse a lui per il freddo, dimenticando ogni pensiero nel sentirsi fortunata ad averlo al suo fianco.
Luca era rimasto nella sua camera la maggior parte della serata; durante il cenone era stato sempre in silenzio, e si era chiuso in camera a suonare la chitarra di Ludger subito dopo. Nina gli aveva consentito di isolarsi per evitare scenate imbarazzanti di fronte agli ospiti, e a mezzanotte gli permise di assaggiare mezzo bicchiere di spumante, che lui trovò disgustoso. Luca lo ingoiò senza fare commenti, ricordando i calici che venivano riempiti nel tardo pomeriggio a casa di Sebastiano, sicuro che il loro prosecco sarebbe stato sicuramente più buono. Posò il bicchiere prima di tornare in camera e, guardando i fuochi dalla finestra insultò il 2001 sottovoce prima di riprendere a suonare.
Amedeo e Ludger arrivarono a Venezia in tempo per vedere il tramonto dalla Giudecca; durante il viaggio avevano evitato di pensare a quella tappa, lasciandosi trasportare dall’euforia. Lontano dal tessuto del quotidiano, Amedeo riusciva a tenere le preoccupazioni in un secondo piano indistinto: Ludger era felice e la sua bellezza gli appariva brillante, come un sole impazzito. A volte pensava di voler vivere sempre così, strappandosi da tutto il resto e bruciandosi in quella luce, ma quei pensieri occupavano spazi limitati. Gli era sufficiente poter conservare la consapevolezza della possibilità di accedere a quella condizione, a prescindere dal luogo e dal tempo. Amedeo sorrideva alla linea netta del profilo di Ludger, disegnata contro il cielo che si scuriva velocemente.
Sorrise, guardando il mare verso la città. “Abbiamo corso come pazzi per arrivare qui in tempo, perché è uno dei miei posti preferiti per guardare il tramonto a Venezia, e tu sei pesantemente incantato verso di me… devo buttarmi in acqua per farti vedere questi colori?”
Amedeo scosse la testa e si accese una sigaretta, rivolgendosi finalmente verso la sagoma della città che galleggiava all’orizzonte. “È splendida, come tutto quello che ci circonda in questi giorni. Potrebbe seguire un lunghissimo elenco. Ma senza di te sarebbe come spento. Questo tramonto si ripete da tanto e ci sarà ancora tante altre volte. Sei tu la mia ricchezza, è poter guardare prima te che rende quello che viene subito dopo ancora più struggente. Te l’ho detto tante volte… mi basta pensare che noi ci siamo incontrati per arginare il mio pessimismo cronico. Da quando ci sei tu è tutto diverso, ogni circostanza in cui vengo a contatto con le cose diventa importante come l’oggetto stesso. Come se mi ancorassi alla storia degli altri per non avere la tentazione di rinchiudermi in un eremo con te. Mentre prima, lo sai… la storia degli altri era uno dei modi con cui riuscivo a ricavarmi un varco verso una vita che non sentivo del tutto.” Prese una pausa per aspirare la sigaretta e voltarsi di nuovo verso di lui. “E tu sorridi sempre, che gioia che mi dai con quei sorrisi.”
Ludger non cambiò espressione: era contento che Amedeo avesse altre persone e una propria vita a cui tornare, e che fosse in grado di farsi trasportare dall’entusiasmo al punto di dimenticarla. Il suo compagno in quei momenti ignorava quanto impegno e pena gli costassero i messaggi che scriveva quotidianamente a suo fratello. Ludger apprezzava il modo di Amedeo di eliminare dal loro presente tutto il resto, compreso Sebastiano. Lui stesso non lo inquadrava completamente fuori dal loro rapporto, ma voleva distaccarsi dalle preoccupazioni che gli causava in quel periodo, perché avrebbero inquinato la loro vacanza senza fornirgli la possibilità di intervenire. Pensava fosse giusto prendersi una pausa anche da lui, e ricaricarsi per tornare nella battaglia, anche se in parte condivideva la preoccupazione di Amedeo.
“Lù, a cosa pensi sorridendo così?”
“A noi, sono tanto felice. Poi vorrei prendere un paio di spritz a testa e fare una passeggiata nei vicoli del centro per smaltirli. Prima di cena, così dopo ricominciamo… sai, a volte mi dispiace che non possiamo baciarci in strada, ma non mi piace attirare l’attenzione… è stato bello a San Lorenzo, vero? È stato bello anche per questo.”
Amedeo gli prese una mano poggiando la testa sulla sua spalla; a volte gli dispiaceva non avere più libertà ma non voleva forzarlo, perché sapeva delle brutte esperienze che Ludger aveva vissuto in strada con altri ragazzi.
Era passata poco più di un’ora, e dopo aver bevuto i loro spritz avevano preso vicoli sempre più deserti e stretti, fino a impedirgli di camminare affiancati. Ludger superò Amedeo, accelerando gradualmente il passo, che lo seguì assecondandone l’andatura, rapito dai bagliori dei suoi capelli che brillavano in quel contesto cupo. Quando la velocità trasformò quella passeggiata in una corsa, allungò un braccio per stringergli la spalla e trattenerlo; Ludger si girò quasi ridendo, e scappò via. La sua risata aveva fatto capire ad Amedeo che si trattava di un gioco, e restò bloccato per alcuni secondi: sentì un forte senso di déjà-vu, ma lo seguì nella traversa in cui lo aveva visto scomparire.
Ludger lo stava aspettando per dargli il tempo di capire dove svoltare per seguirlo, sorridendogli prima di voltarsi e ripetere la stessa dinamica. Anche Amedeo iniziò a ridere: giocavano spesso correndo anche in casa con il gatto, ma in quello scenario la visione di Ludger diventava straordinariamente brillante. All’ennesima svolta fu sorpreso dalla presa salda che lo costrinse contro il muro: Amedeo era divertito, con la bocca ancora aperta per riprendere fiato.
Ludger lo guardò con serietà simulata. “Adesso ti bacio.”
“E… i passanti?”
“Qui passano solo i topi.”
“Romantico.”
Gli piaceva sentirsi schiacciare contro la parete mentre si baciavano nel labirinto semibuio, e quella pressione compensò il dispiacere di non sentire il corpo del suo amante, a causa dei vestiti pesanti che indossavano. Ludger si staccò e riprese a correre, ed Amedeo lo seguì con energia per raggiungerlo e baciarsi il prima possibile. Aveva l’impressione di girare in cerchio, ma in poco tempo capì la direzione da prendere seguendo il suono delle risate; le pause diventarono sempre più lunghe perché Ludger si staccava a fatica dalle sue labbra. Continuarono fino a quando Amedeo cercò di trattenerlo, proponendogli di saltare la cena per andare direttamente in albergo, ma Ludger rise di nuovo prendendogli la mano, guidandolo velocemente fuori dai vicoli e dichiarandosi affamato.
Il ristorante era affacciato su un canale, e Amedeo si incantava in continuazione guardando i riflessi dell’acqua, si sentiva alleggerito di un peso tornando con il pensiero all’inverno precedente. Si chiese come fosse possibile, perché anche il momento che stavano vivendo era difficile.
“Ogni tanto penso alla giornata di domani, e mi stupisco che tu non ne abbia parlato per niente, come se fosse una cosa banale.”
Ludger scosse leggermente la testa, era certo che Amedeo avrebbe condiviso con lui i suoi pensieri una volta giunti alle loro conclusioni. Amava osservarlo quando si perdeva, preferiva farlo partire verso il largo senza richiamarlo indietro, ogni volta che poteva. I loro lunghi silenzi continuavano ad essere altrettanto preziosi dei momenti di contatto. “Ti preoccupi sempre per tutti, anche quando non ne hai motivo… io sono sereno. Per me la questione si è chiusa quest’estate, sono qui soltanto per Anastasia. Davvero. Mio padre è come morto, non mi ha dato la possibilità di incontrarlo quando era ancora in sé, e io non vorrei animarlo anche se potessi, neanche lo conosco. Questo giochino può riuscire ad Anastasia, a me non interessa. Ormai è troppo tardi per incontrarlo, e sai? È meglio così. Non gli perdonerei di non esserci stato quando è morto mio fratello. Tra tutte le assenze questa è quella che proprio non potrei far passare in silenzio. Ma ormai non c’è più nessuno da prendere a schiaffi. Ci ho pensato a lungo, forse è proprio questo il motivo per cui, esaurita la furia, mi ha addolorato di più… davvero non me ne faccio niente del vuoto a rendere.” Si fermò per dare alcuni sorsi di vino. “Invece, a proposito di fratelli, hai notizie di Sebastiano? Poco fa ti ho visto scrivere sul telefonino ed ho immaginato fosse per lui.”
“Sì, scrivevo a lui, anche oggi ha fatto i suoi compiti per le vacanze. Senza nessun entusiasmo mi ha aggiornato sull’ennesimo spostamento, adesso è a Parigi… voleva vedere una mostra e una ragazza, cosa che un po’ mi stupisce, perché so che non aveva amici lì… quindi deve essere collegata ad Aline. E questo mi torna, perché so che gli manca non avere qualcuno che almeno l’abbia conosciuta. Per tutta una serie di cose collegate a Lorenzo è come se Adriano, o meglio la memoria di Adriano, si fosse ricavata uno spazio nel presente. Che poi ogni volta che penso al rapporto che ha adesso con Elisa mi sembra pazzesco… ma insomma. Tu sei quello che è arrivato più vicino ad Aline, ma non abbastanza da potergliela restituire, credo che sia lì per questo. Non mi piace, ma non posso farci niente. E poi stavo pensando anche a un’altra cosa. Sebastiano a volte quasi ti accusa per come non condividi con lui la mancanza di Nobuko, ma di tuo fratello non dice mai niente, come se lo avesse dimenticato. È strano non trovi?”
Ludger sorrise. “Parliamone una sola volta e non torniamoci più, ok? Tuo fratello è un po’ egotico, e questo lo sappiamo… lui dà un peso diverso ai miei ricordi, in base a quanto sono funzionali per i suoi. A me non infastidisce, anzi, trovo vagamente irritante quando prova a tirar fuori mostri che non ho per far compagnia ai suoi. Ian non è funzionale per lui, quindi non gli viene in mente. Frequenta casa di Helga, ricordi? Non può averlo dimenticato, ci sono troppe foto a casa di mia madre.” Ludger si voltò verso la finestra per osservare l’acqua oltre i vetri: le parti che non venivano colpite dalle luci erano nere. Pensò a Sebastiano che non era uscito da casa nei giorni trascorsi a Venezia, e ai sogni di Amedeo che inseguiva fantasmi bianchi nei vicoli, notte dopo notte, fino a vederlo galleggiare morto su quel liquido nero e opaco. Ricordò l’ultima notte in cui avevano dormito insieme, e di quando Sebastiano gli aveva detto di aver capito di voler vivere. Sospirò. “È stata una grande sfortuna che Luca e Giulia si siano allontanati nello stesso momento, ma Sebastiano non prende in considerazione le sue responsabilità. Ha reagito come se il copione fosse stato scritto da un altro, e lui potesse soltanto accettare il fato infausto. Il ragazzo è solo un ragazzo, e da quello che ho visto la dinamica è sfuggita al controllo di entrambi… in tutti e due i casi credo siano solo delle fasi, e Sebastiano avrebbe il potere di cambiare le cose, però non lo prende minimamente in considerazione. Reagisce come se fossero perduti per sempre. Suo padre ha ragione, esagera, drammatizza. Quanto si affatica… probabilmente adesso la sua determinazione a vivere potrebbe vacillare… spero solo non faccia altri casini. Se poi dovesse farli…” Alzò le spalle, con un’espressione divertita e il calice alzato verso Amedeo. “Poi ci divertiremo a rimediare. Se così fosse spero solo che stavolta torni abbastanza in forze da farsi picchiare.”
Amedeo rise, facendo tintinnare i calici. “Perché non picchi me, nel frattempo? Ci sono così tante articolazioni che ancora non hai lussato.”
Ludger rispose sporgendosi leggermente sul tavolo, sorridendo. “Dinamiche di movimenti completamente diverse, come il loro scopo. E poi, per stasera, vorrei che guidassi tu, e anche allentando un po’ i freni. Abbiamo una splendida camera con vista sulla laguna, dobbiamo usarla come merita… e domani vorrei affrontare il grande incontro con qualche segno almeno sul collo, tanto per rendere chiari e visibili i veri motivi per cui stai con me.”
Amedeo rise, coprendosi la bocca con la mano. “Anche a un’ameba?”
La stanza era inondata dalla luce fredda dell’alba: Amedeo si era svegliato di soprassalto da un incubo, ne faceva spesso da quando era ricaduto nelle paturnie. Durante il giorno la vicinanza di Ludger riusciva a bruciare ogni zona d’ombra, ma di notte dormiva male e i suoi scatti nervosi arrivano a far abbandonare il letto al suo compagno. Lo cercò muovendo le braccia nel letto, e sentendolo vuoto si sollevò a sedere guardandosi intorno.
“Lù… quanto tempo è che sei lì?”
Ludger era in piedi, di fronte alla finestra liberata dalle tende. “Non molto, mi piace vedere l’alba. Da qui è stupenda, così tante sfumature di grigio e quelle architetture sospese nell’acqua. Ho sempre amato questa città, è una gioia immensa poter stare qui con te.”
Non si era girato nel parlare, e dal movimento del braccio Amedeo intuì che stava bevendo qualcosa; restò in silenzio a guardare la sua sagoma nuda in controluce, lasciandosi cadere in avanti per continuare ad osservarlo. Si stupiva ogni volta di come sembrasse sottile quando era lontano, per via delle proporzioni perfette distribuite su quella statura fuori dal comune.
“Sei così bello Ludger che a volte penso che mi farai perdere definitivamente la ragione, diventerò una specie di orante in perenne adorazione del mio dio privato. O forse lo sono già diventato. La visione del tuo corpo mi appaga al punto che non mi viene neanche da alzarmi per vedere il panorama.”
“Forse dovremmo tornare a dormire, devi essere ancora stanco. Quanto era brutto il sogno, stavolta?”
Amedeo si alzò lentamente: da quando erano in viaggio sentiva un leggero dolore ai polpacci per il continuo camminare, ogni volta che poggiava le gambe a terra al risveglio. In pochi passi gli si affiancò, abbracciandolo. “Hai ragione, è stupendo lì fuori… sembra una città sognata, fantasma… che posto incredibile… il sogno non era così male, era una specie di film con personaggi inventati, troppo contorto anche per ricordarmi come si arrivava alla caduta finale. Torni a letto con me? Anche tu dovresti essere stanco.”
Ludger gli avvicinò la tazza al viso, invitando a finirla: profumava di camomilla, e Amedeo la prese ringraziandolo.
“Appena la luce si stabilizza chiudiamo tutto e torniamo a dormire. Sono contento che nel tuo sogno stavolta non sia morto nessuno. Stanotte saremo di nuovo a casa, spero che lì riuscirai a riposare meglio… anche se…” Si girò per abbracciarlo. “Credo che non recupererai del tutto fino a che non tornerà il nostro divo.” Gli baciò le labbra. “Come facevi quando non lo sentivi per mesi?”
Amedeo sorrise, rivolto verso la finestra. “Era tutto così diverso… io, forse, oltre che dietro al vetro ero proprio chiuso sottovuoto. Ma anche lui era più distante, più matto, più carico fino a esplodere a volte, ma in genere aveva un approccio più freddo verso tutto. Secondo me sei tu che ci hai cambiati. Meno male che non sei mai geloso.”
Gli rispose stringendolo a sé con più forza. “Non darmi meriti che non ho, e poi neanche tu sei geloso, ormai tuo fratello bacia più spesso me di te. Ma sai, davvero è impossibile immaginare qualcosa di più. Piuttosto, siamo fortunati che anche Lorenzo non lo sia, penso che il rapporto più fisico che abbia Sebastiano sia con Elisa. Attualmente è rimasta è la sola donna che frequenta, non ha più concorrenti. Certo, quando ballano sono pazzeschi, sembra una specie di rituale di corteggiamento, o forse proprio un accoppiamento sublimato. Quello è l’unico contesto in cui riconosco qualcosa di vagamente sessuale in Sebastiano… Amedeo?”
Scosse la testa, tornando a guardarlo. “Sì… il grigio lì fuori mi ha riportato ai sogni che facevo più di un anno fa, le creature bianche, gli inseguimenti, forse tu e lui che vi baciavate… mentre parlavi sono tornato a pensare a ieri sera, al gioco nel labirinto di vicoli bui che finiva sempre con i baci… era una specie di esorcismo? Hai idea di quanto ti amo?”
Sebastiano stava poggiato al muro con la testa bassa, e gli auricolari che sparivano nella tenda di capelli lucidi sotto la luce: il viso e le mani bianche erano ritagliate su una sagoma nera quasi bidimensionale. Amedeo restò sul marciapiede opposto, fermo ad osservarlo. Sebastiano gli aveva scritto che sarebbe tornato in piena notte per usare la sua insonnia, per darle un vago senso di utilità. Quella mattina Amedeo aveva trovato la porta della sua stanza aperta, ed era entrato senza far rumore; gli aveva accarezzato a lungo la testa mentre dormiva, vedendolo come una creatura bianca abbandonata in quello scenario scuro. Soltanto nel primo pomeriggio si erano scambiati alcuni messaggi, in cui Sebastiano aveva proposto di cenare fuori per festeggiare il suo ritorno. Amedeo restò dall’altra parte della strada, anche quando vide Ludger avvicinarsi a Sebastiano con passo deciso: trovava emozionante vederli insieme e interagire come se lui non ci fosse. Rise quando suo fratello alzò gli occhi dal walkman e si staccò dal muro, per posare le labbra su quelle di Ludger, che rispose al bacio per poi staccarsene ridendo. Chiunque avrebbe pensato che suo fratello fosse la ragazza in attesa, in quella scena. Amedeo saltò, girandosi sentendo la voce di Andrea alle spalle.
“A me quei due mi fanno proprio sbroccare. Quindi il tuo ruolo, adesso, è di quello che guarda?”
Amedeo gli cinse le spalle per indirizzarlo verso il semaforo; non sapeva ci sarebbe stato anche lui, e era felice. “Di chi sei geloso?”
“Senti, ormai te lo posso pure dire, che il trauma mi sembra abbondantemente smaltito. Mi fa sempre strano perché Sebastiano mi ricorda Nobuko, ma solo da lontano e se sta zitto. Che poi se è sessuato o asessuato, con chi e con cosa, non è roba che mi riguarda, lui mi piace un sacco, lo sai. E quindi non ti ha detto che mi ha invitato? Io sono quello che fa il simpatico stasera, perché mi diceva che è piuttosto scarico di simpatia ultimamente. Ciao amici! Abbiamo finito di pomiciare o vi lasciamo qualche minuto, e porto Amedeo a farsi una birra?”
Sebastiano gli strinse una mano fra le sue, ringraziandolo di essersi unito a loro. Malgrado stesse sorridendo aveva una rigidità che per Amedeo corrispondeva a un frammento di un passato non troppo lontano, anche se per gli altri era nuova. Dopo aver salutato Andrea si voltò verso Amedeo, restando completamente inespressivo a parte gli occhi lucidi, e senza dire nulla lo avvolse fra le braccia.
Ludger, vedendo le lacrime di Sebastiano, si rivolse ad Andrea. “Sai? Forse siamo noi due ad avere il tempo di farci una birra prima di cena.”
Amedeo strinse Sebastiano, restando in attesa, e la sua voce gli arrivò come un sussurro.
“Fratello, mi sei mancato. Piano, fai piano, sento il tuo cuore che sta per esplodere. Calmati. Dammi ancora un attimo e ti lascio andare.”
Se ne allontanò poco dopo, passandosi una mano sul viso per asciugarlo, con un’indifferenza che rendeva quel gesto leggermente sinistro; si voltò verso l’ingresso del ristorante restando completamente inespressivo.
Andrea gli mise una mano sulla spalla, e si avvicinò al suo orecchio, come per sussurrare qualcosa, senza però abbassare la voce. “Fantasmino… ma ti sei fatto uno di quei ritocchini che anestetizzano la faccia?”
Sebastiano accennò un sorriso. “È sempre una gioia averti con noi. Come mai conosci queste cose?”
“Lo so che l’estetista in famiglia sei tu, ma la mia ultima tresca è appassionata di cinema, dice. Ma tanto pure questa durerà poco, il tempo di conoscere te o la tua non-donna… intanto però mi faccio una cultura. Certo però potreste pure accontentarne una ogni tanto, guarda che le lascio in buone condizioni.”
Presero posto vicini, ridendo, e Sebastiano riprese a parlare. “Simpatico orsacchiotto, studio e-ste-ti-ca. Gli estetisti mi stanno anche parecchio antipatici, per la loro logorrea, soprattutto.”
“Studi vani, simpatico fantasma… penso che la tua intelligenza sta esondando nel metro di capelli che ti porti dietro, ti sembra furbo dover spostare la cascata per sederti? O vuoi fondare un gruppo metal, basta che agiti la chioma e compensi tutte le stecche… Ciccio, gli hai detto della cover?”
Ludger intento a scegliere il vino seguiva con divertimento quello scambio, senza voler dare troppo peso alla tensione di Amedeo, che lasciò libero di perdersi nelle proprie contemplazioni.
“No, non ancora. Sai, non lo vedevo e sentivo da parecchio tempo, parlagliene tu.”
Andrea si finse stupito. “Allora è quello il motivo della pomiciata in pubblico. Amedeo, lo vedi troppo spesso… così lo stufi!”
Amedeo sorrise e nascose il viso dietro un bicchiere d’acqua, capendo perché Sebastiano aveva chiesto ad Andrea di unirsi a loro: la sua allegria manteneva l’atmosfera più leggera.
“Ok Ciccio, procedo. Stiamo organizzando un concerto in una delle bettole che frequentiamo, e volevamo fare una cover. Il nostro cantante però non ha un fisico… per non parlare della voce… insomma, abbiamo pensato a te per ragioni estetistiche. Il pezzo ti piace di sicuro, Joy Division… roba di fredda disperazione e presagi di morte… Così abbiamo pensato di chiedere a te, che se tieni la testa bassa lì sotto potrebbe starci pure Ian Curtis. Ciccio si rifiuta, anche per gli effetti collaterali che già così non mancano… certo, dovremmo allestire un banchetto con sex toys, altro che produzioni indipendenti, diventerei ricco… insomma pensaci e facci sapere, se non accetti falciamo la cover.”
Sebastiano disse di aver fatto qualcosa di simile un decennio prima, e che voleva soltanto valutare se la cosa potesse ancora divertirlo. Arrivato il vino coprì il calice con la mano, e sul viso di Amedeo la preoccupazione divenne evidente perché gli era sembrato di essere tornato indietro nel tempo. Ludger, passando a riempire il bicchiere successivo, chiese a Sebastiano se stesse bene.
“Certo. Negli ultimi tempi anche meglio del solito, mi sto disintossicando, avevo esagerato. Ho troncato anche con le sigarette, ma berrò qualcosa più avanti e dopo cena ne fumerò una con voi. Come del resto fai anche tu, Ludger caro.”
Un sorriso ironico increspò le labbra di Ludger. “Sembra ti stia disintossicando dalla vita.”
Sebastiano sorseggiò il suo bicchiere di acqua naturale. “Posizione interessante, ma purtroppo inesatta. Perché sono qui. Sono tornato. Esponendomi a voi sarò di nuovo contaminato. Amedeo, respiri ancora? Come sei stato stavolta a Venezia?”
“Benissimo, grazie.”
Sebastiano, rifiutandosi di seguirli in quel viaggio, era certo di aver contribuito al benessere di Amedeo che trovava frustrante non avere argomenti per contraddirlo, e lasciò passare quel momento restando in silenzio.
Sebastiano rivolse altrove la sua attenzione. “Ludger caro, avrei dovuto chiederlo prima a te. Com’è andata per te?”
Invece di rispondere portò il calice alle labbra bevendo con gusto; si mosse con la solita lentezza nel prendere una sigaretta dalla tracolla appesa alla sedia: la calma dei suoi gesti sommata all’immobilità di Amedeo e alla leggera rigidità di Sebastiano, fecero ridere Andrea.
“Scusate, siete tutti così eleganti e posati ma a me sembra di vedere un film a una velocità sbagliata… sarà colpa della tresca, troppa cultura fa male. Mi faccio un altro calice così mi bradipo pure io e non vi disturbo co ‘ste scemenze.”
Ludger gli sorrise in una nuvola di fumo. “Non preoccuparti, vai sempre bene così come sei.” Poi, si rivolse a Sebastiano. “Ora, parliamo del nostro viaggio a Venezia, anche di quello a Madrid e Barcellona se vuoi, ma a patto che poi ci parli dei tuoi… ok? Madrid è stata un vero spasso, il secondo giorno trascorso in quel museo Amedeo è finito a parlare con una capra di Velázquez, tanto per dare un’idea di come si sia nutrita la sua amata sindrome. Anche con il cristo che avevi appeso nella tua vecchia casa abbiamo scambiato due chiacchiere, poco pie. Alloggiavamo nel quartiere gay e abbiamo concesso parecchio anche al nostro essere felicemente froci… quartiere in piena gentrificazione, anche i parrucchieri sembravano negozi di design. Certo abbiamo dormito poco, bevuto molto, eccetera, ma la notte era sempre una festa.” Si interruppe per ridere. “Ok, ho pietà di te. A Venezia abbiamo passato un pomeriggio e una sera spettacolari, una mattina molto lirica, poi ho visto per un paio di secondi la carcassa di mio padre e siamo ripartiti. Per me non è stato un incontro significativo, proprio come immaginavo. Amedeo ha pianto, ma niente di grave… per la mummia, invece, deve essere stato orribile. Chissà quale pezzo della pozzanghera che gli è rimasta al posto del cervello si è attivato per fargli provare quella paura. Siamo entrati nella stanzetta che Anastasia gli ha allestito, e ci ha messo a fuoco quando eravamo già vicini. Ha guardato Amedeo come se fosse fatto d’aria, intanto la zia gli parlava come a un bambino, definendolo il mio fidanzato. Poi ha visto me e si è terrorizzato, nel giro di un secondo ha preso a gridare e siamo dovuti uscire mentre lo sedavano. È un involucro vuoto e scolorito. Mi è dispiaciuto solo per Anastasia che sembra invecchiata di anni per il dolore, ma non ne vuole sapere… è come se fosse diventata madre di quella mummia insensibile. L’ha definito un attaccamento viscerale che vince su qualsiasi razionalizzazione. Posso soltanto augurarle che muoia presto. Andrea, cambia espressione, io sto benissimo. Se lui fosse stato ancora lui probabilmente mi sarei tolta la soddisfazione di farci una sana litigata, ma ormai non c’è più e ne posso fare a meno, senza troppi drammi.”
Sebastiano, restando completamente inespressivo, girò appena il viso nella direzione di Amedeo. “Fratello, perché hai pianto?”
“Perché so che somigliava a Ludger, così come vedo che tuo padre ti somiglia. E, contemporaneamente, mi sembra impossibile. Che si possa perdere così tanto.. nel caso del tuo cambiare così tanto, restando la stessa persona. Dove sono finiti quei ragazzi? Con lui è stato molto doloroso perché è uno spettro e perché la misura che ho usato è Ludger… Lo sai, spesso penso che gli esseri umani abbiano degli errori intrinseci così gravi, così inaccettabili, che da soli dovrebbero far franare ogni aborto di religione.”
Sebastiano lo guardò contraendo leggermente gli occhi, e Amedeo sorrise riconoscendo il suo modo di trattenersi; quell’espressione generò un movimento, e gli prese la mano ferma accanto al calice.
“Hai ragione, in certi casi si può solo piangere, o almeno dovremmo poter piangere. Tu sei meraviglioso… ma adesso non lo farò, per non tediare ulteriormente i nostri amici. Ogni cosa che fai tu è come se fosse inventata dal nulla, come una creazione autonoma, indipendente dai deprimenti usi umani. Tu, forse tu, ce la farai a invecchiare restando quello che sei. Hai già attraversato tante paludi senza sporcarti.”
Andrea rise coprendosi il viso. “Vada per la pomiciata, vada per la dichiarazione, ma però poi basta che così per me diventa troppo… anzi, considerando che mi hai chiamato orsetto, ormai anche per me è troppo tardi. Per fortuna che c’è il vino.”
Il cameriere li costrinse a una pausa per raccogliere le ordinazioni; la tensione di Amedeo sembrava mitigata, ma Ludger restò in ascolto dei messaggi non verbali che Amedeo mandava con il corpo: le sopracciglia lievemente corrugate, la schiena drittissima con la testa appena abbassata, la fissità del suo sguardo su Sebastiano mentre i polpastrelli cercavano costantemente delle trame diverse da sfiorare. Appena il cameriere li lasciò soli, ricordò a Sebastiano che era il suo turno di raccontare.
“Già, ma non c’è molto da dire. Ho attraversato l’ennesimo deserto, cercando di pensare poco. Sarebbe stato bello riuscire a smettere del tutto, ma senza droghe non ci riesco. Così ho smesso con le sigarette e gli alcolici, per un bambino nessun ciuccio può compensare il bisogno di attaccarsi al seno. Forse dovrei tornare in Giappone, quanto mi sta sul cazzo il Giappone. Nel deserto c’erano tanti colori e una guida pagata per non parlare. Ho pensato alla giustizia di posti come quello, così, in assoluto. Un deserto non ha consapevolezza che altrove esplode la vita, non può avere nostalgia della pioggia. Lì ho pensato che, forse, non dovrei cercare di diventare come vorrei essere, ma dovrei accettare quello che sono. Anche se in entrambi i casi il risultato non è chiaro. Ma io non sono chiaro. Mi incazzo con le persone perché fanno quello che io gli ho insegnato a fare, e magari mi hanno anche chiesto il permesso, e magari mi chiedono anche coerenza. Mi incazzo quando non ho potuto insegnare niente e così perdo anche la possibilità di fare quel poco che potrei. Amedeo, devo smettere?”
Gli rispose con un sorriso tirato. “Le persone hanno un nome, hai paura di dirlo? Tu sei ossessionato dai nomi, mi sembra significativo che adesso tu li stia evitando. E no, non smettere. Sono solo molto irritato, mi dispiace… evidentemente mi ero impigrito, non ero più abituato a te, così. La felicità rende deboli, no?”
Sebastiano gli sorrise con una sfumatura più dolce; in momenti come quello pensava che se non ci fosse stato Amedeo avrebbe vissuto in un altro mondo, e in qualsiasi versione non gli sarebbe stato possibile provare sentimenti più forti e puliti per nient’altro. Questo lo avrebbe reso una persona peggiore e, soprattutto, sarebbe venuto a mancare l’unico nucleo, l’unico significato che non si scalfiva mai. Gli prese di nuovo la mano, stringendogliela e fermando il movimento dei polpastrelli sul gambo del calice.
“Mi piace tantissimo questa formula, lo sai. Ma forse non è del tutto vera. La felicità di questi giorni con Ludger ti ha reso forte, al punto che stasera corro il rischio che sia tu a prendermi a schiaffi. Calmati, va tutto bene. Sono così graziosamente incoerente che adesso sto qui, a tenerti la mano e non so quanto miele potrei tirar fuori se non temessi di nauseare il nostro orsetto.”
Ludger rise cercando di restare in silenzio, ma Andrea non si trattenne.
“No, vabbè. Il miele e l’orsetto… la prossima volta che vi vedete di ritorno da un viaggio e mi invitate non saprò a che dovrò prepararmi. Forse era meglio arrivare già ubriaco.”
Sebastiano lasciò la mano di Amedeo per riempirgli il calice.
“Ho poi partecipato a un workshop di danza contemporanea, una cosa strepitosa. Peccato sia dall’altra parte del mondo, cazzo. Non so che darei per poterlo rifare con Elisa. Stavo pensando di portarcela in qualche modo, magari le regalo un viaggio a New York per il matrimonio. Certo, regalo per il matrimonio e poi lei si chiude a rotolarsi per terra mezza nuda con me… dovrei trovare qualcosa anche per Lorenzo, se fosse in California lo avrei potuto spedire in spiaggia. Amedeo, tu lo accompagneresti.”
Con l’arrivo dei piatti Sebastiano fece una pausa sui suoi resoconti, perché voleva gustare il cibo senza distrazioni. Pensava fosse meglio che Amedeo rimanesse sospeso su una parentesi così leggera, e si ripromise di alleggerire ulteriormente i toni.
Finita la cena si spostarono in una vineria. Le espressioni di Sebastiano avevano riacquistato un po’ di morbidezza: ordinò un calice di Taurasi insieme agli altri, e prese una delle sigarette di Ludger dal pacchetto abbandonato sul tavolo, gustandola mentre pronunciava una sola frase. “Sono ancora in pausa. Lasciatemi a questa ragazza come se fosse l’ultima sulla terra.”
Arrivati i vini brindarono alle ultime cose, e Ludger lo invitò a riprendere il racconto perché la trama si stava allentando troppo.
“Poi non c’è molto altro da dire, forse. Deserto. New York. Firenze perché volevo tornare su un tetto che il fratello conosce. Parigi. Il museo e la ragazza. Vi risparmio il museo. La ragazza era una delle sorelle di Aline, quella piccola. Forse la ricorderai Ludger, sei stato tu a memorizzare il suo numero sul mio telefonino quando eravamo a Parigi insieme.”
Restò per alcuni secondi immobile cercando di ricordare: non sempre la memoria gli restituiva quello che cercava, e in quel caso tornò a rianimarsi velocemente. La curiosità lo spinse a sporgersi in avanti, e a poggiare i gomiti sul tavolo con il mento sulle mani intrecciate. Amedeo e Andrea lo videro sorridere di profilo; al primo quell’espressione sembrò vagamente cattiva perché era contraddetta dalla durezza nello sguardo.
La voce di Ludger era priva intonazioni particolari. “Sì, ricordo… tu non stavi bene e lei era molto carina, molto determinata a volerti manifestare il suo perdono. Immagino abbiate parlato di Aline.”
Sebastiano rise. “Ovviamente. Anche di Renzo Piano e della memoria dell’acqua, immagino sia superfluo specificare chi abbia introdotto i diversi argomenti. Indossava alcune cose che avevo regalato alla sorella… hanno apprezzato molto che abbia lasciato a loro i suoi gioielli. Però non preoccuparti. È maggiorenne e ci siamo solo baciati. L’ho contattata rendendo anonimo il mio numero e non ci sarà seguito. È decisamente troppo viva, per me. Forse voleva usarmi come un farmaco omeopatico, come volessi usarla io non so. Mi ha baciato nel bar del Centro Pompidou, il mio contributo è stato talmente marginale che forse si è manifestato soprattutto nell’allontanarla. Ma non ci siamo lasciati male, mi ha trovato très douce e spera di rivedermi. Sapeva di caramella charms all’arancia, probabilmente per via dell’Orangina che aveva ordinato.”
Amedeo mandò gli occhi al soffitto, non si spiegava quel bacio. Ludger aveva disteso le sopracciglia, adesso sembrava soprattutto divertito.
“Non mi sembra che questa esperienza abbia avuto un gran peso per te.”
Sebastiano allungò la mano a scompigliare i capelli di Amedeo, che la allontanò come se fosse stata un insetto, ma sorridendo.
“No Ludger, direi proprio di no. Mi immaginavo di poter recuperare un po’ di spessore per Aline parlando di lei con qualcuno che l’ha conosciuta. Cercavo Aline, ma la sorellina ha troppo carattere per riconsegnarmi la staticità della mia fanciulla perduta. Però le somiglia tanto, forse per questo non è stato difficile mangiare quella caramella. Ma non cercavo quello. E per lei deve essere stato troppo poco. Gli esseri umani quasi sempre ti danno quello che non cerchi.”
Concluse con un’alzata di spalle mentre Andrea chiese la parola.
“Ma esistono ancora quelle caramelle? Da piccolo mi ci friggevo la lingua… Ciccio, com’è questa bambina… se le mie tresche si incapricciano del fantasma, chissà… forse potremmo trovare un adattamento della teoria dei vasi comunicanti.”
Ludger rise scuotendo la testa, Sebastiano era divertito, mentre Amedeo partecipava a quell’allegria sottotono, anche se non avrebbe voluto affondare ancora nelle paturnie. Sebastiano sembrava perfettamente consapevole della propria incoerenza, così come delle rinunce e delle responsabilità. Con il passare delle ore stava riacquistando anche un po’ di morbidezza nei movimenti e colore nelle espressioni; aveva anticipato lui stesso quella ripresa, come prevedibile conseguenza dell’essersi riconsegnato a loro. Amedeo si impose di accettare anche quella fase, e pensò alle parole di di Sebastiano: voleva evitare di rimproverare a un deserto di essere quello che è, a prescindere dalla profonda convinzione che sarebbe potuto essere altro.
Condivise lo stupore degli altri quando Sebastiano estrasse dalla borsa dei regali presi per loro nei suoi viaggi: una sciarpa di seta per lui, un accendino zippo di modernariato per Andrea e una fede d’oro bianco per Ludger.
“Perché sei l’unico della mia banda a non portarla, e mi sembra un paradosso perché tu sei il sovrano. L’ho fatta tagliare e limare dietro per essere sicuro che potrai indossarla. Non dovrebbe darti troppo fastidio considerando la quantità di paccottiglia indiana che portavi da giovanissimo, e i perni d’acciaio con cui ti sei traforato. Poi, se non ti piace, buttala.”
Ludger gli porse la mano sinistra tra i calici, la stessa dove indossava ancora la collana che Amedeo gli aveva regalato molto tempo prima.
“L’ultimo anello che ho portato, così come tutta la paccottiglia, era un regalo di Nobuko. Ma possiamo concedercelo. Solo non mi baciare più in pubblico, sono timido.”
Sebastiano rise come gli altri nel mostrargli l’interno della fede larga e piatta; era molto simile a quella che lui stesso portava, e che aveva anche regalato ad Amedeo e Giulia. Dentro quella di Ludger aveva fatto aggiungere un’incisione in stampatello minuscolo: amedeo.
Giulia era tornata a Roma nella prima settimana di gennaio, riprendendo tutte le sue attività abituali, tranne andare a casa di Elisa a patto che fosse certa di non incontrare Sebastiano. Vedeva spesso la sua amica, ed era uscita diverse volte anche con Amedeo e Ludger. Aveva raccontato senza entusiasmo il suo periodo di baccanali durante le vacanze di Natale, e di aver conservato il suo posto letto a Berlino aspettando che il clima si facesse meno ostile per tornarci. Usava di nuovo esclusivamente i suoi vecchi vestiti da ragazzo, e si muoveva con un piglio aggressivo. Parlava di Sebastiano senza censurarsi, ogni volta che se ne presentava l’occasione.
A metà mese si incontrò con i suoi amici in pub a San Lorenzo per un aperitivo organizzato da Elisa, che sperava di riuscire a sbloccare la situazione.
“Non mi fermerò molto, ma la mia amichetta ci teneva tanto a vederci tutti insieme prima della fine del mese, magari poi capirò pure il perché. Capisco che il fatto che non voglia più venire a casa vostra limita parecchio la nostra frequentazione, e mi dispiace. Però con Sebastiano resto a un punto morto… e non ho intenzione di fare niente. Sono incazzata, è vero, ma soprattutto sono delusa. Dopo tutto quel parlare dicendo che mi avrebbe permesso di stargli vicino in caso di catastrofe è scomparso così… senza cercarmi in nessun modo. E meno male che mantiene le promesse.”
Parlava senza partecipazione, come se fosse annoiata, ed Amedeo non riusciva a guardarla negli occhi se non durante le pause. Giulia lo conosceva bene e riconobbe la sua difficoltà nel seguire quel discorso.
Riprese a parlare rivolgendosi a Ludger. “Io sono strana e la nostra storia lo era ancora di più. Però non ho fatto casini, non è mai chiaro distinguere le linee di confine, con lui meno che altrove. Ma sono sicura che è stato Sebastiano a fare confusione, fra quello che vuole e non vuole. Certo, non lo sa neanche lui, lo capisco. Ma dopo che mi ha esclusa così io non mi sento di prendere e tornare, come se niente fosse. Credo non mi accoglierebbe come faceva prima, e sarebbe peggio, cioè, sì cioè, sarebbe la frattura definitiva. E io non la vorrei. Ci penso in continuazione, ma non ho idea di cosa potrei fare. Altrimenti lo farei. Sono incazzata come una bestia ma non vorrei perderlo. Due cose che non vanno molto d’accordo. Probabilmente avevamo tirato troppo la corda, su quali punti non lo so, forse neanche coincidono. Ad esempio, secondo lui noi potevamo definirci come due che stanno insieme. Cazzo. Ecco, questa definizione è uno dei punti in cui posso misurare la distanza, questo forzare in direzioni che non erano in armonia.”
Ludger le sorrise con dolcezza, e diede alcuni sorsi di birra. “Voi siete quello che siete. E cosa siete resta oscuro a chiunque. Penso sia questa la vostra bellezza. E adesso invece parliamo di frivolezze. Quest’anno il mio ragazzo mi ha convinto a festeggiare il compleanno con gli amici. Ecco, bravo, sorridi. Tornando a noi… Giulia mi piacerebbe averti tra noi, perché ormai sei mia amica a tutti gli effetti. Probabilmente è una richiesta scomoda, ma tu e Sebastiano non potrete evitarvi all’infinito, sarebbe limitante… pensaci.”
Amedeo era più partecipe, e Giulia decise di girare a lui la domanda.
“Secondo te cosa dovrei fare?”
“Non farti condizionare. Vieni se ti va di venire a prescindere. Io sarei felice di riaverti di nuovo a casa mia, anzi nelle due case che frequento. Prima o poi vi incontrerete di nuovo, e forse è meglio non far passare troppo tempo. Perché tu devi sentirti libera di andare dove ti pare. Non ho idea di come e se le cose si rimetteranno a posto, ma non ha senso rimandare ancora.”
Sebastiano ancora restò chiuso in bagno malgrado la casa fosse piena di persone; aveva preparato il soggiorno nel pomeriggio, e si era immerso nella vasca mentre iniziavano ad arrivare gli invitati. Aveva conservato il livello di distacco che riteneva salutare, e nessuno lo contrastava: baciava Ludger, abbracciava Amedeo, ballava con Elisa e usciva spesso con i suoi amici. Davide lo cercava in continuazione, dando l’impressione di star provando a prendere un posto rimasto libero, ma Sebastiano lo manteneva alla giusta distanza con ironia e affetto. Quella sera aveva ripetutamente domandato aggiornamenti sulla lista degli invitati, ma Giulia non si era fatta ancora sentire. Amedeo, all’ennesima richesta, aveva specificato in modo asciutto che sarebbe potuta passare senza avvertire, e che sperava lo facesse. Sebastiano fece scorrerre le dita con la pelle ormai ammorbidita fra i capelli sospesi nell’acqua; pensava che prima o poi avrebbe dovuto tagliarli, e si chiese perché continuasse a rimandare. Avrebbe voluto allontanare Giulia dai suoi pensieri, e la sola idea di incontrarla annullava qualsiasi istinto di uscire dal rifugio d’acqua. Capiva che lei aveva il diritto di muoversi in quella casa a prescindere da lui. Il compleanno di Ludger: provò a ripetersi moltissime volte questa frase, cercando di focalizzarci completamente l’attenzione. Decise di bere almeno due calici quella sera e gli sembrò giusto, considerando che non beveva da quando era tornato. Sospirò perché già sapeva che non sarebbe stato abbastanza. Non avrebbe voluto affrontare quella serata e desiderava scomparire inosservato, ma era certo che una sua fuga sarebbe stata interpretata come un’ennesima drammatizzazione. Accese il lettore CD che teneva in bagno, e alzò il volume quando gli arrivarono delle voci sommate alla musica che veniva dal soggiorno; spense la luce, restando nella penombra. Si immerse completamente, accendendo al massimo il getto dell’idromassaggio, e pensò a diversi modi in cui avrebbe potuto fuggire, anche per poco tempo. Chiuse gli occhi e tornò indietro: aveva letto un articolo di un neuroscienziato che sosteneva che il tempo non esistesse nei sogni. L’autore affermava che durante la fase Rem nel cervello restavano attive solamente memoria visiva e emotività, senza logica. Avrebbe voluto sprofondare indietro a dispetto dell’inesorabile scorrere in avanti del tempo, che non gli dava tregua. Poteva riuscirgli, anche se per poco.
“Pensi che il tuo stimatissimo fratello sia ancora in vita?”
Lorenzo si era rivolto ad Amedeo scherzando, erano al secondo giro di calici e la porta del bagno continuava a restare chiusa.
Amedeo si voltò appena verso l’ingresso prima di rispondergli. “Me lo auguro, non so da quanto sta chiuso lì dentro. Elisa, invece? Ha deciso di passare la serata nel giardino condominiale?”
“No, non Elisa. Penso che Giulia le abbia chiesto compagnia per fumare. Ha iniziato da poco a farsi le canne e non ha avuto ancora modo di domandare se vi avrebbe infastidito. Ma non riesce ancora a fumarne da sola una intera senza collassare. La mia consorte prima o dopo le spiegherà che la quantità può essere dosata. Gli adolescenti sono così faticosi.”
Amedeo rise. “Teniamoci pronti. Mando un messaggio a Giulia.” Si incamminò verso il corridoio scrivendo sul telefonino e lo inviò poco prima di bussare.
– Mi dicono che resti giù per fumare. Non c’è bisogno, puoi salire anche con la fiaccola accesa. Ti aspettiamo. – Aveva intenzione di chiedere a Sebastiano se stava bene, ma lui spalancò la porta mentre ancora stava bussando, malgrado fosse completamente nudo con la casa ormai piena di persone.
“Fratello. Perché ridi?”
“Riesci a metterti addosso qualcosa e a uscire da questo bagno?”
“Ho già asciugato i capelli, ci sono quasi.”
Rimasto solo infilò svogliatamente slip e pantaloni, diede un calcio alle scarpe e si fermò a contemplare la maglietta di seta che pensava di indossare. La infilò ripetendo il suo mantra. “Compleanno di Ludger.” La maglietta si rivelò più corta di quanto ricordasse anche se copriva la vita, arrivando a sovrapporsi ai pantaloni, e pensò fosse abbastanza. Spazzolò ancora i capelli per prendere tempo, e alla fine si decise a uscire in corridoio a testa bassa, puntando direttamente al vino prima di iniziare a salutare.
Giulia ed Elisa erano appena entrate ridendo, togliendosi strati di vestiti nel primo ingresso, ignorando il bivio che portava all’altro lato della casa, che restava buio. L’appendiabiti era colmo, e rimasero in canottiera con le braccia piene di abiti. Giulia si offrì di portare i vestiti in esubero sopra il letto seguendo il suggerimento di Ludger, che si era avvicinato a salutarla, e lasciò Elisa libera di tornare finalmente da Lorenzo. La camera enorme e vuota le sembrò straordinariamente accogliente: avrebbe voluto sdraiarsi sulle giacche ed aspettare lì fino alla fine della serata, abbandonata e rilassata come la sua felpa. Ricordò il brindisi fatto in quella stanza all’annuncio del matrimonio dei suoi amici in estate, e la stanza era illuminata dal sole malgrado fosse stato tardo pomeriggio. Odiò la sua memoria come ogni volta che le restituiva troppi particolari; preso l’occorrente per fumare tornò in corridoio, nello stesso momento in cui Sebastiano finalmente stava uscendo dal bagno. Malgrado fosse distante pochi metri non la vide, perché teneva il capo chino. Il cuore le accelerò senza controllo mentre malediceva ogni dettaglio della sua figura perfetta, nello stesso modo in cui insultava soltanto qualcosa che apparteneva a lei stessa. Sebastiano si fermò dopo pochi passi e sollevò la testa girandosi di scatto, credendo che il gatto fosse alle sue spalle. Prima che quel movimento rapido si esaurisse, sul ventaglio di capelli che ricadevano quasi al rallentatore, l’espressione sul suo viso cambiò radicalmente: gli occhi si contrassero e le labbra si serrarono come se avesse ricevuto un colpo inatteso. Giulia restò immobile in silenzio, stupita e spaventata; appariva stanca malgrado le spalle dritte e le braccia allenate, tese come prima di una battaglia. Sebastiano si chiese perché continuasse a sembrargli sempre una bambina, e perché la sua vista lo turbasse così tanto.
Non volendo lasciare Giulia da sola a lungo, Ludger si affacciò nel corridoio semibuio e li vide entrambi bloccati. Si fermò il tempo di valutare la situazione, finché la voce bassa di Sebastiano arrivò fino a lui.
“C’è qualcosa di profondamente sbagliato.” Restò per alcuni secondi in silenzio prima di concludere. “In me.”
Dalla sua posizione Ludger non vide le lacrime che iniziarono a scendere sul viso di Sebastiano, perché gli dava le spalle, ma gli bastò il sorriso di Giulia per decidere di tornare indietro, cogliendo la sua risposta in dissolvenza.
“Non mi sembra una scoperta recente.”
Sebastiano sussurrò. “Vero.”
Rientrò in bagno e lei lo seguì fino all’uscio, appoggiando gli avambracci sollevati sui due lati della cornice dello stipite per sostenersi. Lui accese la luce bassa dello specchio sopra il lavandino, poi arrotolò i capelli per immergere il viso sotto un getto d’acqua fredda. Giulia guardò la sua mano sottile e liscia affondare nel nodo nero e lucido dei capelli; avrebbe potuto perdersi in ogni singolo dettaglio, dimenticando l’insieme. Cercò di ricordare la fonte di quel pensiero, per capire se appartenesse a lei o a Sebastiano, ma non le riuscì. Aver individuato una falla nella propria memoria generò un’allegria completamente aliena al contesto. Amedeo la raggiunse e le domandò se avesse bisogno d’aiuto, perché l’aveva vista per troppo tempo ferma in corridoio, non sapendo che era rivolta verso Sebastiano.
Giulia gli rivolse uno sguardo ambiguo. “No Amedeo grazie, ce la posso fare da sola. Aspetto solo di capire cosa… ancora non è chiaro se sono stata invitata ad entrare o ad andarmene. Sto cotta, ma non fino al punto di non capire la differenza. Vai pure, è tutto a posto.”
Amedeo le sorrise, allontanandosi senza aver visto Sebastiano; era profondamente ammirato dalla fermezza manifestata da Giulia, e sperò che fosse lei a prenderlo a schiaffi, per una volta.
Sebastiano le parlò, asciugandosi il viso. “Perché resti lì, sulla porta.”
Giulia non cambiò espressione né accennò movimenti. “Perché non mi hai invitato ad avvicinarmi.”
“Ti prego abbassa quelle braccia ed entra. Hai un’anatomia aggressiva.”
Lei avanzò di poco, chiedendosi quale fosse la motivazione che lo aveva portato a quella definizione: il reggiseno senza cuciture che usava per gli allenamenti; la canottiera sciatta da uomo sui pantaloni calati, o per la muscolatura delle braccia. Le possibilità erano troppe, e il suo interesse scemò in fretta. Sedette sul bordo della vasca e lui la superò per chiudere la porta; tornando indietro le prese il mento con una mano, sollevandole il volto.
Tornò a contrarre gli occhi. “Giulia, perché hai il viso così stanco?”
“Non dormo, bevo, fumo canne… roba così. Però mi alleno tanto, sarà per questo che sono anatomicamente aggressiva… Tu come stai? Perché hai pianto? Quanto pensi di essere bellicoso? Se serve mi faccio un’altra canna… sembri di porcellana, mi lasceresti il mento per favore?”
Sebastiano si muoveva con una durezza insolita; raggiunse la finestra per spalancarla e tornò subito indietro, fermandosi a metà strada per appoggiarsi al lavandino.
“Troppe domande. Io non sto. Ho pianto perché non lo so. Tu hai qualcosa che mi trapassa mio malgrado. Bellicosità zero, sono stato in ammollo per un’eternità e mi sono anche fatto una sega. Posso essere aggressivo come un peluche nell’asciugatrice. Se ti fai un’altra canna ti faccio compagnia.”
Giulia rise quasi senza suoni; Sebastiano avrebbe voluto vedere quel movimento leggero nelle onde dei capelli, e gli dispiacque che fossero stirate e strozzate, nella coda bassa. I leggeri sussulti fecero oscillare leggermente i seni gonfi, sotto la canottiera che lui trovava detestabile.
“Sebastiano, sai mi chiedo se esistano altre persone che parlano come te… e se con tutti parli come fai con me, o se sia un privilegio tutto mio. Ma no, Amedeo, Ludger… sono così belli che lo sai che ti capisco, cioè, per quanto possibile.” Riprese a ridere per quel ‘cioè’ detto di proposito.
“Giulia, ho cambiato idea. Aspetta, fumiamo dopo, non la accendere.”
Lei restò con l’accendino pronto davanti al viso, e alzò lo sguardo verso l’alto in attesa. “Dopo. Non capisco… ma non importa.” Non pensava che quell’incontro si sarebbe protratto nel tempo.
Sebastiano le si avvicinò e, dopo averle liberato le mani, la pregò con dolcezza di farsi lavare il viso.
Lei continuò a ridere. “Non ne ho bisogno. Non ho pianto e non corro il rischio di farlo.” Si lasciò comunque passare un braccio sulle spalle e condurre al lavandino. “Certo. Se proprio insisti.”
Restò rigida a guardare le loro immagini riflesse nello specchio: si stupì delle proprie occhiaie, ma anche il riflesso di Sebastiano appariva sbagliato, sinistro come una bambola meccanica, in qualche modo disumano.
“Sebastiano… cosa ti è successo?”
“Fatti rinfrescare il viso e pensa per te. In due minuti di canne hai preso questa faccia da fattona che neanche se ti facessi di eroina. Ma dove lo compri? Ti starai fumando il concime per le piante. Dài, chinati.”
Lei aprì l’acqua riprendendo a ridere, e si strofinò con decisione gli occhi sotto il getto ghiacciato. Si sentiva in bilico sul ciglio di una disperazione indefinita, e cercò di trattenersi concentrandosi sul fastidio dell’acqua che le tirava la pelle. Lasciò che la risollevasse, e le asciugasse con delicatezza il viso.
“Giulia. Adesso andiamo di là. Sto passando troppo tempo in questo bagno, e tu hai bisogno d’aria. Ti prendo uno dei miei maglioni. Poi ti preparo un Cuba Libre, ma devi mangiare qualcosa. Ci fumiamo una sigaretta in terrazzo.”
Lo guardò con gli occhi spalancati.
“Cos’è che non ti è chiaro?”
“Sono tante cose… va bene. Poi andrò via. Grazie. Sei tanto bello, ma hai preso qualcosa di ancora più inanimato. Hai rinnovato il tuo patto con Satana? Ti ha prosciugato ancora di più la riserva di istinto vitale?”
Sebastiano sorrise: era tentato di scioglierle la coda, arruffarle i capelli e carezzarle il viso. Si limitò a sorridere con un’espressione che contraddiceva le ultime parole di Giulia. Le si rivolse accentuando di proposito la sua tonalità bassa. “Cioè, una domanda alla volta a te proprio non riesce, evve’?”
Lei sorrise mettendogli una mano sul viso, come facevano con il gatto per farlo giocare, e spinse il palmo in avanti allontanandolo.
La festa era avviata, e in molti avevano già mangiato; il clima non permetteva di sostare a lungo in terrazzo, e piccoli gruppi ci si avventuravano soltanto per fumare.
Davide si stava innervosendo aspettando Sebastiano, e le battute ironiche di Lorenzo non riuscivano a distrarlo: da quando aveva visto Giulia incamminarsi nel corridoio, senza tornare indietro, si era definitivamente incupito. Era l’unico ad apprezzare l’attuale versione di Sebastiano, mentre Lorenzo non pensava fosse una fase significativa, e sperava segretamente che sotto quel distacco si preparasse all’ennesimo cambiamento. Ludger aveva assecondato lo slittamento del registro comunicativo verso una base quasi sempre ironica; gli dispiaceva soltanto che l’atteggiamento distante di Sebastiano avesse attenuato l’intensità dello scambio con il padre, anche se Jacopo non gli dava peso, considerandolo l’ennesima protezione inutile. Amedeo si innervosiva spesso ma tornava alla calma con altrettanta facilità, perché tra loro le aperture e gli abbracci erano frequenti e Sebastiano mostrava di non volersi irrigidire ottusamente. Per Elisa il cambiamento era inconsistente, perché avevano frequenti punti di contatto grazie alla danza; condividere con lui quell’esperienza le sembrava un dono inestimabile, emozionante e appagante. A volte scherzava, rivolgendosi a lui con il vecchio appellativo tetro, anche se risaliva al periodo in cui si evitavano apertamente. A volte esclamava con fare teatrale: troppo tetro prima di abbracciarlo e iniziare a ballare, restituendogli elasticità e calore; invece era preoccupata per Giulia, ma la consolava il fatto che le permettesse di frequentarla ed avesse completamento accettato Lorenzo.
Quando finalmente Sebastiano e Giulia entrarono in soggiorno nessuno sembrò farci caso, e lei avanzò con un’aria sognante, sfiorando pareti e sedie per mantenere l’equilibrio. Aveva annodato il maglione di Sebastiano sui fianchi in modo approssimativo, e gli restò a fianco mentre le riempiva il piatto; iniziò a mangiare svogliatamente in silenzio seduta vicino ad Elisa.
Quando la sua amica le fece notare che era sollevata nel vederla mangiare qualcosa, piegò la testa deglutendo a fatica e le rispose senza alzare lo sguardo. “Amica cara, è il prezzo da pagare per arrivare ad ottenere un Cuba Libre… così ha deciso il capo…. quanto è assurdo, mannaggia.”
Sebastiano era tornato al tavolo per prendere qualcosa da mangiare anche per sé, ma veniva continuamente interrotto dalle persone che ancora non lo avevano salutato. Amedeo gli restò vicino nella speranza di capire come fosse andato l’incontro con Giulia, ma non riuscì a rimanere da solo con lui.
Davide abbracciò Sebastiano, rischiando di fargli rovesciare il poco cibo che era riuscito a prendere, e sussurrò con allegria: “Temevo non ne saresti uscito più! Oggi hai esagerato… te ne approfitti perché ti perdoniamo tutto!”
Sebastiano si mantenne rigido e riprese a riempirsi il piatto nel rispondergli. “Scollati. Grazie. ci eravamo stabilizzati sulle cordiali strette di mano, ricordi?”
Ad Amedeo non piacque l’espressione con cui Davide si allontanò, ma approfittò di quel momento per cercare di farsi un’idea su come fosse andata con Giulia.
“Fratello, come stai? Credimi, ho fatto fatica a non preoccuparmi.”
“È buono questo carpaccio? Ero indeciso fra tonno e salmone. A Ludger è piaciuto?” Aveva rivolto quella domanda ad Amedeo anche se evitava il pesce crudo ogni volta che poteva.
“Buonissimo, e Ludger lo ha apprezzato molto. Allora? Giulia non mi sembra del tutto sobria.”
“Giulia è fumata, niente di grave. Piuttosto che farle fumare ancora quel pattume poi la faccio bere. Poi. Prima deve mangiare.”
Amedeo lo fece girare nella propria direzione prendendolo per una spalla; anche se era rigido aveva assecondato quel movimento. Avendo di fronte il viso svuotato di ogni accenno d’espressione si trattenne per non manifestare irritazione. “Sebastiano, non era questa la domanda. Come stai?”
“Che fatica, stasera. Non lo so, non del tutto bene. Già da prima. Poi Giulia. Ha qualcosa che mi colpisce mio malgrado, e non mi piace vederla così. Anche Davide non lo vedo bene, ma con lui rischio di perdere la pazienza. Mi chiedo perché debba essere così ottuso, eppure non è uno stupido. Uffa, vorrei che fosse una bella serata per Ludger, davvero. Ma ho una riserva di resistenza limitata, spero solo che basti.”
“Cerco di occuparmi io di Davide, tu pensa a lei se ti riesce. Ludger sta benissimo, non ti preoccupare. Mangia anche tu qualcosa.”
Sebastiano si avvicinò al gruppo di Giulia ed Elisa, tenendo in equilibrio il suo piatto e due bicchieri d’acqua che posò sul tavolo basso, prima di sedersi a terra e iniziare finalmente a mangiare.
Giulia rise, muovendosi inconsapevolmente con lentezza. “Perché hai portato l’acqua?”
Sebastiano valutò che i suoi tempi di reazione erano sufficientemente rallentati per potersi permettere di mangiare alcuni bocconi, prima di risponderle in modo sintetico. “Per bere. Sai, si usa.” Subito dopo riprese a mangiare; avrebbe voluto portarla fuori in fretta per farla riprendere.
Giulia si era incantata, lasciando la forchetta sospesa. “Ma quanto sei stronzo? Andiamo a fumarci qualcosa fuori… guarda, pure una sigaretta…”
“Dai, mangia che anch’io voglio uscire. Amica cara, puoi venirci in aiuto?”
Elisa, che era abituata a bere e fumare, in quel momento era ancora completamente sobria.“Il nostro eroe, per alimentare la sua tetraggine, negli ultimi tempi non beve e non fuma più, se non in casi così eccezionali che a me non è ancora capitato di vedere. Però io non mi posso lamentare del cambiamento, finché continuiamo a ballare come facciamo di questi tempi per me può darsi anche alla meditazione trascendentale, tanto non è contagioso.”
Giulia socchiuse le labbra e si bloccò del tutto: con le spalle in avanti e una bretella scesa sembrava come disattivata; pensò a quanto fossero stati diversi i loro percorsi da quando si erano separati. Fece un piccolo scatto quando Elisa risollevò la spallina, per poi riprendere a mangiare svogliatamente. “Mi avevi parlato di un cocktail e una passeggiata al freddo. Anche di una fumata, credo.”
Si alzò bevendo quasi tutto d’un fiato quasi tutto il bicchiere d’acqua, intenzionato a finire il cibo mentre tornava in cucina. “Vado a preparare, tu finisci il tuo piatto. A un certo punto fumeremo una sigaretta. Ti faccio un cocktail, ma non fumare più per stasera.”
Avrebbe voluto ribattere, non le piaceva il suo modo di prendere decisioni anche per lei, ma limitò ad annuire; annuì ondeggiando a lungo la testa, ad occhi chiusi e sorrise, sicura che lui fosse in grado di capire il suo livello di stordimento.
Lorenzo prese la parola. “Ha ragione, potresti sentirti poco bene. Faresti meglio a bere l’acqua e finir di mangiare… possibilmente tenendo gli occhi aperti. Di mio ti offrirei soltanto un bicchiere di coca cola, ma temo di essere noioso. Se a fine serata dovessi decidere di non fermarti qui, mi piacerebbe che venissi a dormire da noi, se sei d’accordo. Sono disposto a cederti la mia fanciulla e dormire sul divano… oppure in camera di Amedeo, che stasera resterà sicuramente vuota.”
Lei lo guardò mordendo la forchetta vuota, con la testa leggermente inclinata. “Perché sei così buono con me. Anzi, perché sei così buono con tutti?”
Elisa scoppiò a ridere seguita da Lorenzo.
“Sei tra amici, ricordi? Lo so che per te è un concetto difficile da assimilare… ma insomma, cerca di stare tranquilla almeno su questo.”
Giulia vide Amedeo parlare con Davide, che era palesemente contrariato: la sua espressione diventò ancora più ostile quando mise a fuoco che lei lo stava guardando. Giulia continuò a stringere tra i denti la forchetta vuota; Davide si rivolse nuovamente ad Amedeo, scandendo lentamente una frase per niente amichevole, che Giulia interpretò dal labiale e ripetè meccanicamente.
“Davide mi odia.”
Lorenzo ed Elisa tornarono a ridere, e lei riprese a mangiare con indifferenza. Avrebbe voluto trascorrere la notte a letto da sola, e passare la mattina dopo a smaltire i postumi senza dover parlare con nessuno. Per un istante desiderò una donna qualsiasi, per una notte e basta, come con le ultime che aveva avuto. Quella sera però voleva bere, fino a non essere in grado di fare altro che raggiungere un letto, senza energie sufficienti per pensare o andare a caccia.
Rispose all’invito di Lorenzo, alzandosi. “Per adesso direi di fare così… lascio la moto sotto casa vostra e voi mi riaccompagnate a casa mia. Stanotte voglio una donna nel letto solo se posso scoparmela, e non sono cose che si fanno con gli amici. Grazie, Lorenzo.”
Dopo aver lasciato il piatto sul tavolo si allontanò velocemente verso la cucina, anche se con un’andatura non del tutto lineare. Lorenzo sorrise, riconoscendo la forte influenza di Sebastiano nei suoi modi, ed Elisa affermò che la sua amica a volte sembrava posseduta.
Sebastiano aveva reclutato Andrea per faresi aiutare nel fare dei Cuba Libre con porporzioni accettabili. Stavano scherzando al tavolo della cucina, affettando lime e disponendo bicchieri.
“La tua ex-non-donna stasera mi sembra parecchio cotta. Si diverte o l’ha presa male?”
“Per ora sembra in bilico, vedremo dopo questo bibitone. Non poteva essere facile comunque. Mi stupisce che sia venuta.”
Andrea si lavò le mani, e riprese a parlargli appena gli tornò vicino. “È una ragazza coraggiosa, passa la cola, grazie. E tu, come stai? Respiri ancora? Guarda che se sorridi così e abbassi un po’ la testa metti paura anche ai grandi. I piccini li diamo per persi. Non hai trovato le scarpe?”
Sebastiano sospirò, pensando che sarebbero andati in terrazzo; chiese ad Andrea di aspettarlo un attimo, e si allontanò. Raggiunta la cabina armadio infilò gli anfibi senza curarsi di indossare delle calze, e li lasciò aperti appoggiandosi velocemente un maglione sulle spalle. Giulia, appoggiata al piano della cucina, mordeva una fetta di lime con la testa rivolta verso l’alto, e Andrea stava ridendo mentre girava il liquido scuro nei bicchieri.
Nel frattempo Ludger si era unito a loro e si rivolse a Sebastiano che si stava avvicinando al tavolo. “State partendo per la guerra? Vi mancano solo le armi.”
Sebastiano lo superò alzando un singolo sopracciglio, e iniziò ad aiutare Andrea. “Andiamo fuori a prendere un po’ d’aria, e a berci sopra. Ti sta piacendo la serata, malgrado i nostri teatrini?”
Ludger si chinò per fermargli i lacci degli anfibi senza legarli, infilandoli dentro le scarpe. “Molto, i tuoi teatrini li apprezzo sempre. Anche se preferisco quando balli.” Nel risollevarsi rivolse lo sguardo verso Giulia, con affetto. “Sicuro che anche lei ne abbia bisogno?”
“Di aria sicuramente, di bere probabilmente no. Diciamo che è un compromesso. Infilati il maglione.”
I gesti lenti e morbidi di Giulia erano in forte contrasto con quelli compiuti da lui per infilarsi il maglione che, quasi a confermare la battuta di Ludger, avevano una rigidità quasi marziale. Sebastiano prese due bicchieri passandole un braccio sulle spalle per indirizzarla verso l’unica porta-finestra aperta. Una volta fuori si allontanarono dagli altri gruppetti per sedersi sul divanetto più distante: il freddo pungente, come il sapore aspro che aveva in bocca, le restituirono un po’ di lucidità.
“Quando tempo è passato? Sei poi riuscito a fermarlo? Mi porterai comunque al mare in primavera?… avevi detto qualunque cosa accada.”
Lui sospirò, accendendosi la prima sigaretta dopo quello che gli sembrava un tempo lunghissimo, e annunciò che l’avrebbe fumata in silenzio. Giulia mise il bicchiere pericolosamente in bilico e iniziò a sorseggiarlo, trovandolo straordinariamente buono.
Nora fece planare una coperta sulle spalle di entrambi. “A me non serve più, sto rientrando. Senza vi ammalerete. Sono felice di rivederti, Giulia.”
Ebbe appena il tempo di ringraziarla, perché Nora si allontanò subito. Sebastiano stava fumando come se fosse da solo, e non sollevò neanche la coperta che gli stava scivolando dalla spalla; lei scese fino a sedersi a terra e poggiare la schiena sulla seduta.
Sebastiano appoggiò i gomiti sulle ginocchia chinandosi leggermente in avanti, per accompagnare quel movimento.“Ti porterò al mare, se sarai sobria guiderai tu. Aprile, il ventitré aprile. Adesso è il ventitré gennaio, mi piacciono le coincidenze.Sempre. Se mio padre ci sarà ancora potremmo passare a salutarlo, chiede spesso di te.”
Non gli diede il tempo di continuare. “Posso andarlo a trovare?”
“Perché?”
“Per farmi insegnare a giocare a scacchi. Bere il suo vino e sentirlo parlare. Se devo interpretare un ruolo, posso farlo.”
La guardò dall’alto: il viso piccolo e chiaro ritagliato sul suo maglione nero emergeva dall’oscurità come un bagliore indistinto. Abituò gli occhi al buio fino a mettere a fuoco le sue ciglia chiare, lunghe e curve, e scese a terra per starle a fianco avvolgendola nella coperta. “Sì, forse è meglio. Ma niente di troppo falso. Per lui stiamo sempre insieme, anche se in questo periodo ci vediamo meno. Perché io sono lunatico, e poco comunicativo da quando ho rotto con Luca. E tu, in questa fase, mi sopporti solo a piccole dosi. Ecco, così credo che potrebbe funzionare.”
Giulia rimase immobile, con le ginocchia raccolte vicino alle mani con cui avvolgeva il bicchiere; teneva la cannuccia perennemente in bocca, anche se il contenuto scendeva lentamente.
“Senti freddo?”
“No.”
Anche lui iniziò a bere, e non poteva fare a meno di guardarla. La mancanza di espressione sul suo viso piccolo e stanco gli causava emozioni contrastanti: un dolore lieve e, soprattutto, l’irritazione di sentirsi coinvolto più di quanto avrebbe voluto.
“Sebastiano, perché non mi hai chiamato? Quando potevi ancora farlo, prima che fosse troppo tardi… te lo avevo chiesto tante volte e tu lo avevi promesso.”
Lui avrebbe preferito avere un calice di vino; il suo bicchiere era stato preparato da Andrea, e ne apprezzò le dosi generose. Quello di Giulia conteneva quasi soltanto Coca-cola.
“Ero già storto. Era già troppo tardi. Ricordavo di averti promesso una chiamata se il vecchio se ne fosse andato. Le promesse non le dimentico. Ma è un’altra storia. Pensavo che la sincerità mi avrebbe aiutato, speravo…” Si interruppe per ridere con amarezza. “Sì, speravo. Come un coglione qualsiasi, che la sincerità ti avrebbe protetta dall’incoerenza. Ma ancora una volta per capire sono dovuto cadere. Una delle nostre formule non girava più bene. Era provata e riprovata, l’ho addirittura incoraggiata, ma era fottuta. L’errore è mio. Io avevo già iniziato a immaginare in sottofondo. La mia umanità a volte, anzi sempre, mi fa pena. Mi sono trovato in una trama che non corrispondeva a un’aspettativa che avevo maturato senza neanche accorgermene. Credimi, se ne avessi avuto coscienza ti avrei chiesto di restare quando ancora c’eri. Prima che fosse troppo tardi. Ma, semplicemente, non lo avevo visto. Poi c’è stato quello schifo con Luca, non penso di aver sbagliato con lui. Il suo dolore mi ha ferito più del mio. Quindi, a prescindere dal fatto che non riesca a collocare la posizione esatta dell’errore, il disastro mi ha travolto più di quanto avrebbe potuto fare qualcosa di mio. È questo il baratro che mi ha completamente bruciato, ed era imprevedibile. Ho sperimentato uno dei poteri corrosivi della condizione di genitore. Probabilmente ampiamente bilanciato da emozioni travolgenti e viscerali, che io ho potuto solo vivere come una privazione. Tenere in braccio una bestiolina nuova che è tuo figlio, una creazione così potente da ribaltare tutte le orbite di un sistema. Mio padre parla poco di queste cose e spesso per metafore, ma io quella corrente di affetto primordiale e ottuso da lui l’ho raccolta. E con Luca non c’è stata. Un coniglio di legno può sopravvivere alle rivoluzioni, ma non può veicolare qualcosa che dovrebbe essere così meravigliosamente animale.”
Giulia ebbe un senso di vertigine: pensò di non essere più abituata ad ascoltarlo ed ebbe la sensazione che le sue parole la ubriacassero più del cocktail.
“Coniglio di legno?”
“Lo avevo scelto con Adriano alla Città del Sole. Uno dei tanti giochi che gli ho spedito, doveva essere piccolissimo. Non se ne è mai separato, ha demolito tutto ma quell’oggetto è sopravvissuto fino ad adattarsi a vivere nella stanza di un nerd semimetallaro. Mi ha fatto notare educatamente che non gli piaceva che io lo toccassi.”
“Vorrei bere ancora, ma non voglio rientrare.”
Sebastiano le prese il bicchiere dalle mani e ci versò metà del suo, riposizionandolo nella nicchia che lo aveva accolto poco tempo prima. “Però stasera non guidi.”
“Stasera mi riaccompagna a casa Lorenzo.”
Sebastiano rise. “Quell’uomo ha una una vera vocazione da crocerossina. Dovrei regalargli un completino. Lo apprezzerebbe.”
“Sebastiano, perché non mi hai chiamato dopo che c’è stata quella cosa con Luca? Era davvero già troppo tardi? Lo avevi promesso.”
Le diede una lieve spinta spalla a spalla. “Niente colpi bassi. Te l’ho già detto, la promessa era per un’altra storia. Era già troppo tardi altrimenti lo avrei fatto, credo. Non ho proprio pensato a proiettare quella promessa su questa. E poi ti ho detto anche qualcosa di altrettanto significativo. Avevo iniziato a immaginare mio malgrado… Giulia, non so bene come dirtelo, forse perchè non vorrei dirtelo. In quel momento avrei voluto avertì già lì. In quel momento ho sperimentato una condizione di dolore che non avrei saputo immaginare, e ho dovuto aggrapparmi a ciò che avevo vicino. L’errore è mio. Lo so e non voglio tornarci ancora sopra. Ho abbracciato Ludger, mi sono preso l’ultima sbronza. Ho angosciato Amedeo, e sono scappato nel deserto a staccare tutto quello che potevo staccare. Come un bisogno di respirare dopo una profonda apnea. A quel punto dovevo stare da solo. Non volevo offenderti, mi dispiace. Mi rendo conto che il difetto è tutto mio, e penso sia questo il modo di chiedere davvero scusa per qualcosa.”
Giulia annuì, continuando a fissare il buio. “Il tuo alcolico era più buono. Me ne prepareresti un altro? Io vorrei restare un po’ qui a smaltire le tue parole.”
Sebastiano avrebbe voluto tornare velocemente da Giulia; sulla soglia si sfilò il maglione, e non appena rialzò il viso vide che Davide gli stava bloccando la strada, sorridendo.
“Stasera non c’è verso di passare un po’ di tempo insieme?”
Amedeo, che lo aveva seguito, mandò gli occhi al cielo passandogli un braccio sulle spalle, nel tentativo di contenerlo.
A Sebastiano quella scena sembrò una fatica inutile; lanciò il maglione verso un lato della porta-finestra con l’intenzione di recuperarlo al ritorno, e iniziò a camminare con un passo deciso verso la cucina. “No, Davide. Stasera proprio no. E se non smetti di seguirmi neanche in altre sere. Perché non ti gusti un po’ la compagnia dei tuoi amici?”
Ludger si affiancò a Sebastiano e prese gli ingredienti dal frigo, per aiutarlo a preparare il secondo giro di Cuba Libre. Sembrava divertito. “Quel ragazzo sta diventando un problema. È un vero peccato, non riesce a darsi pace e finisce per comportarsi molto peggio di come potrebbe.”
Sebastiano rispose affettando i lime. “Davide non sta diventando un problema. Davide stasera è solo una seccatura. Non ho sbagliato niente con lui, forse dovrei soltanto bannarlo definitivamente, ma continua a sembrarmi una fatica evitabile. Amedeo gli è molto legato, e a volte può essere molto piacevole. Non capisco perché sia così intollerante a tutto ciò che ha che fare con Giulia, e come possa pensare che la cosa lo riguardi. Sicuramente non ci uscirò più da solo, perché è evidente che quelle uscite lo abbiano portano a credere di avere il diritto di potersi comportare così, e io ne ho le palle piene.”
Ludger gli mise le mani ai lati della vita per spostarlo, iniziando a versare rum nei bicchieri che aveva già preparato. “Ti stanno molto bene questi pantaloni. Come sta andando fuori?”
“Grazie, a te sta bene tutto, come al solito. Fuori. Giulia è imbozzolata intorno allo spazio di un bicchiere momentaneamente vuoto. In quello che stai preparando versane poco, così lo do a lei. Digerisce parole. Io mi sto stuprando lì a fianco.”
Ludger rise. “Forse sarebbe meglio prepararne uno leggero anche per te.”
“Non credo serva. Se farà la fine del primo ne berrò soltanto una parte. Giulia stasera non ha fondo. Grazie Ludger. Tu sei l’unica cosa di questa serata che mi rallegra. Sono felice che ti stia gustando il tuo compleanno. Torno al mio teatrino.”
Incontrò Elisa mentre attraversava il soggiorno, con l’intento di riprendere il maglione ed infilarlo prima di portare i bicchieri; immaginò che avrebbe chiesto di Giulia, ma Elisa stava sorridendo in silenzio. Ruotò su se stessa fino a dargli la schiena, e gli si poggiò addosso afferrandogli le mani.
“Tango?”
“Per la contact purtroppo non abbiamo abbastanza spazio, e sei troppo vestita. Stai benissimo stasera.”
Le mani di entrambi risalirono unite sul profilo dei fianchi di Elisa, e arrivate ai seni iniziarono a muoversi autonomamente, come i loro corpi che si allontanavano soltanto per stabilire nuovi contatti. I gesti seguivano un andamento fluido, sensuale, a volte spezzato dalle pause cadenzate di una musica non adatta a quel tipo di movimenti. Andarono avanti fino alla fine di un pezzo post punk, indifferenti al fatto che tutti fossero fermi ad osservarli. Elisa e Sebastiano si ricavavano sempre uno spazio esclusivo ballando: ogni sguardo e gesto era rivolto al compagno, in uno scambio incessante che sembrava completarsi nella tensione dei contatti così come nelle separazioni. Si abbracciarono ridendo mentre la musica ripartiva e gli amici riprendevano movimento, applaudendo rumorosamente.
“Siamo due spacconi esibizionisti?”
“Elisa cara, non direi. Lo facciamo per noi, non per loro.”
Gli passò le mani fra i capelli, depositando un bacio dietro l’orecchio.
Sebastiano, ogni volta che si separavano dopo aver ballato, pronunciava una frase in francese. Quella volta non fece eccezione. “Ma jolie, je vais.”
Recuperò il maglione, lasciando i complimenti all’amica, ripetendo il merito era soltanto suo. Giulia non si era mossa, restando come un fagotto abbandonato lì per errore. Le si sedette a fianco, riportandosi la coperta sulle spalle.
“Scusa se ci ho messo tutto questo tempo, Elisa mi ha proposto un tango.”
“Hai fatto bene, avevo bisogno di stare un po’ da sola. Quando ballate siete bellissimi, mi dispiace non avervi visto… spero ci saranno altre occasioni. Mi passeresti anche una cicca? Grazie.”
Dopo avergliela passata Sebastiano continuò a guardare il pacchetto; lei gli mise fra le labbra la propria sigaretta appena accesa, prendendone un’altra prima di chiudersi di nuovo nel proprio bozzolo.
“Così sono io a farti fumare, meglio il fumo attivo che il mio passivo, no?”
“Giulia, puoi venire a vederci in palestra ogni volta che vuoi.”
“Grazie, mandami un messaggio e verrò.”
“Ogni volta?”
“Non lo faresti mai ‘ogni volta’. Ogni tanto, forse. Senza invito non vengo.”
Sebastiano pensò che quella richiesta nascesse dalla necessità di mantenere, per quanto possibile, una posizione chiara. Le sussurrò un ok, per poi gustarsi anche quella sigaretta in silenzio, come la prima. Giulia continuava ad osservare gli alberi immobili, ripensando alle tante ore passate nel suo letto guardandoli, aspettando che lui si svegliasse. In quelle occasioni non aveva mai un umore stabile, esattamente come in quel momento. La differenza consisteva nella distanza: gli alberi erano più lontani, così come Sebastiano malgrado fosse sveglio. Lui stava cercando le stelle nascoste dalle luci della città, ricordando come le aveva viste nel deserto, prima di arrivare alla conclusione che fossero ugualmente noiose.
“Hai più sentito Nina?”
“Dopo. Perché non mi parli di te?”
“Perché non ho niente di interessante da dire. Ho scoperto il sesso da fumata e impasticcata. Non è una cosa che posso raccontarti immaginando di dirti qualcosa di nuovo. Sto sempre da sola, studio, mi alleno per superare l’ennesimo livello… in una di quelle cose di cui neanche vuoi conoscere il nome. In palestra spesso ho delle supplenze per i bambini e i ragazzi, e mi piace. Studio. Studio tanto. Fino a che non farà una temperatura più umana non tornerò a Berlino. Mi manchi tanto, ma non posso cambiare le cose. E quando è così bisogna solo accettarle, no? Sto quasi sempre da sola. Hai sentito Nina?”
Sebastiano sospirò, e diede una risposta affermativa a cui seguì una lunga pausa. “Luca da quella sera ha cambiato modi. Adesso fa il bravo in tutto. Nina sostiene che Luca sia diventato più sinistro, perché è freddo e distaccato. Secondo lei sembra che non gli importi più di niente, ora che non si incazza e parla in italiano. E lei ne soffre, come quando era una continua sfuriata. Va bene a scuola, non gioca più. Non ha neanche aperto i giochi che gli ho regalato, li tiene in camera ancora nella carta da regalo. Suona in continuazione una chitarra che gli ha spedito Ludger. Ne avevano parlato in quel pomeriggio infausto, e lui gliel’ha voluta spedire comunque. Evidentemente ha fatto bene. Luca ha imposto alla madre di non parlare più di me. Fine.”
Restarono fermi e in silenzio a lungo; Sebastiano dopo aver sistemato la coperta per proteggerla dal freddo, aveva appoggiato la spalla addosso alla sua. Ad un certo punto chiuse gli occhi nella speranza di addormentarsi, perché dopo tanto tempo stava bene. Si sentiva stordito e non gli sembrava impossibile dormire, malgrado la posizione scomoda. Sentì il calore di Giulia nella poca superficie di contatto delle loro spalle, e si chiese se fosse stato anche quel piccolo contatto ad averlo rilassato.
Lei affondava in pensieri inconcludenti; poggiò a terra il bicchiere ormai vuoto e chiuse completamente il bozzolo di lana. Malgrado non riuscisse a seguire percorsi mentali lineari, arrivava sempre alla stessa conclusione; decise di rivolgergli la domanda che costituiva la diga su cui ogni volta finiva per scontrarsi. “Puoi dirmi cosa pensi di me, cosa hai pensato di me, in questo tempo?”
“Forse non potrei. Anzi, non dovrei… non me lo sono detto del tutto. Neanche a me. Ma proverò, mi sembra giusto. Anche se non c’è una fine, un compimento. Anche se potrei annegare. Fammi prendere un po’ d’aria e poi mi tuffo.”
Giulia immaginò che sarebbe seguito un altro lungo silenzio, ma lui riprese a parlare subito dopo senza aver provato a riordinare il caos di emozioni, che aveva lasciato macerare per troppo tempo.
“Ho pensato tanto a te, ho pensato così tanto da riempire intere vite. Che non vivremo mai. Ho riempito un deserto pensando a te, fingendo di non pensarti. Sono invecchiato con te, ho dormito sui tuoi seni. Abbiamo fatto qualsiasi cosa possibile, fino a renderla impossibile. Sono morto fra le tue braccia, ho immaginato mattine e notti, figli e storie. Abbiamo fatto l’amore e non lo abbiamo fatto mai, fino alla fine. Mi hai scopato come scopi le tue donne, e come non le scoperai mai. Abbiamo fatto tutto quello che ci piace, senza brutture e senza stancarci mai. In ogni dove. E non ci siamo neanche sfiorati più, mai più. Mi è esploso il cuore tenendo in braccio per la prima volta nostra figlia, che poteva essere anche un maschio… ma comunque si chiamava sempre Laura. Ti ho vista invecchiare e sono morto giovane, tu sei e sarai sempre bella. Tu sei la più bella, per te si dovrebbe inventare un nuovo linguaggio, un nuovo codice. Non mi sono mai masturbato pensando a te. Tu lo hai fatto, e non mi dà fastidio. Ti ho insegnato a nuotare, perché tu non sai nuotare, vero? Abbiamo vissuto insieme, e separati, a Roma e a Berlino. Ti ho cucito così tanti vestiti addosso fino a farli diventare dipinti sulla tua pelle. Sono così stanco di te, così stanco come potrei esserlo solo di me. E l’aspetto più sorprendente è che tutto questo non mi ha mai dato l’impressione di avvenire nel cervello di Ludger… tu mi hai portato fuori da lì, vivo di nuovo dentro un teatrino mio. Così posso amarlo davvero, lui, e lasciare il mio teatrino vuoto. Perché le storie si ripetono e si contraddicono all’infinito. La nostra storia è diventata una stanza vuota, dove ogni gesto si ripete rimbalzando sulle pareti per poi tornare indietro e sovrapporsi, un’eco che non corrisponde mai con l’origine, perché la fonte continua a mutare senza requie. Un posto dove ogni movimento acquista una stratificazione infinita e insopportabile, dove non riesco a fare più neanche un passo per paura di essere schiacciato da tutte le direzioni che può generare, come frattali. Tante, troppe e non vanno mai a finire bene, perché nessuna fine mi può soddisfare, mai. Perché la fine è una linea che si chiude e distrugge la possibilità. Dovrebbe completare il disegno, ma qualsiasi forma non potrà mai contenerle tutte. La completezza è un’illusione frantumata dalla moltitudine dei riflessi, dall’eco. Quella linea dovrebbe frantumarsi, sgretolarsi e lasciarmi, lasciarci, finalmente liberi. Ma non penso sia possibile… perché piangi?”
“Hai detto troppe cose, così veloce… io sono mezza andata e mi odio, perché non riuscirò a ricordarle. E non vorrei dimenticarne neanche una.”
“È perfetto così, dovresti esserne felice. Calmati e rientriamo, penso sia ora di andare via, adesso.”