Amedeo restò in casa alcune settimane prima di riprendersi del tutto dall’influenza. Trovò piacevole riscoprire la solitudine, e quella condizione di immobilità forzata gli restituì un minimo di stabilità. Aveva l’impressione di essere stato perennemente in fuga da quando Ludger era partito, senza permettere ad alcuni aspetti della loro relazione di raggiungerlo in profondità. Iniziava a credere di dover accettare il dolore della sua assenza e permettere alla presenza di Ludger di ricavarsi, nei suoi pensieri, tutto lo spazio che reclamava. L’idea di far perdere il controllo a Ludger gli era inaccettabile, e maturò il proposito di evitare si verificasse di nuovo una situazione simile.

Quando iniziò a sentirsi meglio ricevette una visita di Davide, e trascorsero alcune ore a parlare. Il suo amico gli raccontò del dispiacere delle galline per la sua prolungata assenza dall’università. Amedeo gli confidò la sua decisione: non intendeva più frequentare le persone che aveva usato soltanto per sfuggire alla solitudine. Mangiarono pasticcini bevendo un tè in un salotto allestito da Elisa nella stanza  che la loro coinquilina aveva liberato. Amedeo, che iniziava a sentirsi meglio, si gustò quella chiacchierata come non gli accadeva da tempo e decise di raccontargli il sogno fatto di recente, a patto che non gli venissero rivolte domande.
Davide lo ascoltò sorridendo tutto il tempo, ridendo di gusto quando gli venne chiesta la sua opinione. “Senti, malgrado io abbia visto Ludger molto poco sarei ben felice di avere almeno un sogno erotico con lui. Non capisco perché ne parli come se fosse una delle tue stranezze, a me sembrerebbe strano il contrario… non mi hai mai dato i dettagli e so che è vietato chiederne, ma qualcosa avete fatto, no? Non ti dico come sarei stato io soltanto perché non voglio scandalizzarti… ma insomma!”
Amedeo lo guardò ridere tenendosi l’addome, era felice di averne parlato con lui. Spesso sentiva il bisogno di confrontarsi con le poche persone di cui si fidava per capire il livello di normalità di quello che gli accadeva, sperando gli fornissero strumenti che gli avrebbero permesso di decodificarlo.
“Davide, smetti di ridere e fatti fare una domanda seria… tu quando ti sei accorto che ti piacciono gli uomini? Sai che io non ci avrei mai pensato?… però non è che con le ragazze andasse meglio… va beh… lasciamo stare.”

Un pomeriggio trovò Lorenzo in cucina, mentre aspettava che Elisa finisse di prepararsi  per andare al cinema. Amedeo pensò fosse molto più piacevole di come lo ricordava.
“La fanciulla mi impone di bere prima di ogni incontro, perché sostiene mi giovi. Non me ne preoccupo considerando che, prima di varcare l’ingresso del cinema, trova sempre il modo di rimettersi in paro. Adesso torna pure a letto, non intendo trattenerti ulteriormente. Un’ultima cosa, se vuoi, nei prossimi giorni potrei controllare come procedono i lavori alla casa di Ludger. In particolare credo sarebbe meglio controllare i falegnami che monteranno i mobili progettati insieme.”
“Certo. Mi faresti un grande favore… poi magari la prossima volta vorrei venire al cinema con voi, se mi ci vorrete ancora.”
Chiamò Andrea per rimandare sia la serata di prova nel locale che il trasloco degli oggetti di Ludger dopo la sua guarigione.

L’origine della ferita
è il filo che si spezza

Il dolore non è sulle mani
non nasce dal vetro che lacera la carne

Portami su quel ponte
vorrei vedere quei due ragazzi

Tenersi per mano
dove non sono mai stati

Il secondo giorno di convalescenza tenne il pomeriggio libero per leggere la lettera di Ludger e uscire a camminare in centro come aveva sempre amato fare. Si sentiva ancora debole ma era una bella giornata di sole, e per raggiungere il ponte scelse uno dei suoi itinerari preferiti.
– Ponte Sisto. C’è una luce molto forte, i platani hanno un bel verde chiaro brillante. Il verde è uno dei miei colori preferiti. Ci sono i gabbiani e loro sono sempre qui. Mi piacciono tanto le cose che scrivi. E le calligrafie che hai. Ho fatto bene ad aspettare di poter tornare qui, per leggere questa lettera… Come stai Ludger? –
– Non bene. Non è un buon momento… probabilmente non lo è mai, ma la tua voce mi fa sentire meglio. Mi racconti qualcosa? Qualcosa di banale, la prima cosa che ti viene in mente. –
– In via Giulia c’è una chiesa che passo a vedere con mio fratello ogni volta, è stato lui a farmela notare. La chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte. Lui ha una… fissazione, per la morte. Sulla facciata ci sono dei capitelli assurdi, con scolpiti dei teschi. Mi piacciono tanto le ossa e anche via Giulia, che poi il nome mi fa pensare a una mia mezza amica, un tipo assurdo per sua stessa definizione. –
– La stessa che aveva dato buca a Elisa quella sera? Perché si chiama così quella chiesa? –
– Sì, l’amica di Elisa, ma non le dà sempre buca. Recentemente vanno spesso a ballare al Brancaleone… a lei piace la musica elettronica, cose tipo Portishead, Autechre e Aphex Twin… il Warp sound, ma per ballare si adatta. Cosa non proprio tipica di lei. Invece il nome della chiesa viene dal fatto che la confraternita che l’ha fatta costruire si occupava dei morti trovati in campagna o annegati nel Tevere. Vuoti a rendere a cui si erano spezzati tutti i fili. Un numero impressionante. Mi piacciono le cose che scrivi. – Amedeo restò per alcuni secondi in silenzio, guardando l’acqua del fiume che scorreva lentamente. – Anche io ho spezzato tutte le mie connessioni. Quando sono scappato qui, i primi tempi venivo spesso a passeggiare in centro… c’è qualcosa in questa città che mi ha spinto a restare. La solitudine e il caos. La storia e l’abbandono. Adesso vivo in un mondo capovolto, dopo aver cercato tanto la solitudine mi sono ritrovato a riempire il tempo di persone, per renderlo ancora più vuoto. Certo, dici di non passare mai momenti buoni, ma anche quello che ti racconto non è per niente allegro. –
– Anche io non sono per niente allegro. E su questo punto eravamo già passati… però, sai? Vorrei tornare ad esserlo, lo vorrei tanto, anche se la strada è ancora lunga. Ora devo andare. Grazie per avermi portato lì. –
– Ludger… –
– Sì? –
– Io non so che cos’è, ma il nostro filo non è spezzato. –

Andrea lo stava aspettando con il furgoncino accostato in doppia fila davanti al portone; Amedeo si bloccò alla vista del colore brillante di quel veicolo anni ‘60, fino a quando la voce brusca dell’amico lo spinse a salire velocemente.
“Scusa, mi ero incantato. Non ti avrei mai immaginato alla guida di una cosa così colorata.”
“Indovina un po’ chi l’ha scelto? Louis, doveva essere particolarmente di buon umore quel giorno.”
Non si erano più incontrati dalla notte in cui Andrea lo aveva soccorso, e malgrado l’imbarazzo Amedeo avrebbe voluto parlare con lui senza censure
“Mi fa sempre uno strano effetto avere a che fare con te, che lo conosci, lo chiami in un altro modo e a volte sembra che parli di un’altra persona. Sai dov’è la casa?”
“Da prima che tu nascessi. Senti, io non so bene come può essere ora, però conosco Louis da quando eravamo bambini, e l’ho visto cambiare così tante volte che ormai non mi dovrei stupire più di niente. E invece lo so che non finirà mai di stupirmi, ma è una delle sue cose belle. Poi, per quanto possa cambiare, io è come se conoscessi il nucleo, quello non cambia mai.”
Amedeo scosse la testa. “Niente, mi fa così strano… quando vi siete conosciuti?”
“Avevamo undici anni, più o meno. Io ero un soggetto, venivo da una famiglia problematica e non avevo amici. Lui era una specie di leader, pendevano tutti dalle sue labbra, sembrava sempre a suo agio con tutti e aveva un senso della giustizia molto, molto forte. Iniziò a difendermi dai bulli, mi prese sotto la sua protezione e nessuno si azzardò più a farmi niente. È iniziata così, siamo diventati amici e ne abbiamo passate parecchie insieme. Ma la nostra amicizia non ha mai vacillato. Io non tengo a nessuno come a lui.”
Amedeo fumava guardando la strada; non riusciva a immaginare Andrea, con quell’aspetto così forte e sicuro, bullizzato. Avrebbe voluto chiedergli di parlare all’infinito di Ludger ma non sapeva neanche da dove iniziare, e si domandò se fosse giusto farlo. “Ultimamente mi chiedo quando un ragazzo, normalmente perché io sono un bel po’ strano, si rende conto che è attratto da persone dello stesso sesso.”
Andrea rise in modo nervoso, accarezzando con una mano la sua rasatura di pochi millimetri. “Non sono la persona giusta a cui fare questa domanda, su queste cose vado in palla. Mio padre era un omosessuale che ha provato a farsi una vita normale, distruggendo tutto quello che toccava o generava. Il mio migliore amico penso si possa definire bisessuale, ma io ancora non gestisco queste cose proprio bene.”
Amedeo provò ad affrontare l’argomento da un’altra prospettiva. “Ludger ha avuto altri ragazzi prima di me, non ti ci sei abituato? Io, io prima di lui, non ci avrei mai pensato.”
“Guarda, in quegli anni di merda lui non aveva assolutamente niente… era come se passasse attraverso tutto restando sempre solo. Ogni tanto si portava dietro qualcuno per qualche giorno, ma non si faceva in tempo neanche a capire cosa avesse sotto la coda che già non c’era più. La storia con te è la prima dopo Nobuko, e prima di lei era piuttosto giovane. Avrà pomiciato con qualche compagna di scuola, anzi, ha pomiciato con molte compagne di scuola, ma niente di che. Io comunque sono molto contento che adesso ci sei tu, perché mi sembra che sia parecchio preso da te, e su questo però mi fermo, anche perché non sono affari miei. A te però non ti capisco gran che. A volte sembri un marchettaro e altre Alice nel paese delle meraviglie, e non hai mai neanche pensato che potevi stare con un uomo fino a cinque minuti fa?”
“Lo so che sono strano, però prima di Ludger non ci avevo mai pensato. E ci sto iniziando a pensare ora… con soli due mesi di ritardo. Sono stato con una ragazza per un po’, ma non ero innamorato e non è stata una bella storia. Poi niente, sono piuttosto pigro.”
Andrea era sbalordito. “Cioè, fammi capire… non vedi Louis da due mesi e solo ora ti stai chiedendo come si scopre se ti piacciono i ragazzi?”
Amedeo finalmente rise, e Andrea si stupì per quella risata da bambino che non aveva ancora sentito.
“Ludger mi piace tantissimo. Mi sta facendo impazzire per quanto mi piace. Per quel poco che c’è stato tra noi, se fosse successo con una ragazza, non ci sarebbero state tante differenze. Almeno credo… e per riprendere la tua metafora, mi ha scaraventato attraverso lo specchio e se ne è andato subito dopo. Io sono un tipo piuttosto sveglio, e quindi un paio di mesi dopo ho iniziato a farmi delle domande.”
Andrea era confuso. “Scusa, ma ci stanno troppe cose che non mi tornano… dici che c’è stato così poco che poteva essere pure con una ragazza… cioè, c’è stato davvero così poco?” Pensò alla sproporzione delle reazioni di entrambi e a quanto quel comportamento fosse inedito per il suo amico, ma preferì non dirlo.
Amedeo rise di nuovo. “Mi sono accorto che è un ragazzo, a un certo punto. Però sì, non abbiamo fatto molto. Non l’ho mai visto neanche nudo.”
Andrea si affrettò a invitarlo a ‘darci un taglio’, divertito. Era davvero colpito perché ricordava bene la disinvoltura di Ludger rispetto alla nudità.
“E non ti spaventa che sia un ragazzo?”
“Non più di tutto il resto, anzi, ci sono molte cose che mi spaventano di più.”

Ravi li accolse al cancello con un inchino, e Andrea lo salutò con familiarità chiedendogli di portargli un paio di caffè e dell’acqua. Amedeo fu assalito dalla malinconia appena varcato il cancello del giardino, ma gli mancò il respiro quando entrarono nella stanza: si bloccò sulla porta, guardando il lato del letto che era stato occupato da Ludger, travolto da una nostalgia dolorosa. Quando Andrea lo vide fermo, inespressivo e pallido, decise di restare in silenzio; anche per lui era faticoso essere lì, perché quel posto somigliava alla tomba dove il suo amico aveva deciso di rinchiudersi. Provò tenerezza per Amedeo perché aveva conosciuto e frequentato Ludger in quelle circostanze, e gli poggiò una mano sulla spalla.
Amedeo si stropicciò gli occhi. “Scusami, non pensavo mi prendesse così male. Cerco di farmela passare subito. Non è questo posto il problema… perché qui dentro ho passato dei brutti momenti, quello più brutto in assoluto, ma anche i più belli. Però poteva essere qualsiasi altra stanza. Adesso mi sento associato alle scorie che Ludger si lascia dietro e in genere ci convivo bene, ma qui dentro è troppo… scusami, ti sembrerò stucchevole.”
Andrea gli tolse la mano dalla spalla e si accese una sigaretta, prendendosi un po’ di tempo prima di rispondere. “Guarda, di quello che puoi sembrare agli altri non te ne deve fregare niente. Io poi sono talmente stranito da ‘sto posto che non sono in grado di giudicare niente. Lui ha sempre generato caos nei posti dove viveva, e questa mi sembra una cella frigorifera. Senti, io suggerisco una cosa. Smontiamo lo stereo per ultimo e mettiamo la musica a palla. Muoviamoci in fretta e pensiamo solo alle sacre reliquie che maneggiamo. Pure a me non mi piace stare qui, perché Louis ci si era sepolto e ancora non mi capacito che ne sia uscito vivo… conoscendo la sua determinazione c’era solo da darlo per spacciato. Dai! Diamoci una mossa.”
Lavorarono in silenzio per alcune ore, mentre Ravi continuava a portare bibite fresche. Amedeo imitò Andrea, togliendosi la maglietta. Le scatole di libri e di dischi erano pesanti, ma il pezzo più difficile da spostare fu la tavola.
Andrea era contrariato solo all’idea di doverla toccare. “Ma è stato lui a dirti che dovevamo prendere anche la maledetta crosta?”
Stavano fumando seduti sul davanzale, tra le orchidee.
“Sì, in modo molto chiaro. Ci tiene tanto e anch’io l’ho sempre trovata… affascinante. Non ti parlo della pittura informale perché temo le conseguenze. Secondo me assomiglia, in qualche modo, a delle cose che mi piacciono molto. Mi sono sempre chiesto che storia potesse esserci dietro, dal primo momento. Pensa che ho visto prima questa tavola della faccia di Ludger, non si era tolto neanche i capelli dal viso. Tu conosci la storia?”
Andrea aspirò profondamente dalla sigaretta, limitandosi a rispondere un ‘purtroppo’ che non fece che alimentare la curiosità di Amedeo.
“Me la racconteresti? Lui mi ha detto che posso chiederti qualsiasi cosa, altrimenti non lo farei. Solo se ti va.”
“Non adesso, non qui dentro. Quando ci fermiamo per mangiare, magari mentre ti spiego come rollare le sigarette, già che ti piace il mio tabacco.”

Pranzarono nel bar dove Amedeo era stato alcune volte con Ludger; Andrea continuava a scherzare e la sua presenza lo aiutava a sopportare il contatto con quei luoghi.
“Pischello, adesso ti mangi un bel panino nutriente, perché non ho nessuna intenzione di portarti in braccio anche oggi. Il corredino di Tutankhamon mi basta e avanza. Però sei muscoloso per essere così mingherlino, fai palestra?”
“Non ho abbastanza soldi, ci tornerò se mi pagherete bene, per ora mi alleno a casa con una scheda che mi ha fatto un tizio conosciuto a una cena. Tu però devi smetterla di chiamarmi così.”
“Un altro che ti si voleva fare. Che facevi in palestra?”
“See, va beh. Comunque prepugilistica, appena posso riprendo. Tu però la devi davvero smettere di chiamarmi così. Mi dà fastidio.”
Andrea mugugnò qualcosa di indistinto, e diede alcune sorsate di birra prima di riprendere a parlare. “Sembri parecchio giovane. Quando ti ho portato in macchina di peso mi sentivo un rapitore di minorenni. Quanti anni hai esattamente?”
Amedeo sorrise divertito. “Ventitré tra poco. Ma scusa… stai dando al tuo migliore amico del pedofilo?”
Andrea si portò il boccale alle labbra per guadagnare tempo,  soffocando sul nascere una risata che sarebbe sembrata fuori luogo. “Senti, il mio migliore amico, negli ultimi anni che mi ha permesso di frequentarlo era parecchio distratto. Però giuro che mi impegno per non chiamarti più così, se ti dà fastidio non è bello. Anch’io volevo chiederti una cosa, la prossima volta che decidi di bere pesante mi chiami? Se ci sto dall’inizio mi diverto di più. Ora senti, ti racconto della crosta ma sappi che è una storiaccia e non mi piace ricordarla, quindi accontentati di quello che riesco a dirti. La tavola era stesa per terra, nella zona in cui Nobuko dipingeva, nel soggiorno della casa di Monteverde che loro usavano come studio, un vero porcaio. Sopra c’era il suo cavalletto e a volte ci dipingeva anche Nora, ma solo Nobuko poteva provarci i colori. Le ragazze la chiamavano l’opera di Ludger scherzando, perché lui si divertiva a pastrocchiarci i colori che avanzavano ogni volta che ne aveva occasione. Nobuko non usava il bianco e il nero, e quella crosta ha subito stratificazioni dei suoi colori avanzati per anni, stesi da lui con le mani.” Andrea parlava con un ritmo diverso dal solito rendendo evidente quanto fosse difficile per lui rievocare quei ricordi. Sospirò rumorosamente prima di riprendere. “Louis scompariva ogni volta che Nobuko partiva per andare dai suoi, per me era normale. Passati alcuni giorni ho provato a chiamarlo, e lui non rispondeva. E questo non era normale. Così ho chiamato lei e qualcuno che non conoscevo ha risposto al suo telefonino, con molta freddezza, mi ha detto che Nobuko era morta e di non chiamare mai più. Mi sono precipitato a casa di Louis e ho suonato e chiamato per ore. Lì dentro c’era lo scenario più vicino all’inferno che ho visto. La casa era devastata, e tutte le cose di Nobuko erano accatastate al centro della stanza grande pronte ad essere distrutte, per mantenere una promessa che le aveva fatto.” Andrea dopo essersi stropicciato gli occhi lucidi si preparò un’altra sigaretta. “Ludger era in condizioni che non sono in grado di descrivere. Quindi non lo farò, e non mi fare domande che tanto non risponderei. La tavola era diventata bianca, com’è adesso, ed era l’unica cosa rimasta in piedi. Poi l’ho aiutato a portare le tele, le tavole, i disegni, i quaderni e tutte le foto in spiaggia, dove la madre di Ludger ha una casa, e lì le abbiamo bruciate. Nora non gli ha mai perdonato di aver distrutto tutto quello che aveva fatto Nobuko. Io non me la sento di giudicarlo perché ho sempre ammirato il fatto che Louis mantiene sempre le promesse. Dopo quel giorno è diventata un’altra persona. E di questo non mi va proprio di parlare.”
“E io non te lo chiedo. Grazie Andrea. Adesso la crosta è diventata preziosa anche per me, mentre prima era solo bella… senti… davvero Ludger ha sempre mantenuto le sue promesse?”
Andrea si limitò ad annuire. Non gli era mai piaciuto tornare a quei ricordi ma sorrise al pensiero che Amedeo non si scoraggiasse di fronte alle spigolosità di Ludger, accettandole con un candore di cui non riusciva a capacitarsi. Rise per la forma approssimativa della sigaretta che Amedeo si stava portando alle labbra, e iniziò a spiegargli come prepararle usando il tabacco.

Dopo aver girato la chiave Amedeo  indugiò con la mano sulla maniglia. “Ora devi essere sincero, non dirmi che non ti piace solo per farmi dispetto.”
“Guarda, mi fa una tale impressione essere di nuovo qui che non credo di essere in grado di scherzare.”
Amedeo aprì la porta lasciandolo entrare per primo. Dall’ingresso avanzarono verso il soggiorno, inondato dalla luce del primo pomeriggio: le pareti avevano un lieve tonalità verde sulla base grigia chiara, gli spazi erano netti e puliti. A destra, dove un tempo c’era la zona studio di Nobuko, erano posizionati due divani grigi dalle forme minimali, come gli scaffali di legno chiaro appoggiati alle pareti. La zona pranzo era separata dalla cucina grazie a una penisola, sormontata da mensole aeree: i mobili di quell’ambiente erano di legno chiaro e acciaio, mentre le pareti sembravano di pietra. Andrea era stupito dal quel cambiamento radicale; trovò quel posto bello ed elegante, straordinariamente lontano dal caos nel quale aveva vissuto il suo amico. Iniziò a muoversi in silenzio tra le stanze, notando le leggere variazioni di tonalità tra un ambiente e l’altro. I mobili sembravano così bene inseriti negli spazi da dargli l’impressione di esserci stati da sempre.
“Hai un talento, dovresti fare l’arredatore.”
“Me lo ha detto anche l’architetto che mi ha aiutato… sì, uno di quelli che mi si voleva fare.”
Fu felice di veder ridere Andrea.

Amedeo costruì lentamente un nuovo programma quotidiano, nel quale con il tempo iniziò a muoversi con disinvoltura. Frequentava regolarmente le lezioni all’università e la biblioteca, spesso in compagnia di Davide con cui a volte usciva anche di sera. Incontrava spesso anche Lorenzo ma sempre in compagnia di Elisa, che un pomeriggio gli raccontò di esserne ‘forse quasi innamorata’. Anche con lei stava trovando un nuovo equilibrio: il loro rapporto era meno intimo ma l’affetto reciproco restava lo stesso. Andrea e Nora gli piacevano molto, e aveva iniziato a lavorare con loro; in quelle notti stava al bancone, bevendo il necessario per sentirsi euforico senza rischiare di perdere il controllo. Nora iniziò a trascinarlo in pista fin dall’inizio; lei amava ballare e trovò in lui un alleato instancabile. Ogni volta che il Dj faceva partire uno dei loro pezzi preferiti si ritrovavano nella calca insieme.
In poco tempo Amedeo diventò una specie di celebrità tra i frequentatori di quelle serate; al bancone cercava di essere sempre cortese e distaccato, ma quando ballava amava perdersi nel baccanale. Spesso faceva fatica ad abbandonare la pista per tornare al lavoro, trattenuto dalle stesse persone che erano spesso disposte a fare la fila anche per un bicchiere d’acqua. Con Andrea e Nora parlavano spesso di Ludger, ma Amedeo faceva pochissime domande. Andrea si divertiva a scherzare sulle schiere di pischelle disposte a darsi all’alcolismo pur di scambiare con lui due parole.
Amedeo e Ludger continuavano a sentirsi ogni giorno, ma credere nel suo ritorno iniziò a sembrargli un atto di fede di una religione privata. Al primo sogno erotico ne erano seguiti altri; non ne aveva parlato con nessuno oltre a Davide, ma si sentiva sempre più irritato e infastidito dalla sensazione di perdere il controllo del proprio corpo.

tempo immobile
passi che non portano altrove

contorni che si sfumano
mentre il varco si allontana

non era questa la promessa
questo lo ricordo bene

blu quasi trasparente
è lì che vorrei annegare

– Sono stanco, ma ce l’ho fatta anche stavolta. Inizia a fare caldo, ho visto due turisti scalzi. –
– Non devi andare ogni volta su quel ponte, non è necessario. –
– Piuttosto ci vengo di notte, lo sai che ho bisogno dei miei rituali, ma non è per quello. Anche io ho come questa sensazione di… dissolvenza, e non mi piace per niente. Le cose che mi scrivi e questo ponte per me sono tra i pochi varchi che ci sono rimasti. Certe volte mi sembra tutto così… impossibile. Sono abituato a non capire le cose, a trovare modi miei per attraversare quello che per gli altri è normale. Ma tu, Ludger, nella mia testa sgretoli tutto, e non c’è niente che io possa costruire per rimpiazzare i crolli. Monto intere città ma sono più inconsistenti di quelle che facevo con i Lego. Non c’è niente di vivo che ci si muove dentro, non riesco ad animare quello che faccio. C’è un senso di vuoto sconfortante. Perché è diverso dalla solitudine. E se chiudo gli occhi ti vedo sempre in quel cortile, ma ormai è come se fosse l’ennesima foto di un tempo che non esiste più, come quella che ho nel portafogli. E anche in quella polaroid non sei esattamente tu, e sicuramente lì io non c’entro niente, perché stai con Nobuko… che confusione. Se cerco di andare oltre l’immagine falsa di te nel cortile ti vedo prigioniero in un posto che non posso immaginare, e quindi mi mette ansia… Certe volte mi chiedo se esisti davvero, se non avevano ragione a dirmi che sono scemo, e sto parlando con il mio amico immaginario. –
Amedeo distinse con chiarezza la sagoma di un topo che correva lungo il margine della banchina, e si fermò trattenendo il respiro. Era sceso per vedere il ponte dal basso riflettersi sull’acqua, lontano dalla confusione che animava il Lungotevere quel sabato sera. Il silenzio si protrasse così a lungo che iniziò a chiedersi se non fosse caduta la linea. – Ludger? Ci sei ancora? –
– Sì. In una stanza dalle pareti bianche, con pochi mobili anonimi. Fuori dalle finestre è completamente buio. Potrebbe essere ovunque e hai ragione, mi sento prigioniero. Ho al polso la tua collana, ed è un ricordo prezioso della mia libertà. Forse dovrei smettere di scriverti, ho il sospetto che non ci faccia bene. –
– Ti ho detto il contrario, che è una connessione importante. Ludger, non ci sono cose che possono farci bene, così, attaccati a un maledetto telefono. Io odio parlare al telefono ma non voglio rinunciarci. Perché non abbiamo altro. Senti, devo riprendere a camminare, ho visto un topo e non mi va di restare ancora fermo qui, ti mando un messaggio dopo. –
– Va bene. Ti chiedo solo una cosa. Chi ti diceva che eri scemo? –
– Alcuni componenti della mia famiglia. Ciao Ludger, vado prima di vedere un altro ratto. –

Amedeo aveva un brutto rapporto con i suoi compleanni, non gli piacevano le telefonate di auguri e sopportava con difficoltà anche quelle dei suoi famigliari. Ricevere la telefonata della madre era stato più faticoso del solito, perché non aveva fatto che cercare di farlo sentire in colpa per la sua assenza durante le vacanze di Pasqua. Da quando si era trasferito non aveva mai festeggiato il proprio compleanno, se non quando Elisa o Sebastiano lo avevano coinvolto in attività che amava. Pochi giorni prima aveva detto alla sua amica di non fargli neanche gli auguri. Ludger e i suoi amici ignoravano la sua data di nascita, e non sentiva Sebastiano da diverso tempo. Aveva in programma di passare la giornata in casa da solo a studiare.
Sebastiano faceva il possibile per raggiungerlo in quel giorno ogni anno. Una volta era comparso senza preavviso, proponendogli un viaggio a Vienna; Amedeo era rimasto congelato dalla sorpresa, ed aveva accettato soltanto per impedirgli di strappare con indifferenza i biglietti. Quel viaggio era stata una delle esperienze più belle della sua vita, e Sebastiano lo aveva stupito con un programma che esaudiva alcuni dei suoi desideri irrealizzabili: il Requiem di Mozart e il Leopold Museum. Avevano passato gran parte della notte ubriachi per le strade del centro bagnate di pioggia, arrampicandosi e correndo fino a farsi scoppiare i polmoni. Ricordava la bellezza di suo fratello che brillava per l’euforia in quel viaggio incredibile, soprattutto perché era stato a suo agio in un mondo per lui alieno.

Stava studiando da ore quando il suono del citofono lo fece sobbalzare; sentire la voce di Sebastiano lo rese felice, malgrado fosse consapevole che sarebbe stato un incontro difficile. Sebastiano odiava i cambiamenti e sosteneva fosse stata l’amebite a renderli fratelli, una condizione resa possibile dal fatto che si erano trovati entrambi dall’altra parte del vetro, distanti dagli altri. Lo percepiva come suo simile, malgrado fossero arrivati a quella condizione in modo molto diverso.
In quel periodo Amedeo non prestava attenzione ai propri cambiamenti, inconsapevole di aver superato la rigidità che gli aveva sempre dato la timidezza. Forse i continui apprezzamenti che gli rivolgevano i suoi amici gli stavano dando una sicurezza che, insieme alla noncuranza, faceva vivere e muovere il suo corpo in modo diverso. Raggiunse il cortile dopo essersi precipitato per le scale, lasciando sbattere il portone. Sebastiano si voltò di scatto per quel rumore insolito, perché era abituato a vederlo muoversi lentamente, evitando di far rumore. Lo osservò in silenzio, notando i capelli più lunghi e i vestiti neri aderenti, ma soprattutto quello sguardo che sembrava metterlo a fuoco con un’acutezza sorprendente. 
Amedeo si lasciò studiare per alcuni secondi prima di percorrere i pochi metri che ancora li separavano, allargando lentamente le braccia. “Fratello, mi abbraccerai anche stavolta?” Aveva formulato la domanda con una vena di sofferenza nella voce, malgrado non avesse smesso di sorridere.

Sebastiano chiuse gli occhi e si mosse velocemente per avvolgerlo tra le sue braccia, stringendo troppo forte. “Che diavolo ti è successo?”
“Di tutto, ma non sai quanto avevo bisogno di questo, adesso. Poi ne parliamo, se vuoi.”
Restarono abbracciati a lungo, anche se Sebastiano rimaneva insolitamente rigido.
Amedeo sperava che l’amico riuscisse ad accettare i suoi cambiamenti, malgrado non ignorasse che avrebbero dovuto attraversare un momento difficile. “Fratello, vuoi salire? Non c’è nessuno in casa ed Elisa non tornerà fino a stasera.”
Sebastiano era combattuto: ogni volta che si trovava vicino all’essere coinvolto in qualcosa che rischiava di minare il proprio equilibrio se ne allontanava all’istante, ma per Amedeo era disposto a fare uno sforzo in più. Amedeo era troppo importante per assecondare il proprio istinto senza concedergli la possibilità di spiegarsi, anche se detestava ogni tipo di sorpresa.
Amedeo lo portò in camera sua evitando il salottino di Elisa che ormai veniva usato per ricevere gli amici; si appoggiò alla scrivania accendendosi una sigaretta, mentre Sebastiano non nascose il proprio nervosismo, muovendosi avanti e indietro prima di lasciarsi cadere sul letto.
Malgrado lo sguardo serrato parlò con la solita noncuranza. “Proviamo a capire cosa succede. Chi è stato a ridurti così.”
In risposta Amedeo sussurrò il nome di Ludger, e Sebastiano ripetè meccanicamente le poche cose che sapeva di lui.
Amedeo cercò di sorridergli perché era davvero felice di rivederlo. “Non lavoro più per lui e non lo vedo da mesi. Adesso lavoro con degli amici, delle serate con musica. Io sto al bancone e ogni tanto ballo, ho scoperto che mi piace ballare.”
La tensione di Sebastiano non si alleggerì. “I tuoi lavori mi preoccupano.” Si massaggiò il viso con le mani affusolate. “Così ridotto potresti fare anche il mio lavoro di merda.”
“Non mi importa del mio aspetto, e sono contento che anche tu non lo apprezzi. Sono circondato da persone che si sperticano in complimenti fuori luogo… invece io mi vedo e mi sento soprattutto allucinato.”
Stava per aggiungere qualcosa quando suonò il telefono. Era raro che Ludger chiamasse durante il giorno e, anche se generalmente sentirlo quando non era in programma non lo infastidiva, la trovò una coincidenza sfortunata.
– Ciao Amedeo, spero di non disturbarti. Ho finito i libri da leggere e pensavo di spedire Anastasia in libreria. Hai qualcosa da consigliarmi? Se adesso non puoi parlare, intanto pensaci. –
Amedeo rispose mantenendo un tono neutro. – Ciao Ludger, penserò a qualcosa e ti manderò un messaggio. Sono con Sebastiano, che è appena comparso come un’epifania. –
Ludger rispose con evidente entusiasmo. – Tuo fratello? Che bello saperti con un amico. Lascia stare i libri, pensa a gustarti la sua compagnia. Anzi non voglio trattenerti, ringrazialo per la magliettona. –
– Non è esattamente un momento buono, non penso sia il caso di parlare della magliettona. –
– Mi dispiace. Speravo che stare con Sebastiano potesse essere una bella parentesi nella tua chiusa. Chiamami tu quando vuoi. Ti lascio, così tornate a parlare. –
Amedeo lo ringraziò chiudendo la chiamata senza salutarlo, come facevano spesso.
Sebastiano scandì le parole con fatica. “Avete scopato usando la mia maglietta.”
Riempì d’aria i polmoni. “No, tecnicamente non abbiamo scopato mai.”
“Dici di non vederlo da mesi, dov’è ora?”
“Non lo so, e non so neanche quando torna.”
Sebastiano strinse violentemente il materasso con le mani, seduto con le braccia tese e il torace proteso in avanti. “Gli hai fatto qualcosa.”
“Purtroppo no, l’ho solo baciato.”
Purtroppo. Porco il creato, che nausea. Quindi, lui deve aver fatto qualcosa senza aggiungere niente a quello che già conoscevi. Se ti bastava così poco, potevo farlo io.”
Era evidentemente sconvolto, e Amedeo ne fu profondamente dispiaciuto.
“Non sarebbe stata la stessa cosa, e lo sai.”
Sebastiano chiuse gli occhi e parlò a un volume troppo alto, scandendo nettamente le parole. Utilizzò perfino formule interrogative che solitamente ometteva. “Sei felice? Stai bene?”
Amedeo, per contrasto, rispose quasi sussurrando. “No, non mi sembra di essere mai stato così male.”
Sebastiano aveva gli occhi lucidi di rabbia. “Ti ha torturato con giochetti sadici come quella bestia? Come tua sorella?”
“Assolutamente no! Ludger non farebbe mai male a nessuno… si lascerebbe morire piuttosto!”
Lo stupore sul viso di Amedeo lo ferì, perché gli restituiva il ragazzo dalle espressioni limpide che aveva conosciuto in passato. “Questa frase terribile. Stucchevole alla soglia del disgusto. L’ha detta lui?”
Amedeo chiuse gli occhi scuotendo la testa, ma li riaprì subito per restare completamente vigile. “No. Lui mi ha raccontato quanto potesse essere stato stronzo prima, o insensibile agli altri in un’altra fase. Non si è mai dipinto in modo positivo. Per me non è facile tirar fuori queste cose, in queste circostanze ancora meno… ma per te non mi tiro indietro. Questa cosa io la sento, a prescindere dai suoi racconti, e sono sicurissimo che non potrebbe mai farmi male, così come sono certo che preferirebbe colpire se stesso piuttosto che me.”
“Allora perché se ne è andato? Perché tu stai male?”
Amedeo, esausto, abbassò lo sguardo, fissando un singolo frammento della pasta di marmo delle mattonelle. “È partito per rimettere insieme i pezzi, non è stato molto chiaro, ma non voleva coinvolgermi in un’impresa che sapeva difficile e dolorosa. Sta con una sua zia che gli avevo suggerito di risentire. Dopo l’incidente aveva fatto fuori tutti, proprio per proteggerli. Io sto male in maniera diversa rispetto ad allora, a quando mia sorella mi torturava. Adesso non sto male solo per me, ma anche per lui. Con Ludger ho iniziato a stare male per qualcuno più di quanto faccia per me stesso.” Desiderava superare il senso di distanza e rassicurarlo sul fatto che non sarebbe cambiato niente tra loro. In parte sperava che Sebastiano potesse essere un rifugio per lui, ma sapeva che doveva dargli tempo, però voleva fornirgli i passaggi fondamentali della storia con Ludger, sperando riuscisse ad assimilarli. “Appena le cose sono iniziate a cambiare ha cercato di farmi fuori, per… lasciamo perdere. Sono riuscito a raggiungerlo per un soffio. Poi siamo stati insieme, se così si può dire, una sola volta e poi è partito. Io rischio costantemente di annegare nel disastro di emozioni che ho dentro. Non ne parlo con nessuno. Non so ancora quando tornerà, e certe volte penso che non tornerà mai. Ancora non so come ne uscirò, ma sento che questa è la strada che devo percorrere, perché mi trascina in modo troppo forte. Lui sta percorrendo la sua. In ogni caso mi dispiacerebbe tantissimo perderti. Tra tutto quello che sento mio tu sei la cosa più preziosa. Anche se non so dove sto andando, farei di tutto per poterti portare con me. Posso solo sperare che riuscirai ad assimilare questi cambiamenti. Io ti aspetterò, sempre.”
Sebastiano gli si avvicinò in silenzio. “Dammi tre ore.”

Amedeo alzò il volume dello stereo, si spogliò e sfogò i nervi facendo ginnastica fino a ritrovarsi esausto. Nella doccia restò a lungo sotto il getto di acqua calda, cercando di recuperare la calma. Si sdraiò sul letto, e iniziò a ripassare un argomento che stava studiando, finendo per addormentarsi. Si svegliò alcune ore dopo, sussultando per il suono del citofono.
Sebastiano era ancora teso ma si sforzava di mantenere la calma. “Ho dei biglietti per un viaggio che siamo ancora in tempo a iniziare. Due giorni, il Tempietto Longobardo e Ravenna. Se te la senti di partire io vorrei provare. Però devo darti alcune condizioni. Alcune le so già, altre potrebbero venire in seguito. La prima è che vorrei sentirti parlare soprattutto delle cose che vedremo, e di quello che stai studiando. Se devi passare tutto il tempo a pensare a lui tanto vale che resti qui. Le altre ancora non le so. Cercherò di essere umano. Se ti lascio adesso potrei non tornare più indietro, e anche per me sarebbe un dispiacere tremendo. Ci stai?”
Trattenne un sorriso per non irritarlo, limitandosi ad annuire. “Va bene, ti chiedo solo un’ultima telefonata, come i condannati.”
– Ludger, sto per imbarcarmi in un viaggio di due giorni con mio fratello. –
– Mi sembra straordinario! Sono contento, tu lo sei? –
Amedeo mantenne un tono distaccato. – Molto. –
– Fantastico! Dove andate? –
– Mi porta a vedere cose che mi piacciono tanto, di cui avevamo parlato l’ultima volta che ci siamo visti. Ti dispiace se tengo il telefono spento? Poi magari ti chiamo, però potrei scomparire per due giorni. –
– Non mi dispiace per niente, spero solo che tu stia bene, chiamami quando vuoi. –
– Grazie, a presto. –
– Non mi devi ringraziare. Divertiti. –
Dopo aver chiuso la chiamata tirò fuori dall’armadio un trolley e iniziò a riempirlo, selezionando alcuni dei libri ancora aperti sulla scrivania.
Sebastiano gli si affiancò senza aiutarlo. “Non ti ho chiesto di essere così radicale.”
“Lui è contento, perché gli ho detto che lo sono io… era tanto che non lo sentivo così contento. Poi lo chiamerò. Non volevo correre il rischio di ricevere chiamate mentre ti faccio sanguinare le orecchie.”
Sebastiano accennò finalmente un sorriso.

Amedeo trascorse il viaggio in treno immerso nella lettura di un libro sull’arte Bizantina, sottolineando e prendendo appunti. Cambiava posizione frequentemente, scivolando a volte in avanti sul sedile per poi tornare indietro repentinamente. Spesso carezzava la carta e la superficie liscia della matita perdendosi nei suoi pensieri, restando immobile. A volte si incantava guardando Sebastiano seduto di fronte a lui con la schiena dritta, che leggeva o guardava fuori dal finestrino; Amedeo sapeva di poterlo guardare senza infastidirlo, ma quel giorno sul viso del fratello persisteva una nota di preoccupazione impossibile da ignorare.
Arrivati a Ravenna raggiunsero l’Hotel in taxi solo per lasciare le valigie, perché Sebastiano aveva fretta di raggiungere Sant’Apollinare Nuovo, dove si fermarono fino all’orario di chiusura. Davanti alla teoria di sante a mosaico, Amedeo iniziò a parlare  con Sebastiano come faceva sempre, condividendo riflessioni scaturite dal contatto con gli oggetti dei suoi studi. Quelle riflessioni prendevano forma soltanto dopo aver costruito una base storica che ne costituiva l’ossatura, e su quella poggiavano i suoi soliloqui, che si sviluppavano verso percorsi sempre più personali e originali.
“I fondi dorati, come tutte le superfici riflettenti, confondono la misurazione dello spazio, una dispercezione della profondità che dovrebbe concretizzare una dimensione altra, divina, con regole spazio-temporali proprie… penso che questo fenomeno possa, in qualche modo, somigliare a quelle dispercezioni spazio-temporali che possono portare le allucinazioni. Come anche nelle espressioni stereotipate e ieratiche dei visi. Un tentativo di rappresentare in modo visibile, attraverso la difficoltà tecnica della decodifica figurativa del mosaico, l’assenza. Sai che Giustiniano e Teodora non sono mai stati qui? Eppure domani andremo a fargli visita.”
Sebastiano non si stancava mai di ascoltarlo; i propri studi e le letture successive gli avevano fornito i rudimenti di quel linguaggio. Si sentì meglio sentendolo parlare, convincendosi di aver fatto bene a dargli quella possibilità. In quel contesto Amedeo tornava a lui integro e per certi versi arricchito perché, nelle espressioni che animavano il suo viso, vedeva il riflesso delle emozioni che descriveva. Ascoltandolo iniziò a distinguere una traccia nascosta, che univa e dava spessore alle riflessioni che stava condividendo con lui.
All’uscita si sentirono euforici, leggermente ubriachi. Prima di andarsene fecero scorrere i polpastrelli sui mattoni esterni della chiesa mentre camminavano lungo il perimetro: Amedeo sosteneva fosse un modo per toccare la storia.
Sebastiano lo assecondò, sapendo che quel gesto rappresentava la chiusura di un rituale. “Queste idee dovresti scriverle. Potrebbe diventare la tua tesi, o anche un modo per darmi qualcosa di interessante da leggere.”

“Quanto tempo è stato Ludger senza dire una parola.”
Erano seduti in vineria, davanti a un calice di Taurasi; Amedeo iniziò a raccontare del loro primo incontro, al quale era seguito un mese in silenzio.
“Cosa hai fatto con lui in quei pomeriggi.”
Amedeo era abituato al suo modo di trasformare le domande in affermazioni. Guardando il suo viso di porcellana, completamente inespressivo, diede una sorsata di vino trovandolo troppo articolato. “All’inizio mi portavo dei libri, ma anche se li aprivo non riuscivo a concentrarmi. Non mi era mai capitato di stare vicino a qualcuno così indifferente a tutto, finivo sempre per incantarmi restando a guardarlo tutto il tempo. Come faccio con te o con Elisa, le poche volte che riesce a stare ferma. Così ho smesso anche di portare i libri.”
Sebastiano restò impassibile. “Ieratico. Era una delle tue parole preferite. Sono preoccupato per Aline. Sta peggiorando da ogni punto di vista. Ormai è quasi uno scheletro e si imbottisce di merde di ogni tipo. Non è mai del tutto sobria e non pensa ad altro che alla morte, alla sua morte. Non ha mai avuto molti altri interessi però adesso è completamente appiattita. La situazione fra noi non è cambiata, anche se io resto il suo unico altro interesse. Ormai tenerla in vita è diventato un lavoro che mi impegna più di quello ufficiale. Non è questo il problema. Non la mollo, ovviamente, devo però rassegnarmi al fatto che non riuscirò a trattenerla ancora a lungo.”
Amedeo lo ascoltò con attenzione, non sapeva molto di Aline e non aveva mai osato far domande: Sebastiano doveva tenere molto a lei, anche se gliene aveva sempre parlato con un distacco che qualche volta trovava sinistro. Sebastiano, in passato, gli aveva detto che somigliava a un suo amico d’infanzia, una figura della sua mitologia personale che portava il nome con cui aveva deciso di chiamarlo. “Sebastiano, sono convinto che stai già facendo tutto il possibile. Non conosco i dettagli, ma non credo che potresti fare di più.”
Sebastiano sorrise in modo strano. “Luca caro, ci sono sempre possibilità d’azione che non vediamo.O fingiamo di non vedere. Nel caso specifico riesco a individuarne almeno due. Cerco di dirlo usando il tuo linguaggio. Potrei fare di meno. Generando una reazione. Potrei fare di più. Ad esempio l’impossibile.”
Amedeo socchiuse le labbra, corrugando appena le sopracciglia. “Non capisco.”
“Credimi, è meglio così. Vorrei finire questa bottiglia e iniziare una sana delirata tra amici. Lontani dalle nostre chimere.”
Consumarono altri due calici senza parlare, sorridendo senza motivo. Sebastiano notò che Amedeo, oltre a fumare più del solito, aveva iniziato a rollarsi le sigarette con il tabacco, ma non fece commenti.
“Posso farmi una sigaretta delle tue?”
Amedeo lo osservò ammirato chiudere in pochi secondi un cilindro sottile e perfetto, togliendo la cartina in eccesso.
Sebastiano aspirò i primi tiri con gusto. “Anche Ludger prende qualcosa.”
“Tranquillanti, lo seguiva uno psichiatra da dopo l’incidente, anche se non ci parlava. Prima di partire ha provato a smettere, perché ha capito che questa cosa mi faceva star male, ma non è facile. Mi ha parlato di un farmaco per ridurre gradualmente i sintomi dell’astinenza, che mi sono sembrati piuttosto brutti. Immagino, spero, che abbia continuato da solo. Poi non so.”
“Aveva allucinazioni.”
“Vedeva la sua ragazza morta, quindi direi di sì.”
Sul viso di Sebastiano comparve una lieve linea tra le sopracciglia. “Morta quando.”
“Penso più di tre anni fa, giapponese, posso farti vedere una foto che ho trovato per caso tra le cose che mi ha lasciato. Però il ragazzo della foto sembra il fratellino felice di quello che ho conosciuto io. Forse tu potresti sembrare il fratello grande di lei… non ci avevo mai pensato fino a ora.”
Sebastiano allungò la mano sul tavolo con il palmo rivolto verso l’alto, aspettando in silenzio. Prese con delicatezza la polaroid che Amedeo gli porse, maneggiandola come una reliquia. La osservò attentamente prima di restituirla, sussurrando ‘molto belli’; non gli sfuggì la tristezza sul viso di Amedeo. Pensò che la ragazza gli somigliava, e sperò fosse solo un’impressione di quel singolo scatto. Si alzò per andare in bagno.
“Hai tempo di una telefonata, se vuoi.”
Amedeo guardò la foto alcuni minuti prima di riporla. Quell’immagine lo feriva e affascinava ogni volta: non poteva fare a meno di pensare che a quei due ragazzi fosse stato negato un futuro al quale avrebbero avuto diritto.
– Che bello sentirti. Come stai? –
– Bene, siamo a Ravenna. Siamo arrivati un po’ tardi e abbiamo visitato una sola Basilica, stupenda. Domani vediamo i pezzi grossi. È stato bellissimo. –
– Che bello. Gustati questi giorni e chiamami solo se vuoi, non è un obbligo, lo sai. –
– Grazie, lo so. Pensavo a Nobuko. Ti capita ancora di vederla? –
Una breve pausa seguita da una perdita di colore nel tono della voce. – No. E non mi dispiace. E sono contento di non vedere altre persone che non ci sono… forse, se fossi tu, potrebbe essere una grande consolazione. Penso sempre a lei, credo che sia normale e non vorrei smettere di farlo… ma adesso sto imparando a distinguere tenendo separate le cose. Nobuko vivrà sempre in me, e questa presenza deve essere una ricchezza, non un intralcio, non deve togliere nulla a quello che c’è adesso o potrebbe esserci. Sono sicuro che tu non potresti fare lo stesso… lavoro, perché non l’hai neanche conosciuta. Io sto cercando di rimettere in ordine il mio caos, non devi essere tu a raccoglierlo, non servirebbe a niente. Concentrati su quello che stai vivendo ora. Questo viaggio con il tuo migliore amico, cerca di essere felice. –
Amedeo non rispose, e Ludger lo chiamò per sbloccarlo.
– Certe volte penso che… che se  Nobuko avesse avuto la possibilità di vivere io non ci sarei. –
– Lei non c’è più e non ci sarebbe stata più anche se non ti avessi incontrato. Ti prego, non ti perdere in questi pensieri inutili. Io non credo in niente, ma se qualcosa di lei fosse restato sono convinto che le saresti piaciuto tantissimo, tu e l’effetto che mi fai. Già che sei in pellegrinaggio, tu credi in qualcosa? –
Una risata. – No! Assolutamente no, credo ci siano tantissime cose che non posso capire ma sicuramente le risposte non sono nelle religioni. Poi, certe volte… credere in te mi sembra una specie di religione privata. Ma è un’altra storia. –
– Che bello sentirti ridere così. –

Camminarono a lungo nelle vie del centro; Amedeo cercava di cogliere le particolarità dei luoghi che visitavano mentre Sebastiano ascoltava in silenzio le sue riflessioni, formulando raramente domande per non farlo smettere. 
Dopo cena ripresero a passeggiare fino a quando le strade non si spensero nella notte. Raggiunsero un parco giochi e ondeggiarono a lungo sulle altalene prima di arrampicarsi su un maestoso platano. Non c’era vento e le luci della città erano lontane.

La voce di Sebastiano aveva recuperato una certa morbidezza. “Domani dobbiamo svegliarci presto, fra poco torniamo in Hotel a dormire.”
Amedeo distingueva i suoi piedi bianchi sulla corteccia anche nella poca luce: Sebastiano aveva l’abitudine di togliersi le scarpe quando si arrampicava, per avere più presa e sentire meglio gli alberi. “Non riesco mai a capire la vita degli uomini. Come sia possibile che creature che sembrano così insignificanti riescano a produrre così tanta bellezza. Da qualche parte ho letto che nessuno è normale se visto da vicino. Le persone che vedo belle, sempre belle, sono quelle che non sembrano normali neanche da lontano. Anche con te, mi chiedo come fai a lavorare, a entrare in contatto con così tante persone.”
Sebastiano rise, soltanto con lui beveva fino ad ubriacarsi, e riusciva ad essere completamente spontaneo. “Nel mio lavoro, nella mia vita, non viene richiesto di parlare. Quando serve fingo, come tutti, forse più degli altri. Possono essere molto faticose, le persone, ma ho imparato a non farmi toccare. Possono toccare la superficie del mio corpo, ma non gli do importanza. È quasi come se non ci fossi. Devo fare quello che dicono. Camminare, stare fermo, sorridere e tutta una serie di balletti insulsi. Il resto lo fanno gli altri. Sono una specie di automa. Appena mi sarà possibile smetterò di lavorare come modello. Anche solo  dirlo mi fa raccapriccio.”
Amedeo ripetè una definizione che gli aveva sentito dire alcune volte. “Una prostituta frigida.”
“Già, dammi una sigaretta. Poi andiamo.”

Si fermarono ancora a bere, continuando a camminare e correre nelle strade vuote, ridendo. Sebastiano a volte sembrava danzare, con movimenti fluidi che si bloccavano senza preavviso, quasi seguendo una musica che soltanto lui era in grado di sentire. Amedeo era rapito dalla grazia con la quale gestiva il suo corpo, e dalla melodia che animava quella macchina incantevole.
Raggiunsero l’albergo esausti ed euforici; si sdraiarono sul letto senza aprire le valige, e Sebastiano si addormentò per primo restandogli distante. Amedeo aveva notato il suo continuo evitare qualsiasi contatto fisico con lui. Era abituato a bere e in grado di gestire la stanchezza, perché arrivava a fare anche più tardi quando lavorava con Andrea. Si fermò a lungo a contemplarlo, pensando di essere comunque felice di poter stare ancora con lui. Dopo aver fatto la doccia si spostò nel balcone della camera, portando con sé il telefonino. Pensò a Ludger guardando il monitor che si stava accendendo, e alla sensazione di solitudine che la compagnia di suo fratello aveva momentaneamente allontanato. La strada era deserta e ricordò quanto avesse cercato di isolarsi per la maggior parte della sua vita, sfuggendo ai contatti forzati negli anni passati Lecce, fino ad arrivare a Roma e sentirsi finalmente libero proprio per aver strappato quei legami. Quelle riflessioni lo portarono a capire che, quello che stava sperimentando per la separazione da Ludger, era un senso di solitudine che rivelava una sfumatura diversa. Ne ignorava ancora le caratteristiche ma aveva acquisito un peso nuovo. Gli scrisse un messaggio prima di spegnere il telefono.
– Una giornata strana e bellissima, mio fratello dorme e io penso a te. Come sempre. Mi manchi in modi sempre diversi. –
Prima di sdraiarsi dal proprio lato del letto tolse le scarpe a Sebastiano, e gli accarezzò a lungo i capelli neri e lucidi. Si addormentò profondamente e, malgrado il sonno agitato che ormai non lo abbandonava mai, non gli si avvicinò neanche nel sonno.

Sebastiano si svegliò presto, e per attenuare i postumi della bevuta restò a lungo sotto la doccia prima di andare a prendere un caffè. Portò la colazione in camera ad Amedeo, che ancora dormiva profondamente. Indugiò a lungo prima di svegliarlo, seduto sul letto al suo fianco. Guardando il suo corpo magro e scolpito immaginò avesse ripreso ad allenarsi; sapeva che era un modo per sfogare la tensione. Indossava un paio di pantaloni della tuta che non riconosceva, come tutti i vestiti che gli aveva visto in quei giorni: erano abiti costosi che dovevano avere una storia che preferiva non conoscere. L’impegno che gli richiedevano i cambiamenti che stava vivendo lo preoccupava, come il fatto che ancora non fosse in grado di gestirli. Gli sfiorò la guancia, chiamando dolcemente il suo nome.
Amedeo stava sognando Ludger quando sentì la voce bassa e il suo tocco leggero: si svegliò di colpo sollevandosi a sedere con un’espressione spaventata.
Vedendo il sorriso di Sebastiano la paura abbandonò il suo viso. “Fratello… che bello vederti appena sveglio. Sono felice.”
Sebastiano si intenerì per l’espressione dolce con cui gli si era rivolto. “Anch’io sono felicissimo di vederti, Luca. Ora fai colazione perché fra non molto dovremo metterci in cammino.”

Visitarono il Mausoleo di Galla Placidia e San Vitale da cui Amedeo si separò con difficoltà, soprattutto per il mosaico del labirinto che lo portava a pensare a Ludger.
“La simbologia del labirinto mi rapisce, così come la perdita del senso temporale per l’avvitamento del percorso che è unico unicursale, non come in quello secentesco multicursale. In quello classico non ti puoi perdere per i bivi ma in un altro modo. È il simbolo di un percorso su cui sono state proiettate tante idee che hanno sempre a che fare con il cambiamento, con il mostro che devi affrontare e superare seguendo l’unica via possibile, una via che ti vuole confondere. Per poi tornare sui tuoi passi. E uscire solo. C’è quel racconto bellissimo del Minotauro di Borges, che come con Giuda ribalta la prospettiva usuale… mi sento un po’ ubriaco di idee.”
Amedeo seguì il percorso ingannevole ripartendo sempre dall’inizio: una retta che dall’entrata sembrava dirigersi senza esitazioni verso il centro, per poi allontanarsene avvolgendosi su se stessa, avvitandosi. Trovava ipnotico il disegno dei triangoli in marmo chiaro che indicavano come frecce il percorso opposto rispetto a quello da seguire, dando l’impressione di procedere con lo sguardo controcorrente.
Sebastiano raccoglieva frammenti di riflessioni che, a prescindere dal soggetto che le scatenava, finivano sempre per sommarsi allo stesso mosaico. “Fratello, cosa c’è al centro del labirinto?”
“Ludger, ovviamente. Adesso non so più in che versione, ma anche con lui il tempo si accavalla su se stesso senza permettermi di misurarlo in modo lineare. C’è stato un pomeriggio… forse il momento più brutto della mia vita. Posso provare a raccontartelo, se vuoi.”
“Sì, grazie.”
“Lui è parecchio più sveglio di me, e lo so che non ci vuole molto, ma anche per lui è stato difficile capire e poi accettare che tra noi le cose stavano cambiando. E quando l’ha capito ha cercato di farmi fuori, penso soprattutto per proteggermi. E c’era riuscito. Non ti sto a raccontare come ho superato il recinto. L’ho raggiunto al centro del labirinto, e lì c’era la sua morte. L’ho vista da vicino. Solo a pensarci mi si chiude la gola. Forse è il dolore più forte che ho provato in tutta la mia vita… Poi le cose sono cambiate…”
Sebastiano gli cinse le spalle, un gesto spontaneo del quale fu il primo a stupirsi. “Non pensarci adesso, alza gli occhi da questo pavimento e saluta degnamente i tuoi amici Giustiniano e Teodora. Fra non molto dovremo rimetterci in viaggio.”

Sebastiano aveva noleggiato una macchina per percorrere l’ultimo tratto del viaggio. Detestava guidare e lasciò il volante ad Amedeo, lamentandosi ogni volta che era costretto a maneggiare l’enorme piantina stradale. Ascoltarono le cassette che aveva portato Amedeo, cantando insieme alcuni brani. Non si fermarono neanche a mangiare per riuscire a visitare sia il museo che il Tempietto Longobardo di Cividale del Friuli. Di fronte all’altare di Ratchis, Sebastiano lo esortò di nuovo a scrivere quel flusso di idee, perché avrebbe voluto avere tempo e assorbirne appieno il significato.
“Questi tentativi mi sembrano così commoventi, mi fanno pensare a degli alieni che, venendo a contatto con un linguaggio ignoto, provano ad usarlo per esprimere quelli che per loro sono concetti nuovi, senza basi figurative su cui poggiare nuove necessità espressive. Erano nomadi, avevano decorato armi e gioielli, non avevano mai avuto necessità di usare figure per raccontare storie, ma questo non li ha fermati. È come se avessero inventato un linguaggio nuovo, fortemente simbolico perché il messaggio era più importante dell’aspetto. Le avanguardie storiche del novecento erano così affascinate dal primitivismo perché non contaminato dall’ossessione per la forma corporea della cultura occidentale, della costante ricerca della perfezione… questo oggetto è la testimonianza di un mondo rovesciato. È l’altro che a contatto con questo linguaggio ormai svuotato gli restituisce significato, deturpandolo, dandogli una nuova voce.”
Amedeo, dopo aver parlato tanto di fronte alle sante bianche del tempietto, restò in silenzio, sentendosi stordito. Sebastiano avrebbe voluto chiedergli di condividere ancora i pensieri suscitati da quelle statue, ma preferì trattenere la curiosità, accontentandosi di ricordare che le aveva definite meravigliosamente bastarde, associandole a lui. Sebastiano aspettava restandogli vicino, spostando lo sguardo dalle sante al profilo delicato di Amedeo che trovava incantevole con quell’espressione concentrata. Mentre Amedeo guardava le statue di stucco Sebastiano alternava quella vista al suo profilo dai lineamenti dolci; si sentì felice di essere lì perché sentiva che erano riusciti, ancora una volta, a scappare dal normale tessuto dei loro giorni.

“Tu, Ludger, lo desideri.”
Stavano seduti sotto il ponte del Diavolo, guardando il Natisone scorrere lentamente, passandosi spesso una bottiglia di vino; Sebastiano sembrava più rilassato. Amedeo era contento di poterne parlare con lui perché soltanto con lui sentiva di potersi esprimere in piena libertà; la sua opinione gli interessava moltissimo, specialmente perché lo sentiva profondamente affine.
“Sì, ho iniziato a desiderarlo, e mi manda parecchio in confusione. Non ci sono abituato e il fatto che non posso vederlo non mi aiuta. Certe volte mi irrita questo continuo pensare a lui,  che non mi dà tregua neanche mentre dormo. Lo sai come mi fisso sulle cose, ma con una persona non mi era mai capitato. Pensando al desiderio… mi sento come se una parte di me non mi appartenesse più, e mi spaventa, perché non la conosco e mi sembra possa finire fuori controllo. Perché mi stai distante? È collegato a questo?”
Sebastiano scosse la testa. “No. So riconoscere queste dinamiche e mi so difendere. Lo sai che tratto il mio corpo come fosse un oggetto che non mi appartiene, ma con te non è così. Tu, per me, sei unico. Sto digerendo il cambiamento. Mi sta riuscendo e ne sono sollevato. Forse non vorrei confonderti. Mi dicevi che non parli di Ludger con nessuno, neanche con Elisa.”
Amedeo gli si avvicinò fino a far aderire la propria spalla alla sua. “Non potrei mai confondermi, stai tranquillo. Non ne parlo più con Elisa perché lei è troppo… coinvolta. E andava a finire che mi irritava… non ne potevo più della sua continua preoccupazione, non mi aiutava. Con te, malgrado i tuoi tempi, mi riesce più facile.”
Sebastiano gli cinse la vita continuando a guardare il fiume. “Mi devi promettere che mi chiamerai se ti capita qualcosa di importante. Hai il mio numero, usalo. Non voglio tornare e non riconoscerti più. Devo provare ad esserci nei momenti cardine, quando le cose cambiano. Per aiutarti se ne hai bisogno, e per riconoscerti quando torno.”
Amedeo provò una profonda gratitudine per quelle parole, anche perché aprivano un senso di possibilità che fino a quel momento non si era concretizzato in forma compiuta. “Lo farò. Sto così bene stasera, vorrei non finisse mai. Da quando è iniziata questa storia mi sento sempre solo, con te non è così… ti ringrazio di questo regalo così prezioso.”
“Penso sia uno degli effetti collaterali dell’essere entrato in questa condizione diversa, la solitudine. Quando si desidera qualcuno, qualcosa, si è soli in modo diverso. Come se si fosse ancora più soli. Devi fare attenzione Luca, il desiderio fa commettere una quantità di sciocchezze.”
“Tu hai fatto molte sciocchezze per assecondarlo?”
“No, direi di no. Ma ho subìto quelle degli altri.”
Amedeo teneva lo sguardo sulla corrente che scorreva dolcemente. “E tu… quando hai provato desiderio, cosa ne hai fatto?”
Sebastiano si prese un po’ di tempo, pensando che la metamorfosi che attraversava Amedeo avrebbe cambiato anche il loro rapporto. “Mi piace sentirti fare domande. Anche quando sono scomode. Io sono vissuto soffocando i miei desideri. Forse da sempre. Mi sono fortificato diventando bravo a smettere con qualsiasi cosa, fino ad arrivare a estinguerli completamente, per evitare anche quel fastidioso senso di fame, come le crisi d’astinenza. Forse sono anoressico, anche io.”

Quella notte, nel letto, Sebastiano si avvicinò ad Amedeo e gli alzò un braccio per prendere posto vicino a lui, appoggiando il viso sul suo collo.
Quella notte Sebastiano si spogliò prima di mettersi a letto; Amedeo restò immobile mentre gli veniva alzato un braccio, prima di sentirlo sdraiarsi al suo fianco. Sebastiano gli appoggiò la testa sul collo e parlò a bassa voce.
“Luca. Come mai sei così sicuro che non potresti confondermi con Ludger.”
Amedeo gli carezzò la testa. “Tu sei talmente importante così come sei che non posso neanche pensare di perderti. E non potrei mai confondermi, neanche bendato. Avete profumi così diversi… il suo è una specie di ossessione, il tuo mi fa sentire al sicuro. Grazie fratello per esserci ancora.”