Amedeo vide il domestico indiano fuori dal cancello e restò fermo mentre gli si avvicinava, allontanandosi dai citofoni. Erano passati cinque giorni dall’ultimo incontro con Ludger. Ravi lo salutò con un inchino iniziando a parlare senza aspettare una risposta.
“Mi permetto di disturbarla perché ho notato che continua a venire qui ogni pomeriggio malgrado sia stato licenziato. Questo mi fa sperare di non essere inopportuno. Mi chiamo Ravi, mi occupo di Louis da tanti anni e tengo molto a lui. Parlare con lei è una mia iniziativa. Mi è stato detto di non farla più entrare, ma io posso farlo. Se vuole potrei portarla fino alla sua stanza. Non posso essere sicuro che sia una buona idea. Nessuno sembra più avere buone idee. Se lei volesse entrare io sono pronto ad assumermi ogni responsabilità.”
Quelle parole lo avevano turbato, e rispose con un sussurro di essere disposto a fare un tentativo. Ravi lo pregò di seguirlo senza fare rumore; attraversarono i corridoi che dall’entrata laterale portavano alla porta della stanza di Ludger, dove il domestico si congedò con un inchino. Amedeo restò fermo per alcuni minuti, con i pensieri in disordine e il cuore che accelerava. Provò a farsi coraggio cercando un filo di idee da seguire, come gli aveva suggerito di fare Elisa quando si sentiva confuso, ma non riuscì a concentrarsi per trovare una direzione da cui iniziare. Non poteva prevedere cosa lo avrebbe aspettato oltre quella porta ed era inconsapevole del fatto che, per la prima volta, stava tentando di aiutare qualcun altro. Respirò profondamente, e dopo essere entrato richiuse la porta appoggiandoci le spalle. 
La prima impressione fu vivere un sogno in cui gli eventi si accavallavano e sovrapponevano riportandolo indietro, dove tutto restava sempre uguale: le orchidee, i telecomandi e il posacenere che erano stati lanciati la settimana precedente erano nuovi, anche se identici. Ludger era sdraiato immobile nello stesso punto in cui lo aveva visto l’ultima volta, e indossava la stessa maglietta. In quella stanza il tempo sembrava essersi definitivamente fermato o forse aveva iniziato a girare in modo circolare anche per lui.
La richiesta di Ludger, detta con un filo di voce contribuì a consolidare quell’impressione. “Non voglio vederti, vattene via subito, per favore.”
Amedeo reagì rispondendo con voce decisa. “Ludger, non lavoro più per te, non puoi ordinarmi di andare via. E non credo che potresti dire qualcosa per convincermi a farlo.” Iniziò a muoversi con una determinazione che non credeva di avere. 
Si avvicinò alla testata del letto mentre Ludger alzava un braccio tremante per coprirsi il viso prima di tornare a parlare ancora, con una voce impastata e una lentezza allarmante.
“Per favore… non voglio che tu mi veda adesso, ti prego… vai via.”
Gli afferrò il braccio con cui si copriva il viso con decisione, iniziando a spostarlo lentamente di lato. “Adesso dici? Non vuoi vedermi adesso? E quando allora? Ludger… quel momento potrebbe non esserci più… quel momento è ora.”
“Per favore, sai che non posso muovermi, vai via.”
Il braccio di Ludger tremava opponendo poca resistenza, e il suo viso era profondamente segnato: aveva gli occhi persi come quelli di un animale morto e sembrava respirare appena. Amedeo iniziò a chiamarlo ma si sentì chiudere la gola dalla sofferenza, e lasciò sospeso solo l’inizio del suo nome: un Lu troncato dalle lacrime che gli salivano agli occhi. 
“Sai, mi piace, quando mi chiami… Lù… perché piangi?”
Amedeo era convinto che Ludger se ne stesse andando, e provò il dolore più forte della sua vita cosciente. Anche se non era più necessario continuò a tenergli l’avambraccio fermo sul cuscino al lato della testa. Non riusciva a parlare né a muoversi, e le sue lacrime continuavano a cadere sul viso di Ludger che accennò un sorriso: la prima manifestazione in contrasto con l’abisso contenuto in quella carcassa abbandonata.
“Amedeo… cosa devo fare… io, con te?”
“Niente, non devi fare niente… ma ci sono, e non voglio permetterti di cancellarmi.”
Amedeo non capiva da dove venissero quelle parole; credeva che Ludger stesse cancellando sé stesso rifiutando di averlo vicino per evitare intralci, come aveva fatto con i suoi amici incontrati al pub. Deglutì cercando di fermare le lacrime, pensando che forse sarebbe riuscito a trattenerlo imponendogli la sua presenza.
“Amedeo, per favore, lasciami il braccio.”
Aveva continuato a stringerlo senza rendersene conto e le braccia di Ludger, appena libere, iniziarono a sollevarsi con fatica per raggiungere le sue spalle. Quando capì che stava provando ad abbracciarlo, il contrasto di quel gesto con il suo viso inanimato gli causò un’emozione così forte da ritrovarsi di nuovo gli occhi pieni di lacrime. Si sedette al lato del letto, scendendo con il busto fino a poggiare la testa all’altezza della clavicola di Ludger, e lo avvolse trattenendolo a sé. La sua pelle era fredda e una mano gli si infilò fra i capelli per accarezzargli delicatamente la testa. Amedeo era stordito dalla forza delle emozioni che provava, il suo cuore stava battendo troppo velocemente mentre quello di Ludger sembrava essere troppo lento. Non era mai stato tanto spaventato per qualcosa che non lo riguardava direttamente. 
“Cosa vuoi fare ora?”
“Vorrei restare così, fino a farci ricoprire d’edera… dovrei… fare qualcosa, per riprendermi… devo puzzare come un bue… scusami.”
Gli sembrò una preoccupazione assurda. “No. non è così, hai un odore… dolce. Però è vero, devi fare qualcosa per riprenderti.”
lo strinse appena più forte. “Sì… però, tu non piangere più… ok?”
Annuì, e l’abbraccio si sciolse mentre Amedeo si sollevava a sedere.
“Cosa posso fare per aiutarti?” 
Faceva fatica a guardarlo in volto ma Ludger gli diede istruzioni chiare, scandite con tempi sbagliati: chiamare Ravi, passargli qualcosa di pulito dall’armadio, mettere un CD a volume alto e aspettarlo. Amedeo eseguì velocemente, trovò un disco dei Neubauten abbastanza rumoroso da coprire qualsiasi suono non volesse fargli sentire e lo inserì nel lettore, mettendolo in pausa. Prese dall’armadio una camicia nera senza neanche metterla a fuoco, affrettandosi a premere il pulsante dell’interfono. Ravi arrivò subito e Ludger gli chiese di portarlo in bagno; abbassò le lenzuola per mettergli un braccio sotto le ginocchia e l’altro sulla schiena per sollevarlo. Amedeo non sopportava la vista di quel corpo inanimato; le lacrime ripresero a scendergli sul viso e ancorò le dita alla radice del naso, come per fermarle. Ravi rientrò alcune volte in camera ma Amedeo, percorrendo avanti e indietro un lato della stanza, non prestò più attenzione ai suoi movimenti fino a quando non se lo ritrovò di fronte.
“Louis dice che può accendere la musica. Io la ringrazio tantissimo.”
“Sono io che ringrazio lei.”
Rimase da solo a lungo, fumando diverse sigarette senza riuscire a restare fermo; aveva solo la certezza che essere di nuovo lì fosse una conquista importante. Gli sembrava di attraversare un ponte che lo stava allontanando da tutto quello vissuto fino a quel momento, senza avere idea della destinazione. Pensare agli espressionisti tedeschi della Brücke non lo aiutò a distrarsi. Vedere Ludger in quelle condizioni stava sbriciolando i circuiti mentali nei quali era abituato a trovare rifugio; non aveva mai visto la morte tanto da vicino e immaginò che quello fosse uno dei suoi poteri: con la sua brutale evidenza poteva far crollare qualsiasi difesa. Tutti le sue idee e i suoi stratagemmi gli sembrarono inutili giochi da bambino, patetici strumenti di plastica che non potevano arginare quel senso di vuoto capace di risucchiare tutto, fino ad annullare per intero la sua struttura.
Il tempo gli sembrava immobile ma non poteva fare nient’altro che aspettare. 

Ludger tornò mezz’ora dopo con i capelli bagnati indossando soltanto la camicia che gli aveva lasciato che, a contatto con la massa di capelli, stava diventando lucida d’acqua. Si muoveva sulla sedia con la solita lentezza. Dopo aver abbassato la musica si appoggiò un plaid sulle gambe, sorridendogli.
“Sembra che sopravviverò anche stavolta, ti va un tè?” Lo domandò a Ravi usando l’interfono, senza aspettare la sua risposta.
Amedeo annuì con la gola serrata, senza riuscire a parlare. Sentendosi sollevato nel vederlo stare meglio lo seguì attraverso una serie di corridoi, fino ad arrivare in un piccolo cortile arredato con molte piante rigogliose. Ludger iniziò subito a fumare, stringendosi con il braccio libero il torace: l’incarnato era così chiaro da assumere tonalità azzurre, le labbra scure e la pelle d’oca. 
“Senti freddo.”
“Sì, ma va bene. Mi tiene sveglio.”
Amedeo gli versò del tè bollente che restò ignorato sul tavolo. Non riusciva a calmarsi e parlava troppo velocemente. “Prendi spesso tranquillanti?”
“Tutti i giorni, sempre. Il mio psichiatra è piuttosto generoso. Non penso che senza potrei sopportare di vivere così, senza… negli ultimi giorni ho esagerato.”
Amedeo continuava a sentirsi oppresso. In altre circostanze si sarebbe rifugiato nel silenzio, ma con Ludger provava spesso a superare la paura di sbagliare. “Possibile che non ci sia nessun’altra soluzione?”
“Fino ad ora non c’è stata.” Parlava con indifferenza, ma senza riuscire a muoversi con la sua solita noncuranza; le mani tremarono nel portarsi la tazza di tè alle labbra. 
Amedeo adottò un tono casuale. ”Come puoi vivere così… perché lo fai?”
Un sorriso stanco. “Mi costringi ad essere noioso… forse sono noioso… forse dovrei chiedermi perché tu sia ancora qui… ma sono esausto. Io me ne voglio andare. Non mi importa come, voglio solo andarmene. E non vorrei lasciarmi dietro troppe scorie. Ricordi, penso non ci sia niente di più triste delle scorie che sopravvivono alla distruzione di un insieme.”
Chiuse gli occhi mandando indietro la testa. Amedeo, guardando i muscoli tesi del suo collo bianco, si sentì travolgere dalla rabbia perché non tollerava di essere assimilato a delle scorie da lasciare indietro. Urlò un ‘perché’, restando sconcertato dal suono della propria voce, fuori luogo come uno pteranodonte in un paesaggio urbano. Ludger sorrise di quel grido, e aprì gli occhi per guardare in alto. “Ogni parola che uso con te ne richiama un’altra, il cui significato è andato perduto.”
Restò così per moto tempo; Amedeo pensò ai simboli, al labirinto e agli ori bizantini, a quei capelli dorati che restavano chiari anche da bagnati. Niente di tutto quello che vedeva o pensava riusciva a dargli conforto, e desiderò avere almeno una parte del distacco del suo compagno. 
Aspettò di calmarsi prima di ripetergli la sua ultima domanda. “Ludger, perché lo fai?”
Gli occhi di Ludger si abbassarono fino a incontrare il suo sguardo. “Sai, non pensavo che potessi essere così insistente. Le tue iridi sono appena più scure del cielo. Posso parlarti ancora di Nobuko… mi trovo noioso io per primo. Occhi di cielo, diceva lei… ecco… ogni volta che la nomino cambi espressione, come se fossi stato punto da qualcosa… certe volte penso che la detesti.”
“No!” Di nuovo l’urlo dello pterodattilo. Cercò di parlare con un tono più basso, quasi con dolcezza. “No, assolutamente no, non la detesto, non potrei mai… odio quello che ti fa il suo ricordo. Non lo so, Ludger… sono sicuro che lei non avrebbe mai voluto questo per te.”
Sollevò la testa dalla spalliera della sedia, stupito. Amedeo perse quell’espressione perché stava tenendo il capo chino, concentrato sulla superficie del tavolo che sfiorava con le dita.
“Nessuno potrà mai immaginare cosa avrebbe voluto per me. Vivevamo in un mondo in cui la morte non esisteva. Ti faccio leggere una cosa che so a memoria, me la porto dietro da anni, era un bigliettino di Natale. Adesso è una cosa solo mia, da anni, quindi leggila e basta, con la stessa naturalezza con cui sei penetrato nel labirinto in cui mi sono rinchiuso.”
Era un foglietto di una tonalità terrosa, interamente ricoperto da una scrittura femminile molto minuta.

mi ricordo quando da bambina pensavo che in quel preciso momento, 
da qualche parte nel mondo 
gli aquiloni volavano, 
qualcuno era al culmine della gioia e qualcun altro moriva di dolore 
e sicuramente c’era qualcuno che viveva con uno spirito simile al mio. 
il mio principe azzurro con i capelli di miele e gli occhi di prato 
(veramente lo immaginavo con gli occhi di cielo, ma il prato va bene lo stesso)
questa consapevolezza mi rendeva felice 
anche se non vedevo gli aquiloni volare e ancora non ti avevo conosciuto.

se mi chiedi perché amo tanto gli aquiloni 
potrei risponderti 
perché sono di carta e comunque volano 
(proprio come noi!) 
ma non darebbe soddisfazione né a te né a me.
non c’è un motivo oggettivo, 
forse perché la loro semplice esistenza mi ha sempre reso felice.
anche con te è così.

anche se non potessi stare con te vorrei che tu ci fossi comunque,
perché sei la cosa più preziosa che ho trovato in questo mondo.

vorrei che almeno tu fossi di pietra
(tanto lo so, voleresti lo stesso)
imponente, maestoso, scolpito dal vento
vorrei che tu fossi il vento che ha fatto volare il mio piccolo corpo di carta.
se potessi chiederlo vorrei che tu vivessi per sempre, me lo prometti?

io ti amerò per sempre,
grazie

信子

Ludger serrò entrambe le braccia intorno al torace tenendo lo sguardo basso, mentre lacrime silenziose gli rigavano il viso.
“È morta a ventidue anni. Ogni volta mi chiedo se piango per lei o per me.”
Amedeo si alzò per poggiargli la mano sulla spalla: la stoffa era umida e fredda. Parlò con dolcezza. “Penso che dovremmo rientrare, stai gelando.” 
“Sì, scusami.”
Strinse appena il tessuto bagnato. “Lo sai che non mi piace quando ti scusi, anzi, quasi mi offende. Questa storia mi angoscia tantissimo, ma non voglio dire banalità e vorrei tanto poter fare qualcosa per aiutarti.”

Dopo averlo fatto sdraiare e coperto con il plaid gli chiese dove poteva trovare un phon. Nell’ultima porta del corridoio c’era un bagno molto grande, dove tutto sembrava appena uscito dalla confezione. Ludger gli aveva chiesto di usare esclusivamente quel bagno perché non voleva mostrargli il proprio, attrezzato con i sostegni che gli permettevano di muoversi. Amedeo appoggiò i capelli impicciati su un asciugamano; nessuno li aveva più toccati dopo di lui, così lo pettinò di nuovo in fretta per poterli asciugare. 
La voce di Ludger stava riprendendo tonalità più calde. “Mi piace tanto quando mi pettini… ma tra le coccole e il caldo sto morendo di sonno… per modo dire… non preoccuparti, anche stavolta è passata… però forse avrei bisogno di riposare un po’. Ti dispiace?”
Amedeo gli accarezzò delicatamente la testa calda. “No, non mi dispiace. Non preoccuparti. Ti aspetto.”
Fumò diverse sigarette guardandolo: era profondamente agitato, e continuava a camminare nella stanza senza fare rumore. Nessuno lo aveva mai scosso fino a quel punto; aveva sempre provato una forte empatia con i suoi amici ma con Ludger era diverso, arrivava a sentirsene completamente travolto. Tutto quello che aveva a che fare con la sua vita era in grado di angosciarlo fino a togliergli il respiro, facendolo sentire frustrato e inadeguato. Avrebbe voluto aiutarlo con tutte le sue forze. Guardando la sua figura lunga e diafana abbandonata nel sonno e il volto bellissimo striato dai capelli lucidi, sentì il cuore accelerargli. Aveva paura e, contemporaneamente, provava una specie di esaltazione perché non avrebbe voluto essere in nessun altro luogo. 
Dopo essere restato in piedi a lungo perso nelle sue riflessioni, si sdraiò al suo fianco. Sentì l’odore delicato e dolce di Ludger sulle lenzuola e, guardando il suo viso affondato nel cuscino così da vicino, la sua testa si svuotò di ogni pensiero fino a scivolare senza accorgersene nel dormiveglia.

Riaprì gli occhi per un movimento di Ludger che, avvicinandosi nel sonno, era ruotato sul dorso. Una delle sue gambe stava sussultando e Amedeo istintivamente saltò a sedere per premergli le mani sul ginocchio, nel tentativo di fermarla. 
Ludger si svegliò. “Ho sognato di perderla.”
Amedeo restò immobile guardando in basso. Temeva le possibili reazioni di Ludger. “L’ho vista muoversi.”
Gli rispose come se parlasse di qualcosa senza importanza. “Chissà quante volte succede.”
Alzando lo sguardo Amedeo sentì il cuore battere sempre più forte: la rotazione del corpo aveva spostato la camicia nera e i bottoni erano finiti su un fianco, poco sopra all’attaccatura della gamba che stava ancora trattenendo. In basso l’inguine era coperto da una coda di stoffa che lasciava nudo il fianco mentre, in alto, la rotazione della camicia scopriva la spalla e parte del braccio. I capelli puliti e lucidi ricadevano a schermargli parzialmente il viso per poi disegnarsi nettamente sulla stoffa. Il contrasto dei suoi colori chiari sul tessuto scuro li rendeva ancora più luminosi: sembrava disegnato da contorni netti e linee tese, e Amedeo lo trovò di una bellezza abbagliante. Ludger continuò a guardarlo del tutto inconsapevole del suo turbamento; si stropicciò il viso con il dorso della mano, mentre Amedeo si allontanava per sedersi in ginocchio ai piedi del letto, tornando a guardarsi le mani. Nei mesi successivi avrebbe ripensato a quel momento fino a torturarsi, ma in quell’istante restò incapace di reagire. Restò in attesa che Ludger si svegliasse del tutto e il timore che riprendesse a scaraventare oggetti lo teneva in tensione. Sussultò nel risentire la sua voce, malgrado la sua intonazione non fosse diversa dal solito.
“Amedeo… pensi che succeda spesso?” Si tirò sui gomiti, scoprendo ancora di più la spalla. 
“Forse, però qualcosa succede quando dormi. Ti svegli in una posizione diversa da quando ti sei addormentato.”
Nel parlargli Amedeo alzò lo sguardo verso il suo viso, e immaginò di essere arrossito perché sentiva il cuore accelerargli ancora. Il fatto che Ludger fosse inconsapevole del suo turbamento lo aiutò a mantenere il controllo.  
“Sai che non ci avevo mai fatto caso?” Guardò le proprie gambe leggermente divaricate, corrugando appena le sopracciglia. “Pensi che sia rincoglionito del tutto?”
Cercò di concentrarsi nel rispondere, sorridendo malgrado l’agitazione. “Io non so… credo che ci sia una difficoltà, è evidente, ma non penserei mai che sei rincoglionito. Il fatto che muovi le gambe nel sonno mi sembra solamente positivo perché mi fa che pensare che si possano recuperare… ma non ne capisco molto… e sono molto confuso, scusami.”
Mentre lottava per recuperare una respirazione normale lo sguardo di Ludger si fece più acuto, e lo osservò con un’attenzione insolita. Con la sua solita voce incolore pronunciò una domanda che gli bloccò il respiro.
“Cosa provi per me?”
Dovette lottare contro se stesso per non abbassare gli occhi. “Qualcosa di diverso.”
Ludger piegò leggermente la testa di lato. “Diverso?’”
Invidiò il suo distacco. “Diverso da tutto quello che ho provato finora… non so… classificarlo.”
Ludger avvicinò il viso al suo tirandosi su a sedere. “È bello? E intenso?”
Amedeo si sentiva un imbecille, e il viso gli bruciava guardando quella bellissima statua bianca. “Penso di sì… malgrado tutto. Molto. E tu?”
Fu sorpreso dalla dolcezza del sorriso che animò il viso tagliente di Ludger.
“Sai, credevo che non avrei mai potuto pensare una cosa così… potrei dire qualcosa di simile. Anche se in modo approssimativo è sicuramente simile a quello che ho provato soltanto per Nobuko. Non ti spaventare, conosco la tua situazione e per me è fin troppo difficile anche solo convivere con l’idea di questo sentimento. Non ho nessuna intenzione di rendere le cose ancora più complicate, quindi non la prendere come una dichiarazione. Per me il solo fatto che tu esista è una specie di miracolo, non voglio davvero nient’altro. Anzi, già così è troppo.” Restò sollevato verso di lui ,continuando a guardarlo con dolcezza. “Ti sarai chiesto cos’è stato a farmi sbroccare l’ultima volta… anch’io sono confuso… la tua presenza non mi ha mai dato fastidio e più passo tempo con te più mi piace stare con te… non lo avrei voluto. Non volevo niente, lo sai. E ancora non capisco cosa comporti la tua presenza. Ma tu non mi permetti di cancellarti e io dovrò farmene una ragione. Tu, se puoi, cerca di mettermi in una posizione neutra, che riesci a gestire… come quella di Elisa e Sebastiano. Se continui così potremmo fondare un piccolo club. Sei spaventato?”
Amedeo scosse la testa. “No.” 
Era consapevole di dire una bugia ma non voleva appesantirlo con sue paure. A Ludger continuava a sembrare un bambino; gli propose di fumare una sigaretta per sbloccarlo. Amedeo si alzò di scatto e, nel porgergli il pacchetto, si sentì sulla soglia dell’esasperazione per quella bellezza esagerata. Dopo averne accesa una per sé tornò a sedersi ai piedi del letto, come se quella distanza potesse proteggerlo: non riusciva a pensare ad altro che alla semplice presenza fisica del suo compagno.
Per via di quei comportamenti insoliti Ludger pensò che stesse assimilando il cambiamento. “Non vorrei infliggerci la compagnia di mia madre a cena, te la sentiresti di portarmi fuori anche così rincoglionito?”
“Certo… però dovresti metterti qualcosa addosso. Mi piace quella camicia, ti ho sempre visto con felpe e magliette… perché non la tieni?”
Capì che Amedeo viveva in un mondo in cui quel tipo di dettagli avevano ancora importanza. “Certo, prendimi tu qualcosa dove l’hai presa prima.”
Trovò dei vestiti con uno stile diverso da quello che gli aveva visto indossare normalmente: tagli lineari e colori scuri, di ottima fattura. Una fantasia di fiori minuti attirò la sua attenzione, e carezzò la superficie liscia della seta.
“Su quel ripiano ci sono i vestiti di Nobuko.”
Amedeo ritrasse la mano.
“Puoi toccarli, non mi dà fastidio, anzi me ne libererò presto.”
Ludger osservò gli abiti che andava allineando. “Inizio ad avere l’impressione che tu voglia trasformarmi in un dandy… per una sera si può anche fare, ma non più a lungo.” Evitò di specificare che con quegli abiti si sarebbe mosso con più difficoltà; voleva alleggerire l’atmosfera perché sentiva che stavano attraversando un passaggio delicato. “Invece ti andrebbe di sentire Elisa? Mi piacerebbe averla con noi stasera, che dici?”
Amedeo si stava concentrando per evitare di guardarlo e toccarlo il più possibile, e quella proposta lo riportò dentro dinamiche più facili da gestire. Sospirò di sollievo. “Io dovrei guardare o partecipare?”
In risposta gli arrivò un cuscino in faccia. Ludger ridendo cercò il suo telefonino e lo accese, ma Amedeo restò immobile quando glielo porse.
“Amedeo?”
“Stai così bene… perché non ti vesti sempre così?”
Mentre si allacciava le scarpe gli rivolse uno sguardo fra i capelli che ricadevano in avanti. “Perché mi fai domande che hanno sempre le stesse risposte? Dai! Chiama la nostra amica… Però, anche se Elisa venisse, ti fermeresti comunque a dormire qui?”
Rispose di slancio un ‘certo’, che fece sorridere di nuovo Ludger con una sfumatura di dolcezza alla quale Amedeo non riusciva ad abituarsi. Elisa accettò immediatamente l’invito ma si trattennero ancora alcuni minuti al telefono. Nel frattempo Ludger guardava gli alberi del giardino muoversi dietro il vetro delle finestre, illuminati in modo suggestivo; il viso inespressivo era incorniciato dai capelli che ricadevano compatti e lucidi, come una colata di miele sulla camicia nera. Amedeo non smetteva di osservarlo seguendo un pensiero inedito: dopo averlo visto indossare solo felpe scolorite, abiti e sneakers consumate, si era abituato a focalizzare la tristezza della sua condizione su quei particolari. Detestava le scarpe da ginnastica con la suola consumata per il contrasto con la sua immobilità. In quel momento non aveva niente su cui focalizzare il senso di abbandono, ed era comunque sopraffatto dal dispiacere; gli sembrava uno scempio che quella creatura magnifica dovesse vivere quelle limitazioni. Ebbe l’istinto di carezzargli la testa ma si frenò, imponendosi di cambiare registro per continuare a stargli vicino.
“Sarebbe meglio uscire in fretta. Ormai Elisa sarà partita con la vestizione, e se lasciamo passare troppo tempo rischiamo di ritrovarci a cena con una versione espressionista di Eno nel ‘70.”
Ludger gli chiese solo un minuto per fare una telefonata. – Helga… sì, sto decisamente meglio. Non preoccuparti… No, non ci vedremo a cena perché esco con Amedeo e una sua amica, poi torno qui ma non aspettarmi sveglia. Ti manderò un messaggio… Grazie madre, anch’io te ne voglio. –
“Temo che Helga stia invecchiando… a volte non la riconosco. Poverina, non le do pace. Non fare quella faccia, adesso è talmente felice che non mi ha chiesto neanche come sei riuscito a tirarmi fuori dal sarcofago. Dai, andiamo.”

Al citofono Elisa ordinò ad Amedeo di aspettarla al portone. Pochi minuti dopo lo raggiunse mettendosi in posa da eroina di film muto: era completamente fasciata nella stoffa nera, e l’abito le arrivava a metà dei polpacci lasciando scoperta l’architettura delle sue scarpe preferite, riservate alle occasioni importanti. Gli occhi chiari bistrati di nero e il caschetto lucido erano accompagnati da un leggero filo di piume di struzzo intorno al collo. 
Roteò gli occhi appoggiandosi allo stipite. “Come sto?”
Amedeo strinse con le dita sottili la radice del naso coprendosi la bocca e scandì, sillabando, la formula che la sua amica stava aspettando: di-vi-na. Anche Ludger aveva osservato la scena dalla macchina accostata davanti al portone, divertito; lo raggiunsero dopo essersi scambiati un bacio leggero sulle labbra. Prima di entrare in macchina Elisa si avvicinò al finestrino aperto e Ludger le chiese distrattamente se quello fosse il loro modo abituale di salutarsi.
La risposta arrivò da Amedeo, che aveva già aperto lo sportello dal lato del guidatore. “Certo, ogni mattina quando mi lascia finalmente il bagno, si aggrappa allo stipite con lo struzzo al collo.”
Lei, per niente scoraggiata, raccontò a Ludger che non metteva il rossetto proprio perché preferiva salutare gli amici, e poi domandò se poteva baciare anche lui. Le loro labbra si toccarono solo per pochi secondi. Seduta al centro dei sedili posteriori si proiettò in avanti per potergli stare vicino e Ludger si girò a sfiorarle la pelle, pulita malgrado il pesante ombretto nero.
“Sei bellissima stasera.”
“Sai quanto posso impiegare per innamorarmi perdutamente di te, simpatica divinità greca? Pochi secondi. Vado?”
“No grazie, meglio di no. Ma spero che continuerai a rivolgerti a me senza censurarti, ti trovo strepitosa.”
Gli baciò lo zigomo. “Ecco, se poi mi trovi strepitosa non ho proprio motivo di censurarmi. E non preoccuparti, sono abituata con Amedeo. Ormai ho le spalle robuste. Dove mi portate?

La serata iniziò in un ristorante giapponese e finì in vineria. Scherzarono per tutto il tempo, con un un’allegria che ad Amedeo sembrò incredibile dopo quello che aveva vissuto nel pomeriggio. Cercò di evitare di pensare alle parole di Ludger; una parte di sé sperava vigliaccamente che lui si stesse innamorando di Elisa e fosse solo confuso. Era convinto che la sua amica avrebbe potuto aiutarlo a superare i suoi blocchi, mentre lui credeva di essere troppo lontano dalla normalità per pretendere di poterlo aiutare. Pensò che prendersi una sonora sbronza lo avrebbe aiutato ad uscire dai propri circuiti ossessivi, e mantenne fede al suo proposito al punto che, per tornare verso casa di Ludger, fu Elisa a guidare. Una volta parcheggiato lei tornò a rilassarsi, contenta di aver concluso la missione senza incidenti.  Amedeo aveva trascorso il breve viaggio semisdraiato sul sedile posteriore: gli girava la testa e sorrideva un po’ assente alla musica che riempiva la macchina. Nel sentire la voce di Ludger si sollevò a sedere.
“Elisa, ti andrebbe di restare a dormire con noi? Non avremo certo problemi di spazio, sei stanca e ubriaca… mi dispiace mandarti via così. Amedeo tu che dici?”
Quel noi gli procurò una vertigine, come il doversi rendere conto che erano ormai tornati nel recinto di Ludger e la presenza della sua amica avrebbe contribuito a mantenere la situazione sotto controllo. “Sì, mi sembra una buona idea… però mi rifiuto di dormire al centro.”
Elisa si finse seria. “Tesoro, io posso garantire un perfetto, o forse imperfetto, autocontrollo finchè sono sveglia… poi lo sai, tutta quella broda sull’inconscio… insomma, posso pure stare al centro. Inzomma, valuta tu se è il caso. Posso sempre prendere un taxi.”
Amedeo si unì alle loro risate, dichiarando la sua resa prima di uscire dalla macchina; quell’allegria gli avrebbe fatto affrontare volentieri anche una posizione scomoda.
In camera Elisa, dopo aver affermato con soddisfazione di sentirsi realizzata come groupie, si sfilò scarpe e giacca per fare una piroetta; non riusciva a stare ferma e trovò la stanza fichissima. Il suo entusiasmo contribuì a creare un clima molto rilassato. Ludger ricordò ad Amedeo di usare il bagno in corridoio; prima di lasciarli mise un vecchio disco di Brian Eno e gli indicò un piccolo frigo sotto la scrivania. Amedeo sorrise sentendosi completamente a suo agio, mentre Elisa si sfilò il vestito lanciandolo a terra; la rimprovò con poca convinzione, ma lei non gli prestò attenzione.
Salì in piedi sul letto per mimare una schitarrata, indossando soltanto le mutande. “Tesoro non essere bigotto, al mare sto più nuda di così, voi conoscete già il panorama e poi qui dentro fa un caldo tropicale.” Si fermò per un’ultima schitarrata all’aria. “E poi me ne frego e vado in bagno!

Entrando nella stanza Ludger osservò la figura sottile di Amedeo, sdraiato ai piedi del letto; si avvicinò al suo viso, e nel vedere gli occhi chiusi restò in silenzio. Guardando le linee dolci di quel volto rilassato si perse nei dettagli che lo componevano; provò una curiosità crescente per lui, come se avesse iniziato a metterlo a fuoco da poco. Quando teneva gli occhi chiusi le labbra catalizzavano l’attenzione: avrebbe voluto baciarlo. Si stava già avvicinando quando, sorridendo di sé, tornò a poggiare la schiena alla sedia, scuotendo la testa. Si accese una sigaretta per distrarsi.
“Lù?”
“Pensavo dormissi.”
Sorrise, restando immobile. “Quasi, sono piuttosto ubriaco, mi dai un tiro?”
Ludger si tolse la sigaretta dalle labbra per poggiarla sulle sue, che al tatto erano morbide come aveva immaginato. Tirò indietro la mano e si stropicciò gli occhi, chiedendosi fino a dove si sarebbe potuto spingere senza minare il suo equilibrio: per molti aspetti Amedeo sembrava più piccolo e il poco che conosceva della sua storia continuava a confonderlo.
“Hai delle labbra bellissime, anche con Sebastiano vi baciate come con Elisa?”
“Sì ma molto meno, non solo perché ci vediamo poco, ma anche perché lui me lo chiede in momenti particolari… tipo su un tetto, davanti a una tela di Schiele, dopo aver ballato sotto la pioggia… non so… è più coreografico. Come se fosse un completamento di un qualche percorso estetico tutto suo.”
Amedeo era completamente rilassato, sorrideva appena pensando a suo fratello ignorando il tormento che affliggeva il suo compagno. Ludger arrivò alla conclusione che sarebbe stato meglio non baciarlo, perché per lui un contatto con quelle labbra non sarebbe mai potuto essere un saluto, né tantomeno un gesto estetico. 
Amedeo gli chiese un altro tiro, tenendo gli occhi chiusi. “Perché stai pensando a Sebastiano? Mi sembra strano.”
“Mi piace tanto il rapporto che hai con Elisa, sono solo curioso di scoprire cosa ci sia in comune e le diversità… anche per capire il tipo di terreno in cui mi posso muovere.”
Amedeo si tirò di scatto sul gomito prima di girarsi verso di lui, con gli occhi enormi spalancati e un po’ stupiti. “Ma loro sono diversi.”
Ludger in quel momento pensò che il rapporto con Amedeo non sarebbe stato facile, perché avrebbero dovuto affrontare molte difficoltà anche nelle dinamiche più banali. “Diversi da cosa?”
“Da te, è ovvio! Te l’ho anche detto.” Si lasciò ricadere a peso morto sul letto. 
Ludger continuò a guardarlo sentendosi in bilico; l’ubriachezza di Amedeo gli dava la possibilità di muoversi con maggiore libertà, senza frenarsi troppo per la paura di turbarlo. Era sempre più consapevole che le cose tra loro stavano cambiando e percepiva la fragilità di quel passaggio. Elisa lo strappò dalle sue riflessioni saltando addosso ad Amedeo e iniziando a sbottonargli la camicia. 
“In bagno c’è una vasca a idromassaggio enorme! Dobbiamo assolutamente fare un bagno!” 
Amedeo la lasciò fare, senza ascoltare del tutto quello che stava dicendo. Ludger rise, e Elisa si girò a guardarlo: si ricordò solo in quel momento che lui non sarebbe potuto entrare in vasca con loro. 
Ludger accennò un sorriso. “Non preoccuparti per me, posso stare lì con voi e sarei felice di farti realizzare un’altro dettaglio della tua serata da groupie. Se riesci a rianimarlo.”
Amedeo le appoggiò la testa sulla spalla. “Lisa ti prego, sono ubriaco e stanco.” 
Lei riprese a spogliarlo. “Dai su! Teniamo le mutande, non fare il bradipo.”
Quando sentì anche la voce di Ludger esortarlo a non essere pigro, si alzò lasciandosi sfilare anche i pantaloni. “Solo se davvero non ti dispiace.”
Elisa lo stava spogliando come avrebbe fatto con un bambino e lui la lasciò fare, del tutto indifferente nel trovarsi seminudo di fronte a lui.
Ludger continuò a guardarlo restando inespressivo. “Ma no che non mi dispiace, ve lo avrei detto. Cos’è quella cosa che porti al collo?”
Amedeo prese tra le dita la collana d’argento in cui aveva infilato una fede dello stesso materiale. “Un regalo di Sebastiano, la fede… la collana invece me l’ha regalata Elisa, per tenere la fede. Le indosso sempre sotto i vestiti perché non mi piacciono gli orpelli. Vado ad aiutarla.” 
Elisa accese tutte le candele che arredavano il bagno, mentre Amedeo prendeva dalla stanza l’occorrente per fumare e due bottiglie di birra dal frigo. Entrarono in acqua tenendosi la mano, cercando una posizione per sedersi senza dare le spalle a Ludger. 
“Questo è uno dei momenti per cui vale la pena vivere… ve ne sono grata, graziosi fanciulli.”
Amedeo continuò a tenere in mano la birra, malgrado fosse già ubriaco. “È vero… sembra un sogno, c’è anche l’effetto nebbia.” 
“Forse è il caso di lasciar stare la birra.” 
Ludger lo aveva detto in tono scherzoso, ma Amedeo si attaccò alla bottiglia guardandolo in modo obliquo; se ne staccò soltanto per rubargli la sigaretta che stava fumando prima di tornare a immergersi in acqua. Si muoveva con una velocità e una disinvoltura insolita che gli altri associarono all’ubriachezza. 
Ludger sorrise accendendone un’altra. “Spero tanto di ricordarmi tutto di questa serata.” 
Elisa era stupita. “Non mi sembri per niente ubriaco, a differenza di questo ranocchio qui.”
“La mia memoria non funziona più bene e oggi ho esagerato con i tranquillanti, ma non sarei mai arrivato a immaginare il pomeriggio e la sera che stiamo vivendo, neanche in un delirio di ottimismo. Mi sembrava molto più probabile il coma farmacologico… però non importa anche se dovessi dimenticare, perché sto così bene adesso che non mi importa niente.”
Amedeo, con le braccia appoggiate al bordo della vasca e il viso leggermente chino con i riflessi dell’acqua sul viso, gli sembrò bellissimo. 
“Se te lo dimentichi te lo racconto io, non sono e non potrei essere abbastanza ubriaco da dimenticare.”
Anche Elisa lo osservava incantata, con l’impressione di vedere un lieve cambiamento in lui, sia nella posa che nel tono fermo delle parole; gli si avvicinò camminando sulle ginocchia per poi mettersi seduta a cavallo delle sue gambe distese. 
“Non dirmi che sono troppo pesante, che ti annego!” 
Raccolta dell’acqua con le mani gliela rovesciò in testa, per poi mandargli i capelli indietro; le piaceva la sua fronte e voleva liberarla dalla frangia. Dopo avergli preso il viso fra le mani gli baciò le labbra.
“Vi siete baciati?” 
Elisa si girò a guardare Ludger. “Sì, noi ci baciamo sempre sulle labbra.”
“Lo so, lo so… però vorrei essere baciato anch’io.”
Lei alzò le sopracciglia mimando uno stupore esagerato. “Da chi?”
“Da tutti.”
Elisa si alzò rivolgendosi ad Amedeo. “Tesoro, ce la puoi fare?”
Le chiese aiuto per rialzarsi, e si sedette sul bordo della vasca vicino a Ludger che chiuse gli occhi, sorridendo. Amedeo ebbe una specie di vertigine nel vederlo così da vicino. Posò i polpastrelli bagnati sulla linea netta del suo zigomo, trovando la pelle liscissima; lasciò ricadere la mano per avvicinarsi con le labbra, mentre Ludger aspettava immobile. Amedeo non riusciva a smettere di guardarlo e il contatto delle sue labbra gli diede un leggero brivido sulla nuca. Indietreggiò velocemente con il cuore che accelerava, e Ludger lo ringraziò senza espressione. 
Elisa aveva trovato quella scena incantevole, si affrettò a sostenere Amedeo che aveva un equilibrio instabile per poi prendere il suo posto.
“Devo per forza essere anch’io così casta? Mannaggia!” Prese il viso di Ludger fra le mani baciandolo tre volte di seguito, tanto velocemente da trasformarlo in un gioco “Stasera posso dire di aver baciato due uomini schifosamente belli, uno dietro l’altro. Adesso mi manca solo la serenata privata… però le labbra di Amedeo restano imbattibili.”
Ludger si dichiarò d’accordo mentre usciva dal bagno. Rientrò con una chitarra acustica tenuta appesa al torace con la tracolla e iniziò ad accordarla, scusandosi di non avere un repertorio molto vasto. Elisa,con gli occhi lucidi, si dichiarò commossa. Iniziò a suonare Exit music for a film, un brano della cassetta dei Radiohead che Amedeo aveva lasciato nello stereo della sua macchina. Trovava quel pezzo di un sentimentalismo disperato e lo amava particolarmente. Era stupito che lo avesse scelto perché non ne avevano mai parlato, e restò immobile per tutto il tempo della canzone, scosso dai brividi. Anche Elisa ascoltava rapita, con la bottiglia tra le mani. 
“Purtroppo ho una voce un po’ troppo bassa, ma pazienza… cosa sono quelle facce?”
“Sono folgorata… quanto sei bravo!”
“Grazie, ma non sono d’accordo. Un paio di vite fa ho studiato tanto. Eseguire un brano così non è difficile. Chi è bravo i pezzi li scrive.”
Amedeo parlò con una voce volutamente atona. “Ma tu non suonavi il basso?”
“Eravamo partiti insieme dalla chitarra, poi sono passato al basso per lasciarla ad Andrea, vi faccio sentire un’altra cosa e poi uscite, prima che vi si stacchi la pelle.”
Il secondo pezzo era contenuto in uno dei CD che Ludger gli avrebbe lasciato in seguito: Cave in, dei Codeine.

Elisa e Amedeo si stavano ancora asciugando quando Ludger li indirizzò verso la parte dell’armadio che conteneva i vestiti di Nobuko, che accettarono senza pensarci troppo. Amedeo andò a cambiarsi dopo aver preso un paio di pantaloni da ginnastica neri, mentre Elisa si infilò una maglietta abbastanza lunga senza allontanarsi, perché voleva restare da sola con Ludger. 
“Ora che siamo soli, puoi dirmi cosa è successo tra voi? In poche e semplici parole, che sono cotta… vi vedo diversi, e vedere Amedeo diverso è quasi uno shock.”  Lei restò in piedi appoggiandosi alla scrivania, in modo da non farsi sorprendere dal ritorno di Amedeo, era impaziente di sentirlo parlare e la lentezza dei suoi gesti la esasperava.
Ludger appoggiò la chitarra che aveva strimpellato fino a quel momento, e sorrise nell’accendersi l’ennesima sigaretta. Prese tempo cercando un modo per iniziare il racconto. “Cosa sta succedendo a lui ancora non è chiaro a nessuno… avrai modo di chiederglielo. Io invece sono piuttosto sicuro che mi sto innamorando. Ed è un discreto casino.”
Elisa spalancò gli occhi per la sorpresa, dimenticandosi di controllare il corridoio. “Sono senza parole…” Rise scuotendo la testa per il nervosismo. “È questo il motivo per cui lo hai cacciato giorni fa?”
Lui annuì. “Non sono in condizioni di vivere una cosa del genere, solo a pensarci mi scoppia la testa… adesso dovrei capire da dove iniziare a lavorare, probabilmente dalla carcassa. Voglia zero.” Stirò il collo rivolgendo il viso al soffitto, sospirando prima di concludere. “Non si merita un giocattolo mezzo rotto.”
Quando Amedeo rientrò in camera trovò Ludger seduto sul letto ed Elisa che guardava il pavimento, appoggiata alla scrivania. 
“Lisa stai bene? È strano vederti così… ferma.”
“Sono solo stanca… ti aspettavo per mettermi a letto. Che poi, se vuoi, al centro mi posso mettere io. Però già sai come va a finire se io e quel ragazzo dormiamo vicini.”
Amedeo aveva un viso stanco, e scrollò le spalle in risposta al suo scherzo. Si diresse da Ludger, per aiutarlo a prendere la posizione adatta per dormire. Elisa, pensando alle parole di Ludger, stava iniziando a preoccuparsi. 
“Lisa! Spengo la luce, vieni?”
Lei raggiunse il suo lato del letto e li salutò augurandogli buona notte, baciandoli velocemente. Era esausta e desiderava uscire di scena il prima possibile per lasciarli soli. “Simpatici ragazzi, vi comunico che sono cotta e mi addormenterò in pochi secondi. Anzi, già dormo.”
Amedeo le accarezzò la testa, dicendo a Ludger che anche lui si sarebbe crollato in un attimo. Stavano larghi in quel letto fuori misura.
Ludger iniziò a sfiorargli la linea del naso con le dita fredde. “Certo, dormi… mi piacerebbe sentire uno dei tuoi sogni quando ti sveglierai. Buonanotte.” 
Amedeo per alcuni secondi pensò di baciarlo, ma si trattenne. Sorridendo per quel lieve tocco sul viso si addormentò, assaporando la felicità di quel momento.
Ludger fumò un’ultima sigaretta, desiderando protrarre l’atmosfera di quella sera il più a lungo possibile; sentiva la fragilità di quell’equilibrio tutta su di sé, ma la vicinanza di Amedeo gli dava un ottimismo insolito. La sua presenza iniziava a sembrargli naturale, come se fosse stato al suo fianco da molto tempo. Continuò a guardarlo, chiedendosi perché gli facesse quell’effetto: non gli era mai successo di sentire un’affinità tanto forte in così poco tempo. Seguiva con gli occhi le linee delicate del suo viso ancora morbido, come quello di un adolescente su cui la pelle deve ancora tendersi. Analizzò il naso piccolo come fosse una scultura, e gli occhi grandi anche da chiusi; la fronte alta, libera dai capelli, evidenziava il disegno netto delle sopracciglia. Gli piacevano in modo particolare le labbra rosse e la pelle del collo lungo che immaginava liscia al tatto, come le forme del suo corpo perfettamente proporzionato. Ludger lo osservava come cercando una spiegazione per i sentimenti che provava. Ubriaco, riprendeva a perdersi per interi minuti su singoli frammenti, dimenticando l’insieme. La bocca continuava ad attirarlo come una calamita. Si fermò a pochi centimetri dalle sue labbra, poi prese una pillola dal comodino prima di lasciarsi ricadere sul letto. Alle soglie del sonno pensò alla loro situazione come a un castello di carta, in cui tutto sarebbe potuto crollare al minimo tocco.

Amedeo si svegliò con un piccolo scatto; sentì la voce di Ludger chiedergli se stesse bene e rispose con un mormorio. Era al centro del letto, con le braccia allargate: a sinistra Elisa gli poggiava la testa al torace, e dall’altro lato Ludger teneva il viso sul suo collo. Il suo respiro sulla pelle gli diede un leggero brivido e sorrise ricordando il giorno precedente. Ludger si allontanò subito dopo.
“Dove vai?” Amedeo si sentì disorientato; vedeva sul suo viso qualcosa di diverso, senza riuscire a capire cosa.
“Il risveglio per me è la parte peggiore della giornata, devi avere un po’ di pazienza. In dieci minuti dovrei farcela… puoi aspettare in silenzio?”
Amedeo capì che erano gli occhi di Ludger a sembrargli strani: le pupille erano contratte nella luce del mattino, lasciando più spazio al verde che sembrava aver preso una tonalità fredda. La palpebra superiore più alta rendeva lo sguardo affilato e freddo. Ludger prese una pillola dal suo comodino e la ingoiò a secco, per poi sdraiarsi aspettando che facesse effetto. Diversi minuti più tardi si girò verso di lui, sorridendo come se non ci fossero state pause. Iniziò ad accarezzargli la linea del profilo, ma le sopracciglia di Amedeo avevano una piega irritata.
Ludger ritrasse la mano. “Cos’hai? Sembri infastidito.”
Gli rispose dopo un breve silenzio, perché parlare era diventato difficile. “Penso al fatto che, in qualche modo, ti ho incontrato per la prima volta poco fa. Sono molto confuso… forse anche irritato… non lo so, non mi capisco. Scusami.”
Ludger accese una sigaretta e anche se Amedeo trovò nauseante l’odore del fumo appena sveglio, non disse nulla.
“Questa è la dose normale. Quando mi sveglio e ricordo la mia condizione mi monta una tensione… che potrebbe essere pericolosa. Da dopo l’incidente li ho presi quasi sempre, le poche volte che non l’ho fatto è stato un vero disastro.”
Si interruppe per il gesto repentino con cui Amedeo si era alzato dal letto facendo scivolare violentemente Elisa di lato. Amedeo dopo aver raggiunto la scrivania restò curvo con le mani sui suoi vestiti, stringendo forte la spalliera della sedia. Guardò le orchidee con odio, pensando che dovevano essere state sostituite chissà quante volte.
Ludger, seduto sul letto, iniziò a piangere silenziosamente. “Ti prego… non andartene.”
Elisa non capiva cosa stava accadendo, ed era così spaventata da usare un tono duro che non le apparteneva. “Amedeo che combini?”
Si girò con le mani sul viso, respirando profondamente. “Elisa, sto facendo quello che mi riesce meglio. Scappare.”
Ludger si lasciò cadere sul letto. “Vai via se vuoi, scusami.”
Quella frase spinse Amedeo a reagire, e lo raggiunse di slancio. Dopo essersi seduto sul letto lo sollevò, avvolgendolo con le braccia. Ludger continuò a piangere senza rispondere all’abbraccio, inanimato.
“Ludger scusami tu, sono un vigliacco… ho paura di tutto e sono pigro. Ma posso cambiare, anzi, per te io voglio cambiare… ti prego, perdonami.”
Le braccia di Ludger si alzarono per cingergli fiaccamente la vita. 
Elisa si sentì soffocare dall’emozione, e strizzò forte gli occhi prima di mettersi a gridare. “Voi siete completamente pazzi, porca puttana! Tutto questo di prima mattina!”
Si separarono lentamente. Amedeo era molto preoccupato, mentre Ludger ancora non reagiva. Dopo essersi asciugato le lacrime dal viso con il dorso della mano, iniziò a muoversi con rabbia verso la sedia a rotelle.

Durante la colazione parlarono poco malgrado l’assenza di tensione. Ludger raccontò che quell’ala avrebbe dovuto essere la residenza dei domestici, che sua madre aveva fatto riadattare sotto sua richiesta dopo l’incidente. Ravi era l’unica persona che si occupava di lui e gli restava sempre vicino: più che un domestico aveva quasi il ruolo di un secondo genitore taciturno. 
“Stamattina dovrò lasciarvi presto perché devo fare dei giri noiosetti con Helga.”
Amedeo chiese se poteva accompagnarlo, ma lui rifiutò con dolcezza. 
“Ti ringrazio ma è meglio di no. Però mi piacerebbe tanto rivederti nel pomeriggio, se ti va. Anzi, pensa a un posto dove ti piacerebbe portarmi.”

Elisa e Amedeo si salutarono fuori dal cancello; lei era confusa e non voleva influenzarlo, pensando che gli avrebbe fatto bene stare da solo per riordinare le idee. Amedeo invece si sentiva incapace di pensare a qualsiasi cosa, perché i soliti stratagemmi con cui riempiva il suo tempo statico non funzionavano. Ogni sua idea lo portava a perdersi in pensieri inconcludenti e contraddittori che giravano intorno a  un unico perno: Ludger. In alcuni momenti si sentiva euforico, indifferente agli aspetti problematici di quel rapporto inclassificabile, ma la maggior parte del tempo tornava ad avvitarsi sui tanti problemi che non riusciva a definire, senza un’àncora a cui aggrapparsi.
Quel pomeriggio trascorse le ore in cui erano stati separati in preda a una profonda confusione, stanco e irritato.
Ludger lo stava aspettando come sempre in giardino. “Dove vuoi andare, ci hai pensato?”
Amedeo scosse leggermente la testa chinata. “Non lo so, forse mi piacerebbe andare al solito parco. Ti dispiace?” Consapevole che la loro routine si stava sfaldando cercò di rifugiarsi in una dinamica nota, nel tentativo di proteggersi. 
Ludger cercò di adottare un tono leggero perché aveva notato la sua difficoltà. “Non mi dispiace per niente. Vorrei solo passare al bar mentre andiamo, vorrei un caffè e una bottiglia d’acqua.”
Nel parlare iniziò a spingere con entrambe le mani la sedia dalle ruote, e quel movimento portò Amedeo a raggiungere i manubri per aiutarlo.
“Non ti ho mai visto bere acqua.”
Visto che non suonava come un’accusa, Ludger pensò fosse meglio far cadere quel commento senza repliche. Gli dispiaceva che Amedeo evitasse di guardarlo; aveva sperato di ritrovarlo in uno stato d’animo più sereno.

Ludger gli chiese di bloccare la sedia accanto alla panchina. 
“Voglio gustarmi la prima sigaretta intera della giornata, anche perché oggi mi sembri particolarmente taciturno.” 
Amedeo era distratto e non ci fece caso, non notò neanche quanto tremava il braccio con cui Ludger sosteneva la bottiglia d’acqua. Vide l’accendino cadere a terra e, dopo averlo raccolto, gli avvicinò la fiamma in modo automatico. 
La voce di Ludger iniziava ad essere tesa. “Perché non mi guardi negli occhi?”
Amedeo ignorò la domanda perché finalmente aveva alzato lo sguardo verso di lui. “Perché tremi così?”
Ludger sospirò sollevando il viso al cielo, prima di tornare a guardarlo cercando di rispondere con dolcezza. “È una delle cose di cui vorrei parlarti, ma se eviti il mio sguardo non ci riesco… sono diventato esigente, vero? Chissà quante volte ti ho fatto parlare a vuoto mentre ero perso nelle mie allucinazioni… Perdonami.”
Amedeo, incapace di sciogliere la tensione rispose con un tono asciutto. “Mi è sempre piaciuto il nostro modo di parlare, con o senza allucinazioni. Non ha senso che ti scusi.”
La voce di Ludger si fece dura. “Amedeo, guardami mentre mi parli!”
Sentendo quel tono si girò immediatamente.
Ludger riprese a parlare quasi sussurrando. “Sbalzi d’umore, bella seccatura.”
Amedeo finalmente lo guardò: gli occhi di Ludger erano tornati simili  a quando si era appena svegliato, contratti per la luce del giorno e dal taglio più netto. Gli sembrò che esprimessero soprattutto tristezza.
Era preoccupato. “Lù… che ti succede?”
A Ludger tremavano così tanto le mani da costringerlo a sorreggere quella con cui fumava aiutandosi con l’altra. Finì per lanciare la sigaretta sul prato, frustrato per quella difficoltà. “Stamattina mi sono fatto un po’ di giri con Helga, niente di allegro, per questo non ti ho voluto con me. Ho detto allo psichiatra che voglio sospendere i tranquillanti, ho già saltato quello del pranzo, ma troncare di netto pare sia molto difficile. Mi ha fatto un lungo elenco di effetti che può dare l’astinenza. I tremori e gli sbalzi d’umore sono i più lievi, i peggiori sono le convulsioni e gli attacchi epilettici. E crisi di violenza ingiustificata. Insomma, roba che ti risparmierei volentieri. Lui suggerisce di ridurre gradualmente e di introdurre dei farmaci che li attenuano… non ricordo quali, ma Helga ricorda tutto, per questo l’ho portata… adesso non li prendo da stamattina e inizio ad essere un po’ nervosetto. Permettimi di dire che mi dispiace, perché mi dispiace davvero.”
Amedeo gli prese una mano percorsa da tremiti intermittenti e più fredda del solito, guardandolo con un viso cupo che lasciava trasparire la sua agitazione. “Interrompi gradualmente e prendi quel farmaco che ti aiuta.”
Ludger annuì. “Non ho portato niente con me. Dovrei parlarti soprattutto di un’altra cosa. Importante. Adesso però non ci riesco.”
Il viso di Ludger si contrasse in una smorfia che sembrava di rabbia, ma Amedeo non sapeva cosa fare per aiutarlo. Iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia, che lo spinsero a reagire; dall’immobilità passò all’azione e cercò di tornare velocemente a casa. Quando arrivarono nella stanza di Ludger erano ormai bagnati fradici e la sua pelle sembrava scolpita nel ghiaccio mentre tremava senza controllo. Non volle fargli chiamare Ravi, rifiutando quella proposta con un gesto netto di negazione.
Amedeo, che iniziava ad essere terrorizzato, cercò di parlargli con calma. “Ludger, ascolta, ora vorrei asciugarti ma forse è meglio se prima prendi una delle tue pillole, se ne hai saltata una dopo il banchetto che hai fatto ieri la situazione potrebbe…”
Ludger annuì alzando un braccio per indicare il comodino, e specificò il colore della confezione di pillole parlando con le mandibole serrate. Amedeo gli avvicinò una compressa che riuscì a ingoiare con fatica. Per Ludger salire sul letto e liberarsi dei vestiti bagnati non fu semplice: la maglietta asciutta si era inumidita a contatto con i capelli mentre Amedeo gli sfilava i pantaloni, cercando di asciugarlo velocemente. I tremiti non passarono neanche sotto le coperte, e Amedeo restò in balia della sua angoscia. Prese a camminare avanti e indietro fino a che sentì la voce di Ludger, scandita dagli scatti che lo stavano scuotendo.
“Amedeo… per favore, asciugati. Mettiti anche tu sotto le coperte… sei zuppo e stai prendendo freddo.”
Amedeo si tolse i vestiti completamente bagnati per infilarsi gli stessi pantaloni della tuta che erano rimasti sulla scrivania dal giorno prima, piegati. 
Entrò nel letto restandogli distante. “Ludger, non so che fare per aiutarti e non sai quanto lo vorrei.”
“Abbracciami, se ti va… abbracciami.”
Lo strinse a sé, sentendo i suoi sussulti trasmettersi al proprio corpo; voleva frenare quegli scatti, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per allontanare almeno il freddo da quel corpo senza controllo. Lo trattenne fino a quando gli spasmi cessarono e iniziò ad accarezzargli la testa. Ludger stava scivolando nel sonno, esausto, e lo ringraziò con dolcezza mentre il suo respiro diventava regolare. Amedeo continuò a passargli le dita tra i capelli ancora a lungo. Tolse le coperte per tornare a sdraiarsi al suo fianco, mettendo la sua spalla sotto il braccio alzato e il viso appoggiato sul collo. Era determinato a restargli vicino fino al risveglio, e malgrado le incertezze e lo spavento quel contatto lo rendeva felice. L’agitazione gli impedì di dormire nonostante la stanchezza; ogni tanto alzava appena la testa per vedere il volto di Ludger, sorridendo di quella bellezza straordinaria. Era certo che non si sarebbe mai stancato di guardarlo. Restava sollevato il più a lungo possibile, fino a quando il dolore alla spalla lo costringeva a sdraiarsi di nuovo. 
Quando lo sentì inspirare più profondamente si puntellò sul gomito; Ludger si mosse, socchiudendo le labbra e tendendo il collo per ruotare la testa a occhi chiusi. Amedeo abbandonò la sua contemplazione estatica tornando a spaventarsi pensando si stesse sentendo di nuovo male. Dopo averlo chiamato con dolcezza gli strinse la mano abbandonata sul torace.
Ludger lo guardò ridendo, e si portò la mano libera alla fronte. “Ci mancava solo questo.”
Non capiva a cosa si riferisse. “Stai bene?” Amedeo aveva un’espressione stupita e inquieta. 
Ludger era divertito per la sua agitazione. “Sto benissimo, grazie.” Lo guardò con dolcezza, chiedendosi per l’ennesima volta come potessero essergli estranee quelle dinamiche tanto banali.
“Devo solo andare un attimo in bagno, non preoccuparti. Sto bene e ce la faccio ad alzarmi da solo. Aspettami, torno presto.”
Ludger si coprì con cura abbassando la maglietta prima di alzarsi e, quando si sollevò dandogli le spalle, Amedeo si lasciò ricadere sul dorso. Restando da solo non potè evitare di perdersi nei propri pensieri, e quella breve separazione gli sembrò lunghissima. Non capiva come potesse sentirsi a proprio agio seminudo nel suo letto, malgrado le continue difficoltà che Ludger lo costringeva ad affrontare. Sapeva di non avere gli strumenti per provare ad analizzare razionalmente la condizione che stava vivendo, così provò a capire ciò che sentiva: paradossalmente provava un forte senso di estraneità più rispetto a sé stesso che a quella situazione fuori controllo.
Ludger tornò a sdraiarsi al suo fianco. “Come stai?” La sua voce somigliava a una melodia bassa e dolce. 
Lo guardò cercando di focalizzare su di lui tutta l’attenzione di cui era capace. “Lù, sono io che dovrei chiederlo a te… io sono confuso, preoccupato, agitato… travolto. E moltre altre cose che non riesco a distinguere, non mi capisco… però sono sempre felice di stare vicino a te.”
Le dita lisce di Ludger iniziarono a scivolare sulla pelle del suo viso e Amedeo chiuse gli occhi, sentendo un formicolio sulla nuca scendere tra le scapole. La voce di Ludger gli sembrò vicina e calda.
“Abbiamo un altro problema, più mi stai vicino e più ti desidero… ti mangerei.” 
Amedeo si sentì come poco prima di un tuffo da una scogliera troppo alta, spaventosa e irresistibile. “Fallo.”
Ludger spostò con una spinta decisa la mano tra le sue scapole per avvicinarlo a sé, e gli mandò indietro la testa per iniziare a baciargli il collo, aggiungendo piccoli morsi che gli provocarono altri brividi, facendolo tremare. Le mani di Ludger percorsero il suo corpo premendo con decisione, infilandosi nelle fessure, come se ne stesse ridefinendo i confini. Amedeo sentiva il suo viso liscio strofinarsi sulla pelle del collo alternandosi al tocco dei denti e della lingua, alimentando ondate di fremiti che scendevano fino agli arti. Amedeo percepì il suo corpo in modo diverso, come se stesse perdendo solidità. Ludger lo ruotò sul dorso e avvolse morbidamente un capezzolo con le labbra per poi mordicchiarlo, senza smettere di accarezzargli il torace, le braccia e il viso. Amedeo sentì il cuore e il respiro accelerargli come se l’aria fosse diventata solida; restava abbandonato ad occhi chiusi, completamente perso nelle sensazioni che lo travolgevano. Ludger si fermò, poggiandogli la testa sullo sterno. Amedeo continuò ad evitare qualsiasi idea astratta ancorandosi al momento che stava vivendo e, riaprendo gli occhi, lo vide girato verso la finestra; iniziò a carezzargli la testa consapevole che Ludger doveva sentire il suo cuore battere forte vicinissimo all’orecchio.
Gli parlò con una voce calda e profonda. “Amedeo, stai bene?” 
Lui sorrise per la colata di miele dei capelli di Ludger che gli si riversava sul torace; poteva capire i motivi per i quali si era fermato, ma gli sembravano distanti come tutto quello che non apparteneva al presente.  
“Ludger… non sono mai stato meglio, non preoccuparti. Non ti fermare.”
Respirò profondamente assaporando il tocco leggero della mano di Amedeo sui suoi capelli, Ludger era convinto che sarebbe stato meglio non iniziare a baciarlo, ma non riuscì a pentirsene: non aveva voglia di perdersi in pensieri ragionevoli. Si sollevò per tornare a guardarlo, lasciando sfumare ogni resistenza.  “Impazzisco dalla voglia di baciarti.”
Amedeo sollevò la testa per andargli incontro, mantenendo gli occhi aperti fino a che riuscì a metterlo a fuoco: il suo viso gli sembrava più delicato, come se l’espressione che aveva in quel momento avesse ammorbidito le sue linee tese. Tornò a chiudere gli occhi solo quando la vicinanza non gli consentì più di metterlo a fuoco. La bocca di Ludger era morbida, e si spostava dal labbro inferiore al superiore fermandosi sempre più a lungo, succhiando con dolcezza. Si tenne sollevato sul gomito poggiato al lato della testa di Amedeo, accarezzandogli il viso con la mano libera, senza fretta. Quei movimenti portarono Amedeo ad aprire la bocca gradualmente, come rispondendo al bisogno naturale di respirare; Ludger reagì sospirando, allontanandosi per alcuni secondi prima di affondare con la lingua tra le labbra dischiuse. All’inizio si mosse piano, ma in poco tempo prese a turbinare in profondità, accelerando il ritmo; Amedeo si aggrappava alle sue spalle, come cercando un’àncora. Avrebbe voluto ingoiarlo, perché desiderava che Ludger gli scorresse nel sangue raggiungendo ogni zona del suo corpo, come stava facendo il calore che sentiva in quel momento. 
Ludger se ne separò per riprendere fiato trattenendolo con delicatezza, tenendogli la mano sulla fronte. “Respira… continua a respirare.”
Amedeo desiderò di mordergli il collo bianco nascosto dai capelli che gli solleticavano la pelle del torace, ma quella voce profonda gli fece chiudere gli occhi. Abbandonò la stretta dalle sue spalle e ricadde sul cuscino; temeva di non saper controllare i suoi gesti, di non essere in grado di renderli altrettanto piacevoli. 
Ludger lo guardò con tenerezza, provando un caos di emozioni prive di ombre che lo stupirono. “Vuoi che mi fermi o posso fare anche qualcos’altro?”
Le labbra umide e rosse di Amedeo accennarono un sorriso. “Vorrei che non ti fermassi mai più.”
Ludger gli accarezzò il viso, pensando che sarebbe potuto impazzire per quel ragazzo, affascinato dall’idea che quella pelle da bambino si stesse svegliando grazie al suo tocco. Lo abbracciò per poi sdraiarsi sul dorso trascinandolo con sé, e Amedeo assecondò quel movimento, infilando le gambe tra le sue, leggermente divaricate. Appoggiò di nuovo il viso sul suo collo mentre le mani di Ludger gli afferrarono i fianchi per premerlo verso il proprio bacino, facendolo scivolare in un movimento alternato. Sentire il suo sesso eretto scorrere a fianco al proprio lo fece sospirare per la paura e l’eccitazione. 
Amedeo si alzò a guardare il viso di Ludger sollevato di lato: il collo teso e le labbra appena aperte gli davano un’espressione che non gli aveva mai visto. “Ludger… sei bellissimo.”
Il suono della sua voce gli fece ruotare ancora di più la testa indietro. Ludger sorrise, e sollevandosi fece scivolare Amedeo di lato; scaraventò via le lenzuola prima di scendere con le mani sotto la stoffa della tuta, abbassandola. Quando le labbra di Ludger avvolsero il suo sesso Amedeo emise un gemito trattenendosi dal gridare: in poco tempo fu travolto da un orgasmo straordinariamente forte che gli scosse ogni fibra del corpo, facendolo sussultare. Mantenendo gli occhi chiusi aveva l’impressione che il suo corpo recuperasse peso, premendo sulle lenzuola, come stesse tornando a definirsi recuperando una forma solida e contorni netti, in modo simile ai suoi pensieri. Ludger gli aveva di nuovo poggiato la testa sull’addome, e sentiva i capelli sfiorargli la pelle a ogni respiro: quel contatto rendeva dolce quel ritorno di coscienza. Lasciò andare le lenzuola che ancora stringeva tra le mani per accarezzargli la nuca e i capelli setosi sotto i suoi polpastrelli gli procurarono un appagamento tattile che lo portò a sospirare ancora una volta. Riconobbe il risveglio di una nuova ossessione: desiderava toccare Ludger anche mentre lo stava già facendo. 
Ludger gli baciò l’addome prima di tornare a sdraiarsi, coprendosi; Amedeo si avvicinò per baciarlo ancora, ma lui lo fermò sorridendogli con dolcezza. 
“Non è necessario.”
Amedeo corrugò le sopracciglia. “Ma io lo voglio.”
Dopo avergli baciato velocemente le labbra tornò a posare la testa sul cuscino, lasciando una mano sul suo viso, come per trattenerlo. “Amedeo… stai bene?” 
“Sto benissimo.” Abbassò gli occhi prima di corrugare le sopracciglia. “Vorrei continuare. Anch’io vorrei…”
Ludger lo fermò affondando un indice sulle labbra morbide. “No, oggi ci fermiamo qui… e non potrai fare o dire niente per farmi cambiare idea.”
“Ma perché?”
Ludger sorrise continuando a parlargli con un tono melodioso mentre gli accarezzava il viso. “Perché penso sia meglio così. Già questo come inizio mi sembra un po’ forte, mi fai sentire uscito da un romanzo di Nabokov o da Morte a Venezia… mi prenderesti le sigarette?”
Amedeo si alzò con un’andatura un po’ ciondolante, sollevando la tuta che era rimasta calata sulle gambe. 
Ludger lo seguiva con lo sguardo. “C’è una cosa che credo di non averti mai detto, sei bellissimo.”
Amedeo gli dava le spalle cercando il pacchetto di sigarette. “Seee, come no.” Ne accese una appoggiandosi alla scrivania, con le spalle un po’ curve e uno sguardo storto. 
Ludger rise. “Ti ordino di darmi immediatamente quella sigaretta! Poi puoi fumarti anche tutto il resto del pacchetto.”
Amedeo lo raggiunse per mettergliela tra le labbra, mentre lui tornava a ribadire di trovarlo bellissimo.
Amedeo tornò alla scrivania. “Senti, lo so che ho un aspetto tetro, troppo magro, quasi a spigoli e poi…”
“Mi piaci da impazzire. Poi… cosa?”
“Poi… se davvero ti piaccio come dici, perché ti sei fermato?”
“Questo è facile. Perché ti amo, e penso che per te sia meglio così. Forse anche per me, perché non mi piace come sono ora, e non voglio darti qualcosa che non mi piace. Sai, sono felicissimo che stai scoprendo il sesso con me, e dire felice non rende l’idea… comunque, se questa cosa non ti avesse fatto anche paura, sono sicurissimo che tra le paturnie e le persone che ti circondano l’avresti già fatto… non credi?”
Amedeo annuì, pensando che Ludger avesse ragione. “A me piaci tantissimo, non capisco come puoi dire di non piacerti… non lo capisco davvero. Sei più di quanto avrei potuto immaginare… ti trovo di una bellezza… trascendente. E sono… ipnotizzato… per come ti cambia il viso. Per come mi guardi adesso.”
“Perché non torni qui?”
Amedeo gli si sdraiò poco distante.
Ludger raggiunse subito il suo viso con la mano libera; gli piaceva continuare a sentire la consistenza della sua pelle liscia e morbida. “Cosa provi per me, ora?”
“Non lo so definire. Non c’è niente più importante di te, è come se fossi esploso al centro dei miei pensieri, ricavandoti uno spazio enorme… ancora non capisco bene, tutto quello che c’era prima è come se fosse stato spostato in una periferia indefinibile, e non me ne importa niente… davvero. Non c’è passato, e forse non c’è neanche il futuro. Almeno non lo vedo e non mi interessa. C’è solo adesso… è pazzesco… hai demolito tutto. Mi ami? Lo sai che mi suona incredibile?”
“Mi è già successo, so riconoscerlo. Ma non mi va di parlare di Nobuko adesso… non abbiamo molto tempo e voglio pensare solo a te. C’è una cosa che devo dirti ed è tanto difficile, avrei voluto farlo appena ci siamo visti, ma stavo male e non ci sono riuscito… però prima di parlartene c’è qualcos’altro che voglio chiederti. Dimmi, per te, baciarmi è stato un lavoro? Era questo il termine che avevi usato parlandomi della tipa con cui sei stato.”
“Ma no. Piuttosto una cosa da Nosferatu… come una sete inestinguibile, ti avrei voluto bere. E poi io non è che abbia fatto molto.”
Rise. “Stavi per soffocare… Amedeo hai fatto più di quanto credi, stai tranquillo. E io sono così felice e non so che farei per non doverti parlare di questa cosa, che è uno strazio, ma non c’è più tempo, non posso rimandare. Pensi di poterti fidare di me?”
Amedeo con un’espressione preoccupata si sollevò per guardarlo, mentre le carezze sul suo viso cessavano. “È ovvio che mi fido di te, perché me lo chiedi e perché abbiamo poco tempo?”
Ludger inspirò profondamente. “Non sai quanto è difficile iniziare questo discorso. Sai, forse non c’è modo di renderlo facile… e penso che la fiducia possa essere un buon punto di partenza. Perché se non ti fidi di me non possiamo andare lontano.”
Amedeo iniziava ad essere nervoso. “Ludger dimmi che succede e basta. Così mi spaventi.”
“Devo andarmene per un po’.”
Gli sembrò impossibile, il suo cervello rifiutava di assorbire quella frase. Scosse la testa come per scacciare un insetto fastidioso. “Non capisco.”
Il viso di Ludger era così triste che la consapevolezza della separazione imminente iniziò a penetrare il grumo dei suoi pensieri disordinati, come una lama affilata.
“Lo credo che non capisci, e posso spiegartelo solo in parte, per questo la fiducia è fondamentale. Io posso essere di una determinazione granitica quando si tratta di sentimenti, per come sono fatto so che fra tre mesi, un anno o una vita ti amerò esattamente come adesso. Mi servirebbe del tempo per mettere in ordine alcune cose mie, che non mi piacciono, e dovrei farlo da solo. Io voglio essere felice con te, lo scopo è quello… ma se non te la senti lascio stare, non voglio che tu ti senta abbandonato.”
Ludger si coprì il viso con le mani, e Amedeo riuscì a sbloccarsi soltanto quando lo sentì singhiozzare; chiamò il suo nome e, mentre gli posava delicatamente una mano sulla spalla, venne travolto da un abbraccio così forte da fargli male. Bloccato, si sentì di nuovo inutile. 
Cercò di parlare con un tono dolce, deglutendo a fatica. “Calmati… Lù ti prego calmati. Mi fido di te e vorrei solo che tu fossi felice.”
Ludger allentò la stretta senza sciogliere l’abbraccio. Il suo viso inanimato lo riempiva di tristezza.
“Ascolta, in qualsiasi momento potrai chiedermi di tornare e io lo farò. Ti lascerò il mio telefonino, potremo sentirci tutte le volte che vorrai. Io voglio essere felice con te, io voglio poter stare bene con te, tutto quello che faccio lo faccio per questo.”
“Io sono già qui.”
“Lo so, io invece non ci sono del tutto.”
“Cosa dovrei fare… nel frattempo?”
“Sai, non credo di essere nella posizione di poterti chiedere niente, fai quello che ti viene di fare, ma non cancellarmi.”
Riconoscendo la frase lo strinse tra le braccia. Sussurrò un ‘sì’, affondando il viso sul collo di Ludger.
Restarono a lungo abbracciati in silenzio, mentre la luce naturale abbandonava la stanza e gli alberi fuori dalle finestre si illuminavano. Amedeo sperimentò una condizione che non conosceva: assaporò quell’odore dolce ormai collegato a un benessere appena scoperto e già associato allo strazio della separazione. Era convinto che non potessero più esistere giornate senza Ludger, e provava un senso di vuoto che gli dava la nausea. Ludger gli accarezzò la testa gustandosi la sua vicinanza e ripensando a tutte le situazioni in cui Amedeo gli era stato vicino senza mai irritarlo, e a come lo avesse riportato indietro. Non smetteva di stupirsi per come fosse riuscito a scavare con dolcezza così a fondo nella sua coscienza, senza chiedergli mai nulla.
“Piccolo, tra poco dobbiamo prepararci. Ho tanto pensato a tutte le cose che mi hai detto e stamattina ho chiamato Anastasia. Partirò domani, con lei, cercherò di fare il bravo… sperando che non parli tutto il tempo… non so quanto starò via, penso tre mesi o più, anche se spero meno… il posto non è importante, però non potremo vederci fino al mio ritorno… penso sia meglio così, perché sarò più motivato a uscirne in fretta. Posso tornare in qualsiasi momento, potrò tornare in poche ore se solo me lo chiederai. Penso che Anastasia stia parlando con mia madre già da un po’, vorrei fartela conoscere. Ti va di venire a cena con noi e restare con me stanotte? Però niente sesso, in queste condizioni sarebbe straziante… Amedeo?”
“Mi hai chiamato piccolo.” Si fermò per fare un sospiro. “Va bene tutto, voglio solo che tu sia felice. Va bene anche la cena con Anastasia, anche se non credo riuscirò a parlare.”
“Non preoccuparti, penso che lei riesca a usare in due ore il numero di parole che tu dici in un giorno. Mi fa tanta tenerezza stare così con te, stasera mi prenderò due caffè così potrò accarezzarti per ore… adesso però dobbiamo prepararci. Prendi tutto quello che ti serve dall’armadio con i vestiti di Nobuko, ci sono diversi pantaloni con taglio maschile, poi farò buttare quelli che non ti piacciono.”
Amedeo si alzò e aprì l’armadio dopo aver acceso alcune lampade. Prese un paio di pantaloni neri con un taglio jeans aderente, staccò l’etichetta del negozio con i denti e se li infilò senza neanche cercare gli slip.
“Mi sembra che questi possano andare. Non far buttare questi vestiti, quelli nuovi che posso usare li prendo. Come mi stanno?”
“Ci divertiremo parecchio al mio ritorno.”
“Che c’entra con i pantaloni?”
Ludger gli lanciò un cuscino. “Vatti a lavare!”
Amedeo prese una camicia ed uscì dalla stanza sorridendo: le risate di Ludger gli sembravano sempre una conquista.

Una volta rimasto solo Amedeo fu assalito dalla malinconia. Nel bagno era stata cancellata ogni traccia del loro passaggio, anche le candele che aveva acceso Elisa erano state sostituite con altre nuove. Aveva l’impressione che quel continuo rimpiazzare gli oggetti cancellasse la storia e il normale scorrere del tempo, causandogli un disagio simile a quello dei suoi sogni ricorrenti. Tutti gli vestiti che stava indossando, compresa la camicia che ancora teneva tra le mani, erano stati comprati per Nobuko. Il fatto che Ludger avesse acquistato quegli abiti per lei gli diede l’impressione di vivere in un incubo: se non si fosse imposto di non essere egoista sarebbe scoppiato a piangere. Per mantenere il controllo si concentrò esclusivamente sui gesti necessari per lavarsi, accogliendo come un rifugio il senso di estraneità che provava. Era determinato a superare quella serata alimentando la sensazione di distacco provata in quel momento. Il sorriso che Ludger gli rivolse mentre rientrava in camera non fu d’aiuto.
“Perdonami, sono molto turbato… non credo che riuscirò a dire una parola per tutta la sera.”
“Non preoccuparti, ti ho già detto che non è importante. Vorrei sentire Elisa, ti andrebbe di chiamarla e passarmela?”
Amedeo gli tese il telefono appena iniziò a squillare. Ludger aveva sperato che parlare con lei potesse alleggerirlo ma non volle insistere; le propose di passare da lui la mattina successiva, perché aveva bisogno di chiederle un favore. Elisa accettò subito, felice di rendersi utile.
Amedeo trascorse quella serata come se niente di quello che stava vivendo lo toccasse davvero. Notò in Anastasia una forte somiglianza con Ludger e, osservandola accanto alla madre, ebbe l’impressione che fossero i suoi genitori: in quei lineamenti poteva vedere quanto avesse ripreso dall’altro ramo della famiglia. Accolsero senza commenti l’invito di Ludger a lasciarlo in pace, Helga si limitò a sorridergli ogni volta che i loro sguardi si incontravano, trattenendosi dal ringraziarlo in diverse occasioni. Anastasia era entusiasta e aveva parlato ininterrottamente, mentre il nipote ed Helga erano intervenuti appena. Durante gli spostamenti in macchina Ludger continuava a tenergli la mano. Amedeo evitava di guardarlo, cercando di concentrarsi sulle strade che scorrevano fuori dal suo finestrino. Il suo distacco lo proteggeva al punto di risparmiargli un imbarazzo che, in altre circostanze, lo avrebbe oppresso; aveva l’impressione di attraversare uno spazio vuoto, senza poter fare o dire nulla di significativo se non sperare che passasse in fretta. Aspettare di essere di nuovo da solo con Ludger, con l’intenzione di cercare di sfruttare il poco tempo che gli restava prima della sua partenza, convinto che non gli sarebbe riuscito comunque.

Una volta arrivati in camera restarono a lungo in silenzio. Quando Amedeo andò in bagno Ludger mise uno dei dischi che voleva fargli ascoltare: Secret Name dei Low. Aveva preso due caffè, intenzionato ad usare il tempo che avevano per stargli il più possibile vicino. Al suo ritorno Amedeo si sdraiò, appoggiandogli la fronte sul collo. 
Ludger avrebbe voluto baciarlo, ma si limitò ad accarezzargli il viso e la testa. “Mi addolora tanto vederti così triste.”
“Non te ne preoccupare. Non posso non essere triste… non so come mi sento perché non riesco a capire del tutto questo momento. Ma voglio che tu ti senta libero di fare quello che senti di dover fare. Non so come farò a sopravvivere senza poter toccare la tua pelle, ma penso… penserò che vivremo di nuovo e faremo l’amore. In qualche modo il tempo passerà, so che se non fosse stato importante per te non lo avresti fatto. Voglio che parti senza preoccuparti della mia tristezza. È un effetto collaterale come tanti altri, e per me è sempre meglio questo che non averti. Ho i pensieri in disordine.”
“I tuoi pensieri mi piacciono, come tutto di te. Vivremo ancora e faremo l’amore, penserò a questa frase anch’io.”
Smise di accarezzarlo per stringerlo con entrambe le braccia. “Questo è il posto dove voglio tornare, sei tu. Questo abbraccio, il tuo respiro sul collo, il tuo calore addosso. Non so quanto tempo ci metterò e dove saremo, ma non importa. Mi è già successo, e il tempo che ci separerà non spegnerà la mia determinazione, non lo ha mai fatto. Voglio tornare qui, voglio tornare a te. Sai, per me è un dono meraviglioso che pensavo di non poter recuperare più. E mi darà forza. Posso solo sperare che tu riesca ad aspettarmi. Se penso ad alcune delle cose bellissime che hai detto quella mattina al museo riesco a crederlo possibile. E mi ci aggrapperò.”
Allentò la stretta per baciargli la testa e riprendere ad accarezzargli i capelli. “Amore. Non posso chiederti di non essere triste. Non posso chiederti nulla. Posso darti solo la certezza che io tornerò.”
Amedeo premette la fronte sul suo collo, aspirando profondamente. “Ludger, ti prego… basta. Mi stai facendo scoppiare il cuore. Io devo ancora capire come arrivare a domani sera. Credimi, è come se avessi paura di aprire gli occhi e vedere cosa è rimasto là fuori, perché tutto crolla. E io non voglio farlo, ma devo ancora trovare il modo per resistere. E quando sto così, parlare mi fa male. Non è bello da dire e mi dispiace. Ma ti prego, non parliamone più. Farò di tutto per esserci quando tornerai. Io non vorrei andarmene più da qui, da come stiamo adesso, però mi rifiuto di ricominciare a girare inutilmente intorno a questo punto. Non ne posso più. Mi piacerebbe ascoltare questa musica bellissima in silenzio, mentre continui ad accarezzarmi… il tempo in qualche modo passerà.”
Rimase sveglio a lungo, sentendo le dita di Ludger scorrere tra i suoi capelli. Dormì male, sfumando un incubo nell’altro, e sussultando violentemente con tutto il corpo prima di addormentarsi sotto le sue carezze.

Ludger iniziò a baciarlo prima che la pillola che aveva appena ingoiato facesse effetto, e tenne la sua testa fra le mani come se avesse dimenticato i propositi del giorno precedente. Amedeo rispose al bacio lasciando il corpo completamente abbandonato. Quando Ludger se ne allontanò per riprendere fiato vide che Amedeo stava per piangere e si fermò. Lo abbracciò accostando la testa alla sua, sussurrandogli all’orecchio un ‘mi dispiace’. 
“Non devi dispiacerti di niente. È tanto bello quando mi baci, ma non riesco a smettere di pensare che stiamo per separarci, non vorrei ma proprio non riesco… sarebbe meglio sfruttare le ore che ci restano, ma mi sento… non lo so… non voglio parlarne ancora. Non cambio idea e voglio che fai questo viaggio.”

Ludger si alzò per iniziare a svuotare diversi cassetti sul letto disfatto, invitando Amedeo a scegliere tra i vestiti di Nobuko quali avrebbe voluto tenere. 
Amedeo era più incantato del solito e rimase affascinato da quel caos. “Ludger… dobbiamo farlo proprio adesso?”
Si fermò per sorridergli con tristezza prima di riprendere ad accatastare magliette. “Sì, non abbiamo molto tempo. Se non vuoi lascia stare, farò buttare a Ravi quei vecchi vestiti.”
Amedeo sperava di distrarsi dedicandosi alla scelta dei vestiti ma, non riuscendo a concentrarsi, si limitò a piegare ordinatamente sulla scrivania soltanto quelli che gli sembravano nuovi e di taglio maschile.
All’arrivo di Elisa avevano appena finito di svuotare parte dell’armadio; si spostarono in cortile per la colazione, ma Ludger si fermò poco perché doveva farsi aiutare da Ravi a organizzare il bagaglio. Elisa notò subito che Amedeo era sconvolto: si muoveva con difficoltà, senza alzare mai gli occhi. 
Preferì aspettare di restare sola con lui prima di rivolgergli una domanda diretta. “Tesoro, ora che siamo soli puoi dirmi che è successo?”
“Ludger deve partire. Non si sa per quanto tempo, con sua zia.” Pronunciava ogni singola parola con fatica. “Mi ha chiesto se voglio che resti. Ma io devo accettarlo… mi ha fatto capire chiaramente che gli serve per stare bene. Lui adesso si sente come se dovesse recuperare qualcosa. E io non voglio che stia male, soprattutto per me.”
Elisa lo ascoltò restando in silenzio. Era preoccupata e decise di fare un tentativo.“È successo anche qualcos’altro?”
Amedeo iniziò a sfiorare la superficie del tavolo con il polpastrello dell’indice. “C’è stato del sesso. È stato molto bello… ma se ci penso mi viene da piangere, e non voglio.”
 Elisa mandò gli occhi al cielo, esasperata. “Come ti senti?”
“Come quando tutto mi sembra alieno, mi fa fatica tutto.”
Ludger, tornando al tavolo, capì immediatamente di cosa avevano parlato.
Elisa quasi lo aggredì. “Ma devi partire proprio adesso?”
La sua reazione non lo stupì. “Devo affrontare un lavoro importante, da solo.. Se lui me lo chiede resto, se non lo faccio di mio è perché sono convinto che sia meglio così per entrambi. Mi rendo conto che può sembrare il momento sbagliato ma per alcune cose è troppo presto, per altre è troppo tardi.”
“Non capisco un cazzo di quello che dici.” 
Amedeo la pregò di calmarsi.
Elisa prese una sigaretta dalla borsa, con gesti nervosi. “Sono rimasta l’unica a fumare, qui?” 
Amedeo gliela tolse dalle labbra e per la prima volta fumò di mattina, senza aver mangiato. 
Si rivolse a Ludger che stava sorseggiando una spremuta d’arancia. “Tu, da ieri… hai fumato pochissimo.”
Lui rispose annuendo, rivolgendogli un sorriso dolce che gli diede forza e abbassò la testa nel riprendere a parlare. “Lisa, io e Ludger abbiamo parlato di questa cosa e abbiamo deciso insieme. Ci sono delle cose che lui deve risolvere e sono cose sue. Io posso solo sperare che ci riesca.”
Elisa era profondamente irritata, ma le parole di Amedeo non ammettevano repliche. “E io che cosa ci faccio qui?”
Ludger riprese a parlare con calma. “Per salutarti. Poi non me la sentivo di lasciare Amedeo così, da solo. Inoltre ci sono alcune cose che gli lascerò, e penso che tu potresti aiutarlo. È inevitabile che tu sia incazzata adesso, ma non volevo darti l’impressione di essere scappato… inizio subito con l’elenco, sperando di non essere noioso.” Fece un sospiro. “Lascerò ad Amedeo le chiavi della mia macchina, voi non l’avete, e se non dovesse servirvi resterà soltanto parcheggiata in un posto diverso. Poi le chiavi di casa mia, che non è questa. Deve essere ridotta uno schifo ma mi piacerebbe andare lì al mio ritorno, e mi piacerebbe se fossi tu, Amedeo, a darle un nuovo aspetto. Ma se non ti va lascia stare, me ne occuperò io quando servirà. Una carta di credito, e non fare quella faccia! Puoi non usarla, ma se deciderai di imbarcarti nell’impresa della casa ci saranno diverse spese. Infine il mio telefonino, così possiamo sentirci. Io ne prenderò uno nuovo e ti chiamerò presto. Fatti aiutare da Elisa per memorizzare il numero. E per il resto. Elisa, è tutto chiaro?” 
Elisa, versandosi il tè, riprese a parlare con tono ironico. “Ho preso appunti. Quando pensi di partire?”
“Appena mi riesce, tra non molto direi.”
Amedeo raccolse tutti gli oggetti che Ludger gli aveva lasciato sul tavolo. “Vado di là a prendere il resto e torno. Preferisco andarmene adesso. Non voglio salutarti quando parti. Voglio tenere nella memoria che ti ho lasciato qui. Ci sarà una parte del mio cervello scemo che ti immaginerà sempre qui.”
Trovò un borsone con i vestiti che aveva lasciato sulla scrivania, insieme ai CD di cui avevano parlato e il lettore portatile. Si sfilò la collana perché anche lui voleva lasciargli qualcosa: la tenne in mano alcuni secondi prima di sfilare l’anello che gli aveva regalato Sebastiano, per indossarlo al pollice sinistro. Era troppo largo per infilarlo in altre dita. Lasciò cadere quel sottile filo d’argento sulla prima valigia che Ludger avrebbe visto rientrando. Stava pensando ai simboli dell’antica Grecia, e gli sembrò appropriato lasciargli un messaggio non traducibile in parole, come i monili d’argilla spezzati al momento di una separazione per conservare l’idea che le due parti dovessero essere riunite. Pronunciò a bassa voce “Sym-ballo. Diabàllo”. Si guardò intorno un’ultima volta, provando un forte senso di nausea, e afferrò le sue cose prima di uscire da quella stanza, quasi correndo. 

Elisa restò ferma, guardando Ludger piangere in silenzio; non era in grado di fare nulla per lui perché si stava sforzando di tenere a freno la propria rabbia. In altre circostanze lo avrebbe aggredito anche solo per sfogarsi, in quel momento invece cercò di controllarsi. 
Accese una sigaretta prima di tornare a parlargli. “Stai facendo un casino, immagino che tu abbia le tue ragioni. Dimmi che lo fai per lui e che cercherai di tornare il prima possibile.”
“C’è bisogno di dirlo? Lo so che adesso sei incazzata come una tigre a cui hanno ferito il cucciolo, e hai ragione. Torna a pensarci quando l’avrai smaltita. Tu sai tutto quello che c’è da sapere per capire perché voglio farlo.”
Entrambi non erano in grado di aggiungere altro. Ludger si asciugò gli occhi restando in silenzio fino a che Amedeo non li raggiunse. A Elisa sembrò diverso, non solo per i pantaloni aderenti di Nobuko e i capelli non tagliati da due mesi ma, soprattutto, per l’andatura energica e decisa con cui raggiunse Ludger guardandolo dritto negli occhi. 
“Voglio baciarti. Voglio baciarti e poi andarmene senza neanche una parola. Non ne posso più di parole.”
Ludger annuì, bloccando le ruote della sedia. Amedeo continuava a guardarlo con le sopracciglia corrugate desiderando di stringerlo tra le braccia, ma in quel momento la sedia a rotelle gli sembrò  un ostacolo. Si chinò verso di lui e posò le mani sui polsi di Ludger, abbandonati sopra i braccioli; lo baciò aprendo subito le labbra, premendo fino a fargli poggiare la testa sull’imbottitura della sedia. Amedeo  si allontanò, per poi voltarsi iniziando a camminare senza alzare lo sguardo né voltarsi indietro. 
Elisa, sbalordita per il comportamento di Amedeo,  si alzò di scatto per seguirlo. “Ludger, io vado che senza guida qui mi perdo.” Si fermò solo il tempo di dargli una carezza sul viso. “In bocca al lupo, farò tutto il possibile per aiutarvi.”
La ringraziò senza alzare lo sguardo. Elisa dovette affrettarsi a raggiungere Amedeo che stava camminando con una velocità insolita. 
Fuori dal cancello Amedeo, accesa una sigaretta, iniziò a parlare soffiando fuori il fumo. “Lisa, ho lasciato a Ludger la collana che mi hai regalato, spero non ti dispiaccia. Avevo quella e l’anello di Sebastiano, sono sicuro che tu puoi essere molto più comprensiva di lui.”
“Hai fatto bene, te ne regalo un’altra. Tesoro, cosa vuoi fare adesso? A me va bene tutto.”
“Prenderò la macchina di Ludger e andrò a vedere il mare, da solo. Però stasera voglio prendermi una sbronza micidiale, se non ci sei chiamo Davide.”
Lo salutò dandogli appuntamento per il tardo pomeriggio, per poi restare diversi minuti da sola davanti al cancello, stupita e disorientata. Ripensò al fatto che Ludger riteneva avesse tutti gli elementi per capire quello che stava accadendo, sentendosi comunque molto confusa. Amedeo le aveva appena dimostrato che non sarebbe stata in grado di prevedere le sue reazioni, ed era spaventata al pensiero delle conseguenze che quella storia avrebbe avuto sul suo amico. 

Amedeo ricordava facilmente i percorsi fatti anche una sola volta, soprattutto se era stato lui a guidare. Si fermò in un bar lungo la strada per prendere un caffè, comprando anche un panino e una birra che ripose nello zaino. Nel vano portaoggetti trovò soltanto il mazzo di chiavi con il telecomando del cancello; lasciò la macchina nello stesso posto, scese e iniziò a camminare. L’acqua era abbastanza pulita ma lui si limitò a guardarla distrattamente perché voleva soprattutto muoversi sentendo il suono delle onde. 
La suoneria del telefonino lo fermò, e lo portò all’orecchio mentre si sedeva sulla sabbia.
– Dove sei? –
– Penso sia ancora Fregene. Ho lasciato la macchina dove siamo stati insieme l’altra volta e da allora cammino sulla riva, non so quanto sia passato. –
– Come stai? –
– Non lo so, forse non sto. Ma stasera torno a casa e mi sbronzo. Non voglio parlare con Elisa, non voglio parlare con nessuno. Vorrei stare su un pianeta disabitato per i prossimi mesi. Tu come stai? –
– Per ora non devo far altro che resistere alle chiacchiere di Anastasia, mi sta facendo sanguinare le orecchie. Da domani inizia il lavoro difficile. Già mi manchi. –
Ludger restò in attesa ascoltando il fruscio del vento e del mare.
– Amedeo? –
– Sì. Scusa. Memorizzo il numero, almeno provo. Ti chiamo più tardi, se non mi senti richiama tu. –
Troncò la conversazione per restare a fissare il mare, talmente confuso da non riuscire a distinguere un singolo pensiero da seguire.

Quella sera, seduto per terra in camera sua senza accendere le luci, mangiò il panino rimasto nello zaino, senza neanche provare a distrarsi.
Elisa lo trovò con una lattina di birra in mano davanti a un film che aveva già visto moltissime volte. Amedeo la ringraziò per avergli portato una collana identica a quella che aveva lasciato a Ludger, aggiungendo di non aver voglia di parlare senza distogliere lo sguardo dalla TV. Lei non si scoraggiò e tornò portando la cena su due vassoi, che Amedeo toccò appena; continuava a fumare senza pause e finì la scorta di birra. Parlarono pochissimo e soltanto di cose insignificanti. Quando Ludger lo chiamò sobbalzarono per quel suono sconosciuto.
– Pensavo non fossi riuscito a memorizzare il numero. – 
– Non ci ho neanche provato. –
– Ora però provaci e fammi subito uno squillo, chiedi a Elisa di aiutarti… vorrei sentirti quando ti svegli, anche per un attimo e a qualsiasi ora. Sicuramente mi sveglierò sempre presto, perché la mattina dovrò lavorare parecchio. Puoi farcela? –
Il numero fu salvato grazie ad Elisa e Amedeo gli inviò un messaggio per augurargli la buona notte. 
Alla terza visione consecutiva del film lasciò il letto di Elisa, che stava dormendo profondamente da ore, per spostarsi nella propria camera. Restò sveglio ancora a lungo malgrado fosse molto ubriaco.

Amedeo trascorse le prime settimane con l’impressione che il tempo avesse smesso di scorrere, condannandolo a rivivere sempre la stessa giornata vuota: dormiva fino a ora di pranzo; non seguiva le lezioni all’Università; a partire dal pomeriggio beveva birra durante lunghe passeggiate senza meta nel centro della città, attraversando vicoli poco frequentati per tornare a casa stanco e ubriaco. Mangiava pizza al taglio o tramezzini, e al supermercato comprava soltanto alcolici. 
Ogni mattina riceveva una telefonata da Ludger, mentre la sera era lui a chiamarlo: conversazioni brevi che percepiva prive di spessore, e le parole  che scambiavano sembravano restare sulla superficie di un abisso che si rifiutava di misurare. Non aveva mai ricevuto tante telefonate e gli sembrava paradossale sentirlo così spesso senza poterlo vedere.
Un giorno, appena sveglio, trovò un post-it di Elisa.

Tesoro, non sopporto più neanche di vederti…
perdonami.
Le ho provate tutte ma non ce la faccio più. 
Mi rifugio da Giulia, e resto lì
fino a che non mi dai un segnale di ripresa…
Così, io, non ci sto più.

Restò a lungo seduto sulle mattonelle fredde guardando la calligrafia della sua amica: avrebbe voluto permettere a quel messaggio di scavare nella sua coscienza fino a ricavarsi l’attenzione che meritava. Restò a lungo seduto in corridoio davanti alla porta della sua stanza; da quella posizione aveva una prospettiva nuova della finestra della cucina: vedeva il cielo bianco delle prime ore del pomeriggio, freddo come se fosse ancora pieno inverno. Si alzò per mettere un CD sperando che la musica riuscisse a dargli slancio, e scrisse un messaggio ad Elisa per ringraziarla mentre si preparava il caffè. Riordinò e pulì la sua stanza, maturando la decisione di cambiare radicalmente rotta: innanzitutto voleva riprendere ad alzarsi presto per andare all’Università. Il suo continuo spostare in avanti il risveglio gli sembrò un tentativo di alterare il ritmo quotidiano per confondere le mattine con i pomeriggi. Pensò di aver cercato di evitare quella parte della giornata che associava a Ludger. Sapeva di censurare diversi ricordi collegati a lui e di non essere abbastanza forte per smettere, ma non poteva continuare a sostenere quel ritmo.

Il giorno successivo Amedeo si sentì come appena atterrato in un modo alieno: gli sembrava che tutti avessero uno scopo o una direzione, mentre lui restava estraneo a qualsiasi cosa lo circondasse. Capì che si sarebbe dovuto impegnare molto per tornare a inserirsi nel normale scorrere del tempo.
Davide lo raggiunse mentre stava fumando all’ombra di una siepe.
“Sei un gran figo con questi vestiti, con il capello lungo sugli occhioni torvi. Però non guardarmi così, scherzo… ma stai bene?”
“No.”
Dallo stupore passò repentinamente alla preoccupazione. “Che ti è successo?”  
“Tutto.”
Davide rise prendendogli un braccio per andare a lezione. “Amedeo, lo so che  con me tu parli esclusivamente di storia dell’arte, ma te lo dico lo stesso. Te lo dico così sono sicuro che lo sai. Mi farebbe piacere anche sentirti parlare di altro, non so, tipo quello che ti succede. Se ne hai voglia io ci sono e puoi chiamarmi in qualsiasi momento.”
In qualsiasi momento.” 
Aveva ripetuto quella formula con una voce completamente priva di intonazioni, ricordando le parole di Ludger.
Davide rise. “Però ti prego di non fare l’automa, che mi spaventi! Adesso pensiamo alla lezione… per quelle che hai saltato ti posso passare i miei appunti.”

Davide lo convinse a pranzare insieme. Amedeo fece molta fatica a mantenere l’attenzione ma sapeva di doversi impegnare, e passare del tempo con un amico poteva essere un buon modo per iniziare. Davide era particolarmente allegro e ironizzava su come un gruppo di ragazze, che chiamava le galline, si fossero prodigate per aiutarlo a recuperare le lezioni saltate. Amedeo cercò di lasciar cadere quello scherzo che lo annoiava e, senza replicare, prese il telefono dallo zaino per controllare se Ludger gli avesse scritto. 
Davide non smetteva di entusiasmarsi. “Che figo! Te lo sei comprato?”
Malgrado l’assenza di una risposta il suo amico non perse slancio, sperando di trovare un argomento che risvegliasse il suo interesse.
“Domani sera sto organizzando la solita cena a casa mia, ti andrebbe di venire? Mi farebbe super piacere se venisse anche Ludger.”
Quell’invito lo fece bloccare. Davide lo guardò con tenerezza; era abituato alle sue stranezze, ma quel giorno Amedeo gli sembrava particolarmente distratto. 
“Se preferisci salutiamoci, non voglio infastidirti e sei così strambo.” 
Davide era sempre stato molto amichevole con lui, e Amedeo pensò di non aver motivo per censurarsi. 
“Scusami, sono molto confuso… con Ludger… è iniziato qualcosa. Subito dopo è partito e non so quando tornerà. Il telefonino è suo e ci sentiamo spesso, ma non capisco la situazione. Mi ha lasciato così tante cose e non c’è niente di facile ora. Fino a quando è stato qui mi sembrava di capire tutto, ed era straordinario. Difficile, ma bellissimo. Insomma sono piuttosto confuso, ma ho deciso di provare a reagire. Per questo oggi sono qui, e probabilmente verrò alla tua cena domani. Grazie. Ora però vado.”
Davide restò a guardarlo allontanandosi con un’andatura decisa che non gli aveva mai visto; i suoi cambiamenti non smettevano di stupirlo.

Sulla strada di casa Amedeo si fermò al supermercato dove decise di acquistare poca birra e molta insalata, determinato a mantenere il suo cambiamento di rotta. 
Nella borsa presa nella stanza di Ludger trovò una busta che conteneva delle chiavi con un indirizzo scritto a mano. Restò fermo per alcuni minuti a guardare quella scrittura sconosciuta: poche parole in stampatello maiuscolo, con un carattere regolare da architetto. Lo colpì pensare che quei segni erano stati tracciati da Ludger, e avrebbe voluto vederne ancora. Gli mandò un messaggio per chiedere se poteva scrivergli una lettera, raccontando quello che voleva, anche copiando da un libro. Mise uno dei dischi che gli aveva lasciato Ludger ed iniziò a prepararsi per uscire.
Consultando un Tuttocittà raggiunse un quartiere che non conosceva, vicino a uno dei parchi più grandi di Roma. L’appartamento era all’ultimo piano, in una palazzina distante dall’ingresso di un complesso residenziale pulito ed elegante. Sul citofono il cognome di Ludger era scritto con una calligrafia diversa da quella della busta. 
Per Amedeo aprire una nuova porta richiedeva sempre un certo impegno, perché affrontare un ambiente nuovo non poteva che essere faticoso. In quel caso si sentiva come all’ingresso dell’ennesimo mausoleo che lo avrebbe riportato al fumoso passato di Ludger. Si scosse ricordando che il suo nuovo piano consisteva soprattutto nel cercare di tenersi sempre impegnato. Spalancò la porta per poi richiudersela alle spalle; la prima sensazione fu di aver attraversato un varco verso un luogo del tutto scollegato rispetto all’esterno. Gli sembrava di essere finito sottoterra: la quantità di polvere che ricopriva ogni superficie ammorbidiva i contorni aumentando quell’impressione. Dall’ingresso si accedeva a un grande soggiorno buio con gli avvolgibili completamente abbassati; Amedeo li sollevò per spalancare le finestre, che occupavano interamente una delle pareti. L’aria alzò un turbinio di polvere che lo costrinse a rifugiarsi sull’ampio terrazzo: da lì si vedevano soltanto gli alberi della villa, una visione fresca e lontana. Fumò una sigaretta pensando alle ‘scorie che sopravvivono alla distruzione di un insieme’, senza voler capire il motivo che aveva spinto Ludger a mandarlo lì. Amedeo si sentiva assimilabile alla definizione di scorie: quella casa somigliava alla condizione che stava vivendo, e immaginò di potercisi rifugiare. In poco tempo visitò tutte le stanze, aprendo finestre e sollevando gli avvolgibili. Il soggiorno aveva diverse macchie di colore di forma quadrangolare sulle pareti; dovevano essere tracce di dipinti realizzati e poi tolti da lì. Vide diverse impronte di mani colorate e, sovrapponendo la propria a una di quelle più lunghe, pensò al ragazzo che in quel luogo aveva vissuto ‘in un tempo felice come quello delle fiabe’. Gli scaffali erano stati svuotati, e delle mensole a penisola separavano la cucina dallo spazio del soggiorno: gli unici oggetti superstiti erano alcuni vasi con piante morte da tempo, che immaginò essere state orchidee. Superò diverse stanze fino ad arrivare ad una camera in fondo al corridoio, dove un materasso fuori misura poggiava direttamente sui tatami. Sopra al letto trovò una polaroid, un autoscatto. Dopo averla pulita dalla polvere vide una ragazza, che non poteva essere che Nobuko, abbracciata a Ludger. Sorridevano felici e vicini, giovanissimi. Nel riconoscere quell’espressione sul viso di Ludger si sentì di nuovo mancare l’aria, e aprì con violenza una porta-finestra per tornare in terrazzo e chiamarlo. 
Gli rispose al primo squillo, come sempre. – Sono nella tua casa a Monteverde e non so da dove iniziare… Lù? – 
– Oggi non smetti di stupirmi. Immagino debba essere un posto da brividi. Per prima cosa dovresti trovare qualcuno che la svuoti e la pulisca. Fai buttare tutto, Ravi ha preso quello che c’era da salvare quando mi sono trasferito da mia madre. Poi servirà un architetto o un arredatore, però mi piacerebbe che fossi tu a scegliere e non lui. Hai visto la mia camera, mi piacciono i mobili molto essenziali ma per i colori ti prego di evitare il bianco e il verde ospedale. Com’è andato il primo giorno di scuola? – 
– Molto faticoso, non sono più abituato a tutte quelle persone. Davide mi ha preso in giro tutto il tempo dandomi del bel tenebroso e insinuando che le galline, un gruppo di ragazze che gli fa il filo, fossero in agitazione per me. Io queste cose non le capisco e lui lo tollero perché so che è buono… forse voleva lusingarmi, ma mi ha infastidito… perché ridi? – 
– Non penso ti stesse prendendo in giro, stai cambiando. Non lo fai apposta e non te ne curi, ma credo che chi non ti ha visto nelle ultime due settimane noti subito la differenza… sono sicuro che tu stia diventando bellissimo. – 
Amedeo restò in silenzio a lungo, fino a quando Ludger pronunciò il suo nome credendo che la chiamata fosse stata interrotta.  
– Sì, scusa… pensavo. Questo genere di cose lo sai che non le capisco. Mi sfuggono anche le connessioni, e mi irritano. Però se ne parli tu è diverso, mi fa male in modo diverso… non trovo un modo decente per dirlo. Forse è così… doloroso perché non sei qui. Perché quando eri qui non mi faceva così male, anzi… a tratti poteva essere divertente, anche se non capivo. – Si riempì d’aria i polmoni. – Mi manchi da impazzire. –
– Anche tu… lo sai che non me lo avevi mai detto? –
– Ludger… io devo sopravvivere. Non posso annegare in queste cose se voglio reagire. – 
– Posso capirlo. Adesso però vai via da quel posto triste. Hai altri programmi per oggi? – 
– Forse stasera andrò a una cena con Elisa, vorrei tenermi sempre occupato. – 
– Faresti bene ad andare. C’è una cosa che ho capito da poco e volevo dirtela, non so cosa te ne farai, ma te la dico comunque. Ho capito che non sono geloso. A parte che non potrei permettermelo, ma non lo sono davvero. –
– Ma che c’entra questa cosa adesso? – 
– Niente, ma pensavo dovessi saperlo. –

Il giorno dopo Amedeo arrivò da Davide nel tardo pomeriggio, dopo aver lasciato le chiavi a una ditta che avrebbe svuotato e pulito la casa di Ludger. Il suo amico era ancora solo e lo accolse con un calice di prosecco, dichiarando che avevano ancora un po’ di tempo prima di dover iniziare a cucinare. Fumarono in balcone quasi senza parlare. Amedeo continuava a spostare dagli occhi le ciocche di capelli, e Davide ne rise. 
“Vuoi che ti aiuti con i capelli?”  
“Cioè tagliarli?”
“No, però potrei farti vedere come mandarli di lato.”
Si spostarono in bagno dove Davide gli spiegò con una certa perizia, che Amedeo trovò surreale, un modo per liberare il viso dal ciuffo che lo infastidiva; lo mise in pratica usando il phon, e riuscì a spostare la frangia dalla fronte. Non aveva mai portato i capelli in quel modo. Davide era evidentemente soddisfatto del risultato ma Amedeo non si soffermò a lungo, perché evitava di guardarsi allo specchio quando non era da solo. Corrugò le sopracciglia sperando di uscire da quella situazione in fretta; non capiva la reazione entusiasta di Davide, e lo ringraziò prima di tornare velocemente in cucina. 
Davide lo raggiunse ridendo. “Amedeo, con me puoi stare tranquillo. Per me sei come un fratello, le tue stranezze mi fanno solo tanta tenerezza…”
Non capiva la necessità di quella precisazione. “Ho già un fratello.”
Davide trattenne a stento il suo divertimento. “È un modo di dire.”
Amedeo era confuso perché quel termine non poteva che associarlo a Sebastiano. “Ho già un fratello per modo di dire.”
Sorella mi sembra un po’ troppo.”
Amedeo si costrinse a sorridere, chiedendogli cosa dovessero preparare; si ritrovarono in cucina sminuzzando verdure con calici e posacenere sempre pieni. Davide era curioso di conoscere i dettagli della sua storia con Ludger, ma evitava di fargli domande per non infastidirlo. Amedeo gliene parlò spontaneamente dopo aver finito il secondo bicchiere di prosecco. Ricostruì per lui le dinamiche degli ultimi giorni passati insieme a Ludger, cercando di mantenere quel resoconto il più possibile scarno. Quando iniziò a raccontargli del  loro ultimo incontro si accorse di aver evitato di pensarci, al punto di non possedere le parole per descriverlo. Davide lo guardò con interesse senza osare dire nulla, e Amedeo si ritrovò a respirare profondamente prima di concludere.
“Quando si è svegliato stava bene. Mi ha baciato… ci siamo baciati, ma è come se avesse fatto tutto lui, forse è stato proprio così, perché io ho fatto davvero poco… ci sono state anche altre cose ma non me la sento di parlarne. Se ci penso mi sento male, letteralmente. Io, lo sai, quando mi fisso con qualcosa che mi piace non smetterei più… Ma Ludger è una persona, e il mio modo di accanirmi su quello che mi appassiona con lui non è del tutto giusto, perché non è una cosa… non lo so e non posso saperlo perché è come se avessi chiuso quel canale. Ludger è partito la mattina dopo e io sono ancora tramortito. Non parliamone più, ti prego.”
Il suo amico era molto colpito. “Certo, se ci stai male non parliamone più… è difficile capire chi tra i due sia riuscito a svegliare la bella addormentata… anche perché mi pare che tu non ti sia ancora svegliato del tutto.”
“Davide, a volte non capisco quello che dici, e subito dopo tu ridi…”
Amedeo raccontò dei primi tempi dopo la separazione, della sensazione di vuoto che aveva provato, e di come avesse cercato di uscirne tenendosi sempre occupato. Davide si offrì di presentargli un amico architetto per ristrutturare la casa di Ludger.
“Lorenzo nel suo lavoro è bravissimo. Ci sarà stasera e sono sicurissimo che, da un punto di vista professionale, non potresti trovare di meglio. Però devi promettermi di fare attenzione con lui. Non mi fare quella faccia che non mi va di farti un discorso così, da genitore preoccupato. Tu evita di restare da solo con lui in situazioni, diciamo così, ambigue.”
Amedeo scosse la testa. “Davide queste cose non le capisco, devi essere chiaro.”
Rise, mandando gli occhi al cielo. “Lorenzo è sempre a caccia e tu potresti piacergli parecchio. Considerando quanto sei confuso per la storia con Ludger, ti consiglierei di evitare di trovarti in un contesto in cui potrebbe tentare un approccio diretto. Lui è un tipo molto raffinato, sono sicurissimo che non ti metterebbe mai in difficoltà, ma conoscendoti ho pensato che fosse meglio avvertiti. Tutto qui, stai tranquillo.”  

Quella sera la casa di Davide si riempì al punto che non tutti riuscirono a mangiare seduti; Amedeo venne presentato a molti ospiti e altri lo avvicinarono direttamente, per niente scoraggiati dal fatto che parlasse pochissimo. Spesso Davide gli tornava vicino rispondendo per lui e, a volte, gli cingeva le spalle. 
Amedeo si trattenne diverso tempo con Lorenzo che si dichiarò disponibile per lavorare alla casa di Ludger, e gli lasciò il suo numero per organizzare un sopralluogo. Amedeo partecipò alla conversazione con un interesse crescente quando si trovarono a parlare di architettura gotica; continuarono fino a quando annunciò di essere stanco, rifiutando con gentilezza la sua offerta di un passaggio in macchina.
Tornato a casa si fermò a bere un ultimo bicchiere di vino in compagnia di Elisa e Giulia che, oltre a frequentare spesso il loro appartamento, aveva un rapporto molto intimo con la sua amica. A volte si erano trovati a parlare anche da soli, mentre Elisa portava a termine i suoi interminabili preparativi per uscire; era capitato anche in piena notte, perché Giulia aveva il sonno leggero. Il suo carattere poteva apparire difficile a uno sguardo superficiale. Ostentava anche un aspetto aggressivo, nelle posture e negli abiti da teppista che indossava per apparire più androgina, ma ad Amedeo piaceva per la sua riservatezza, unita una particolare delicatezza nei modi che riusciva a emergere malgrado le sue maschere. Inoltre la trovava straordinariamente bella, autentica, e questo lo aiutava ad accettare le sue spigolosità. 
Quella notte le ragazze erano state a ballare e avevano un umore particolarmente vivace. Amedeo si lasciò prendere in giro gustandosi la loro euforia, malgrado affrontassero tematiche che in altre circostanze lo avrebbero sicuramente irritato. Non gli furono risparmiati commenti sui capelli pettinati in modo diverso e i vestiti che aveva preso dall’armadio Ludger. Giulia arrivò a chiedergli quanto avesse rimorchiato quella sera guadagnandosi una gomitata da parte di Elisa. Amedeo lasciò la domanda in sospeso e alzandosi le salutò con un sorriso. 

Un pomeriggio, tornando dall’Università, Amedeo trovò una lettera nella cassetta della posta: il lato del mittente era in bianco, ma riconobbe immediatamente la calligrafia dall’indirizzo sulla busta. Appoggiandosi al lato del portone l’aprì subito.

Sei completamente inconsapevole della tua bellezza, 
e questo candore non fa che renderla più autentica.
Non penso alla bellezza evidente dei tuoi occhi, delle tue mani e delle tue labbra…  
e qui mi costringo a interrompere un elenco che potrebbe annoiarti.
Penso soprattutto al tuo saper stare silenziosamente vicino alle persone, 
accettandole con una naturalezza che sembra restituirgli leggerezza, possibilità. 
Umanità.

Spesso mi sono chiesto come sia stato possibile che tu sia arrivato a scavare così in profondità con me, 
ancora non ho trovato una risposta. 
Sono sicuro che avanzando nel labirinto non hai fatto nessun rumore 
e non avevi nessun filo che ti avrebbe portato in salvo, 
ne sono sicuro perché altrimenti non ti avrei mai permesso di avanzare fino a questo punto. 

Tu hai trovato qualcuno, qualcosa, che pensavo di aver ucciso da tempo.
Io sto ancora qui a stupirmi di quanta forza sei riuscito a dargli, 
a cercare il modo per diventare, ritornare, a quella cosa 
che, probabilmente, è la parte migliore di me.

Lesse la lettera tre volte, e dopo una pausa tornò a farlo ancora. Non comparivano nomi, ma non pensava fossero necessari. La calligrafia era diversa da quella che conosceva, uno stampatello minuscolo che non lasciava trasparire l’aggressività dei caratteri che aveva già visto. Concentrato sulle diverse calligrafie, cercava di studiare quei segni come un reperto prezioso in grado di veicolare altri significati. Si stupì quando scoprì di avere il viso bagnato di lacrime. Scrisse un messaggio per avvertire Elisa che avrebbe saltato la cena che avevano in programma con alcuni amici. 
Quella sera tornò a camminare da solo per i vicoli del centro fino a stremarsi. Chiamò Ludger dal Lungotevere, guardando il fiume da Ponte Sisto. 
– Grazie per la lettera, è bellissima. Hai calligrafie diverse. Stasera sono uscito a camminare. Ho i pensieri in disordine, però scrivimi ancora, anche con altre calligrafie. – 
– Stai bene? – 
– No, mi impegno per non pensare tutto il tempo, ma adesso voglio pensare a te. Solo che è doloroso. Scusami, ora riprendo a camminare verso casa. – 
– Dove sei? – 
– Ponte Sisto, guardo l’acqua e i gabbiani. Camminare mi calma… tu come stai? – 
– Nervoso, vorrei fare tutto quello che non posso fare. Anastasia parla in continuazione… ma resisto, non la picchio, non mi faccio, non scappo… aspetto che questo tempo orribile passi. –
– Se potessi concederti di essere debole e scappare, dove andresti? –
– Ponte Sisto, non so se guarderei acqua e gabbiani…  Ma non ho i mezzi neanche per fare pochi metri… e non puoi immaginare quanto lo vorrei. Per favore, mandami un messaggio quando arrivi a casa. –
Amedeo non rispose e Ludger ascoltò a lungo i rumori del traffico sul Lungotevere fino a quando non tornò a pronunciare il suo nome.
– Sì, Ludger, sì… sono qui… a volte ho l’impressione di odiarti. Mai per intero, ma è comunque brutto. – 
– Non mi stupisce. Succede anche a me, o meglio, mi succedeva e neanche troppo in parte. Ma adesso non posso permettermelo. Adesso non posso concedermi queste debolezze. Perchè vorrei tornare presto da te, intero. – 
Di nuovo Amedeo rimase in silenzio troppo a lungo, ma Ludger stavolta si limitò a restare in attesa.
– Vado. Non sono in condizioni di parlare. Più tardi ti scrivo un messaggio. A domani. –