Di ritorno dal parco Amedeo vide Helga avvicinarsi, e quella variazione alle dinamiche abituali lo infastidì. Lei sorrise al figlio, chinandosi per accarezzargli i capelli e baciargli la testa invece Ludger, ignorandola, si lasciò portare via dal cameriere indiano. Helga si rivolse ad Amedeo invitandolo ad entrare, e lui la seguì fino al salotto dove ogni dettaglio era rimasto identico tranne i fiori, che quel giorno avevano un colore diverso.
“Come va con Louis?”
Seduto rigido di fronte a lei cercava le parole per rispondere. “Credo bene, non c’è stato nessun problema. Non è mai successo niente… per tutto il tempo.”
Soltanto quando Helga gli passò una busta capì che doveva essere passato un mese dal loro primo incontro; la ringraziò sperando di potersene andare in fretta, ma lei riprese a parlare.
“Sono io che devo ringraziarti, siamo molto contenti che vi siate trovati così bene. Puoi fermarti per un tè?”
Amedeo, sentendosi a disagio, disse di aver fretta di tornare perché doveva studiare per un esame importante. Lei sembrò sollevata e ammise di averlo invitato per dargli l’opportunità di farle domande su suo figlio, ricordandogli che avrebbe potuto contattarla in qualsiasi momento se ne avesse avuto bisogno.
Si ritrovò ad accelerare il passo verso l’uscita, e dovette frenarsi per non superare la cameriera che gli stava facendo strada. Qualcosa in Helga e nel suo salotto continuava a dargli l’impressione di soffocare; era irritato dal suo parlare al plurale e da come avesse imposto al figlio quel gesto d’affetto. Immaginò che Ludger potesse usare solo il distacco come via di fuga; la sua immobilità, sommata all’indifferenza per quella carezza, gli aveva dato un senso di claustrofobia. Era irritato soprattutto con se stesso, sentendosi un idiota nel fare congetture su situazioni che non conosceva; trovava disgustosa la superficialità con la quale stava giudicando i gesti di una madre costretta a vivere con un dolore impossibile da immaginare. Ritornò al parco, concedendosi il tempo di una sigaretta per calmarsi e riordinare le idee. Ludger aveva parlato con lui solo una volta e se non fosse stato per quell’episodio avrebbe potuto credere che il suo silenzio fosse originato da un impedimento; era consapevole di riuscire a trovare normale quella chiusura soltanto per le proprie stranezze isolazioniste. In quell’unico scambio si era comunque manifestato con un carattere forte, capace di esprimersi chiaramente e senza compromessi. Appena finita la sigaretta si impose di non pensarci più, perché farsi coinvolgere avrebbe significato non poter più lavorare per loro. Decise di ignorare il dubbio che aveva sul doppio nome; pensare a lui come Ludger o Louis non sembrava importante.
Il pomeriggio seguente salutò Ludger in modo automatico, convinto che sarebbe stato ignorato come sempre. Si bloccò nel vederlo togliere gli auricolari e alzare lo sguardo: aveva gli occhi di un verde brillante, fortemente screziati, che sembravano non metterlo del tutto a fuoco. Rispose al saluto ma il suo ‘ciao’ rimase come sospeso; si sentiva stordito, e restò fermo alcuni secondi davanti alla sedia a rotelle per poi scuotere la testa e sorridere, riprendendo a muoversi. Appena varcato il cancello Ludger parlò di nuovo, chiedendogli se gli andasse di accompagnarlo in un bar.
Amedeo ordinò due caffè al bancone prima di accostare la sedia a uno dei tavoli interni e sederglisi di fronte; Ludger, dopo essersi acceso una sigaretta, si massaggiò il viso come se si fosse svegliato da poco.
Riprese a parlare avvicinandogli il pacchetto. “Come ti chiami? Amedeo… bene.”
Dopo aver bevuto tutto d’un sorso il primo caffé ne ordinò subito un altro, stropicciandosi di nuovo gli occhi prima di tornare a guardarlo inespressivo. Amedeo era rapito dal contrasto di quei gesti con l’immobilità a cui lo aveva abituato. Trovava il taglio dei suoi occhi etrusco, e si diede del cretino perché una parte dei suoi pensieri continuava a reagire a Ludger come se fosse stato uno degli oggetti d’arte che studiava. Quasi saltò sulla sedia sentendo di nuovo la sua voce.
“Prendo dei farmaci, soprattutto tranquillanti. A parte poche tazze di tè in casa non mi permettono di prendere nessun eccitante. Il caffè è buonissimo.” Iniziò ad assaporare la seconda tazzina, tenendola sospesa davanti al viso. “Certo anche tu parli poco, Amedeo.”
Sorrise e Ludger si stupì per la luminosità di quell’espressione, mettendolo a fuoco per la prima volta; trovava belle le sue labbra grandi e gli occhi che, in quella luce bassa, prendevano una tonalità di blu cupo.
“Forse è per questo che stiamo così bene insieme.”
Amedeo si pentì di averlo detto ma Ludger rise, e quel suono lo scosse, come un vetro che si rompe. Si sentì arrossire per l’attenzione con cui lo stava guardando.
“Hai una faccia incredibile… sono così assurdo quando rido?”
“No! Solo non me lo aspettavo… ma sono contento di stare qui, con te… e sentirti parlare… e ridere. Davvero, credimi.”
Ludger pensò che le sue espressioni fossero limpide come quelle di un bambino. Riprese a parlare con un tono calmo, abbassando lo sguardo sul tavolo per non metterlo in difficoltà.
“Vedo mia madre tutte le sere a cena, questo spesso mi fa quasi digiunare. Poveretta, io sai, posso essere parecchio stronzo… la metto a disagio e per reazione parla, parla, parla tutto il tempo… come se parlasse da sola. Ieri mi ha raccontato del vostro incontro… ho apprezzato molto che non ti sia fermato a parlare con lei, di me. Comunque, se c’è qualcosa che vuoi sapere chiedimela ora. Se non mi va non rispondo, quindi vai in piena libertà.”
“Vorrei sapere come ti chiami… perché tua madre mi ha detto due nomi, io ho iniziato ad usarne uno e dopo un mese ho scoperto che lei usa l’altro… qual è il nome che preferisci?”
La tensione di Amedeo iniziò a mitigarsi grazie alla rilassatezza dei suoi gesti lenti e alla tranquillità della sua voce.
“Non devi nulla, chiamami come ti pare. Va bene anche Ludger. Non mi interessa. Invece io vorrei chiederti se sai guidare. Ho preso le chiavi della mia macchina e vorrei andare in libreria perché non ho niente da leggere, e non mi va di prendere i libri di mia madre. Mi porteresti in una libreria?”
Acconsentì di slancio senza darsi il tempo di pensare alle difficoltà pratiche. Non incontrarono le complicazioni che si era aspettato: la macchina era in un garage esterno alla casa e Ludger si rivelò completamente autonomo nel prendere posto sul sedile del passeggero. Prima che Amedeo potesse offrirsi di aiutarlo si mosse velocemente, sostenendosi con le braccia. Nonostante il freddo Ludger abbassò completamente il finestrino dal proprio lato, e rimase fermo in silenzio al punto da sembrare inanimato mentre il vento gli scompigliava i capelli che gli frustavano il viso, senza fare un singolo gesto per trattenerli. Arrivati in libreria iniziò a spostarsi velocemente tra gli scaffali mentre Amedeo lo seguiva, rapito dai suoi gesti; passandogli i libri che non sarebbe riuscito a prendere continuava a osservare il suo viso tagliente, concentrato nel leggere le note di copertina. Provò una strana sensazione nel guardarlo a contatto con altre persone, simile alla tenerezza: qualcosa che non riusciva a definire lo rendeva palesemente diverso dagli altri, non solo la sedia a rotelle. Ludger parlava sempre senza fretta, con una voce molto bassa; i suoi colori erano luminosi, e i capelli nella luce forte prendevano tonalità dorate. Malgrado indossasse una vecchia felpa scolorita gli sembrava elegante, dandogli l’impressione che il tempo per lui scorresse a una velocità diversa, come fosse appena uscito dal letto una domenica mattina d’inverno.
“Amedeo, mi consigli qualcosa da leggere?”
Tornare a concentrarsi sul presente fu faticoso. “Hai qualche preferenza?”
“Non importa il genere, anche se preferirei la narrativa contemporanea. Consigliami i libri più belli che ti vengono in mente.”
Ne nominò due senza pensarci, per pentirsene subito dopo. “Però non so… non sono per niente allegri.”
“Anche io non sono per niente allegro, non preoccuparti, se non mi piacciono non li finisco. Andiamo.”
Non parlarono più fino al momento di separarsi; pensò che non avrebbe risposto al suo saluto, invece Ludger alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo per ringraziarlo.
Amedeo viveva in un quartiere abbastanza vicino a quello di Ludger. Ogni giorno era felice di tornare a San Lorenzo; divideva l’appartamento con due coinquiline, ma solo Elisa era diventata una delle persone che sentiva più vicino: lei e Sebastiano erano gli unici amici con i quali riuscisse ad avere contatti profondi e autentici.
Era ancora stordito quando arrivò a casa; raggiunse Elisa nella sua stanza per raccontarle del pomeriggio con Ludger, e lei lo ascoltò senza fare commenti fino alla fine.
“Sono preoccupata. Non tanto per lui, che mi fa piacere che si sia manifestato e ti sia sembrato una persona presente, e anche piacevole nei modi dopo soli due caffè… ma per te. Tesoro, non devi farti coinvolgere così… me lo hai detto tante volte. La vita di questo ragazzo deve essere un inferno e tu non puoi farci niente. Se ci stai male non potrai più neanche portarlo in libreria, e non va bene che ne parli come una delle cose inanimate che tanto ti emozionano… perchè lui è una persona e non puoi contemplarlo con lo stesso distacco che hai di fronte a una statua… e non mi rifare il discorso del vetro e dell’amebite, può funzionare con Sebastiano che è mezzo matto come te. Ma tu, a differenza di lui, con il dolore degli altri puoi diventare una spugna… e lo sai. Insomma, prendi i tuoi libri e affondaci come sai fare, la vita è un’altra cosa. Non fare confusione.”
Il giorno successivo Ludger lo accolse con un ‘ciao’ prima di tornare a immergersi nella lettura, tenendo tra le mani uno dei due romanzi che gli aveva consigliato. Al parco Amedeo gli sedette di fronte; ormai non portava più i suoi libri con sé e passava la maggior parte del tempo a guardarlo. In quel momento si domandò che effetto potesse fargli la storia che stava leggendo.
Dopo essere arrivato all’ultima pagina Ludger alzò uno sguardo assente. “Bello, forse anche troppo.”
“Anche a me è piaciuto molto, forse per quel modo di descrivere sentimenti così forti con semplicità… è coinvolgente e contemporaneamente distaccato.”
Ludger continuò a guardare dritto davanti a sé. “Ti va di portarmi in un pub a bere una birra? Vorrei tanto una Guinness alla spina.”
In macchina Amedeo gli chiese se preferisse un posto in particolare, ma per Ludger era del tutto indifferente. Rimase in silenzio fino al primo sorso di birra, che sembrò gustarsi come il secondo caffè del giorno precedente.
“Amedeo, sei innamorato?”
Rispose abbassando gli occhi sul tavolo, con un sorriso che sembrava una smorfia. “No, purtroppo no.”
Ludger, incuriosito per quella reazione, tornò a bere prima di tornare a parlare. “Se ti rompo però dimmelo, non sei obbligato. Non devi mai sentirti obbligato a fare qualcosa… non voglio infastidirti.” La voce si era indurita nello scandire la parola ‘obbligato’, ma dopo alcuni minuti riprese con la consueta mancanza di intonazioni. “Pensavo al libro che mi hai consigliato e lo associavo a te, tutto qui.”
“No Ludger, non mi secca per niente parlare con te, anzi, mi piace.”
Amedeo si sentì stranamente rilassato quando i loro sguardi si incontrarono, fino a pentirsi di aver preso del tè invece che una birra.
“Quanti anni hai e cosa fai?”
“Ventidue e studio storia dell’arte, tra pochi giorni ho un esame. Vivo con due coinquiline, una è una cara amica, una specie di angelo custode, si chiama Elisa. Ho solo un’altra persona importante, si chiama Sebastiano… ma lui purtroppo non lo vedo quasi mai. I miei vivono a Lecce e ogni volta che li vado a trovare perdo anch’io l’appetito.”
Il lieve sorriso sul viso di Ludger gli confermò che la citazione era stata colta. Respirò profondamente.
“E no, non sono mai stato innamorato. Sono stato con una sola ragazza, anni fa, ma non ne ero innamorato. Mi piaceva come mi piacciono i miei amici… ma è un’altra cosa. Ho sbagliato, e poi tornare indietro è stato impossibile… perché lei era innamorata e il mio distacco la feriva. Lasciarla è stato terribile. Insomma, non ho nessuna intenzione di ritrovarmi di nuovo in uno schifo del genere.”
Amedeo non si sentì in imbarazzo, anche se trovava singolare parlare con qualcuno iniziando dalla sua ‘amebite’. Ludger lo ascoltava con attenzione; gli sembrava che nessun discorso avrebbe potuto intaccare la sua astrazione.
“Mi pare incredibile che tu sia stato con una sola ragazza senza esserne neanche innamorato, deve essere stata un’esperienza davvero brutta per condizionarti fino a questo punto… hai provato a pensare che con un’altra persona le cose potrebbero andare in un altro modo? Però, certo, non puoi decidere di innamorarti… ma non ti è mai venuto in mente di stare con qualcuno solo per farci sesso, mettendo le cose in chiaro? Sei un bel ragazzo, non dovresti avere problemi. Non ti manca il sesso?”
Ludger parlava lentamente e le sue pause davano ad Amedeo l’impressione che elaborasse nel suo soliloquio le risposte che avrebbe potuto dargli, cercando di prevederle prima di arrivare al passaggio successivo.
“No, non mi manca, probabilmente sono più vicino alle chiocciole che agli esseri umani. Secondo Elisa sono un angelo, secondo Sebastiano non voglio avere contatti con la morte… perché lui collega le due cose… ma i miei amici sono piuttosto originali e hanno una visione di me stranamente lirica. Io piuttosto mi sento fuori dalle dinamiche della vita, come dietro un vetro… la vedo scorrere ma non mi tocca. Forse è per questo che mi piace tanto studiare la storia dell’arte… anche leggere e ascoltare musica, riesco ad assorbire le passioni degli altri, come una specie di parassita.”
Ludger era divertito. “Credo che tu viva molto meglio di tante persone che magari, per le convenzioni, si impongono di recitare un ruolo. E fai bene a non forzarti, a non permettere a nessuno di incollarti addosso una maschera non tua… dovrebbero farlo tutti. Ti va di accompagnarmi a casa? Tra pochi giorni hai un esame e io sono stanco.”
Il finestrino dal lato di Ludger era ancora abbassato. Il vento gli scompigliava i capelli perennemente impicciati: restò abbandonato a lungo con un’espressione dolce e gli occhi chiusi.
Tornò a guardarlo a un semaforo rosso, chiedendogli se potesse fermarsi per comprargli altri libri. “Per i prossimi giorni. Tra quanto hai l’esame?”
Dopo la sua risposta Ludger tornò a chiudersi nel silenzio fino al momento di salutarsi. Erano già in giardino quando gli disse di non tornare nei giorni seguenti e, alla richiesta di spiegazioni, gli augurò un ‘in bocca al lupo’ allontanandosi.
Sebastiano era la persona più atipica che Amedeo avesse conosciuto, al punto che spesso pensava di averne una visione distorta. L’originalità del suo carattere era consolidata dalla completa libertà con cui condividevano ogni pensiero, e l’apertura straordinaria che caratterizzava la loro amicizia lo aveva aiutato ad accettare perfino le proprie stranezze. D’altra parte l’ostinata antipatia che Sebastiano provava per Elisa contribuiva a proiettarlo su un piano reale. Per Amedeo era impossibile prevedere i loro incontri perché ogni volta il suo amico compariva senza preavviso e, quando non lo trovava in casa, preferiva aspettarlo al portone perché trovava insopportabili entrambe le sue coinquiline. Definiva Anna ‘un’inutile’ potenzialmente pericolosa ed Elisa ‘una femmina isterica’ da evitare in qualsiasi modo possibile. Amedeo non soffriva del fatto che i suoi due amici si evitassero né per l’ostilità reciproca che manifestavano in ogni occasione. Li accettava in modo acritico, ritenendosi fortunato per il rapporto che riusciva ad avere con entrambi. Non gli sarebbe mai venuto in mente di provare a forzarli ad assumere comportamenti accomodanti.
Amedeo, riconoscendo la sagoma sottile e nera di Sebastiano vicino al portone, si ritrovò a ripercorrere un circuito di emozioni noto, come ogni volta che tornava da lui. Pensò che Sebastiano era la creatura più bella che avesse mai visto da vicino, e accelerò il passo entusiasmandosi all’idea di trascorrere del tempo insieme. Lo aspettava appoggiato con le spalle vicino all’ingresso, ascoltando il walkman mentre leggeva un libro che lasciò cadere per abbracciarlo. Si stringevano sempre così, senza parole, perché Sebastiano evitava ogni forma di saluto, e spesso piangeva in silenzio durante quegli abbracci perché per lui era come ‘tornare un po’ a casa’.
Amedeo si era trasferito da poco a Roma la prima volta che si erano incontrati, e avevano iniziato a parlare dalla seconda volta che si erano visti scoprendo affinità profonde: la più importante consisteva nella completa rinuncia alla sessualità che per Sebastiano era arrivata dopo un complicato passato pansessuale. Dal suo punto di vista l’amebite di Amedeo li rendeva fratelli; aveva deciso di cambiargli nome in Luca, trovando Amedeo ‘orribile e assolutamente inadatto’ alla sua persona. Il tempo passato con Sebastiano gli appariva straordinario, lontano dal grigiore del quotidiano, e in sua compagnia si era sempre sentito completamente a suo agio, accettato. Non si preoccupava mai per le sue stranezze, arrivando spesso a dirgli che avrebbe dovuto soltanto cercare di ‘realizzare la sua natura, senza mai provare a soffocarla’.
Amedeo restava a dormire da lui ogni volta che si incontravano; salì a casa solo il tempo necessario per prendere dei vestiti e scrivere a Elisa che non sarebbe tornato, perché evitava di sparire senza preavviso per non darle preoccupazioni.
Sebastiano lo guardava con affetto, tenendogli entrambe le mani fra le sue sul tavolo. Si erano spostati in una vineria e Amedeo si incantava spesso a guardarlo, come ogni volta che lo aveva di fronte. Il suo viso sembrava modellato delicatamente nella cera: un triangolo allungato con una tonalità di incarnato che doveva aver preso dalla madre giapponese insieme agli occhi a mandorla e ai capelli neri, lunghi e pesanti. Mentre Amedeo raccontava del suo lavoro con Ludger, le labbra pallide da bambola di Sebastiano cambiarono espressione; lo sapeva in grado di arrivare a livelli di empatia dolorosi quando trovava un canale adatto alla sua sensibilità. Restò in silenzio cercando di mantenere sotto controllo un’irritazione fuori luogo, consapevole di provare nei confronti del fratello un senso protettivo che per primo trovava ridicolo, anche considerando le sue lunghe assenze. Soprattutto non avrebbe mai voluto censurarlo. Il racconto di quelle ore quasi sempre vuote continuava ad andare avanti consolidando la sua impressione: pensava che il contatto con Ludger fosse frustrante. Ascoltò a lungo senza intervenire fino a quando Amedeo ritrasse le mani per accendersi una sigaretta, invitandolo a parlare.
“Mi chiedo, e ti chiedo, non potresti cercarti un lavoro normale. Sai, di quelli che ti pagano per annoiarti.”
Amedeo, divertito dal suo vezzo di parlare omettendo le formule interrogative, aspettò in silenzio che riprendesse a parlare.
“Luca caro, c’è qualcosa che non mi torna. Non capisco perché un invalido sedato possa suscitarti questo spleen, o forse potrei capirlo ma non voglio, perché non mi piace. Ho paura che possa farti male.” Sebastiano conosceva e condivideva la sensibilità estetica di suo fratello e, malgrado non conoscesse l’aspetto di Ludger, era certo che qualcosa in lui doveva averlo colpito.
Amedeo sorrise in una nuvola di fumo.
“Ludger è molto bello. Quando stiamo ore senza parlare mi incanto a guardarlo come faccio con te, o con Elisa. Quel tempo non mi pesa anzi, sto bene. E quando parla mi piace starlo a sentire… mi sembra un contatto bello, mi piacerebbe frequentarlo come amico, non come lavoro…”
Sebastiano alzò un solo sopracciglio rispondendogli con voce incolore. “I tuoi amici non mi piacciono, come i tuoi lavori. La situazione non cambierebbe, a questo punto meglio farsi pagare. Ma non ha importanza, fino a che non potranno sporcarti con le loro nevrosi e la loro triste umanità. Ora ti prego, non parlarmi più di lui, preferisco sentire cosa stai studiando.”
Le loro serate e soprattutto le notti erano spazi ritagliati fuori dalla routine quotidiana di entrambi, dove avevano la sensazione di potersi concedere una libertà assoluta. Sebastiano aveva smesso di bere alcolici e fumare da anni ma, quando erano insieme, si concedeva delle vacanze che trascorrevano camminando per il centro della città, fino a ritrovarsi completamente ubriachi.
Nelle prime ore del mattino decisero di arrampicarsi su un’impalcatura di tubi innocenti per raggiungere il tetto di un edificio. Restarono a lungo seduti sulle tegole nonostante il freddo, gustandosi quella prospettiva insolita su un villaggio pensile tenendosi per mano. I rumori della strada sembravano arrivare da un altro mondo.
Amedeo parlava del suo esame accarezzando la pelle liscia della mano abbandonata tra le sue, confidandogli che sognava di visitare un tempietto Longobardo in Friuli per vedere delle statue di cui si era letteralmente innamorato. “Creature meravigliosamente bastarde, come te.”
“Ci andremo insieme fratello, voglio portarti anche a Ravenna.”
Si concessero di dormire quando il sole era già alto, addormentandosi abbracciati nell’appartamento di Sebastiano, lasciato disabitato da quando si era trasferito a Parigi: un luogo tetro e pieno di oggetti assurdi abbandonati, senza vita.
Quando Amedeo tornò a casa il giorno seguente trovò dei post-it sulla sua porta.
Ha chiamato la madre di Louis (L o u i s ?)
per dirti di non andare per tre giorni,
che così ha detto il figlio,
e se ha detto così è inutile che vai
e puoi esser sicuro che poi lo ritroverai lì
quando ti ha detto.
Detto – detto – detto.
Adesso pensa solo a studiare, ranocchio!
Su un altro post-it c’era l’impronta delle labbra di Elisa come firma, stampata con il suo rossetto rosso-nero. Stanco e stordito, preparò il caffè prima di immergersi nei suoi studi, in parte sollevato dal poter trovare rifugio in quella sua dimensione esclusivamente mentale.
Amedeo era in grado di memorizzare una quantità incredibile di informazioni sugli argomenti che lo appassionavano, e l’esame andò bene; in quei giorni di separazione si era proibito di pensare a Ludger e alla sua solitudine, concentrandosi esclusivamente sui luoghi che sperava di visitare con Sebastiano.
Quel pomeriggio pioveva, e decise di non prendere il motorino; mentre aspettava l’autobus si chiese se Ludger sarebbe potuto uscire con quel tempo. Continuò a guardare una foglia caduta sull’asfalto lucido, arrotolata a formare una spirale, trovandola simile ai suoi pensieri. La possibilità di tornare indietro senza averlo incontrato era deprimente. Una volta salito sul bus esaminò distrattamente i passeggeri con un forte senso di irrealtà: paragonati alla desolante insignificanza che lo circondava gli sembrava incredibile potessero esistere persone ricche di bellezza come i suoi amici. Credeva di essere molto fortunato ad averli trovati, perché si credeva più vicino a quella massa amorfa piuttosto che a loro.
Arrivato al cancello trovò una cameriera che, prima di congedarsi, gli disse di proseguire verso l’ingresso principale. Nel percorrere il sentiero di ghiaia avvertì un lieve senso di nausea all’idea di ritrovarsi nel salottino vudù di Helga. Nel vedere Ludger che lo aspettava al riparo sotto il portico fu così sollevato da sospirare.
Gli sorrise togliendosi gli auricolari. “Ciao… ti andrebbe di portarmi a prendere un’altra birra?”
“Certo! Sono davvero contento di rivederti… non muoverti di qui, avvicinerò la macchina il più possibile.”
Amedeo si pentì di averlo detto ma la sua preoccupazione si attenuò quando Ludger gli porse le chiavi, facendole cadere sulla sua mano. Erano calde per essere state strette a lungo e Amedeo si rese conto che non si erano mai toccati, pensando che quella mancanza di contatti non fosse casuale.
Mentre erano fermi a un semaforo Ludger chinandosi in avanti appoggiò una mano sul cruscotto, e Amedeo si incantò guardando i disegni che le gocce sul vetro proiettavano sulla pelle bianca. Il verde riportò la sua attenzione sul momento presente: non capiva perché Ludger avesse preso quella posizione e temeva si stesse sentendo male. Urlò il suo nome sentendo crescere un’ondata di preoccupazione; era sul punto di accostare quando lo vide sollevarsi con gli occhi chiusi. Amedeo mise a fuoco lo stereo che teneva in mano mentre erano di nuovo fermi per il rosso. Ludger si liberò il viso dai capelli e Amedeo fu rapito dalle linee nette di quel viso che vedeva sgombro per la prima volta; fece in tempo a distinguere una cicatrice sulla tempia destra prima che la tenda di capelli tornasse a coprirla.
“Cercavo questo. Scusa se ti ho spaventato.”
Il suono di un clacson sbloccò Amedeo, che fece ripartire la macchina più velocemente del solito. Ludger posizionò il frontalino, estrasse una cassetta corrugando appena le sopracciglia e abbassò il finestrino, scaraventandola fuori con indifferenza.
Riprese a parlare con la sua solita voce incolore, ignorando l’ennesimo clacson che suonava dalla sua parte. “Hai qualcosa con te che ti piacerebbe ascoltare?”
Amedeo gli passò lo zaino invitandolo a prendere la cassetta nel Walkman, cercando contemporaneamente di non togliere gli occhi dalla strada. Quell’album, Ok computer dei Radiohead, gli piaceva molto ed era felice di lasciarglielo.
Anche Amedeo prese una birra, e Ludger restò in silenzio fumando la prima sigaretta.
Abbassò lo sguardo al posacenere. “Com’è andato poi il tuo esame?”
“Bene.” Teneva il boccale sospeso davanti al viso con entrambe le mani, stupito del sorriso divertito di Ludger.
“Certo… anche tu sei poco loquace, Amedeo.”
Prendendo l’ennesima sigaretta gli porse il pacchetto, ma Amedeo rifiutò ammettendo di trovarle troppo forti. Sentì di nuovo la voce di Ludger mentre cercava il suo pacchetto nello zaino.
“Posso farti una domanda?”
“Certo.”
“Però se ti rompo me lo dici, non sei obbligato…”
Amedeo, ancora una volta, si bloccò stupito a metà di un movimento per la risata di Ludger e l’accendino si spense senza raggiungere la sigaretta. Quella risata lo colpì come se non ci fosse mai stata la prima perché gli sembrò una sequenza che veniva da un altrove che non aveva niente a che fare con il presente.
“Scusami, ogni volta che rido fai quella faccia strana… non voglio metterti in imbarazzo. Ridevo perché ho usato una delle formule del mio terapeuta, uno dei tanti, e con loro non parlo mai. Tutto bene, Amedeo?”
“Sì, scusami. Ogni tanto mi incanto. Non lo faccio apposta. Mi piace vederti ridere.”
Ludger, ancora divertito, continuò a fumare guardandolo negli occhi e Amedeo sostenne lo sguardo senza imbarazzo.
“Vai da un terapeuta per restare in silenzio?”
“L’ho dovuto accettare, l’ultima volta che è stato particolarmente molesto gli ho lanciato contro tutti gli oggetti che sono riuscito a raggiungere sulla sua scrivania, fino a che non mi hanno fermato. Te l’ho detto che posso essere piuttosto stronzo, no? Adesso prendo sedativi più forti, e lui dopo un po’ si mette a leggere le sue carte. Mia madre deve pagarlo bene.”
Amedeo non era impressionato dal racconto, come se quella situazione non lo riguardasse. “Qual era la domanda?”
“Mi parli di Elisa?”
“Volentieri, adoro parlare e pensare a lei. È una delle persone più care che ho. Sebastiano non lo vedo mai perché non vive qui, mentre con Elisa ci convivo e per me è un grande aiuto. Ed è tanto bella, spesso mi incanto a guardarla…”
Ludger era divertito per il suo modo di incantarsi in continuazione.
“Ti somiglia?”
Rispose ridendo e scuotendo la testa. “Per niente! Lei è iperattiva… una specie di tornado… una caciarona. Piena di amici e sempre presa da qualcosa, non sta ferma un attimo. Però è assolutamente autentica e non isterica, come la definisce Sebastiano… tra loro evitano anche di incontrarsi, non si sopportano.”
“Deve essere scomodo per te… non si incontrano mai?”
“No, e non è per niente scomodo… quando compare Sebastiano per me è una specie di fuga. Finisco in un’altra dimensione. Lui vive a Parigi, ci vediamo pochissimo e quando sta qui passiamo insieme tutto il tempo. Dormiamo anche da lui.”
Ludger immaginò che i suoi amici fossero gelosi l’uno dell’altro, o che si trattasse di due rapporti esclusivi che non riuscivano a conciliarsi.
“Elisa ha un ragazzo?”
“No, e al contrario di me è piuttosto affamata. Fa fatica a trovare qualcuno abbastanza interessante, e quando pensa di averlo trovato con il tempo si rivela diverso. Attualmente sta cercando un uomo oggetto. Probabilmente questo è uno dei motivi per cui con Sebastiano non si sono presi. Lui è l’uomo più bello che abbia mai visto ma sta dall’altra parte del vetro, come me, e tutto ciò che ha a che fare con la sessualità gli dà letteralmente la nausea… lei invece… la prima volta che l’ha visto per poco non gli è saltata addosso…” rise di nuovo. “Però mi dispiace per lei, è così bella e intelligente… non mi capacito che non riesca a trovare un ragazzo.”
Ludger lo ascoltava con attenzione. “Sai che non capisco. Perché non state insieme?”
“Se tra noi ci fosse del sesso finirebbe male e io non voglio perderla, non la desidero abbastanza da correre il rischio. La trovo bellissima, di una bellezza sicuramente non classica, ma è una cosa diversa… credo. Non la desidero. Però abbiamo firmato un contratto. Se tra dieci anni saremo ancora da soli, a dormire abbracciati quando ci prendono le paturnie, ci sposeremo e annegheremo nei marmocchi…” diede una sorsata di birra. “E gatti, ne vogliamo almeno due, abbiamo già i nomi.”
Anche Ludger era divertito. “Per i gatti o i marmocchi?”
“I gatti, ovviamente.”
Ludger intrecciò le mani sul tavolo appoggiandoci sopra il mento; lo ascoltava con interesse, al punto da sembrare più presente. “Cosa sono le paturnie?”
Amedeo sospirò abbassando lo sguardo. “Vanno e vengono senza che io possa controllarle. Mi sento allergico a me stesso e perdo il mio asse. Mi riduco a trascinare la carcassa come un contenitore vuoto, impermeabile alla vita. Oppure mi fanno fare l’opposto di tutto quello che mi verrebbe naturale… probabilmente per questo mi hanno fatto anche diversi regali. Sebastiano, ad esempio, l’ho conosciuto in piene paturnie.”
Evitò di raccontargli che anche il loro primo incontro era stato un dono delle paturnie, assaporando il momento presente come l’ennesimo regalo di quella condizione ingestibile.
Ludger sorseggiò tranquillamente la sua birra; la risposta aveva soddisfatto la sua curiosità e i suoi pensieri lo portarono altrove. “Probabilmente Elisa è innamorata di te.”
“A ondate… lei sa tutto quello che c’è da sapere su di me. Andrei a vivere da un’altra parte se arrivasse a soffrirne. Non è capitato e spero non capiterà. Lei è troppo vitale per impantanarsi così, e poi al contrario di me ha una vita molto piena… nel senso che lei ha una vita. Per Elisa non ci sono solo io.”
Chiese dell’altra ragazza con cui divideva l’appartamento, e Amedeo si limitò a definirla una persona normale, decisamente banale. Scese di nuovo un silenzio rilassato; erano rimasti soli nella sala, dove il fumo delle continue sigarette di Ludger formava una nube immobile. Amedeo si alzò per prendere un’altra birra e, tornando verso il tavolo, pensò che la sedia a rotelle fosse una vera ingiustizia, una stonatura evidente.
“Amedeo… vuoi chiedermi tu qualcosa?”
“Com’è successo?”
Corrugò leggermente le sopracciglia chiare. “Ti riferisci alla sedia a rotelle? Sai, io neanche ci penso per la maggior parte del tempo. No, non scusarti, non mi dà fastidio parlarne con te. Per alcuni anni ho vissuto in modo molto disordinato… troppo sesso, troppo bere e troppa droga. Una notte che ero particolarmente fatto e con i nervi a pezzi mi sono schiantato contro qualcosa. Con la macchina che guidi tu ora. Non ho molti ricordi, solo un rumore tremendo. Sono stato in coma per non so quanto tempo, e al risveglio ero più o meno come sono ora… mi sono impegnato per recuperare completamente l’uso delle braccia perché volevo recuperare un minimo di autonomia. Detesto farmi toccare per questioni pratiche, mi dà la claustrofobia, a volte ho sbroccato per aiuti non richiesti.”
Quelle informazioni confermavano le congetture di Amedeo, in particolare il fastidio di essere aiutato e toccato. “Quanto è passato?”
“Un anno. Più o meno, non guardo mai i calendari. Questa è la prima volta che ne parlo.”
Amedeo credeva che il tempo trascorso da Ludger nel suo eremo seguisse leggi diverse; non era un’idea inedita perché aveva l’impressione che per lui i loro incontri durassero pochi secondi.
“Sarebbe più comodo se le ferite fossero sempre evidenti, la gente ti chiederebbe di meno.”
“Cosa hai fatto in tutto questo tempo?”
“Nulla, sono tornato da mia madre proprio per evitare qualsiasi sforzo, qualsiasi contatto. Ascolto molta musica, leggo, spulcio internet, faccio esperimenti con le pillole colorate che mi forniscono. Ho il sistema nervoso in avaria, evitare qualsiasi contatto mi permette di mantenere il controllo con un impegno ridotto.”
Amedeo si sentì in apnea. “Ma non ti senti solo?”
“Io sono solo. E voglio restarlo. Fa parte del piano.”
Accendendo l’ennesima sigaretta aspirò profondamente prima di rialzare gli occhi, senza mettere a fuoco niente in particolare. Erano entrambi esausti.
“Voglio essere pronto ad andarmene in qualsiasi momento, senza l’intralcio o la paura di lasciare qualcuno o qualcosa. Non so se puoi capire, e non ha importanza.” Si concesse una lunga pausa.
Amedeo scivolò nell’abituale flusso di pensieri dei loro pomeriggi statici. Risentì la sua voce dopo diversi minuti.
“La cosa più triste sono le scorie che sopravvivono alla distruzione di un insieme. Voglio tornare a casa.”
Quella sera restò a mangiare fuori da solo evitando di proposito la compagnia di Elisa, e la notte dormì male. Pensava che lei avesse ragione: la sua convinzione di essere protetto dal dolore altrui grazie al ‘vetro’ doveva essere semplice presunzione, in particolare quando si trattava dei pochi individui che separava dalla massa indistinta, i soli per i quali riuscisse a provare empatia. Ludger era particolarmente difficile però il tempo che passavano insieme spesso era il migliore delle sue giornate. Si impose di ricordare che i loro incontri dovevano essere solo un lavoro.
Ludger lo stava aspettando in giardino malgrado il vento, restando immobile mentre i capelli frustavano l’aria. Amedeo pensò avesse preso più sedativi del solito, o fatto troppi esperimenti con le sue pillole colorate. Si fermò a pochi passi: era completamente privo d’espressione e il suo sguardo spento non metteva a fuoco nulla, come una statua abbandonata.
“Ciao Ludger, cosa vuoi fare oggi?”
Le labbra si mossero nel viso inanimato scollegate dagli altri muscoli, facendolo apparire sinistro.
“Vorrei vedere il mare… ti andrebbe di andare?”
Amedeo colse lo sforzo di Ludger nel metterlo a fuoco; avrebbe voluto essere altrove, o afferrarlo per le spalle per scuoterlo nel tentativo di farlo reagire in qualche modo.
“Va bene, non conosco la strada ma posso seguire le indicazioni.”
“Conosco io la strada.” Sembrava non trovare un ritmo giusto per le parole. “In un’ora siamo lì.” Un lieve movimento delle sopracciglia diede al viso fermo un accenno di tristezza. “Faresti… tardi, non possiamo.”
Amedeo, chinandosi fino a sentire la ghiaia del vialetto premergli sotto un ginocchio, si abbassò per entrare nel suo campo visivo, abbastanza vicino da essere messo a fuoco.
“Non ho impegni stasera, anche a me piace vedere il mare ed è tanto tempo che non lo faccio… se mi dai le chiavi vado a prendere la macchina.”
Ludger sorrise al rallentatore, un sorriso radioso da tossico che provocò ad Amedeo un dolore allo stomaco, come se avesse ricevuto un colpo. Dopo essersi alzato indietreggiò di un passo e restò in attesa; lo vide cercare le chiavi con movimenti troppo lenti, per poi lasciarle cadere nella sua mano. Seguì con preoccupazione i movimenti con cui Ludger prese posto in macchina perché avevano un ritmo alterato. Per non irritarlo evitò di offrirgli aiuto, limitandosi a tenersi pronto nel caso ne avesse avuto bisogno. Nello stereo c’era ancora la cassetta del giorno precedente e Ludger alzò il volume prima di abbandonarsi sul sedile ad occhi chiusi. Amedeo guidava sempre volentieri, e si concentrò sulla musica allontanando momentaneamente le inquietudini. Ludger si muoveva esclusivamente per fumare, accendendo sigarette in continuazione; si rianimò soltanto una volta raggiunto il centro abitato. Iniziò a svuotare il vano portaoggetti del cruscotto imprecando senza energia, e gli chiese di accostare a un secchio dell’immondizia per permettergli di liberarsi di quel ‘ciarpame’. Amedeo salì con la macchina sul marciapiede per permettergli di arrivare al cestino, e si accese una sigaretta continuando a non offrirgli aiuto. Era sollevato nel vederlo in movimento e non aveva fretta. Lo vide buttare cavi, pillole, cassette, un pedale per la chitarra, alcuni sacchetti ammuffiti e altri oggetti che non riuscì a distinguere. Non espresse giudizi, convinto come sempre di non potere avere abbastanza strumenti per capire le motivazioni di qualcun altro.
In pochi minuti raggiunsero una villa sulla litoranea, e Ludger usò il telecomando appena recuperato per aprirne il cancello. Dopo aver costeggiato un giardino invaso dalla sabbia Amedeo avvicinò la macchina al mare, sterzando fino ad ottenere la vista migliore.
“Ci fermiamo il tempo di due sigarette, o anche di più se vuoi.” Spalancando lo sportello si girò a guardare le onde, senza aspettare risposta.
Amedeo scese dalla macchina per sedersi sul cofano; amava guardare il mare d’inverno e avrebbe potuto perdersi in quelle infinite tonalità di grigio. Quando ancora viveva a Lecce era disposto ad affrontare lunghissimi viaggi in motorino pur di raggiungere la costa, perché quella visione rendeva le sue paturnie insignificanti. Avrebbe preferito gli scogli, un mare più pulito e un vento favorevole. Restò seduto per più di mezz’ora sul cofano che andava raffreddandosi, guardando ogni tanto verso Ludger che rimaneva immobile. Era la prima volta che riusciva a perdersi in quelle contemplazioni con qualcuno vicino.
Saltò per il suono del clacson, entrando immediatamente in macchina.
Ludger, che aveva appena finito di soffiarsi il naso, parlò con una voce particolarmente rauca. “Possiamo andare quando vuoi.”
“D’accordo, ma non preoccuparti, come ti avevo detto non ho nessun impegno stasera. Piuttosto, non senti freddo?”
“No, non sento più nulla.”
Restarono in silenzio durante il tragitto; Ludger non si mosse neanche per fumare e Amedeo sperò che si fosse addormentato.
Al momento di separarsi lo salutò con un gesto fiacco della mano e un sussurro. “Grazie, mi hai fatto un bel regalo portandomi lì.”
Amedeo decise di parlare con Elisa, sperando di trovare un po’ di consolazione in una serata di film, coccole e birre. Non la trovò in casa, aveva lasciato un post-it per comunicargli che quella sera sarebbe rimasta dalla sua amica Giulia. Sostituì la cena con pochi snack che consumò insieme ad abbondante birra sul letto di Elisa, rivedendo alcuni dei loro film preferiti sul suo grande schermo.
Era piuttosto tardi quando squillò il telefono: era Helga.
– Buonasera, potrei per favore parlare con Amedeo o lasciare un messaggio? –
– Cos’è successo? –
Dall’altra parte alcuni secondi di silenzio.
– Buonasera Helga, sono io, Amedeo. –
– Scusami per il disturbo, non sono riuscita a chiamare prima. Volevo soltanto dirti di non venire domani… Louis ha avuto una crisi stasera, e domani non credo sarà in condizioni di uscire. –
– Lo ha detto lui? –
– No, ma… –
Cercò di prendere un tono più leggero. – Allora non si preoccupi, come può immaginare non ho altri programmi per il pomeriggio, io passo comunque per fare una passeggiata, in caso tornerò indietro. Grazie per avermi avvertito. –
Dopo la telefonata continuò a bere fino ad ubriacarsi, per poi addormentarsi senza fermare il videoregistratore.
Il giorno seguente aspettò il pomeriggio con un nervosismo insolito. La mattina a lezione continuava a distrarsi. L’unico suo amico in facoltà si stupì per quel comportamento inconsueto, e arrivò a prenderlo in giro sperando di sbloccarlo. A pranzo gli raccontò brevemente gli ultimi sviluppi del suo rapporto con Ludger.
Davide credeva che la reazione di Amedeo fosse normale perché chiunque al posto suo si sarebbe angosciato. “Però non mollare, sono sicuro che lo stai aiutando molto, anche se non ci credi.”
Amedeo sorrise, convinto che il suo amico potesse pensarlo soltanto perché non aveva mai avuto a che fare con l’indifferenza granitica di Ludger.
Arrivò al cancello con il cuore in gola, sentendosi straordinariamente sollevato nel vederlo con le cuffiette e il viso alzato, a occhi chiusi.
“Ciao Ludger, cosa vuoi fare oggi?”
Aveva le palpebre pesanti ma reagì con un leggero sorriso. “Un caffè, forse due e una banale passeggiata al parco, che ne dici?”
Il semplice fatto di essere lì, dopo la telefonata della notte prima, gli sembrava straordinario.
“Oggi c’è un bel vento, mi piace tanto il vento.”
Non si era aspettato di sentirlo parlare, e scosse la testa cercando di tornare più presente. “Era un po’ che non stavamo qui… al parco, ed è diverso ora che parliamo. Forse qui non abbiamo parlato mai… A me piace questo posto, anche quando non c’è vento.”
Ludger si accese una sigaretta trattenendo un sorriso, guardandolo obliquo ma decisamente più presente. Amedeo era felice di non aver dato ascolto alla richiesta della madre.
“Ma a te, Amedeo, va di parlare?”
Reagì con un viso stupito, le labbra socchiuse e gli occhi come bloccati: prese la stessa espressione che assumeva durante le sue poche risate.
Ludger iniziava a trovarla decisamente bella. “Amedeo? Tutto bene?”
“Perché me lo chiedi? Sì, molto. Io sono contento che abbiamo iniziato a parlare. Perché mi piace come parli e mi sento a mio agio con te. Lo so che a volte sembro strano ma credimi, non dico mai bugie.”
“Va bene, ci credo. Ti andrebbe di parlarmi della tua famiglia? Sei figlio unico?”
Raccontò di avere una sorella maggiore che non sopportava, descrivendola come una persona cattiva e quella definizione colpì molto Ludger. Aggiunse che era rimasta a Lecce, mantenendo un buon rapporto con i genitori che lui sopportava a fatica. Presentò la madre come una nevrotica anaffettiva con il potere di distruggere tutto ciò che toccava. L’unica figura che sembrava salvarsi da quel quadro negativo era il padre: lo descrisse come una persona semplice, un poveretto plagiato da sua madre che, in diverse circostanze, aveva provato ad aiutarlo. Anche se avevano un rapporto superficiale il padre era forse l’unico motivo dei suoi ritorni a Lecce, anche se gli seccava dover dipendere ancora da lui economicamente.
Ludger seguì i passaggi con attenzione. “Ma non hai neanche un amico a Lecce?”
“L’unica persona con cui ho avuto un contatto significativo si è bruciata diventando la mia ragazza. Lasciandola così, senza motivi apparenti, ho perso anche gli altri… con cui non avevo comunque rapporti importanti.”
“Sembra che tu sia cresciuto nella solitudine.”
Rispose con semplicità, continuando a guardare l’accendino che teneva tra le mani, senza imbarazzo. “Sì, sono stato spesso da solo, e quelli erano i momenti migliori.”
“E non hai mai provato una passione, un entusiasmo fuori controllo… cerco sinonimi di innamoramento… qualcosa di irrazionale, più forte di quanto avresti voluto.”
Amedeo rise di gusto, e stavolta fu Ludger a guardarlo con un accenno di stupore.
“Non è così, anzi i miei si stupivano per le mie ossessioni. Capita anche adesso, ma le persone che mi sono vicine non se ne stupiscono per niente. Potrei elencartele dalla nascita, anche perché non passano mai del tutto… ma temo che l’elenco ti deluderebbe… i lego, alcuni cartoni giapponesi, in particolare Capitan Harlock. I dinosauri e soprattutto il Cretaceo. Nell’adolescenza tutto quello che riguarda Bowie prima dell’ottantatré, anche se adesso non mi piace più il periodo americano… continuo con Schiele e l’arte medievale? Potrei parlare per ore di queste cose.”
“No, grazie.”
Sorrisero entrambi. Amedeo ripensò alla telefonata di Helga, ma non voleva parlargliene per non appesantire un rapporto che gli sembrava molto complicato.
“E tu?”
“Anche a me piacciono le cose che ha fatto Bowie negli anni settanta.”
Prendendolo come un gioco ripetè la domanda negli stessi termini usati da Ludger.
Il suo viso perse di nuovo vitalità. “Io sono innamorato di una ragazza magnifica con cui ho avuto la fortuna di dividere gli anni più belli della mia vita.”
Ad Amedeo sembrò si stesse aprendo uno scenario impossibile. “Come si chiama?”
“Per quanto si possa provare a raccontarle le storie si perdono mentre si consumano. Si chiamava Nobuko, è morta diversi anni fa. Ti prego, evita qualsiasi tipo di commento… non servono e non mi piacciono. Fino ad un certo punto della mia vita mi innamoravo in continuazione di qualsiasi cosa, era il mio modo. E parlavo… tanto, con tutti… mi piaceva e riuscivo con facilità a entrare in connessione con le persone più diverse. Fino alla morte di Nobuko sono stato perennemente innamorato, poi sono entrato in una condizione diversa, forse una forma di amebite con sintomi opposti ai tuoi, non sono finito dietro a un vetro… non parlo e non penso mai a queste cose. Da un lato ho iniziato a prendere, bruciare e abusare di tutto quello che credevo mi piacesse anche un minimo, dall’altro ho smesso di desiderare e amare tutto… mi stordivo per tutto il tempo e ho abusato di diverse cose… sesso, alcool e droghe varie. Ho fatto sesso con tantissima gente, mi bastava un’attrazione momentanea… la tua amebite ha sintomi decisamente diversi.”
Amedeo ebbe di nuovo l’impressione che nel modo di parlare Ludger anticipasse le sue domande, concedendosi delle pause per tornare a definire il quadro con una visione più completa. Continuava a stupirsi per la naturalezza con cui stavano parlando.
“Sì, direi opposti. Ho avuto una sola ragazza e me ne pento ancora. Le droghe poi mi deprimono… ogni tanto bevo, ma non potrei certo dire di rischiare l’alcolismo.”
“Forse dovresti provare con un ragazzo.”
Non la prese come una provocazione. “Non ci ho mai pensato, e la cosa… in astratto, non mi dà fastidio… Sebastiano è bellissimo e abbiamo un rapporto molto intimo però è come con Elisa. Potrei fare sesso con loro ma non ne ho una gran voglia, preferisco tenermeli così come sono.”
“Se stai bene così che ti importa.”
“Non sto sempre bene, a volte ci sto veramente male. Ma non vedo come potrei cambiare la situazione.”
Passarono diversi giorni privi di eventi significativi; al parco si isolavano con libri e musica limitando al minimo gli scambi verbali, persi nei loro pensieri. Amedeo passava molto tempo a osservarlo senza provare imbarazzo quando i loro sguardi si incontravano; spesso aveva l’impressione che Ludger non lo mettesse neanche a fuoco. A volte gli mancava il suono della sua voce ma in quel silenzio aveva l’impressione di recuperare un po’ di tranquillità. Quando gli capitava di vederlo alzare leggermente la testa verso l’alto sorridendo ad occhi chiusi, si inteneriva per la sua espressione.
“A cosa stai pensando?”
Ludger gli rispose distrattamente. “Nobuko. Penso siano allucinazioni… a volte riesco a vederla e sentirla come se fosse qui.” Aprì gli occhi, sorridendo. “Se parlo va via.”
Amedeo era mortificato. “Mi dispiace.”
“A me no, non preoccuparti… succede piuttosto spesso per fortuna. Ti va di parlare?”
“Certo.”
“Però devi sentirti libero di chiedermi tutto quello che ti viene in mente, come faccio io con te. Deve essere un gioco alla pari, altrimenti non ci sto.”
Amedeo sembrò sollevato. “Ti va di raccontarmi come vi siete conosciuti?”
Annuì e prese fiato come prima di un tuffo, dandogli l’impressione che descrivesse un altro mondo. Raccontò di vacanze a Venezia da bambino con una sua zia ‘mezza matta ma strepitosa’, e di questa bambina orientale vista a lungo, da lontano. Un gioco di sguardi durato anni per poi conoscersi da adolescenti. Si erano scambiati i primi baci con lo strazio romantico della separazione; riempivano i mesi invernali con fiumi di lettere in cui finivano a parlare di qualsiasi argomento, incontrandosi soltanto durante le vacanze: Natale, Pasqua e l’estate. Ne parlava con slancio guardando avanti, senza mettere a fuoco nulla.
“Mi facevo portare a Venezia da mia zia ogni volta che potevo. I primi due anni sono stati così, a ripensarci adesso mi sembra incredibile… vivevamo tutto con un’intensità pazzesca e passavamo così poco tempo insieme, che spreco.”
Poi lei, appena l’età lo aveva reso possibile, si era trasferita a Roma e nel giro di poco tempo avevano iniziato a vivere insieme; definì quegli anni straordinari, ricchi di tutto quello che due ragazzi potevano desiderare.
Amedeo teneva lo sguardo abbassato, sentendosi terribilmente oppresso. Ludger piangeva senza suono.
Si soffiò il naso, per poi concludere. “Hai presente le fiabe, quelle che non esistono… forse sarebbe più appropriato dire i sogni, quelli belli che non ti sveglieresti mai. Io l’ho vissuto, esisteva. Mi sono svegliato… e ho cercato di dormire ancora.”
Amedeo non volendo restare in silenzio cercò qualcosa da dire guardando il verde dell’erba, sentendosi inadeguato. “Ti prego, non scusarti di niente… non so cosa dire e non voglio dire banalità… cerco di resistere all’impulso di scusarmi anch’io per avertelo chiesto, ma è insensato. Non so come gestire queste cose… ma ho la sensazione che se ti scusi rovini qualcosa.”
Lo sguardo di Ludger lo mise in difficoltà; si detestava per il rossore che sentiva salirgli alle guance come per il senso di inadeguatezza. Continuò a guardare l’erba vicino ai suoi piedi quasi con odio. Ludger vedendolo così in difficoltà sorrise: gli sembrava un bambino, ed era sempre più dispiaciuto per la sua amebite perché, ogni volta che il suo viso manifestava un’emozione, lo trovava più interessante, bello addirittura.
“Non mi sembra che tu abbia grandi difficoltà con me… sei l’unica persona con cui riesco a parlare senza sbroccare. E sai? Hai ragione, evitiamo le scuse perché non servono e rovinano qualcosa.”
A ogni incontro Amedeo aveva l’impressione di seguire una sequenza temporale casuale che assecondava dinamiche imprevedibili. Questa incertezza lo aiutava ogni giorno e ne era stupito, perché detestava non essere ‘preparato’ a quello che lo aspettava, con pochissime eccezioni: le paturnie e Sebastiano. Elisa era costantemente impegnata a rendergli prevedibile ogni sua mossa lasciando i soliti post-it sulla porta, sapendo che per lui sarebbero stati un grande aiuto.
A volte aveva l’impressione che Ludger, in quei pomeriggi silenziosi, lo guardasse con una nota di fastidio o addirittura con ostilità. Erano impressioni passeggere a cui cercava di non dare peso.
“Sai, a volte penso che riesco a parlare con te… solo perchè per me è un gioco… senza importanza.”
Sentendosi ferito reagì senza pensare, chiedendo con un tono duro. “Ludger, tu cos’è che vuoi, adesso, in questo preciso istante, mentre giochi con me? Non posso credere che giocando tu ti stia ‘preparando a partire’… cos’è che vuoi?”
Gli rispose senza guardarlo negli occhi, prima di sprofondare definitivamente nel silenzio.
“Perdermi… perdermi completamente… o almeno ubriacarmi, fare sesso. Non credo tu possa aiutarmi, vero?”