Amedeo si organizzò con una tabella di marcia sempre più fitta, cercando di essere sempre impegnato con qualcuno; si limitava ad accettare qualsiasi invito. Alcuni dei suoi amici si ricavarono uno spazio costante:  Elisa iniziò a coinvolgerlo in tutte le uscite con i suoi amici; Davide aveva deciso di stargli vicino a tempo pieno e, spesso, lo accompagnava persino in biblioteca, anche per togliergli una delle galline di torno; lo invitava sempre alle cene che organizzava ed era molto interessato ai suoi resoconti seppur laconici.
Lorenzo fece un sopralluogo nell’appartamento di Ludger, ricavandone una piantina sulla quale tradusse in segni gli spunti che Amedeo gli aveva esposto; iniziarono a visitare diversi negozi di mobili, arrivando a progettarne alcuni insieme. Lorenzo sapeva poco di Ludger, ma aveva capito che si trattava di una relazione sospesa e importante; apprezzava molto la compagnia di Amedeo malgrado gli sembrasse insensibile a tutto ciò che non fosse collegato alle proprie proprie passioni. In quelle occasioni lo vedeva animarsi ed era in grado di restare ad ascoltarlo per ore, incantato.
Amedeo rifiutò il suo invito a cena ma accettò la proposta di andare al cinema insieme a patto di portare anche una sua amica con cui voleva vedere lo stesso film. Dopo la proiezione decisero di fermarsi a bere in una vineria; la serata fu talmente piacevole che iniziarono a uscire spesso insieme. A Elisa piaceva Lorenzo, soprattutto quando riusciva a rilassarsi dopo un bicchiere o due e lei iniziava a scherzare sui suoi modi raffinati, sulla sua età avanzata, sul suo parlare ampolloso per farsi bello. Amedeo assisteva con divertimento ai loro teatrini; li trovava più piacevoli insieme che singolarmente, come se riuscissero a stemperare alcune caratteristiche che, quando li frequentava da soli, trovava faticose.
Negli ultimi tempi il rapporto con Elisa era divenuto più superficiale; Amedeo evitava di proposito qualsiasi argomento che riportasse a Ludger, perchè parlarne con lei lo portava ad irritarsi. Avevano smesso di dormire insieme dopo la prima settimana di continue sbronze, ma Amedeo la trattava con affetto, abbracciandola spesso e a volte baciandola. Lei lo vedeva cambiare costantemente. Amedeo stava seguendo un allenamento suggerito da un personal trainer conosciuto a casa di Davide. Mangiava soltanto carne e insalate; aveva sempre la segreteria telefonica piena di messaggi in cui gli venivano proposti incontri in biblioteca, mostre, vernissage e appuntamenti che spesso ignorava. Erano poche le persone a cui lasciava il numero del telefonino.
Nei pomeriggi in cui restava libero iniziò a recarsi all’appartamento di Ludger, dove erano iniziati i lavori di ristrutturazione. Gli operai si rapportavano a lui con evidente imbarazzo perché trovavano insolito che qualcuno li aiutasse nel loro lavoro, così iniziò ad andarci quando loro staccavano, per poi fermarsi fino a quando gli riusciva.
Ludger gli aveva chiesto di evitare il bianco e il verde ospedale e una di quelle sere preparò i colori destinati alle pareti dei vari ambienti, partendo da un grigio chiaro e variando leggermente le tonalità per ciascuna stanza. Amedeo sentiva un legame forte con quel luogo, come se rappresentassero entrambi dei frammenti del passato di Ludger lasciati in sospeso. Non riusciva ad associare un colore lontano dal grigio per le pareti: quella tonalità rifletteva esattamente il suo umore. Quelle serate, passate a lavorare con la musica a un volume troppo alto, erano le uniche occasioni in cui riusciva a restare da solo senza scivolare nella malinconia.

Un animale in gabbia, a volte non resta nient’altro
Il confine è la pelle, la gabbia è questo corpo che odio

Una condanna che non conosce tregua
Una bestia che grida per la fame e la paura

Il tempo ci trascina via e io non posso vedere dove
Questo tempo orribile, speso a scontare una condanna necessaria

Riconquistare il confine, arrivare alla pelle
toccare la tua pelle, vivere ancora

– Ponte Sisto, la calligrafia è diversa. Ci sono i gabbiani. Non so neanche a quante persone ho dato buca oggi. –
– Mi sono pentito di averti scritto quella cosa. Stavo male, scusami. –
– Io invece ne sono felice… Ti ammiro perché ti permetti di stare male. Io sono un vigliacco. Ho riempito i miei giorni per non pensare, quasi neanche metto a fuoco le persone che mi stanno vicino. Certe volte non so nemmeno come si chiamano… sarà colpa di Davide che le chiama galline, poverette. –
– Smetti di frequentarle, puoi farlo. Frequenta quelli che potresti definire amici. Lo sai, non lo dico per gelosia, ma perché penso non sia giusto… con tutte le cose che fai non ti diverti mai? –
– Mai. Quando vedo qualcosa che mi piace vorrei vederla con te, quando vivo qualcosa con un po’ di presenza vorrei fossi presente anche tu. Scrivimi ancora, scrivi tutte le volte che vuoi. È quella la voce che voglio sentire. –
– Amedeo, se vuoi io posso tornare anche stanotte… –
– No! Non voglio… devi fare quello che devi fare, ormai non so usare neanche le parole, ma se lo hai definito necessario mi sembra più importante dei miei capricci. Mi piaceva quando iniziavi a parlarmi dicendo ‘sai’ per poi dire cose che io non avrei mai potuto immaginare. Cos’è successo al tempo, Ludger? Perché non riesco più a capirlo? Poi torniamo qui insieme? Ora mi fumo una sigaretta guardandoci lì, a pochi metri. Poi torno a casa e dopo ti mando un messaggio. Tu, però, scrivimi ogni volta che vuoi, perché ogni tanto devo aprire gli occhi anche se fa male, e lo permetto solo a te. –

– Ludger! Come stai? Amedeo è in bagno… io starei anche bene se non vivessi a contatto con questo mostro! Non posso più guardarlo per quanto è bello, però mangia troppo poco e mi fa preoccupare… e poi tutto il branco, le galline e l’arredatore… che mi ci porta anche al cinema… almeno lui poteva essere per me, no? –
Amedeo si era affacciato sulla porta, e tornò ad asciugarsi i capelli dopo aver sentito il tono scherzoso di Elisa. Ludger aveva riso con lei, prima di chiederle di descrivergli Lorenzo.
– Un bel tipo, più grande. Sarà sui trenta, trentacinque, non gliel’ho chiesto perché non è educato chiedere certe cose alle signore. È palloso quando parla difficile per farsi bello con Amedeo, il pedofilo, ma tanto non ha speranze, come tutti, poveracci…  però Lorenzo è in gamba, quando beve e si rilassa diventa anche molto simpatico, e non se la prende mai per i miei insulti, mi troverà neorealista… ed è un bell’uomo, per la sua età, troppo leccatino ma bello. –
– Amedeo è ancora in bagno? Come sta lui, secondo te? Con me parla pochissimo. Purtroppo non gli piace stare al telefono. –
– È sempre triste, sempre con gli occhioni da cerbiatto, malinconico o nervoso… anche con me non parla più. Non sta fermo un attimo ma non è mai felice, e lo vedo rilassato solo quando va ad aiutare i pittori, o quando è davvero molto ubriaco. –
Elisa troncò di netto il suo resoconto perché Amedeo aveva spento il phon, e lo salutò velocemente prima di lasciargli il telefonino.
– Ciao, ti sanguinano le orecchie? –
– Sono allenato con Anastasia, non preoccuparti. Elisa mi ha detto che aiuti i pittori e non mi piace. Così come non mi piace che usi tutte le persone con cui vieni a contatto senza neanche divertirti. Tra loro ci sarà sicuramente qualcuno che è innamorato di te, e non mi sembra giusto. –
– Non hai sempre detto di non essere geloso? –
– Non è questo il punto, è ovvio che se ti innamorassi di qualcun altro ne soffrirei. Però non capisco perché ti circondi di tutte queste persone se non serve a niente, se sei sempre e comunque triste. Che te ne fai? A che ti servono? Paradossalmente sarebbe più facile da capire se fossero storie di sesso. –
– Ma tu che ne sai di come mi sento quando sto solo? Perché sembra che tutto debba girare sempre intorno al sesso? Io non capisco! Cosa ti cambia cosa faccio io? –
– Amedeo non gridare, ti prego. –
Continuò, urlando. – Cosa cambia? Cambia qualcosa se grido? Tu… tu cosa fai? Dove sei? Chi frequenti? Che ci fai? Pensi sia facile per me? –
– Sto in un posto che non mi piace. Non faccio nulla che mi piaccia ma solo cose necessarie, e non sto bene, però se me lo chiedi torno immediatamente. –
– Il solito rompicapo senza soluzione. No, non voglio che torni per me. Non voglio. Ti chiamo domattina. –
Troncò la conversazione e spense il telefonino, sollevato del fatto che Ludger non avesse né il numero di casa né quello di Elisa. Si sentiva esasperato e furioso. Iniziò a vestirsi velocemente mentre lei si affacciava alla porta, preoccupata.
“Tutto bene? Ti ho sentito gridare.”
“No. Non va bene niente, e non voglio venire al cinema stasera. Me ne vado da solo al pub qui dietro a sbronzarmi e a rimorchiare la cameriera tanto carina. Tu te ne vai al cinema con Lorenzo o fai quello che ti pare.”
Elisa era sconcertata perché sia il tono che le parole sembravano appartenere a un’altra persona, come lo sguardo freddo con cui la stava guardando.
“Lisa, ti voglio tanto bene ma ci sono dei momenti in cui devi lasciarmi in pace. Se insisti peggiori le cose, non puoi fare e dire niente per me. Con Lorenzo fai quello che ti pare, ora fammi passare.”
Amedeo afferrò lo zaino senza neanche finire di vestirsi e, appena lei si fece da parte, si scaraventò fuori divorando le scale di corsa, come scappando. Trovò Lorenzo fermo al portone che interruppe il saluto vedendolo avvicinarsi a una velocità insolita.
Amedeo continuò ad abbottonarsi la camicia. “Non posso uscire con voi, ma sopra c’è Elisa che ti aspetta. Scusami, ciao.”
Lorenzo, confuso per quell’incontro così veloce, salì ed entrò dalla porta lasciata accostata. In casa vide Elisa vagare da una stanza all’altra piangendo, e iniziò a seguirla aspettando che si calmasse.
Dopo alcuni minuti lei si fermò, iniziando a raccontare. “Prima ha chiamato Ludger e Amedeo era in bagno. Ho risposto io e ho fatto un casino… come tutte le donne devo essere un po’ oca, non riesco a farmi i cazzi miei… li ho fatti litigare. Senti, se non ti va di passare la serata con me lo capisco, devo anche essere uno spettacolo poco piacevole da guardare con il trucco colato.”
“Fanciulla, perché sorridi?”
“Pensavo che devo essere parecchio neorealista. Dai, mi vado a lavare la faccia. Tu fai quello che preferisci, io non mi offendo… comunque vada stasera voglio, soprattutto, prendermi una sbronza micidiale.”
Le sorrise. “Sarei felicissimo di passare la serata con te, sbronza inclusa. Aspetterò pazientemente che tu recuperi le tue abituali fattezze da diva. Vai pure.”
Più tardi, Lorenzo le raccontò della sua cotta per Amedeo e si lasciò prendere in giro. Alla fine della serata si scambiarono i numeri; erano stati molto bene insieme e da quel giorno iniziarono ad uscire sempre più spesso.

Amedeo camminava velocemente, sfiorando con le dita la superficie dei palazzi; la camicia era abbottonata in modo approssimativo e gli occhi sembravano non riuscire a mettere a fuoco nulla. Doveva spegnere il cervello in fretta, prima di impazzire. Le persone si spostavano per farlo passare, mentre lui avanzava ignorando i loro commenti e il suono stridente dei freni a un incrocio. Nel pub si diresse verso l’unico sgabello libero al bancone, e il viso della cameriera si illuminò nel riconoscerlo; Valentina gli chiese cosa volesse da bere prima di rivolgergli diverse domande, senza farsi scoraggiare dal suo sguardo assente e dai suoi silenzi. Preparò uno dei cocktail più forti che conosceva, assecondando la richiesta di Amedeo. Porgendogli il bicchiere aggiunse che avrebbe offerto lei, prima di allontanarsi per tornare al lavoro. La chiamavano in continuazione frammentando i loro dialoghi ma Amedeo le prestava comunque poca attenzione. Valentina pensava fosse stato lasciato dalla sua ragazza, e lui si sentiva nauseato per quel modo di costruire trame che avevano come unico movente il sesso. In quel momento tornò a convincersi di essere irrimediabilmente diverso dagli altri, provando una struggente nostalgia per Sebastiano. Quando terminò il primo cocktail Valentina lo sostituì con un altro, limitandosi a sorridergli. Amedeo beveva e fumava senza sosta, e iniziò a sentirsi meglio. Si fissava ciclicamente ad osservare un oggetto qualsiasi, studiandolo come se non volesse perderne neanche un dettaglio. Portava avanti quel gioco fino a quando  riusciva a tenere Ludger lontano dai propri pensieri,  poi tornava a bere un altro sorso prima di cercare qualcos’altro su cui focalizzare l’attenzione.
Il viso di Valentina gli si parò davanti. “Se aspetti fino alla chiusura possiamo farci un giro, magari ti accompagno a casa.” Si era chinata in avanti sul bancone.
“Credo che non reggerò a lungo, mi daresti un altro di questi?”
“E no, non reggerai fino alla chiusura… ma con quegli occhi pazzeschi come potrei dirti di no?”
Lo invitò a seguirla nel retro. “Che se continui così non resti in piedi neanche mezz’ora.”
Lui restò immobile fino a quando Valentina lo raggiunse, prendendogli una mano. Amedeo sentì il calore della sue pelle e si alzò per seguirla, pensando che sarebbero andati a bere qualcosa insieme e, nonostante le gambe malferme, riuscì a camminare con facilità grazie al suo sostegno. Arrivati in una stanza piena di bottiglie Amedeo si guardò intorno, divertito.
“Sembra il paradiso.”
Valentina rise scherzando sulle sue gambe instabili mentre lo appoggiava al muro; si premette contro di lui iniziò a baciare le sue labbra stupite, che non opposero resistenza. Il bacio durò pochi secondi, che servirono ad Amedeo per capire cosa stava accadendo. La allontanò sentendosi mancare l’aria.
Lei lo guardò con preoccupazione. “Che hai?”
Restò in silenzio. Non avrebbe voluto ferirla, ma non riusciva a trovare niente da dire, e rispose senza pensare. “Sono una specie di prostituto… stasera ho avuto una brutta storia con un cliente. Mi dispiace.”
Valentina era sconvolta. Amedeo pensò di aver esagerato a usare il sesso per allontanare il sesso, quella cosa aliena a cui tutti davano troppa importanza. Non era realmente dispiaciuto, si sentiva soltanto distante da quello che lo circondava. Quasi sorrise mentre lei si tratteneva dall’urlare.
“Cioè, hai appena fatto… Dio che schifo!”
Amedeo sgranò gli occhi, e pensando a Ludger tornò ad appoggiarsi al muro. Dovette raccogliere tutte le proprie forze per non piangere, mentre premeva con le dita la radice del naso. Sussurrò uno ‘scusa’ con voce incerta, che Valentina interpretò come una risposta affermativa, al punto che iniziò a sputare e imprecare. Esaurita la rabbia tornò a guardarlo con tristezza; gli prese di nuovo la mano dicendo qualcosa che Amedeo non capì, invitandolo con dolcezza a tornare di sopra. Dopo averlo fatto sedere su uno sgabello gli portò un altro cocktail, dicendo che quella sera avrebbe offerto lei tutto quello che sarebbe riuscito a bere.

Amedeo si era di nuovo perso nelle sue contemplazioni quando un profilo conosciuto entrò nel suo raggio visivo. “Andrea!” Sentiva la propria voce sconnessa e distante.
Sentendosi chiamare Andrea si voltò, iniziando a scrutarlo con espressione interrogativa.
“Sono Amedeo, non ti ricordi? Eravamo da qualche parte con Ludger… in bagno, abbiamo parlato, mi hai minacciato… in bagno.”
Andrea era sbalordito. “Sì, ricordo. Non ti avrei riconosciuto… ma che t’è successo?”
“Tutto. Molto non lo ricordo neanche più bene.”
“E Louis? Lo vedi ancora?”
Amedeo aveva preso a fissare un punto indefinito oltre le spalle di Andrea. “Vuoi parlargli?”
“Che fai? Prendi in giro? Certo che vorrei parlarci. Magari!”.
Senza neanche rispondergli tirò fuori il telefonino dallo zaino, e lo accese.
Andrea lo guardò incredulo. “Ma non si incazza?”
Non gli prestò la minima attenzione, avvicinandogli il telefono sul bancone dopo aver avviato la chiamata, per poi tornare a bere come se la questione non lo riguardasse.
Ludger rispose al primo squillo.  – Amedeo! Amedeo dove sei? –
Andrea sentendolo così preoccupato si portò subito il telefono all’orecchio. – Louis, sono Andrea. Ho appena incontrato Amedeo. Gli ho chiesto di te ed eccoci qui. Non ho fatto in tempo a fermarlo, ma sono felice di sentirti. Come va? –
– Non bene, fammi un favore, parlami di una cazzata qualsiasi e allontanati da lui. –
Andrea si spostò verso la porta del locale continuando a guardare la figura esile di Amedeo, seduta storta al bancone.
– Ok, sono lontano, spara. –
– Dove siete e che aspetto ha? –
– La prima è facile, un pub di San Lorenzo, sono venuto con amici e l’ho trovato al bancone con una serie di bicchieri vuoti davanti. Se non mi avesse chiamato lui neanche lo avrei riconosciuto, sembra un altro. –
– Andrea ascolta, sono molto preoccupato, non lo vedo da tempo e stasera era molto storto. Puoi descrivermi che aspetto ha? –
– Io l’ho visto una sola volta prima, però adesso è diverso. Non lo so, prima sembrava un bravo ragazzinoperfettinopettinatino appena uscito dal nido. Adesso sembra uscito da un documentario sulla gioventù underground interpretato da attori troppo bellocci per essere vero. Poi però ha quegli occhi allucinati che ti trapassano. Ecco, sì, ha un aspetto allucinato, sembra una specie di rockstar autodistruttiva… mi ricorda qualcuno, gli hai lanciato la tua maledizione? –
Un sospiro. – È solo? –
– Solo al bancone, su uno sgabello. –
– Ti posso tenere un po’ al telefono? Cerco di farti capire la situazione… io sono partito da alcune settimane con Anastasia. Lui sa solo che per me è un modo per rimettere insieme i pezzi, e in fondo è vero. Ma non sa dove sono e cosa faccio e io non glielo posso dire. Non potrei mai sopportare di fargli vivere quello che sto vivendo, perché non è colpa sua. Sono ancora lontano dall’aver risolto tutti i casini e tornare, e lui si sta perdendo. Vede un sacco di gente ma non si diverte mai. Ha nuovi amici che, da quello che ho capito, lo assecondano in tutto perché se lo vorrebbero fare, ma lui probabilmente neanche se ne accorge… con i vecchi amici non parla perché è stufo della loro preoccupazione. Insomma, sembra che si rompa sempre e comunque. E tutto questo perché è depresso e preferisce non stare da solo, perché quando sta solo si riduce come lo vedi ora. Ci hai capito qualcosa? –
– Penso di sì, avendolo sotto gli occhi poi mi torna, solo non capisco… perché mi racconti tutta ‘sta roba? –
– Perché ne sono innamorato. –
– State insieme? –
– Magari fosse così semplice… io sto all’inferno. Lo amo. Ma non posso fare molto per quello che vive. Se non fossi partito probabilmente adesso staremmo insieme a guardare i gabbiani mano nella mano. Ma la situazione è parecchio diversa, e ancora non so come andrà a finire. Però io sono così felice di lui, farei di tutto per lui. –
– Louis… lui lo sa? –
– Certo che lo sa. Ma non lo aiuta. E vorrei… vorrei chiederti se ci sei ancora, se posso ancora contare su di te. Lo so che sarai incazzato a morte perché ti ho fatto fuori. Credimi, avevo fatto fuori tutto, se non fosse per lui a questo punto sarei poco più di una delle tante piante a casa di mia madre. Andrea, puoi aiutarmi? –
– Lo sai che io ci sono sempre stato e non chiedo di meglio che poterti aiutare. Però non capisco come. –
– Avvicinalo, facci amicizia, prenditi cura di lui… non potrei chiederlo a nessun altro. –
– Ma io neanche lo conosco! –
– Passa la maggior parte del tempo con persone che non lo conoscono, a volte mi meraviglio che sia ancora tutto intero. Parlaci ora che è ubriaco, parla di musica, parla di me. Puoi raccontargli tutto quello che vuoi di me, non ha nessuno con cui parlarne. Stasera poi non credo che sarà in grado di tornare a casa. Almeno riportalo a casa… mi sembra un miracolo che ti abbia incontrato. –
– Senti, brutto stronzo, solo per te potrei fare una cosa tanto bislacca. Ci provo, se mi collassa lo porto a casa da Nora che lei è più brava con le parole, però mi devo sbrigare perché secondo me non reggerà a lungo su quello sgabello. –
– Grazie, memorizzati il mio numero. –
Andrea era preoccupato ed entusiasta per l’apertura di Ludger, che aveva aspettato da molto tempo. Dopo averlo rassicurato dicendogli che avrebbe fatto il possibile, raggiunse i suoi amici.
“Stasera non riuscirò a stare tanto con voi. Ho ritrovato un vecchio amico e ne ho vinto uno nuovo, vado a ritirarlo al bancone. O meglio, vado a raccogliere ciò che ne resta. Voi cercate di essere ospitali.”
Amedeo aveva le braccia e il viso poggiati sul bancone; gli occhi sembravano di vetro, e continuava ad accarezzare l’ennesimo bicchiere che Valentina gli aveva portato, facendo sciogliere la condensa.
Andrea si schiarì la voce, cercando di prendere un tono scherzoso. “Ci vai pesante, eh?”
Amedeo alzò la testa al rallentatore mettendolo a fuoco con fatica. “Pensavo te ne fossi andato.”
“In genere non uso andarmene con i telefonini degli altri.”
Glielo prese dalla mano per spegnerlo e riporlo nello zaino. “Non è mio, è di Ludger.” Approfittò dello sforzo fatto nel sollevarsi per dare alcune sorsate dal bicchiere.
“Se stai cercando di annegare ti porto in piscina.”
“Che dice Ludger?”
Andrea sospirò. “Che sta passando un periodaccio e mi dispiace, ma sono anni che passa solo periodacci, almeno sono contento che mi ha parlato dopo una vita, e che era lucido.”
Amedeo riprese a parlare con freddezza, velocemente, come se il velo di ubriachezza fosse momentaneamente alleggerito. “Ti ha detto dov’è?”
Andrea continuò con un tono leggero, malgrado si sentisse sotto esame.
“Mi ha detto solo che è in viaggio con quell’altra sciroccata di Anastasia. Guarda, il fatto che sta con lei almeno esclude tutta una serie di casini. Mi ha detto che è preoccupato soprattutto per te.”
Amedeo diede altre due sorsate, perché era tornato molto più presente di quanto avrebbe voluto; mantenne la voce incolore e lo sguardo sulla superficie del bicchiere. “Ti ha assoldato come baby sitter?”
Andrea rise. “Mi sa che sei un po’ paranoico.”
“Probabile.”
Andrea si lasciò sfuggire una riflessione a voce alta. “Anche per me è una maledizione ’sta cosa che lui prende e si rintana. Però non ci si può fare niente. Ci sono delle volte in cui Louis si può solo curare da solo.”
“Lo so, lo so… me lo ha detto. Però so anche che può fare dei disastri assurdi quando si cura da solo, e poi lui non ha più il senso del tempo. Per lui il tempo è sospeso. Forse non esiste più… Chissà quanto se ne starà ancora così, sospeso in un mondo parallelo dove magari stanno passando solo pochi giorni.”
Andrea era colpito da quelle affermazioni, ma sapeva di non potersi concedere distrazioni. “Pischello, questa cosa del tempo non l’ho capita bene, sembra quella cosa del gatto in scatola che è vivo e morto contemporaneamente, ma forse sarai un pochino ubriaco e me la spieghi meglio la prossima volta. Non riesci a fidarti di lui?”
Amedeo sentì come un colpo al petto, e si girò per fissarlo negli occhi, evidentemente irritato. “Ti ha detto lui di dirmi così?”
“Giuro di no! Ma non mi guardare così, per favore, mi metti in difficoltà.”
Amedeo alzò gli occhi al soffitto prima di riportare lo sguardo in basso. La reazione di Andrea lo aveva tranquillizzato; sentì di nuovo ispessirsi il velo di ubriachezza, e ne fu sollevato. “E che palle con questa storia degli occhi! Non lo faccio apposta, è una gran rottura di coglioni.” Poggiò i gomiti sul bancone e fece scorrere la testa fra le mani. Sentiva un leggero attrito nell’aria a ogni spostamento, e un senso di nausea. “Sembra che tu, che lo chiami con l’altro nome… sembra che tu lo conosca davvero bene. Io non so neanche quale nome preferisca, perché non gliene importava niente, di niente.”
Andrea rise. “Conoscere bene Louis è come conoscere una comitiva di persone, però sì, lo conosco e gli voglio bene, a tutta la comitiva. Sai che è ambidestro? E cambia mano e calligrafia a seconda di come gli gira quando scrive? I suoi quaderni sono sempre stati un delirio.”
“Tu lo conosci davvero bene.”
Andrea pensò che sarebbe stato meglio spostarsi, anche perché la cameriera lo metteva a disagio continuando a lanciargli delle occhiatacce.
“Senti, ti va di venirti a sedere con i miei amici? Anche perché ti vedrei meglio su una sedia che su uno sgabello.”
Amedeo annuì. Alzarsi gli costò molta fatica: il pavimento sembrava lontano e aveva difficoltà a mantenere l’equilibrio.
Andrea non sapeva come aiutarlo “Riesci a stare in piedi?”
“Certo, tu però muoviti piano.”
Arrivati al tavolo, Andrea lo presentò scherzando sulle sue condizioni; Amedeo rise salutando i suoi amici con la mano.
Andrea riprese a parlare dopo aver bevuto alcuni sorsi di birra, sperando di introdurre un argomento inoffensivo. “Prima non ti ho visto al bancone, ma non ti ho neanche visto entrare. Dov’eri?”
Amedeo cercò di accendere con difficoltà una sigaretta, e qualcuno gli avvicinò la fiamma. Sembrò fare uno sforzo per ricordare, mentre soffiava fuori il fumo. Cambiò espressione e rise. “Sì, la ninfomane… sempre per la storia degli occhi da pesce morto. La tipa carina al bancone mi ha offerto vari cocktails, ha detto non so quante cose che non ho ascoltato. Poi a un certo punto mi ha preso per mano per portarmi nel retro. Io pensavo volesse bere in compagnia, fare una pausa, fumarsi una sigaretta… no, forse non pensavo niente, ma se avessi pensato avrei immaginato cose come queste… quando ho lavorato in un pub era l’unico modo per riposare.”
Subito dopo si perse nei suoi pensieri come se fosse stato da solo, e continuò a guardare le volute di fumo prodotte dalla sigaretta che teneva tra le dita. La voce di Andrea lo fece sussultare.
“E poi? Che è successo dopo?”
“Sì, scusa, mi ero distratto… insomma nel retrobottega mi ha letteralmente sbattuto al muro, mi ha messo le mani dappertutto e mi ha infilato la lingua in bocca. Non me lo aspettavo.”
Il racconto causò diverse risate, e anche lui iniziò a trovare quella storia tanto grottesca da  sorriderne.
“Non riuscivo a respirare, lo so che sono strano con queste cose, ma non sapevo proprio come farla scollare senza offenderla… poveretta. Le ho detto che sono un marchettaro, o almeno credo che il senso fosse questo.”
Poteva parlare liberamente perché la ragazza restava lontana dal loro tavolo. Uno degli amici di Andrea scherzò ipotizzando che lei potesse aver immaginato una parcella troppo alta, scatenando altre risate.
Amedeo non rise, concentrato nello sforzo di trovare una risposta. “Ma no… le ho detto che avevo incontrato un uomo… non so neanche io perché… forse per farla smettere. E che poi stasera è andata male con un tipo… chissà che si è immaginata… io queste dinamiche proprio non le capisco.”
Andrea non partecipò all’allegria generale: Amedeo non riusciva a restare dritto, e rischiava di bruciarsi le dita con la sigaretta. Gli tolse la cicca mettendogli una mano sulla spalla, dicendogli che sarebbe stato meglio uscire a prendere aria. Appena fuori dal locale Amedeo lo pregò di lasciarlo solo, perché doveva vomitare; Andrea lo guardò allontanarsi capendo solo in quel momento la preoccupazione di Ludger. Era stata una vera fortuna incontrarlo, e lo raggiunse quando lo vide sorreggersi a una macchina.
“Vado dentro a riprendere la mia roba e ti porto qualcosa per pulirti. Non ti muovere di lì.”
Amedeo fece un gesto affermativo senza alzare la testa. Andrea lo ritrovò nello stesso posto alcuni minuti dopo, seduto con le mani puntate indietro e la testa al cielo, come se stesse guardando le stelle malgrado gli occhi chiusi. Due ragazze che si tenevano a braccetto barcollando gli si stavano avvicinando.
Andrea le allontanò scherzosamente. “Pischelle, girate al largo che il mio amico per stasera è a posto.”
Amedeo restò fermo. “Siamo amici? Io non capisco gli amici.”
Gli passò dei tovaglioli e una bottiglietta d’acqua. “Prendi ‘sta roba e stattene un po’ tranquillo.”
Amedeo si soffiò il naso, e bevve alcune sorsate prima di rovesciarsi in testa il resto della bottiglia.
Andrea gliela strappò dalle mani. “Ma sei pazzo? Fa un freddo pinguino e quest’acqua è ghiacciata!”
Amedeo scosse la testa grondante, cercando di mantenere la concentrazione sul freddo per allontanare la nausea. “Devo riuscire a tornare a casa…”
“Da solo non vai da nessuna parte. Ce la fai a sentire i tuoi per dirgli…”
Non gli diede il tempo di finire. “Non vivo coi miei da anni! Non devo avvertire nessuno… Andrea, non ce la faccio… mi sento svenire.”
Riuscì a mettergli un braccio sulla spalla giusto in tempo per evitargli la caduta.
 
Riprese conoscenza in macchina; era così pallido che Andrea gli chiese se voleva che accostasse, temendo dovesse di nuovo vomitare.
“No. Penso di aver dato tutto quello che avevo da dare. Però… dove mi stai portando?”
“A casa mia. Io non riesco a capire come fai a essere ancora tutto intero. Sei fortunato, non sono un serial killer né uno stupratore, ho pure moglie. Tu però devi fare più attenzione.”
Amedeo si stropicciò il viso con gesti lenti. “Perché sono bagnato fradicio? Fuori non piove.”
Andrea cercò di mantenere un tono allegro. “Devi essere mezzo matto pure tu. Sei zuppo perché ti sei versato mezza bottiglia d’acqua ghiacciata in testa. Quando arriviamo ti do qualcosa d’asciutto.”
Amedeo si stirò le braccia e si incantò a guardare le punte delle dita. Aveva la testa piegata di lato su una spalla, perché non riusciva a tenerla dritta. Non aveva bisogno di sentire qualcosa sotto i polpastrelli, come avrebbe fatto in altre circostanze, perché le sue stesse mani gli apparivano estranee.
“Ludger… Louis, perché lo chiamano tutti Louis e io gliel’ho chiesto e mi ha detto che andava bene anche Ludger? Con lui, con lui bevevi, vi sbronzavate insieme?”
Andrea sorrise guidando, pensando che il suo amico avesse ragione riguardo Amedeo: sentiva così tanto il bisogno di parlare di lui da non riuscire a fermarsi persino in quelle condizioni.
“Certo, ma alla fine non collassava nessuno. Cioè, lui si poteva ridurre uno schifo ma non perché beveva… a quel tempo la moda delle bevute l’aveva superata, diciamo così. Hai mangiato qualcosa oggi?”
Stava per rispondere ‘un pezzo di pizza a pranzo’ quando gli occhi gli si chiusero, e non riuscì a restare sveglio.

Nora si fece trovare al portone per aiutare Andrea a portare su per le scale Amedeo, che dormiva profondamente. Lo sistemarono nella stanza che veniva usata come studio e per gli ospiti occasionali. Quando lo distesero sul divano Nora fu colpita dalla sua bellezza, mentre Andrea gli tolse gli abiti bagnati per sostituirli con altri asciutti. Andrea le raccontò la serata; per entrambi era un grande sollievo sapere che Ludger iniziava finalmente a reagire, anche se la situazione restava difficile. Alla fine Andrea si lasciò convincere a chiamarlo, sperando fosse ancora sveglio.
– Louis, dormivi? –  
– No, sono troppo preoccupato, che succede? –
– Allora adesso puoi dormire tranquillo. Siamo a casa mia, Amedeo dorme come un bimbo. È tutto a posto. –
Un breve silenzio.
– Non sai che sollievo. Grazie. Cos’è successo dopo che ci siamo sentiti? –
– Niente di particolare, sono andato a parlarci, è collassato quasi subito e me lo sono portato qui. Mi sembra abbastanza paranoico, ma credo che riuscirò a fare amicizia con l’ennesimo giovane disadattato. Mi fa piacere poterti finalmente aiutare in qualche modo, adesso cerca di riposare. Ci sentiamo presto. Chiamami ogni volta che vuoi. –

Amedeo passò tutta la mattina scivolando da un incubo all’altro, senza riemergere mai del tutto. Riprese conoscenza all’ora di pranzo: ritornare nel proprio corpo equivaleva a sentire la gola bruciata e la testa esplodere. Si portò una mano sulla fronte e una sul petto, e il contatto con la superficie stampata della maglietta lo spaventò perché non poteva essere sua. Sentendosi le gambe nude scattò a sedere, provando un dolore fortissimo alla testa; guardandosi intorno non riconobbe niente di familiare, e prese il telefonino di Ludger per accenderlo immediatamente.
– Ludger avevi ragione! Non capisco nulla e ho paura. –
Nel sentirlo così alterato si spaventò, ma cercò di non farlo trasparire. – Con calma. Amedeo, cerca di farmi capire che succede. –
Continuò a parlare premendosi la fronte con le dita della mano libera. – Avevi ragione, devo stare più attento. –
La voce di Ludger iniziava ad alterarsi. – Dimmi che ti succede! –
– Non mi ricordo ieri sera… no, mi ricordo di aver bevuto, tanto, una ragazza mi è letteralmente saltata addosso… mi ha baciato in un retrobottega ma io non avevo capito che mi aveva portato lì per quello. Mi è saltata addosso e non sapevo come uscirne, però ce l’ho fatta… poi Andrea, mi ricordo il tuo amico Andrea, che abbiamo parlato… poi non ricordo più niente e adesso non so dove sono. Di chi è questo letto, con chi ci sono arrivato e di chi sono le cose che ho addosso… cosa ho fatto? –
La voce di Ludger era tornata fredda, impermeabile alla sua disperazione. – Descrivimi quello che vedi. –
Amedeo era bloccato, gli mancava l’aria e aveva paura di aprire gli occhi.
– Amedeo? –
– Una stanza piena di cose, strumenti, imbottitura alle pareti. –
– Sei a casa di Andrea. –
Si lasciò ricadere sul letto e sentì la tensione abbandonargli le gambe. – Andrea… come sono arrivato qui? –
– Svenuto. –
– Mi dispiace per la ragazza, non avevo… –
Ludger non lo lasciò finire e continuò a parlare con un tono incolore, alzando progressivamente il volume della voce. – A me di questa tipa non importa niente! Ti piaceva? Ti stavi divertendo con lei? Avevi un qualsiasi motivo per seguirla senza chiederle neanche perché? Se almeno ti fosse piaciuta adesso ti dispiacerebbe in modo diverso, o forse non ti dispiacerebbe affatto. Ma questo è un altro discorso. L’unica cosa che mi irrita è come usi le persone e come ti fai usare da loro. Ma è un’altra storia. Adesso… ora, a me dispiace che vai in giro da solo a ubriacarti fino a svenire. Poteva capitarti di tutto, potevi finire sotto una macchina, potevi morire per strada, potevi finire con chiunque a fare qualsiasi cosa senza neanche accorgertene. A me dispiace che ti comporti in modo così stupido, come se la tua vita non avesse importanza. Sei così stupido? –
Pensò che aveva ragione, ma la testa gli stava scoppiando e il suo modo di parlare in quel momento gli era insopportabile. – Forse, scusami. –
Ludger continuò con un volume troppo alto. – Non fare la vittima! –
– Va bene, ho perso il controllo e ho fatto una cazzata, non volevo farti preoccupare, scusami… Ma ti prego, basta! È troppo… mi sento troppo male per continuare così. –
La conversazione fu troncata di netto. Amedeo si alzò barcollando, e la luce gli ferì gli occhi. Arrivato in corridoio sentì le voci di Andrea e Nora e, seguendole, li raggiunse in cucina.
“Buongiorno, potrei usare il bagno?”
Andrea si alzò per dargli un asciugamano. “Certo, vieni. Ti preparo qualcosa. Che vuoi? Come ti senti?”
“Una schifezza, grazie. Solo un té… grazie di tutto. Che ore sono?”
Lo sorprese scoprire che fosse già ora di pranzo; aveva saltato una lezione all’università, e probabilmente dato buca a diverse persone. In bagno mise la testa sotto l’acqua fredda fino a sentirsi meglio. 
Andrea e Nora stavano bevendo il caffè di fine pasto, e Amedeo ignorò i biscotti accanto alla sua tazza di tè. Lei gli si rivolse con dolcezza. 
“Perché hai sempre i capelli bagnati?”
“Metto spesso la testa sotto l’acqua per svegliarmi, quando sono parecchio stordito. Immagino di averlo fatto anche ieri sera, ma non ricordo molto. Vi ringrazio, mi sento piuttosto imbarazzato per essere stato soccorso così, da sconosciuti.”
Andrea tagliò corto, ricordandogli che non potevano definirsi tali. “Non solo abbiamo un amico in comune, ma anche quella volta in bagno ci siamo trovati parecchio bene.”
Amedeo, che sorrideva bevendo il tè, cambiò subito espressione. “Ho fatto una cosa tremenda.”
Andrea pensava si stesse riferendo alla notte precedente, ma Amedeo scosse la testa iniziando a raccontare svogliatamente.
“Ieri mi sono comportato da imbecille, è vero, ma prima gli ho fatto una telefonata atroce.”
Nora gli consigliò semplicemente di richiamarlo.
“Io vorrei andarmene e lasciarvi liberi il prima possibile. Mi sembra che abbiate già fatto abbastanza per me.”
Andrea iniziava ad agitarsi. “Non dire cazzate, ha ragione lei. Richiamalo subito se pensi di aver fatto una cosa atroce, che aspetti?”
Amedeo provò un forte senso di irrealtà, alimentato dallo stordimento dei postumi della sbronza. “Cosa sapete di me e Ludger?”
“Tu ti ricordi di che abbiamo parlato ieri sera? No? Però ti ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ti ho visto? Ecco, se vuoi ti picchio pure subito, che magari ti va pure bene, così la parte del ragazzino disperato ti viene meglio… smetti di fare il paranoico e chiamalo.”
Amedeo abbassò lo sguardo al tavolo. “Se continui così ti picchio io. Adesso però vado a chiamarlo, perché mi sto preoccupando.”

Amedeo tornò nella stanza nella quale aveva passato la notte. Si sentiva finito in una condizione aliena: dopo aver parlato con due sconosciuti di Ludger, si era ritirato in quella camera che non aveva mai visto come se fosse una cosa naturale. Ancora una volta era preoccupato per Ludger più di quanto riuscisse a esserlo per sé stesso. Per prendere tempo accese una sigaretta e guardò il telefonino; Elisa gli aveva detto molte volte che nei momenti di confusione doveva provare a concentrarsi soltanto sulla cosa che gli sembrava più importante canalizzando tutte le sue risorse in quella direzione. Troppo confuso per esserne in grado, spense la sigaretta e lo chiamò. Ludger aveva sempre risposto al primo squillo, ma stavolta il telefono continuò a suonare a vuoto mentre l’angoscia di Amedeo cresceva. La sua paura era alimentata dall’impossibilità di immaginare il luogo in cui quel suono si stava diffondendo. Chiuse gli occhi ricordando il cortile dove lo aveva baciato l’ultima volta, e sentì le lacrime scendergli sul viso appena gli squilli cessarono. Spalancò gli occhi mentre Anastasia rispondeva con tono irritato un generico ‘pronto’.
– Sono Amedeo, Ludger è lì? –
La sentì tirare su con il naso e parlare con voce rotta dal pianto. – In teoria sì… però non credo che sia il caso di avvicinargli il telefono. –
Era spaventatissimo, ma cercò di mantenere la voce ferma. – Anastasia, per favore, dimmi che sta succedendo. –
– A saperlo! Mi hanno chiamata perché stava distruggendo la stanza. L’ho trovato com’è ora. Non si fa avvicinare, ha le cuffie con un volume altissimo quindi non sente, e penso che neanche stia più vedendo quello che ha intorno. Sembra come… come quando era appena uscito dal coma. Dio mio! Ha un aspetto terribile e non so che fare… sta per terra in un angolo con le mani che sanguinano e non si fa avvicinare, c’è sangue dappertutto… anche sul viso. –
Amedeo si riempì d’aria i polmoni prima di interromperla con fermezza. – Anastasia, calmati. Avvicinagli il telefono, non dirgli nulla e lascialo solo. –
– Mi ha già tirato tutto quello che aveva. Almeno adesso sta fermo. Se riprende lo portano via con la camicia di forza, e io… –
Amedeo continuò a parlare con una determinazione insolita. – Metti il telefono dove lui possa arrivare ed esci dalla stanza, per favore. –
– Senti, io non ti conosco se non per le cose che mi ha detto lui, e non ho idea di cosa tu possa fare per gestire questa situazione. Però se la peggiori non te lo perdonerò mai. –
Amedeo ascoltò il rumore dei suoi passi e quello del telefono che toccava il pavimento; aspettò accucciato a terra, stringendosi le ginocchia al petto mentre il tempo sembrava essere diventato immobile. Dopo pochi minuti sentì il frammento di un brano, il suono era lontano, come se venisse da un auricolare. Riconobbe la musica, era un pezzo contenuto in uno dei tanti CD che gli aveva lasciato, e subito dopo gli arrivò la voce glaciale di Ludger.
– Che vuoi? –
Respirò di nuovo a fondo. – Scusarmi. So che non serve, so che è inutile e che il nastro scorre in una sola direzione ma credimi, non mi sono mai vergognato tanto di me come ora. Farei di tutto per cancellare la telefonata di prima… ieri mi sono comportato da idiota, ma stamattina ho fatto ancora peggio. Il mio stato non mi giustifica. –
– Forse dovremmo smettere anche di sentirci. –
– No!… ti prego, no… –
– Se mi tratti ancora così non ti permetterò di rimediare. Io non posso capire tutto ma sono sicuro di una cosa, non voglio diventare tuo padre o la famiglia che non hai avuto. Fai quello che ti pare, ma non mi trattare mai più come se fossi un obbligo, lasciami crepare in pace e distruggiti da solo piuttosto. Io mi rifiuto di stare in una storia così… hai capito quello che ti ho detto? –
Si strinse le gambe piangendo in silenzio.
– Amedeo! –
– Sì, ho capito, penso di aver capito. –
– Smetti di piangere. –
Nei secondi di silenzio che seguirono Amedeo sentì distintamente il respiro di Ludger mentre aspettava in silenzio.
– Amedeo… scusami anche tu, ho perso la calma, quando sbrocco posso anche dire cose giuste in modo sbagliato. C’è qualcosa che vuoi chiedermi? –
– Anastasia mi ha detto che stai sul pavimento e sei sporco di sangue, sono molto preoccupato. Puoi dirmi cos’hai fatto? Solo se ti va. –
Una risata storta, un’imprecazione e un rumore che non riuscì a identificare. 
– Lù? –
– Ti prego… non mi chiamare così, adesso… Ho fatto una cazzata, non pensavo che poi mi sarei trovato in condizioni di dovertela raccontare, ma no, non pensavo e basta. Quando sbrocco non devo fare resoconti a nessuno, lo sai… sono anni che non permetto a nessuno di occupare una posizione simile… ma mi sembra giusto, con te deve essere un gioco alla pari. Te lo racconto per rendere chiaro che non sei il solo a fare cazzate. Dopo la telefonata di prima ho rotto i vetri della stanza con le mani, con i palmi, come uno scemo. Ero incazzato e volevo solo sfogarmi, da lì il sangue è andato dappertutto. Ora vado a farmi togliere questi fastidiosi vetrini dalle mani. Come adolescente autolesionista me la cavo ancora bene anch’io. – Respirò ancora prima di continuare con un tono di voce diverso, che al telefono non aveva ancora usato. – Vorrei tanto vederti, certe volte mi sembra di impazzire. –
Amedeo continuò a stringersi le ginocchia al petto. – Anch’io vorrei vederti e a un certo punto dovrà per forza succedere… ora però vai in ospedale a farti togliere le schegge di vetro dalle mani e ti prego, chiamami quando hai finito. –

Amedeo restò immobile nella stanza diversi minuti, con il telefono abbandonato a terra. Avrebbe voluto scomparire, ma sapeva di dover affrontare i suoi ospiti e ringraziarli. Trovò soltanto Nora in cucina e, dopo averla ringraziata per il consiglio, le si sedette vicino riprendendo a bere il tè ormai freddo.
Lei posò il libro che stava leggendo. Non voleva essere invadente ma era preoccupata. “Di niente. Stava bene?”
Amedeo alzò lo sguardo verso il suo viso. “Ludger stava male. Grazie per avermi convinto a chiamarlo, adesso il peggio è passato.”
Nora era colpita dalla semplicità con cui le aveva riferito una situazione che doveva essere molto difficile. “Tra Ludger che stava male e tu che hai pianto mi immagino doveva essere parecchio brutta. Quando lui sta male ormai sono abituata alle catastrofi apocalittiche. Però se dici che il peggio è passato sono contenta.”
Era sorprendente sentirla parlare di Ludger con quella naturalezza. “Si vede tanto che ho pianto?”
Nora gli sorrise. “Amedeo, hai degli occhi bellissimi, è impossibile non notarli.”
Lui preferì non replicare. Mettendo a fuoco un orologio sulla parete opposta, pensò distrattamente alla quantità di appuntamenti che aveva saltato quella mattina senza preoccuparsene, perché le persone che lo frequentavano all’università erano abituate alle sue assenze repentine. Avrebbe dovuto fare una selezione, iniziando ad allontanare le persone a cui riusciva a dar buca con leggerezza: era convinto che Ludger avesse ragione.
“A che pensi?”
Scosse la testa e si scusò, precisando che spesso si incantava senza accorgersene. Le raccontò delle lezioni che aveva saltato quella mattina, e Nora gli chiese dei suoi studi e se avesse altre occupazioni. Amedeo le disse che in quel momento aveva una forte necessità di trovare lavoro.
“Potresti lavorare con noi, abbiamo iniziato a organizzare delle serate in un locale e stanno andando bene, però non siamo abbastanza. Ci servirebbe aiuto al bancone. Però dovresti restare in piedi fino a tardi e fino a fine serata non potresti ubriacarti. E ovviamente niente droghe, non è per moralismo ma se ne prendi poi diventerebbe un casino lavorare insieme.”
Amedeo sorrise per l’impressione che Nora doveva aver avuto di lui, radicalmente diversa da quella che faceva di solito agli sconosciuti.
“No, non mi drogo e quando lavoro sono parecchio preciso. Possiamo provare, ho già lavorato in un pub… Nora, mi dici perché siete così carini con me? Non solo non mi conoscete, ma mi sono presentato nel modo peggiore… non capisco.”
“Hai idea di quanti anni sono che conosco Ludger? Se lui ti ha scelto sono sicura che potresti essere uno dei miei più cari amici.”
Trovò la spiegazione poco lineare ma comprensibile. “Sei la prima persona che lo chiama Ludger oltre a me. Quando l’ho conosciuto non parlava, la madre mi aveva detto i suoi due nomi e anche se non parlavamo mi sono abituato a pensarlo come Ludger. Gli ho chiesto come preferiva essere chiamato, ma per lui era del tutto indifferente.”
“Nobuko lo chiamava Ludger, tra il tedesco e il francese lei preferiva sempre il tedesco. Pensa che ogni tanto dicevano di volersi trasferire a Berlino, da grandi. Io ero amica di Nobuko, la sua migliore amica. Mi ha presentato lei Ludger e l’ho sempre chiamato così. Andrea lo conosce da molto prima, da prima di Nobuko, da quando erano bambini. Deve essere buffo per te avere a che fare con noi, ma sappi che siamo felicissimi che tu ci sia e che lui stia cercando di reagire. Sarà dura, immagino, ma non mollare.”
Evitò di rispondere perché Nora aveva ragione: per lui era molto strano avere intorno persone che conoscevano Ludger, e parlavano con disinvoltura di un passato incredibilmente lontano. Un tempo in cui Ludger camminava, era felice con Nobuko e pensava di trasferirsi a Berlino finiti gli studi. Provò ad immaginare realizzate quelle premesse, ipotizzando un presente nel quale lei era viva e loro passeggiavano tra le vie di una città sconosciuta, tenendosi per mano. In quel mondo, nello stesso momento, lui si sarebbe probabilmente trovato in una biblioteca, e fu assalito da un senso di nausea. Nora stava finendo di riordinare la cucina, e Amedeo si concentrò esclusivamente sui suoi movimenti precisi e veloci per tenere lontani altri pensieri. Osservò la sua figura minuta e formosa; la montagna di capelli rame e le lentiggini; i suoi abiti scuri, semplici. Amedeo pensò che la maggior parte dei vestiti che usava in quel periodo erano stati comprati per Nobuko, e stava parlando con la sua migliore amica. Sentì la nausea risalire.
“A te piaceva Ludger?”
Nora rise. “Certo! Ne ero innamorata, come tutti. Ludger era un ragazzo incredibile, non c’è bisogno che ti dica quanto fosse bello perché te ne sarai fatto un’idea. Ma i suoi modi, la sua sensibilità e la sua allegria, sono difficili da raccontare… era incredibile.”
Gli elementi che conosceva si unirono, formando una nuova idea. “Tu eri con lui la notte dell’incidente?”
Lo guardò con stupore. “Lo hai capito adesso o lo sapevi già?”
“L’ho capito in questo momento, mi è venuto in mente osservandoti.”
Lei tornò a sederglisi vicino, guardandolo con preoccupazione.
Amedeo accese l’ennesima sigaretta. “Ci sono delle volte in cui il tempo e le vite degli altri si scombinano, e nella mia testa le cose si sovrappongono. Lui mi ha detto pochissimo di quella sera. Guardandoti mentre me ne parlavi mi è sembrato plausibile. Per me non fa nessuna differenza, spero sia così anche per te. Chi è venuto in tuo soccorso quella notte?”
Nora sembrava aver perso energia. “Andrea. L’ho chiamato dal telefono di Ludger. Non sapevo a chi altro chiedere di raggiungermi lì. In quel periodo vivevo con un tipo che fino ad allora era stato il mio ragazzo, ed era l’ultima persona che potevo chiamare. Le mie amiche si sarebbero solo spaventate. Andrea era l’unico abbastanza forte da reggere quel disastro. Poi non abbiamo più rivisto Ludger fino a quella volta nel pub, con te. Non mi perdonerò mai per questa storia.”
Amedeo le sorrise, prendendole la mano. “Fallo, non ha più importanza. Probabilmente sarebbe andata così anche senza di te. Da quello che ho capito era solo questione di tempo. Ti eri fatta male?”
“Lussata una spalla, una sciocchezza rispetto a… Davvero non mi ritieni responsabile?”
Strinse la piccola mano sotto la sua, sorridendo per rassicurarla. “Certo, e sicuramente neanche lui. Non ti colpevolizzare inutilmente. Non serve a niente.”
Nora aveva gli occhi lucidi. “Mi sa che tu sei una specie di angelo.”
Amedeo rise, e lei si stupì della sua risata limpida da bambino.
“Secondo qualcuno che mi conosce bene è una delle mie maledizioni, anzi, dovrò sentirla. Non la maledizione, la mia amica. Meglio mandare un messaggio perché voglio tenere il telefono libero per Ludger.”

Amedeo stava scrivendo a Elisa quando Andrea, rientrando, gli chiese se avesse pranzato prima di preparargli un toast. Avrebbe voluto avere notizie di Ludger ma non se la sentiva di insistere. Quando il suo telefonino squillò lui e Nora restarono in silenzio.
Amedeo era abbastanza a suo agio da non sentire il bisogno di allontanarsi. – Com’è andata? –
– Mi hanno tolto tutti i fastidiosi vetrini con le pinzette, offrendomi dei tranquillanti che avrebbero steso un cavallo. Ho rifiutato, sarebbe stato paradossale ricominciare tutto da capo. –
– Perché i tranquillanti? Non capisco. –
– Perché pare siano molto indicati per chi ha crisi di nervi violente… dai, se faccio ironia da solo non è divertente. Ho mandato Anastasia a farsi una vacanza, ci rivediamo stasera, adesso me ne sto qui con le mani fasciate senza poter toccare l’acqua, ma me la caverò. Adesso che è passata mi dispiace soprattutto perché mi sembra di perdere tempo. Per alcuni giorni non potrò fare molto, sembro un pugile. Tu dove sei? Ancora lì? Bene… a che punto è la casa? –
– Alcune stanze sono finite, stanno consegnando i mobili e poi verranno a montarli quando gli operai se ne andranno. C’è una cosa che ti devo dire da tanto, ho trovato una polaroid di te e Nobuko. Ce l’ho nel portafogli, ti dispiace? –
– No, non mi dispiace, puoi farci quello che ti pare. Invece vorrei chiederti un altro favore. Ti andrebbe di andare a casa di mia madre a prendere alcune mie cose? I dischi, i libri, gli strumenti e la tavola attaccata sul letto… a quella ci tengo molto. Non mi piacerebbe darle ai traslocatori, l’ultima volta mi hanno rovinato dei dischi. Non incontreresti mia madre e Ravi è molto riservato. Chiedi ad Andrea di aiutarti con il furgoncino del gruppo, lo farebbe volentieri… Lo farebbe per me, e visto che ci stiamo sentendo preferisco tenerlo occupato con qualcosa perché so che ha bisogno di sentirsi utile. Sai che sono davvero contento che tu sia lì? Spero ti trovi bene con loro, non so se potrà servirti ma te lo dico comunque. Puoi parlare di me con entrambi, come e quanto ti pare, non mi dà nessun fastidio… ora ti saluto perché la mano mi fa male. Ci sentiamo stasera. –
Dopo aver concluso la telefonata Amedeo inviò il messaggio a Elisa, inconsapevole che gli amici di Ludger continuavano ad osservarlo, restando in attesa. Iniziò a mangiare il toast che Andrea gli aveva preparato, scoprendo di avere fame.
“Grazie! Mi sento adottato.”
Nora gli si avvicinò. “Ti dispiacerebbe mostrarmi la foto che dicevi… scusami, ma non ho potuto non ascoltarti.”
Andrea era contrariato. “Non mi sembra il caso. Piuttosto, come sta quel disgraziato, e che ha fatto stavolta?”
Amedeo prese la polaroid dal portafogli. “Io su cosa è il caso di fare non sono esattamente una cima. Però Ludger mi ha detto che posso farne quello che voglio. Tieni.”
Andrea tornò a chiedergli di Ludger mentre preparava un altro toast.
“Ha perso la calma e ha rotto dei vetri, gli hanno medicato le mani, adesso è tornato in sé. Sono contento che abbia rifiutato altri tranquillanti… quando se ne è andato stava iniziando a provare a disintossicarsi, ma non è facile… mi ha appena detto che posso dirvi tutto quello che voglio. Certo però che è strano… neanche vi conosco e voi non avete idea di chi io sia. Me ne sto qui in mutande, con una vostra maglietta a mangiare i vostri panini mentre vi faccio vedere quella foto, che per me è stata come un pugno nello stomaco.”
Andrea e Nora sapevano che avere notizie di Ludger significava essere esposti a nuove sofferenze. Li stupiva il candore con cui Amedeo ne stava parlando. Andrea in particolare provò molta tenerezza pensando che per lui trovarsi in situazioni simili fosse normale, non avendo idea di chi fosse Ludger prima della morte di Nobuko.
“Pischello, pensa a nutrirti e non ti fare tutte queste paranoie. Noi lo conosciamo da una vita, e se ti ha detto che puoi gestirti le chiacchiere in scioltezza non vedo dov’è il problema. Senti, fino a un certo punto io sono stato fisso in prima fila. E con Louis ne ho viste tante. Adesso posso solo essere contento, perché aveva fatto fuori tutto e tutti e io iniziavo a perdere le speranze. E anche prima di quel cazzo di incidente era una vita che non gli sentivo mettere tre parole in fila, da sobrio.”
Amedeo sorrise. “Quindi, smetterai di chiamarmi pischello, diventerai il mio migliore amico e mi accompagnerai a svuotare la camera di Ludger saltellando dalla gioia?”
Andrea gli passò un bicchiere d’acqua. “Svuotare la camera di Ludger?”
Gli raccontò della casa a Monteverde che aveva aiutato a ristrutturare. “Adesso che è finita bisognerà portarci le sue cose. Ma Ludger non si fida dei traslocatori e mi ha detto di chiedere aiuto a te. Contento?”
Andrea era incredulo. “Vuole tornare a vivere lì?”
“L’ha definita casa sua e mi ha chiesto di fargliela trovare pronta. Poi è ovvio che nessuno sa come, quando, e se ne usciremo.”
Nora gli restituì la polaroid con gli occhi lucidi.
Andrea si passò il palmo della mano sulla testa rasata prima di riprendere a parlare con tono più vivace. “Certo che ti aiuto. Quando vuoi.”

Amedeo si separò dagli amici di Ludger nel tardo pomeriggio, era ancora confuso, ma anche stranamente calmo. Parlare con gli amici di Ludger lo aveva aiutato a superare un momento di crisi, ma sapeva di dover rivedere i suoi piani di sopravvivenza. Per trovare un nuovo equilibrio aveva bisogno di stare da solo. A casa incontrò Elisa, ancora scossa per la serata precedente, e la abbracciò subito per evitare di essere aggredito verbalmente.
“Scusami. Questa storia mi sta facendo impazzire, arrivo a fare cose che mi sembrano assurde, ma mi succede così spesso che ormai non distinguo più la normalità. Però la nostra amicizia non deve essere intaccata da questo caos. Devi lasciarmi andare… lo so che vorresti aiutarmi ma è meglio se mi lasci libero di muovermi senza il peso del tuo giudizio o della tua protezione.”
“Almeno un messaggio però me lo potevi pure mandare. Ero preoccupata.”
La prese per mano, accompagnandola in cucina prima di riprendere a parlare. “Lisa. Hai capito quello che ho detto? Per me è importante. Devo essere libero di muovermi. Come dovresti esserlo tu. Se rimorchi un dio greco non devi più preoccuparti di passare da casa per mettere un post-it sulla mia porta. Io voglio ritrovarti alla fine di questo… casino che sto passando. E non ci riusciremo se non allenti la presa. Lo capisci?”
Elisa annuì deglutendo. Quella richiesta, anche se legittima, era in forte contrasto con il bisogno di certezze che Amedeo aveva manifestato fino ad allora. La preoccupavano anche le possibili reazioni di Sebastiano a quel cambiamento, ma liquidò quell’idea senza approfondirla. Cercò di mostrarsi forte.
“Almeno potresti dirmi, adesso, dove hai passato la notte?”
Le raccontò di aver passato la sera precedente con un amico di Ludger, senza scendere in dettagli che avrebbero potuto turbarla.
Elisa manifestò una forte incredulità. “Quel tipo che abbiamo visto al pub? Ma se non vi siete scambiati neanche una parola.”
“Abbiamo fatto amicizia in bagno. L’ho incontrato e ci siamo trovati a bere insieme, ho esagerato e mi ha adottato. Andrea mi è sembrato un tipo a posto, una specie di orso buono. La ragazza è deliziosa. Mi hanno fatto sentire musica fighissima e mi hanno anche proposto un lavoro. Che penso di accettare.”
L’atmosfera si alleggerì progressivamente, ed Elisa lo invitò a uscire. Amedeo rifiutò perché si sentiva troppo stanco, e preferiva restare in casa da solo.
Si preparò un bagno caldo, con l’intenzione di restare in acqua a lungo. Aveva portato sul bordo della vasca un libro, le sigarette, e il telefono. Ludger lo chiamò mentre osservava i riflessi sull’acqua dell’unica luce lasciata accesa.
– Dove sei? –
– A casa, da solo, immerso nella vasca da più di mezz’ora. –
– Per la telefonata erotica potevi anche scegliere uno dei tanti momenti in cui non ho le mani fasciate e doloranti… cos’è? Una punizione? –
– Lù, che dici? –
Il bellissimo suono della risata di Ludger lo riportò indietro: ricordava bene i propri imbarazzi al parco durante le loro prime conversazioni. Gli sembrò incredibile risentirla in quel momento, quando perfino l’acqua calda non riusciva ad allontanare il senso di freddo.
– Amedeo? –
– Sì, ci sono. Per un attimo sono tornato a vederti al parco che ridevi… ma sono qui, ghiacciato nell’acqua bollente. È strano stare con i tuoi amici, parlare di te. Gli ho fatto vedere la polaroid, immaginando che non ti sarebbe dispiaciuto. –
– No, non mi dispiace per niente, e puoi parlare con loro di quello che vuoi. Te l’ho detto, non mi dà fastidio. –
– Vorrei conoscere il tuo passato da te, non da loro. Mi hai raccontato così poco. –
– Adesso non ce la faccio, non mi fa bene pensare a come ero. Mi sento come un superstite che si domanda se non sarebbe stato più giusto far sopravvivere qualcun altro. E non mi riferisco a Nobuko. Penso che le persone che incontriamo, con cui abbiamo contatti forti, possano tirare fuori parti di noi che sono latenti e che in altre circostanze potrebbero sparire. Anche con te è così. Ma ancora non mi è chiaro chi sia sopravvissuto e chi no. Sto rimettendo insieme i pezzi. A processo ultimato te ne parlerò, così come spero che tu mi parlerai della tua storia. Vorrei uno scenario diverso, almeno poterti guardare negli occhi. –
Amedeo non riuscì a scaldarsi neanche a letto, malgrado continuasse ad aggiungere coperte. Al buio i pensieri iniziavano a fondersi come durante il dormiveglia, ma non riusciva ad addormentarsi completamente né a restare del tutto sveglio. Quando Elisa tornò a casa le chiese il termometro per potersi misurare la febbre, e solo grazie all’effetto della Tachipirina riuscì finalmente a prendere sonno.

Amedeo passò diversi giorni a letto con un brutto raffreddore, e ne approfittò per staccarsi da tutte le conoscenze insignificanti che avevano riempito le ultime settimane. Iniziò a elaborare un percorso di ricerca legato ai suoi studi, da approfondire autonomamente.
Un pomeriggio Elisa gli portò una lettera di Ludger; la busta era stata compilata solo dal lato del destinatario. La tenne a lungo fra le mani accarezzando la carta,  senza aprirla. Decise di tenerla sul comodino fino a quando non sarebbe stato in grado di fare una passeggiata in centro.
Una notte si svegliò con la febbre alta, dopo aver fatto un sogno erotico che aveva come protagonista Ludger. Rimase a lungo sveglio, particolarmente turbato perché non gli era mai successo di provare un desiderio tanto forte. Nella confusione dei pensieri che non riusciva a riordinare ne distinse uno che lo spaventò: la frustrazione di poter perdere il controllo del proprio corpo. La mattina dopo chiamò Ludger.
– Stanotte ho avuto la febbre alta, ho fatto un sogno erotico. –
– Spero sia stato divertente. –
– No. Oddio non lo so, il sogno era bello ma il risveglio è stato brutto… faccio fatica a parlarne, ma non so con chi altro potrei… mi sembra spaventoso che il mio cervello possa animarti così. –
In risposta gli arrivò una risata sinceramente divertita.
– Lù!… perché ridi? –
– Sono molto lusingato di essere stato il protagonista del tuo sogno. Immagino che stavolta non sia stato censurato, e per questo devi essere così turbato… ma è una cosa normale, o meglio, dovrebbe essere una cosa normale. Adesso da quale parte del vetro pensi di stare? –
Amedeo si fissò a guardare le linee di luce che il sole tracciava attraversando le persiane, e i granelli di polvere che danzavano senza peso.
– Ci sei ancora? –
– Non lo so. Vorrei averti qui per fare degli esperimenti. –
– A un certo punto succederà, non vedo l’ora. –
– È arrivata la tua lettera, ma ho deciso di aprirla quando potrò camminare. –
– Mi sembra giusto, anch’io farei così. –