Nelle prime ore del mattino una ragazza si avvicinò ad Amedeo sulla pista da ballo e iniziò a muoversi di fronte a lui con movimenti lentissimi, in contrasto con la musica veloce e violenta. Amedeo si fermò, spostando i capelli per poterla osservare meglio. Aveva un aspetto androgino e lui non fece caso ai piccoli seni che sporgevano sotto la t-shirt dei Metallica. I capelli biondi le coprivano parzialmente il viso struccato dai lineamenti taglienti; si muoveva troppo lentamente per essere sobria, e mantenne un’espressione assente malgrado il caos che li circondava. Gli sorrise mormorando qualcosa che andò perduto nel frastuono e, quando Amedeo avvicinò l’orecchio alle labbra pallide, le sentì dire in un inglese particolarmente duro che lo trovava molto bello. Il suono della sua voce tolse fascino alla visione che lo aveva rapito, quindi le posò l’indice sulla bocca per chiederle di restare in silenzio. A quel tocco la ragazza si avvicinò ulteriormente iniziando a strusciarsi contro di lui, al ritmo rallentato di quel ballo scollegato dalla musica. Amedeo restò fermo per alcuni secondi; era ubriaco e stanco, e decise di spegnere i pensieri. Iniziò a baciarla, facendo scorrere i suoi capelli tra le dita fino a raggiungere la nuca con la mano. Ripetè su di lei gli stessi movimenti che aveva fatto Ludger, succhiandole le labbra delicatamente fino a farle aprire. Il modo di baciare della ragazza era molto diverso, ma la consistenza dei capelli era abbastanza simile per spingerlo a continuare. Gli tornò il ricordo della voce di Ludger straordinariamente nitido: in un lontano pomeriggio al parco quando gli aveva detto che avrebbe voluto ‘perdersi completamente, o almeno ubriacarsi, fare sesso’. Amedeo era ubriaco come sempre a fine serata; socchiudendo gli occhi ebbe l’impressione di ritrovare i colori di Ludger, vicini e sfocati, come se quella ragazza fosse la materializzazione del suo desiderio. La prese per mano per spostarsi al lato di uno dei pilastri che delimitavano la pista; appoggiò le spalle al muro e lei gli fu subito addosso, premendolo contro la parete e riprendendo ad ondeggiare leggermente. Amedeo non trovò incongruenze tra il desiderio che montava e quelle forme femminili, era piuttosto il modo di baciare della ragazza a togliere spessore all’illusione che stava cercando di alimentare. Si allontanò dalle labbra per raggiungerle il collo, e si fermò dopo averle dato il primo morso sotto l’orecchio, perché il profumo che sentiva non somigliava per niente a quello di Ludger. Dopo averla baciata con delicatezza le chiese se fosse lì con degli amici, da cui l’accompagnò prima di salutarla.
Amedeo passò il resto della serata alla console, concentrandosi esclusivamente sul lavoro. Claudio gli chiese se stava bene, e lui rispose seccamente che per quella sera aveva ballato abbastanza.
– Ieri sera, stamattina, ho pomiciato con un’allucinazione. –
Ludger rise, un suono che non gli comunicava né allegria né leggerezza.
– Sono ammirato, a me non è mai successo. È stato bello? –
– Fino a un certo punto sì, appena non lo è stato più mi sono fermato e l’ho riconsegnata ai suoi amici. Era così ubriaca o fatta che mi ha salutato come se ci fosse stata chissà quale storia. –
Le voci erano le solite, con la stessa assenza di tono che ormai caratterizzava tutte le loro telefonate. Amedeo stava trattenendo il telefonino sull’orecchio con la spalla, mentre preparava il tè con cui avrebbe fatto colazione. Erano le prime ore del pomeriggio.
– Mi piacerebbe sapere cosa è stato a segnare il confine, capire cosa ti ha fatto fermare. –
Amedeo sospirò rumorosamente, non avrebbe voluto parlarne ma credeva fosse giusto rievocare con lui quell’esperienza. – Quando l’ho vista lì, sotto la sua tenda di capelli biondi a muoversi come un sonnambulo in mezzo al delirio, credo di aver smesso di respirare. Era diversa da tutto quello che ci circondava, come se fosse altrove. Sembravi tu. Anche da vicino sembravi tu… magari più giovane, perché non aveva certo le tue spalle. Del viso si vedevano solo il mento e la bocca. All’inizio mi è piaciuto molto baciarla e toccarla, ma a un certo punto mi ha dato la nausea… non perché fosse una ragazza, ma perché non eri tu. Forse non te l’ho mai detto ma hai un odore buonissimo, non lo ricordo più con esattezza ma sa di fiori… questa ragazza aveva un odore un po’ aspro, come di erba appena tagliata. Buono, ma diverso dal tuo. Forse, se lo vogliamo definire così, il confine è stato l’odore. –
Riprese il telefono in mano socchiudendo gli occhi, infastidito dalla poca luce che filtrava dalle persiane accostate. Adottò la sua ultima difesa, il solo aiuto per superare quell’estate soffocante: usare il senso di distanza come protezione, allontanando quelle parti di sé che lo opprimevano come se non gli appartenessero. Catalogava quello stratagemma come un nuovo vetro, senza voler capire quanto fosse importante la parte di sé che tagliava fuori. – C’è qualcosa che ti infastidisce in questa storia, Lù? Lo sai che se non ci diciamo le poche cose significative che ci capitano, o meglio quelle che possiamo dirci in piena sincerità… perdiamo completamente il senso del poco che ci è rimasto. E io non vorrei che accadesse.–
– No, niente, davvero. Non sono nella posizione per potermi permettere di infliggerci capricci da fidanzatino possessivo. Poi non so… prima ero geloso, adesso non lo sono ma per me è una cosa nuova, che scopro con te. Non posso sapere come reagirei se fossi lì. Ti assicuro che in questo contesto non mi infastidisce… anzi, mi pesa molto di più il contesto che il singolo episodio. Ma non è certo una tua responsabilità. Quindi no. Questa storia non mi infastidisce e non sono geloso. –
Il suono della risata di Amedeo aveva una sfumatura amara. – Ludger. Se tu fossi qui non mi attaccherei alle allucinazioni. Quando tornerai avremo modo di capire come funzioniamo, e se funzioniamo. Io lo spero altrimenti non starei qui, così. –
Amedeo impostò la sveglia prima di addormentarsi: non lo faceva da mesi, e nel regolarla avvertì un lieve senso di nausea. Si chiese come avrebbe fatto a recuperare una vita scandita da orari ordinari. Era abituato a fuggire da quel tipo di pensieri, rifugiandosi nell’idea che avrebbe ripreso a frequentare l’università a settembre. Ignorava di proposito il profondo senso di estraneità provato nei confronti di qualsiasi attività alla quale si era dedicato fino a pochi mesi prima: si sentiva naufragato in quell’estate che si consumava in una costante sensazione di irrealtà.
Nora lo aveva aiutato a scegliere degli occhiali da sole con una montatura grande e stondata, vagamente femminile, che lui aveva acquistato soprattutto perchè le lenti nere proteggevano bene gli occhi. Quello schermo gli era indispensabile quando usciva nel pomeriggio per fare la spesa; ogni volta cercava di caricarsi il più possibile per guadagnare una certa autonomia, ma non riusciva a evitare del tutto le uscite quando la luce del sole era ancora forte.
Quella mattina cercò di ignorare il profondo stordimento preparandosi velocemente, aveva l’impressione di essersi svegliato in piena notte; gli avevano parlato dell’eclissi come di un evento straordinario, non ne aveva mai vista una e non voleva perderla. Sperava che quell’avvenimento ridimensionasse le sue ansie, suscitando in lui lo stesso effetto calmante che gli aveva sempre dato la contemplazione del mare. Raggiunse il Verano in anticipo rispetto all’orario dell’eclissi, e si sedette su una panchina ombreggiata in una delle zone più antiche, per non essere disturbato. Immaginò di rievocare il momento che stava vivendo, in un futuro per cui non provava interesse: questa idea gli diede un profondo senso di tranquillità. Stava ascoltando il CD di OK computer dei Radiohead, che aveva evitato di sentire da mesi pensando che non non sarebbe tornato a farlo per molto tempo. L’atmosfera che lo circondava cambiò quando la luna iniziò a sovrapporsi al sole, spingendolo a troncare le riflessioni con cui si era intrattenuto fino ad allora. La luce prese tonalità calde ricordandogli quella del tramonto a Lecce quando soffiava lo scirocco, ma continuò a incupirsi fino ad assumere tonalità terrose. Le siepi e le lapidi che lo circondavano presero un colore bruciato, e alzò ulteriormente il volume prima di rivolgersi in alto, proteggendo gli occhi dietro una vecchia lastra di Elisa. Le due sfere si sovrapponevano seguendo un movimento visibile; il colore del cielo e di ogni oggetto banale che lo circondava lo rapirono completamente. Dimenticò gli espedienti che era abituato a usare per guidare i pensieri su binari tollerabili. Oltre a quello che poteva vedere, oltre all’esperienza in cui era immerso, restava un solo soggetto nei suoi pensieri: Ludger. Aspettò seduto sulla panchina che ogni cosa ritornasse al suo aspetto ordinario, per prendere infine il telefonino e scrivergli un messaggio.
– Mi sono svegliato presto per vedere l’eclissi. Però mi sembra di dormire ancora e i sogni che faccio sono sbagliati. Sei una luce buia. Bruci senza tocco. Torno a dormire. –
Fissò a lungo il monitor senza inviare il messaggio ricordando un’immagine che non aveva visto, ma solo immaginato: le mani di Ludger ferite dai vetri. Riprese a muoversi per preparare una sigaretta e tornò a guardarsi intorno, notando che ogni oggetto aveva ormai ripreso i suoi colori abituali. Era probabile che non avrebbe più avuto modo di vedere la luce bruciata di pochi minuti prima. Chiuse gli occhi aspirando la sigaretta, permettendo a questa idea di scendere in profondità.
Premette il tasto del telefono per cancellare il messaggio non ancora inviato, e continuò a spingerlo anche quando il cursore esaurì i caratteri da eliminare.
Nella settimana di ferragosto le attività che lo avevano tenuto costantemente impegnato si fermarono, e il padre di Amedeo lo pregò di tornare a casa almeno per pochi giorni. Aveva sperato di trascorrere quella settimana chiuso nella sua vecchia stanza a studiare e scrivere, ma la madre e la sorella iniziarono subito a infastidirlo. Non perdevano occasione per commentare il suo aspetto e le sue abitudini da nottambulo. La madre in particolare non gli dava tregua ripetendo sempre le stesse frasi: ogni volta che passava in cucina lo definiva un drogato capellone che non sapeva più vivere in modo normale; insisteva nel dirgli di andare al mare perché sembrava un cadavere, e contattare i vecchi amici invece che starsene rintanato al buio sui suoi libri di roba morta. Amedeo si sentiva costantemente sotto attacco, fin dalla mattina presto sua madre lo svegliava entrando nella camera senza preavviso per spalancare le finestre. La sopportava in silenzio, uscendo soltanto nel tardo pomeriggio per andare in spiagge difficili da raggiungere, dove guardare il tramonto da solo. Tornava a casa in piena notte, dopo essersi fermato a bere nei chioschi sulla spiaggia; a volte gli capitava di incontrare coetanei che aveva smesso di frequentare quando era partito, e si sentiva obbligato a sopportare lunghe chiacchierate. Non gli venivano risparmiati commenti sul pallore, e alcuni di quei ragazzi si dilungavano in racconti sulla sua ex ragazza. Amedeo li ascoltava in silenzio, pensando fosse inutile ribadire che non gli interessavano quei resoconti, limitandosi a rispondere in modo sintetico alle domande. Malgrado i suoi modi respingenti si ostinavano a volergli tenere compagnia fino a fine serata.
Il terzo giorno chiese alla madre, con voce ferma, di lasciarlo in pace almeno il tempo di fare colazione; anche se aveva parlato a voce bassa il suo tono deciso la scioccò, perché fino a quel momento non aveva mai reagito ai suoi attacchi. Una volta ottenuto il silenzio Amedeo non le prestò più attenzione, dedicandosi alla preparazione del suo tè; mentre guardava il monitor del telefonino, si ritrovò a schivare le stoviglie che la madre aveva iniziato a lanciargli verso il viso. Uscì in fretta dalla cucina senza prestare attenzione al disastro che si lasciava alle spalle. Riempì velocemente il suo trolley, infilandoci senza pensare anche la riproduzione del dinosauro che aveva amato di più, precipitandosi in strada. Dopo aver comprato il biglietto chiamò suo padre dalla stazione, che lo raggiunse al bar mentre stava facendo colazione. Gli sedette di fronte, preoccupato per i graffi che notò su un avambraccio e su un lato del viso inespressivo del figlio.
“Stai bene?”
“Benissimo papà, grazie. Sono contento di tornare a casa mia. Vai a soccorrere piuttosto quella psicopatica, che starà demolendo tutto.”
Suo padre era un uomo semplice, e la totale indifferenza di Amedeo lo spaventò quanto i segni dell’assalto che aveva subito. Gli chiese di raccontargli l’accaduto, e lo ascoltò senza commentare o mettere in dubbio le sue parole.
“Papà, io continuo a venire qui solo per te. Ma poi il tempo che passiamo insieme è talmente poco che me ne pento ogni volta. Non ho intenzione di continuare a subire le pazzie di quelle due. Non mi chiedere più di scendere, per favore. Quella non è casa mia e non ci voglio tornare più. La prossima volta vieni tu a Roma, piuttosto. Ti assicuro che nessuno ti lancerà dei coltelli in faccia.”
Decisero di organizzare una delle loro serate nell’ultima settimana di Agosto, per riprendere sia il ritmo che i contatti in vista della nuova stagione. Amedeo era contento di avere l’occasione di tornare a lavorare con i suoi amici, e sperava di alleggerire la tensione immergendosi in dinamiche note. Il locale non era pieno, e insieme alle molte facce note si mescolavano giovani turisti e frequentatori occasionali. Un ragazzo che Amedeo non aveva mai notato iniziò subito a puntarlo: seguiva ogni suo spostamento, fissandolo sorridendo ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. Amedeo non gli diede importanza, continuando a comportarsi con naturalezza. Cercò di evitarlo, ma durante le pause passate a ballare l’altro tornava ad avvicinarsi; in quelle circostanze Amedeo abbandonava la pista repentinamente, sempre più infastidito da quella presenza che gli impediva di lasciarsi andare come sperava. In una di queste occasioni il ragazzo tentò un approccio diretto, invitandolo a bere qualcosa dopo il lavoro: si era fermato davanti a lui, e per alcuni secondi Amedeo lo guardò con autentico odio. Era consapevole di trovarsi di fronte a una persona qualsiasi; quel livore era alimentato dalla frustrazione di non riuscire a rilassarsi. Si limitò a mettergli le mani sulle spalle per spostarlo, per riprendere ad avanzare verso il bancone. Andrea aveva visto tutta la manovra, e scherzò sul fatto che aveva rimorchiato qualcuno completamente estraneo alle regole del suo regno. Amedeo era abituato alle sue battute ma in quell’occasione non fecero che alimentare il suo nervosismo, che provò a contenere bevendo più del solito. In chiusura di serata Amedeo trovò il ragazzo che lo aspettava fuori dalla porta del bagno; si limitava a sorridergli appoggiato alla parete, senza distogliere lo sguardo. Amedeo si guardò intorno, notando che il disimpegno che portava ai bagni era vuoto. Chiuse gli occhi, provando a seguire un pensiero nuovo: aveva di fronte una persona qualsiasi, non particolarmente spiacevole se non per le attenzioni che gli aveva rivolto da ore. Si chiese se il suo ostinarsi a sfuggirgli non fosse un errore, un pregiudizio, cercando di valutare la situazione da un punto di vista inedito. Era normale che le persone provassero a soddisfare bisogni del tutto naturali, come bere un bicchiere d’acqua quando si prova sete. Quando Amedeo riaprì gli occhi lo trovò più vicino.
Continuava a guardarlo con un’espressione preoccupata. “Stai male? Sei pallido.”
Amedeo sorrise con cattiveria, per lo stupore che aveva causato nell’altro quel cambiamento di registro. Decise di passare all’azione e seguire le idee che stavano prendendo forma nella sua testa: poteva usarlo e permettergli di fare altrettanto.
“Sto bene. Perché mi segui?”
“Perché mi piaci. Ti avevo chiesto se ti va di fare qualcosa insieme, dopo…”
Ad Amedeo non piacevano le espressioni che attraversavano quel viso anonimo. “Non dopo. Adesso. Senza un dopo.”
Amedeo si avvicinò, iniziando subito a baciarlo; teneva gli occhi chiusi affondando nella sua bocca, premendogli contro mentre l’altro reagiva senza esitazioni. Sentì montare un desiderio forte, una reazione fisica che associò immediatamente a Ludger: il fatto che si stesse concretizzando in quel bagno, con un fantoccio di carne, gli diede un senso di disgusto che lo indusse ad allontanarsi bruscamente.
“Non seguirmi più. Non mi piaci abbastanza.”
Si precipitò fuori, sperando di concludere in fretta quella serata. Andrea lo esasperava continuando a commentare con sarcasmo l’insistenza dello sconosciuto nel tampinarlo, senza risparmiargli battute anche sulla quantità di birra che era riuscito a bere in quelle ore. Erano ormai fuori dal locale, e Amedeo si sentiva sollevato per essere arrivato a fine serata senza altri incidenti. Il ragazzo tornò ad avvicinarsi e Amedeo cambiò espressione, sentendosi serrare la gola dalla rabbia; gettò la sigaretta e lo raggiunse per iniziare a spintonarlo. Stava perdendo il controllo e sarebbe passato ai pugni se Andrea non lo avesse bloccato cingendogli le braccia, invitandolo energicamente a recuperare la calma. Nel sentirsi immobilizzato la collera fece salire ad Amedeo le lacrime agli occhi; emise un grido bloccato dalla stretta di Andrea che gli fermò il respiro. Andrea continuò a trattenerlo per permettere al ragazzo di allontanarsi.
“Amedeo, adesso ti lascio, ma tu te ne stai buono per favore. Il pischello se l’è data a gambe e non c’è bisogno di gridare. Ok?”
Appena libero si avvicinò al suo motorino, iniziando a slegare la catena con indifferenza.
Andrea lo seguì, preoccupato. “Però senti, non è normale reagire così. Dovresti trovare il modo di allontanare le persone che ti danno fastidio prima di ridurti in questo stato, di fermare le cose che ti fanno sbroccare prima di dare di matto. Diocristo! Mi sembra di parlare con Louis… vuoi fermarti un attimo a parlare?”
“Hai ragione. Lo farò anche con te. Adesso però non mi va di parlare di niente, voglio solo andare a casa. Hai fatto bene a fermarmi. Ti chiedo solo un favore, aspetta domani per parlarne a Ludger, voglio farlo prima io. E non dirmi più che te lo ricordo, mi fa incazzare. Ciao Andrea, grazie per avermi fermato prima.”
– Amedeo? Stai bene… sono le sei del mattino… –
– Sono tornato ora. Sto bene, sono solo nervoso. Ho baciato un tizio. Mi aveva seguito per ore e a un certo punto mi è sembrata… non una buona idea, ma un’idea banale. Tipo hai sete, bevi. Ho pensato che forse sto sclerando anche perché mi faccio troppe paranoie… Ma non ha funzionato, non era bello o divertente e quindi ho smesso subito. Poi il tizio mi si è ripresentato all’uscita, e se non ci fosse stato Andrea a fermarmi lo avrei picchiato fino a rompermi le mani. Letteralmente. Ci sono dei momenti in cui penso che potrei impazzire senza neanche accorgermene. Aveva ragione Sebastiano, il desiderio fa commettere enormi sciocchezze. Devo rimettere in ordine i pensieri, non sono in condizioni di parlare… ma volevo dirtelo io per primo. Mi dispiace, per me e per te nello stesso modo. –
– A me dispiace per te. Da quando sei tornato da Lecce sembri più nervoso. Adesso cerca di calmarti, non è successo niente di grave. Vai a dormire che è quasi mattina, non ti torturare. Se vuoi ne riparliamo in un altro momento. –
– No Ludger, non ne voglio parlare più. Cercherò di calmarmi perché così come sto è impossibile pensare di dormire, magari mi bevo qualcos’altro e mi metto a leggere… Scusa se ti ho svegliato. A domani. –
Elisa era stata molto bene con Lorenzo durante i mesi passati in viaggio, al punto di arrivare a definirsi felice; aveva mandato molti messaggi ad Amedeo, facendosi bastare le poche righe affettuose che riceveva come risposta del suo amico. Per il suo ritorno Amedeo riordinò e pulì la casa; aprì tutte le persiane, tranne la propria; fece una spesa abbondante e comprò dei fiori freschi. Elisa gli aveva chiesto di scendere al cancello per farsi aiutare con i bagagli, e sia lei che Lorenzo rimasero senza parole nel vederlo uscire dal portone. Elisa si riprese soltanto quando Amedeo le si avvicinò sorridendo per abbracciarla: lo vide muoversi con gesti sicuri, le spalle erano dritte e solide malgrado la magrezza ancora più evidente nei vestiti aderenti; a parte gli occhi e le labbra il colore era assente dalla sua figura slanciata, e i capelli erano talmente lunghi che le ciocche sul viso gli arrivavano quasi al mento. Elisa salutò velocemente Lorenzo prima di farsi aiutare a caricare i bagagli nell’ascensore, per trasportarli in un solo viaggio. La casa era luminosa e pulita e la penombra, oltre la porta accostata della stanza di Amedeo, la incuriosì. Dopo aver ammassato le borse nel salotto si fermò per un istante, come in attesa.
“Tesoro, pensi che potrei vedere la tua grotta?”
Amedeo rise. “Lisa certo che puoi, però temo che non ti piacerà.”
La finestra spalancata lasciava entrare poca luce perché le persiane erano quasi chiuse; Elisa osservò i teli neri, le foto appese alle pareti e infine fermò lo sguardo sul cranio del toro per diversi secondi. Si sedette sul letto sospirando, sembrava una creatura esotica completamente fuori luogo in quell’ambiente scuro.
“Tesoro, sei sempre più bello e mooolto figo, però sono preoccupata perché questo posto sembra il covo di uno squilibrato, e tu un fantasma. Stai bene?”
Amedeo provò una profonda tenerezza per lo sguardo pieno d’affetto che la sua amica gli stava rivolgendo, e pensò che nessuno lo aveva più guardato in quel modo da molto tempo. “Quanto sei bella Lisa… me ne ero dimenticato. Potrei stare peggio, e purtroppo non credo che potrei stare meglio. Facciamo una cosa, andiamo in cucina a berci qualcosa di fresco e parliamo un po’ di me, e poi mi racconti della tua luna di miele greca… ma a patto che non ti metti in modalità genitore sostitutivo, d’accordo?”
Lei annuì, prendendo la mano che Amedeo le porgeva sorridendo. Percorsero i pochi passi che li separavano dalla loro destinazione continuando a tenersi per mano, come due bambini. La stanza era inondata dalla luce calda del tramonto, e le margherite sul tavolo rendevano l’ambiente accogliente. Amedeo le raccontò con tono distaccato dei suoi lavori estivi e del disastroso viaggio a Lecce, che definì utile soltanto perché lo aveva portato a maturare la decisione di non tornarci mai più. Fumava in continuazione, mentre le descriveva i ritmi alterati dalle notti passate a lavorare che gli impedivano di dormire fino alla mattina.
“Adesso che stanno tornando tutti dalle vacanze continuerò a lavorare soltanto con Andrea e Claudio, che è un tipo a posto, e mi diverto parecchio quando sto con lui. Penso che riprenderò un ritmo più normale. Ho passato i giorni chiuso in casa a studiare, leggere e scrivere. E quelli sono stati i momenti migliori. Anche se sono stato sempre da solo ho scritto spesso a Sebastiano, che si è appassionato ai deliri che sto cercando di fissare in parole più o meno incomprensibili… lui mi risponde con poche righe, e forse proprio il suo essere così… presente, ma telegrafico, mi ha spinto ad andare avanti. E gliene sono grato perché in quei momenti, quando sto dietro ai miei simboli, mi sento bene… in modo molto simile a come sto sempre quando posso dedicarmi alle mie fissazioni. Quando sono raggiungibili.”
Spense la sigaretta di turno, e si mandò indietro i capelli mantenendo entrambe le mani sulla sommità della testa, un gesto che Elisa gli vedeva fare per la prima volta: il suo viso completamente esposto era più asciutto e scolpito; le labbra e gli occhi, incantati verso le nuvole oltre la finestra, apparivano ancora più grandi.
Lei si ritrovò a sospirare ancora. “Ludger?”
Amedeo abbassò le braccia magre e scolpite per prepararsi l’ennesima sigaretta. “Lo sento ogni giorno. Penso sempre a lui. Non ci sono stati cambiamenti o evoluzioni. Non te l’ho mai raccontato ma quella volta che abbiamo litigato, quando dovevamo uscire con Lorenzo e me ne sono andato… da lì le cose sono cambiate… è stato un cambiamento graduale ma adesso vedo chiaramente che era quello il punto da cui è partito. Ludger quella volta ha sclerato di brutto e si è fatto male, si è ferito con dei vetri. Forse l’ha fatto per la frustrazione che gli dà questa specie di rapporto che abbiamo. Io non so che fa, dove sta o perché portiamo avanti questo delirio, ma pensare al suo sangue mi fa accartocciare lo stomaco… neanche pensare al mio mi fa stare così male. Da allora sono stato sempre più prudente, non insincero ma più distaccato. Ludger è una delle mie fissazioni, ma è una persona. Già questo per me è difficile, e il fatto che non ci vediamo da una vita rende il tutto allucinante. Tu diresti un’ossessione. Essere più distaccato nei suoi confronti significa esserlo anche per tutto un circuito di pensieri, emozioni e questioni banalmente fisiche che riguardano anche me… per me è penoso anche solo pensarci. A un certo punto ho creduto che lui avesse rotto il mio storico vetro, e per tenerlo dentro con me ne ho costruito uno più interno… che lascia fuori e mi protegge da tutta una serie di cose che posso affrontare solo parlando per metafore. Come quando scrivo. E per fortuna che ho almeno questo canale… ormai inizio a vivere questa storia come l’ennesima maledizione che mi ha inflitto il destino. Su questo però non mi fare domande. Ormai non parlo più di lui con nessuno, a parte lui ovviamente. Ho i nervi lesi, e parlarne non mi aiuta. Raccontami di te e del tuo viaggio, piuttosto.”
“Solo due cose. Come sta?”
“Da quando è partito risponde sempre nello stesso modo a questa domanda, ormai non ho più bisogno di fargliela. Ha paura di perdermi, sembra sia la sua unica paura, ed è stanco… è sempre stanco. Penso che anche lui stia cercando di proteggermi, non mi scrive più. Lisa, inizio a far fatica. Possiamo parlare d’altro, voglio restare felice del tuo ritorno.”
“Un’ultima cosa. Mi daresti il suo numero di telefono? Non parlerei di te, vorrei solo sentirlo.”
“No. Non se ne parla. Ho già Andrea che gli fa i resoconti continui di tutto quello che ci succede, e mi pesa. Lisa, tesoro, tu resta con me. Adesso, ti prego, andiamo a smontare le valige e a giocare con tutto il ciarpame che sei riuscita a portare.”
Il ritorno della sua amica lo aiutò a uscire dai ritmi claustrofobici dell’estate; riprese a frequentare Davide che aveva dichiarato la stagione balneare finalmente conclusa. Amedeo partecipava alle sue cene sul terrazzo tenendo a distanza tutti quelli che si comportavano in modo particolarmente gentile con lui, e la presenza di Lorenzo ed Elisa in queste occasioni lo aiutava molto. Parlava di musica, dei suoi studi e dei suoi lavori, cercando di mantenere sempre quelle conversazioni su un livello superficiale. Amedeo gestiva quelle situazioni con una sicurezza nei movimenti e una tale ironia nell’esprimere le sue opinioni da stupire i suoi vecchi amici. Si proteggeva alimentando un senso di distanza proiettato innanzitutto su sé stesso, cercando di restare indifferente alle emozioni sempre più inespresse: un tentativo per riconquistare l’astrazione e la protezione che il vecchio vetro gli aveva garantito in passato. Era però talmente cambiato nei modi che quell’espediente, invece di causare un regresso, gli faceva acquisire una nuova forma, un’ulteriore evoluzione.