Il soggiorno era un ampio parallelepipedo, che si affiancava all’appartamento di Ludger prima di proseguire nella profondità del terrazzo. Ogni volta che Amedeo varcava la porta di quell’ambiente aveva l’impressione di finire sott’acqua, e sentiva freddo, ma non erano sensazioni spiacevoli perché le associava a Sebastiano. Il grigio delle pareti impediva alla luce di prendere tonalità calde anche nelle mattine di sole, e una delle porte-finestre restava perennemente aperta lasciando entrare l’aria invernale. L’arredamento era mantenuto molto scarno: in entrambe le stanze c’era un materasso a terra con una lampada da lettura di design a fianco. Sebastiano non volle mettere nient’altro nella camera piccola, mentre nella grande mise un pianoforte, una chitarra e degli scaffali posizionati poco dopo l’ingresso, di fronte allo scheletro della cucina. Arrivarono molte scatole da Parigi, ma ne svuotò solo una parte e fece le altre spostare al cimitero, senza neanche aprirle.
Sebastiano aveva iniziato a dormire nella stanza più piccola, dalla sera in cui avevano organizzato la cena per gli amici. Se di mattina Amedeo trovava il telefonino spento era certo di trovarlo lì, a volte ancora addormentato; in quel caso gli si sedeva vicino, ed iniziava ad accarezzargli i capelli restando in silenzio perdendosi con lo sguardo sulle pareti che li circondavano. Nelle sue notti insonni Sebastiano scarabocchiava sui muri della camera da letto con dei pastelli bianchi. Disegnava quasi sempre sdraiato sul pavimento e l’intreccio di disegni si espandeva molto lentamente, notte dopo notte. Alcune linee spezzate erano arrivate fino a metà parete: si distinguevano ossa, soprattutto ossa, rettili, frammenti anatomici e vegetali. I dettagli organici si sovrapponevano ad elementi astratti, creando un insieme caotico e incomprensibile. Amedeo si perdeva completamente in quel groviglio di linee, mettendo a fuoco ogni volta particolari diversi, arrivando spesso a fare tardi per i suoi impegni mattutini. Non chiedeva mai spiegazioni, e vedeva crescere quella strana creatura immaginando che avesse collegamenti forti con le metafore con cui Sebastiano conservava i propri ricordi. Nei giorni in cui affondava nell’apatia passava il tempo sdraiato a leggere, e Amedeo non lo spingeva ad uscire o a reagire, perché restavano casi isolati. Dai suoi elenchi Sebastiano aveva selezionato una serie di attività con le quali si teneva occupato. Comprò un motorino, che usava per spostarsi: andava a lezione di chitarra, di pianoforte, di nuoto e anche a un corso di ballo con Elisa. Ironizzava su ognuna di queste attività, facendo ridere i suoi amici. Amedeo e Ludger pensavano che quello potesse essere il suo modo per manifestare entusiasmo perché, malgrado tutto, non disse mai di voler abbandonare le lezioni che seguiva. Usciva spesso con Elisa e Tommaso scegliendo di proposito le occasioni in cui non ci sarebbe stato Davide, per concedergli del tempo ed evitare che la situazione tra loro divenisse irrecuperabile. Tornava ad animarsi a tratti, quando veniva preso dai discorsi, e tornava in contatto con quello che lo circondava.
“Quando ero giovane percepivo la mia incazzatura come un atto rivoluzionario. Come se avesse una qualche importanza. I miei umori e le paturnie modificavano drasticamente una perenne battaglia, un dialogo. Era un processo interno, non me n’è mai fregato un cazzo del mondo lì fuori. Ero io, in lotta contro qualcosa che somigliava a un’aspettativa. Mia, solo mia. Adesso è tutto spento. Mi trovo solo noioso.”
Amedeo continuava ad accarezzargli la testa, fissando un disegno di rettili che erano stati aggiunti quella notte: non riuscì a trovarne neanche uno intero. “Passerà fratello, non possiamo sapere cosa ci sarà dopo, ma sicuramente passerà… non so neanch’io quante volte te l’ho detto. Quest’anno vorrei festeggiare il Sol Invictus con te e Ludger, qui. Mi sembra così adatto. Celebrare il sole e la luce nel momento in cui appaiono più lontani. Per me il Natale è sempre stata la deprimente traduzione cristiana di quella festa arcaica. Non sembra vero che non andrò a Lecce stavolta… però dovrei decidermi a sentire mio padre… che palle.” Abbassò lo sguardo sul suo profilo, definito in modo netto dal contrasto con le lenzuola scure.
Sebastiano era talmente immobile da sembrare addormentato. “Anch’io dovrei. Da tempo. Non pensiamoci adesso.”
Amedeo sorrise. “Siamo scappati e siamo insieme, pensiamo solo a questo, e io vorrei festeggiarlo. Anche se per te non è una conquista come lo è per me. Com’è andata stanotte?”
Sebastiano assaporava quel tocco leggero tenendo gli occhi chiusi. “Hai ragione. La nostra fuga è molto diversa. Vorrei poterla vedere anch’io come una conquista. Forse con il tempo. Stanotte non ho chiuso occhio. Adesso vai Luca, rischi di fare tardi.”
Amedeo non si mosse. “Ancora un po’. Mi piace vedere ogni volta i disegni che aggiungi nella notte… guardandoli penso a tante cose. Adesso ricordavo quando da bambino vedevo un video di Bowie, Ashes to ashes. Le volte che avevo la fortuna di stare da solo aveva il potere di portarmi da un’altra parte, ero affascinato e spaventato… mi sembrava di guardare nella testa di qualcun altro, una persona che si poteva permettere di far correre le sue visioni, e mi dava la testimonianza di una libertà da vertigini. Il contatto con te mi ha sempre dato anche un’emozione simile… e il naufragar m’è dolce in questo mare.”
“Grazie fratello. Sentirti parlare mi sta rilassando. Credo che riuscirò a recuperare un po’ di sonno.”
Le dita di Amedeo continuarono a scorrere ancora a lungo fra i suoi capelli, e Sebastiano sentì il tocco lieve di un bacio sulla fronte prima di addormentarsi.
Amedeo sapeva di non poter aspettare ulteriormente per chiamare suo padre, che continuava a lasciare messaggi in segreteria a San Lorenzo, mettendo in difficoltà Elisa quando le capitava di rispondere. Amedeo aspettò il ritorno di Ludger per preparare l’aperitivo sul tavolino basso di fronte al divano, su cui Sebastiano era rimasto disteso tutto il pomeriggio a leggere.
“Uomini della mia vita, ho deciso che è arrivato il momento di chiamare mio padre. Sta lasciando messaggi da mesi, e non si merita di essere ignorato così… anche se proprio non mi va, penso di doverlo fare.”
Ludger si bloccò a metà del movimento con cui stava portando il calice alle labbra. “Tuo padre?”
Sebastiano si sollevò a sedere e mandò giù alcuni sorsi. “Sono d’accordo. Anche io dovrei andare dal vecchio, ma continuo a rimandare perché non ho voglia. Magari già che sei di giro di beneficenza paterna mi potresti accompagnare. Comunque sì, tuo padre merita qualcosa di più di una dissolvenza… quando siamo andati a Lecce è stato l’unico che abbia provato ad essere gentile anche con me.”
Ludger era davvero stupito. “Sei stato a Lecce dai suoi?”
“Sì, il mare è bellissimo. Il Barocco leccese mi ha incantato, per il resto ho invocato la bomba.”
Amedeo era divertito. “Il fratello ci teneva tantissimo a conoscere il luogo delle radici. Forse volevi esser sicuro che non fossi scappato da un istituto psichiatrico? Scherzo… mia sorella lo ha aggredito sessualmente più volte, ma ne siamo usciti interi. Comunque ti accompagno quando vuoi… intanto dopo l’aperitivo lo chiamo. Secondo voi devo anticipargli che sono felicemente frocio, o aspetto per fargli una sorpresa?”
Ludger era l’unico a non partecipare alla loro allegria.
“Fossi in te, fratellino, userei termini più discreti. Poi, considerando quello a cui lo hanno abituato la moglie e la figlia, penso che quell’uomo possa sopportare di tutto.”
Ludger restò immobile e inespressivo, con lo sguardo perso nel vuoto.
Amedeo provava molta tenerezza nel vederlo inanimato. “Perché sei così… astratto?”
Sorrise portando finalmente il calice alle labbra, dando alcuni sorsi con lentezza, come se non avesse lasciato una domanda in sospeso. Sebastiano, che aspettava la sua replica con curiosità, mandò gli occhi al soffitto.
Ludger finalmente riprese a parlare. “Sono perplesso… non lo hai più nominato, non pensavo ti stesse cercando, e ora che lo so mi sembra strano che non vi sentiate da così tanto tempo. Sicuro che vuoi dirgli di me? Come pensi che reagirà?”
Amedeo sorrise guardandolo con il viso leggermente chinato. “Credimi, non mi importa niente di come reagirà. Io ancora non riesco a perdonargli di avermi lasciato vivere quell’inferno. Riesco a dargli una possibilità soltanto pensando che mi ha aiutato a fuggire. Potrei raccontargli anche di Irene. Glielo risparmio soltanto perché ormai è troppo tardi, per tutti. Io non ho niente da nascondere, sono quello che sono e ne sono felice. Se lui non sarà in grado di accettarlo, lo falcio come ho fatto con il resto. Tutti dovrebbero pretendere di poter realizzare la propria natura e cercare di essere felici, no? Tua madre non mi sembra si sia fatta tanti problemi. Un genitore cosa dovrebbe volere oltre alla felicità del proprio figlio?”
“Un brindisi all’eroe, mio fratello! E già che ci siamo. Ludger, perché non portiamo Helga a cena fuori stasera? È un po’ che non la vedo. E poi, hai anche tu qualche parente da recuperare? Già che stiamo facendo il giro.”
Ludger si alzò ignorando il bastone, raggiungendo in pochi passi il ripiano della libreria dove in genere appoggiavano i telefoni, e li distribuì. “Io vado nello studio, ripescatemi lì quando avete finito. Ovviamente mangeremo giapponese.”
Sebastiano prese il suo, sospirando mentre si dirigeva alla porta d’ingresso. “Con il vecchio non parlo molto. Luca, quando hai finito mi trovi di là.”
Helga accettò l’invito con entusiasmo; incontrava Ludger spesso, ma le occasioni in cui poterli vedere tutti insieme non erano altrettanto frequenti. “Festeggiamo qualcosa?”
Ludger era felice di vederli insieme. “Sembra che Amedeo abbia deciso di presentarmi a suo padre. Senza anticipazioni, giusto?”
Amedeo si limitò ad arrossire abbassando gli occhi sulla tavola.
A Sebastiano piaceva molto Helga, e prese la parola per lui. “La sua famiglia è molto difficile, posso dirlo con sicurezza. Ho controllato di persona. Però il padre potrebbe essere l’unico degno di essere assolto, diciamo così.”
Amedeo lo fermò, mettendo una mano sulla sua. Non riusciva a superare l’imbarazzo che provava di fronte a quella donna ma voleva impegnarsi; le era molto riconoscente per come lo aveva accolto, e credeva di dover essere lui a parlare.
“Mi stupisce sempre pensare a come le famiglie possano essere diverse da come sembrano, i miei sembrano persone normali, ma è solo apparenza. Mia madre, in particolare, mi ha reso molto infelice. Mio padre mi ha permesso di fuggire appena è stato possibile, e non saprò mai fino a che punto si sia reso conto di quello che vivevo, ma non importa. Penso si meriti di avere la possibilità di conoscermi davvero. Quello che ne verrà fuori non riesco a prevederlo, ma non mi spaventa. Non c’è niente per cui io mi debba nascondere e non avrebbe nessun senso fingere. Se anche lo avesse non lo vorrei, perché sono convinto che non servirebbe a niente. Ludger è la cosa più importante della mia vita, se qualcuno non è in grado di accettarlo non accetta me.”
Helga lo guardò con un’espressione dolce: conosceva Amedeo soprattutto grazie ai racconti del figlio e dalle poche descrizioni fatte da Sebastiano; con lei aveva sempre parlato, a fatica ma ogni volta in modo autentico.
“Penso tu abbia ragione. Immagino che i tuoi genitori siano ancora giovani. Nessuno dovrebbe smettere di crescere mai, soprattutto chi ha figli. L’ipocrisia non porta mai bei regali e tu sei coraggioso, ti ammiro. Poi, se per te può essere… non trovo la parola, però se poi pensi ci sia la condizione che reputi giusta, anche io incontrerei con piacere tuo padre.”
Amedeo tornò a guardare il tavolo, ringraziandola; era molto colpito da quell’offerta ma gli sembrava una possibilità remota. Ludger stava sorridendo ed Helga non si stancava di vedergli quell’espressione sul viso; le sembrava ancora incredibile il suo recupero, dopo che per anni si era rassegnata a pensarlo condannato senza scampo.
Fu lui a riprendere. “Invece, Anastasia?”
Sebastiano lo guardò, socchiudendo gli occhi. “Chi è questa Anastasia, adesso?”
Amedeo sorrise e Ludger continuò.
“La sorella di mio padre, quella che mi ha accompagnato in purgatorio la primavera scorsa… Helga, pensi anche tu che stia evitando di proposito di venire a Roma?”
Lei si concesse una breve pausa e Sebastiano aspettò in silenzio, pensando che quella lentezza nelle reazioni poteva essere una caratteristica genetica.
“Mi ha chiamato pochi giorni fa, so che vi sentite abbastanza spesso e che le chiedi di venire qui. Ma lei ha fatto una specie di… patto, o forse scommessa… insomma, pensa che ora che usi di nuovo le gambe dovresti essere tu ad andare da lei. Sai che è orgogliosa, e ora pensa questo. Certo, Venezia a dicembre è scomoda. Ma perché non la andate a trovare tutti insieme, potrebbe essere bello. Io preferisco aspettare una stagione più favorevole. Louis, io penso che dovresti farlo, così forse torna a trovare anche me.”
“Voi due ve la sentite, la mettiamo in lista?”
Sebastiano prese un’espressione ambigua, e alzò il calice. “Ma sì! Dopo l’infarto del padre di Amedeo e i fulmini del mio, morte a Venezia prima di Natale mi sembra appropriato.”
Partirono per la Toscana nelle prime ore di un pomeriggio sereno, con la vecchia Micra che Ludger aveva voluto tenere per Amedeo. Volle guidare Sebastiano, il viaggio fu lungo e Amedeo non si lamentò; ascoltava la musica, e guardava il panorama aspettando le frasi che ogni tanto arrivavano da suo fratello, senza commentare o replicare.
“Il vecchio con gli anni sta diventando più difficile. Anche sentimentale. Per me è una grande seccatura, perché il suo modo di manifestare le emozioni non funziona bene. Non lo ha mai fatto.”
“Ogni volta che lo vado a trovare penso che potrebbe essere l’ultima che lo vedo. Questa cosa non mi tocca come dovrebbe. Ma non posso farci niente. Certe volte penso che sia stato per lui che ho iniziato a materializzare il vetro. Per classificare nettamente come fuori, qualcosa che lo era sempre stato”
“Ha passato tutta la vita a distruggere la storia della sua famiglia, penso gli sia riuscito così bene da lasciarmi l’impressione che non sia mai esistita. Come se lui fosse nato da quella terra dove vuole morire, impastato di sangue e fango.”
“Malgrado tutto non riesco ad avercela con lui. Non mi ha mai fatto male. A modo suo mi ha voluto bene. Anche quando mi chiama figlio di puttana probabilmente lo fa con affetto. Del resto mia madre l’ha scelta lui.”
“Se ti provoca tu non rispondere, faresti il suo gioco. Può essere molto, molto stronzo, ma se stiamo andando è perché gli voglio bene. Malgrado tutto.”
Amedeo era esausto ancora prima di posare i piedi nell’enorme piazzale polveroso, dove la macchina finalmente si fermò. La casa era grande e antica, valutò potesse essere rinascimentale per via del portico dalle proporzioni equilibrate, ma sembrava in completo stato di abbandono, disabitata.
“Fratello, ci siamo. Entriamo nella casa degli orrori. Lui d’inverno non può più permettersi di stare sotto il portico. Se ti esasperi puoi aspettami in macchina. Non sarebbe la prima volta.”
Amedeo rimase per alcuni secondi nei pressi della portiera appena chiusa. Gli si impresse nella memoria l’immagine surreale della figura sottile e nera di Sebastiano, che si allontanava in quello scenario terroso. Non aveva provato ad immaginare quella casa in anticipo, e in quel momento gli si presentò come uno scenario uscito da un film horror: ebbe l’impressione che non sarebbe potuto essere altrimenti. Seguì Sebastiano oltre il portico, ed entrarono in un ambiente ampio e trascurato; ogni oggetto sembrava essere lì da moltissimo tempo. Furono accolti da un infermiere in modo molto formale, che li pregò di non farlo stancare troppo. Entrati in un ampio salotto sentirono una voce consumata e bassa, che invitò Sebastiano ad avvicinarsi. Jacopo appariva antico, come tutto quello che lo circondava; era seduto su una poltrona e teneva tra le mani un libro chiuso. Ad Amedeo sembrò un cavaliere millenario.
“Il mio piccolo caro bastardo che non si fa mai vedere, ti avvicini o devo continuare a immaginarti?”
La voce di Sebastiano suonò leggermente sarcastica. “Babbo caro, è sempre una gioia incontrarti. Come stai?” Si fermò di fronte a lui restando in piedi.
Le rughe del padre si incresparono in un sorriso. “Il ritratto in soffitta continua a invecchiare al posto tuo, hai sempre questa faccia da giovane demonio. Come sto io ormai non ha importanza. E tu? Stai bene?”
“Sicuramente meglio di te. Ho portato un amico, non te lo mangiare, grazie.”
Amedeo lo vide girare lentamente la testa, e in quel movimento riconobbe delle somiglianze con Sebastiano nella struttura del naso, così come nell’intensità dello sguardo. Restò immobile e in silenzio, lasciandosi esaminare. Pensò che trovarsi lì fosse come fare un viaggio nel tempo, e si sentì a disagio. Amedeo immaginò che Jacopo poteva classificare il suo abbigliamento come quello di un ladro, ma capì che si sarebbe comunque sentito fuori posto a prescindere dagli abiti. Si era aspettato una casa di campagna e un vecchio alcolizzato, perché in tutti quegli anni il suo amico aveva descritto un quadro molto diverso da quello che gli si presentava in quel momento. Respirò a fondo: aveva ricostruito mentalmente uno scenario diverso, perché tutti i racconti di Sebastiano alimentavano una visione di totale abbandono.
Jacopo tornò a rivolgersi al figlio. “Bel bambino, è solo un amico? Riesce a parlare o non ci sta con la testa?”
“Non ti azzardare a torturarlo, non te lo permetterei.”
Quello che seguì poteva essere il suono di un sospiro, una serie di rumori che Amedeo trovò sinistri.
“Così questo sarebbe un tuo amico, solo un amico. Allora perché lo hai portato qui? Perché non mi porti una donna, la tua donna, così posso andarmene più tranquillo? Non ce la fai proprio a farti una donna? Solo amici? A questo punto anche un uomo andrebbe bene. Gli anni stanno passando, arriveremo presto a non averne più.”
Sebastiano scostò una tenda per guardare all’esterno, come per prendere tempo; la sua mano bianca restò sul tessuto dello stesso colore, ingiallito dal tempo. Amedeo ebbe l’impressione di vedere un fantasma: quella stanza doveva essere rimasta immutata da tanto tempo. In quel momento Sebastiano indossava un completo di blu petrolio desaturato e opaco: tutto in lui risultava nuovo e netto rispetto alle tonalità calde e consumate che lo circondavano. Amedeo sentì un peso sui polmoni.
“La mia donna è morta da poco. Dubito ce ne sarà un’altra per una vita o due. Lui è il mio più caro amico, senza di lui non so neanche come e se ne sarei uscito.”
Jacopo fece uno scatto in avanti, come se volesse alzarsi, e le mani scheletriche si ancorarono ai braccioli della poltrona. Parlò con un tono di voce troppo forte, quasi gracchiante. “Morta? E perché non hai chiesto il mio aiuto?”
Amedeo sedette su una poltrona senza avvicinarsi, e fece scorrere le dita sul cuoio trovando una consistenza che non si sarebbe aspettato: la superficie era perfettamente pulita, la patina grigia che ricopriva ogni cosa non era polvere, ma deterioramento. Guardandosi il dorso della mano si sentì tornare il senso di oppressione che provava da piccolo durante le liti dei suoi genitori, e si sentiva privo di voce, movimento o possibilità di fuga.
Sebastiano riprese, completamente incolore nella voce. “Perché non sarebbe servito a niente. E se anche avresti potuto fare qualcosa non te lo avrei chiesto in ogni caso. Ti ricordi com’è andata quando ti ho chiesto aiuto per Adriano? Pensi che adesso potrei chiedere aiuto a te se ne avessi bisogno?”
Jacopo restò leggermente proiettato verso di lui, usando un volume troppo alto. “Adriano era una puttana. Amico o no, io non mi muovo per una puttana.”
Quella voce forte e consumata fece affacciare l’infermiere che avanzò nella stanza, finché non venne fermato dalla risposta appena mormorata di Sebastiano.
“Direi che almeno una volta hai fatto una notevole eccezione. Hai fatto un figlio con una puttana, e quando provi a fare il moralista sei disgustoso. Adesso calmati altrimenti dovrò andarmene immediatamente.”
Jacopo sorrise oscillando leggermente la testa, come se stesse annuendo. Amedeo si alzò rivolgendosi all’infermiere, e lo pregò di lasciarli soli; lo accompagnò alla porta, e subito dopo averla chiusa si stupì nel sentire il suo nome pronunciato da Sebastiano.
“Amedeo, questo è l’Orco, forse buono. Orco, questo è Amedeo, la persona più buona che abbia mai conosciuto.”
Gli si avvicinò, e una mano di quell’uomo si alzò verso di lui. Amedeo la strinse.
“Bel nome, antico. Quindi tu riesci a voler bene a questo selvaggio?”
“Moltissimo, altrimenti non sarei qui.”
Jacopo lo trattenne: Amedeo portava la fede che gli aveva regalato Sebastiano al pollice, e una collana uguale a quella di Ludger al polso, per rendere il simbolo più evidente. Sebastiano si era offerto di farla stringere, ma avevano preferito lasciarla intatta e si era abituato ad averla lì.
Jacopo guardò quell’anello sorridendo. “Anche lui deve volertene parecchio se ti ha regalato questo gingillo di famiglia. Non è che gliene abbia lasciati molti… e quello che porta lui? Glielo hai regalato tu? Però non siete amanti. Perché?”
Amedeo rise, facendo scivolare la mano dalla stretta, e al suono di quella risata Jacopo sembrò incantarsi, come se avesse sentito un suono ormai estinto.
“Non lo so, non è successo. Non è mai successo, ma penso che possiamo definirci piuttosto contenti di tutto quello che invece è successo. Sebastiano è una delle persone più importanti per me.”
Jacopo rise di gusto, emettendo un suono che somigliava a quello una macchina ingolfata. “Sei un bravo bambino. La prossima volta magari fermatevi più a lungo. Adesso sono stanco.”
Si erano arrampicati su un albero molto alto, lo stesso su cui Sebastiano lo aveva portato anni prima; era molto sereno, e fumò una sigaretta guardando le cime degli alberi che li circondavano.
“In inverno qui è davvero dura, non potremo fermarci a lungo qui sopra. Con Luca ci rassegnavamo a stare in casa. La mia, perché la sua per me non era agibile. Credo che mio padre abbia sempre saputo quello che facevamo, anche se non mi ha mai detto niente. Sei stato eroico con lui, grazie.”
“Non mi devi ringraziare. Ho fatto poco, anzi niente, se penso a quello che tu hai sopportato a Lecce. Mi aspettavo un contesto molto diverso, ma sono contento di vederti più tranquillo.”
Sebastiano lo guardò attentamente. Amedeo aveva perso il colore preso a Creta, le labbra rosse e gli occhi brillanti spiccavano nettamente nel sole invernale, e le gambe magrissime erano fasciate dai pantaloni neri impolverati, come gli immancabili anfibi. Non si stupì che suo padre avesse pensato fossero amanti. Capiva che fosse preoccupato per la sua solitudine, e avrebbe preferito saperlo con Amedeo. Sebastiano era certo che quella consolazione non avrebbe compensato la menzogna, perché suo padre lo avrebbe voluto con una donna, e non perdeva occasione per ribadirlo. Jacopo nutriva una forte passione per la storia, e desiderava un nipote per avere una visione del futuro che, con la vecchiaia, tendeva a reclamare sempre più spazio. Sebastiano pensò che fosse troppo tardi per parlargli di suo figlio: quella era stata l’omissione più significativa dei loro dialoghi scarni, ma sempre sinceri. Guardando Amedeo pensò che il momento giusto per parlargliene non sarebbe mai arrivato.
“Amedeo.”
Il suono del proprio nome provocò un sorriso rosso e bianco sul viso teso, frustato dal vento e dai capelli. “Perché hai iniziato a chiamarmi così?”
“Per non mandare in confusione il vecchio. E poi è il tuo nome. Un nome antico, pare. E io dovrei smettere di fare tanti balletti inutili. C’è una cosa importante, che ho nascosto a te e a mio padre. Su quest’albero io e Luca ci siamo baciati per la prima volta, e ci ha fatto parecchio schifo. Una roba da lumache, dicevamo. Non fare quella faccia preoccupata. Lo sai che sono un vigliacco. Un vigliacco selettivo come dice il tuo alieno saggio, ma pur sempre un vigliacco.”
Amedeo non capì quel preambolo, ed era terrorizzato al pensiero della morte che non dava tregua al suo amico. Allarmato per la sua salute, alzò la voce. “Mi stai facendo preoccupare! Stai bene? Cos’è che non mi hai detto? Che c’entra con Luca adesso?”
Sebastiano strinse così forte un tronco con le dita, che le sue mani delicate fecero trasparire la macchina anatomica in funzione sotto la cera bianca. “Posso continuare a chiamarti Luca?”
“Senti sono così agitato che rischio di cadere, non mi importa niente di come mi chiami, però rispondimi.”
Sebastiano aveva un’espressione talmente triste che Amedeo sentì un senso di vuoto tanto forte da dargli le vertigini. “Fratello ti prego… parla.”
“Ho un figlio, con Nina, ha dieci anni. Non l’ho mai visto.”
Sebastiano gli mise una mano sulla spalla e strinse forte.
Quel contatto aiutò Amedeo a mantenere l’equilibrio. Era scioccato. “Perché.”
“Fratello, hai una faccia così allucinata che basterebbe fartela vedere per risponderti. Torna in te, siamo su un albero. Immagino tu mi stia chiedendo perché non te l’ho detto, e non perché questo essere umano esista, vero? Comunque posso risponderti senza parlare di robe di lumache, appena ti vedrò più stabile.”
Amedeo respirò profondamente concentrandosi sulla corteccia: pensò fossero rughe di legno, e al tempo che scorreva logorando le superfici. Gli occhi che alzò verso di lui sembravano quelli assenti dell’amebite; le labbra restarono socchiuse facendolo sembrare perso in pensieri lontani del presente. Iniziò ad accarezzare la corteccia. “Ce la posso fare.”
Sebastiano si detestò profondamente. Si rimproverava di averne parlato con Ludger perché non tollerava quella disparità, ma avrebbe voluto proteggere Amedeo almeno da questo. Pensò di rimediare fornendogli la versione migliore tra quelle che riusciva a dare anche a se stesso.
“Io sono contento che ci sia. Non lo volevo, o meglio, Nina non mi ha detto che aveva smesso di prendere la pillola. È stata una scelta solo sua. Quando è rimasta incinta mi ha allontanato. Io sono sempre stato contento di lui, ero innamoratissimo della madre. Te lo chiedevi poco tempo fa. Questa è la vera risposta. Tutto a un tratto sono diventato troppo giovane, perché non mi voleva costringere ad avere un figlio. Ma lei lo voleva da me. Così mi ha fatto fuori. Questo ragazzo sa che esiste uno zio Sebastiano che viaggia molto. E gli manda regali. L’ho visto una sola volta, quando era appena nato. Ho scelto il suo nome e inizio a trovarmi noioso. Penso spesso a lui, e mi piace che ci sia. La madre è una persona fantastica, mi tiene costantemente informato. Se la stanno cavando bene.”
“Ci sono altre cose… così importanti che mi hai nascosto?”
“No. Questa è forse l’unica. Mi spaventava parlartene, ma non è una cosa brutta.”
Il viso di Amedeo prese un’espressione furiosa. “Bugiardo. Il fatto che Nina ti abbia lasciato è una delle cose più brutte che ti siano capitate. Con questa motivazione poi diventa una cosa mostruosa. Come ha potuto farti questo?”
Amedeo piangeva di rabbia. Il sole era già basso, la macchina era lontana e iniziava a fare freddo.
Sebastiano si maledisse per averlo ridotto in quello stato. “Mi dispiace.”
Amedeo alzò ulteriormente la voce. “Non ha senso che ti dispiace. Di cosa ti dispiace? Ti adoro, lo sai. Devi smetterla di pensare di proteggermi. Tutto quello che hai vissuto per me è importantissimo. Per te sono passati tanti anni, io adesso ho tutta l’incazzatura che si merita il ragazzo che sei stato e che ha dovuto subire questa cosa atroce. Io la odio quella donna, come fai a sentirla ancora?”
Sebastiano si avvicinò per abbracciarlo, gli sussurrò di calmarsi stringendolo a sé, e baciandogli la testa. “Fratello dobbiamo tornare, io sono felice di Luca. A un certo punto mi piacerebbe fartelo conoscere. Quando saremo un po’ più grandi.”
Amedeo parlò con Ludger di quella rivelazione del passato di Sebastiano appena riuscirono a restare soli, e lui lo lasciò sfogare senza esprimere commenti. In quell’unica occasione Amedeo trovò irritante il suo distacco, perché gli sembrava manifestare uno scarso interesse per le vicende di suo fratello. Fu sollevato nell’apprendere che Sebastiano gli aveva già aveva raccontato di suo figlio, nei primi giorni che avevano trascorso insieme, parlando ininterrottamente. Non riusciva a condividere la loro tranquillità rispetto a quell’argomento, e lo tormentava il pensiero del suo amico, giovanissimo e solo, alle prese con quella vicenda terribile. Lo angosciava pensare a quel ragazzo che cresceva senza conoscere il padre.
Amedeo divenne taciturno, e si isolò più del solito. Era innervosito anche dall’imminente incontro con suo padre, che aveva acquistato il biglietto per Roma non appena lo aveva chiamato. Gli diede appuntamento in un bar vicino alla stazione dove aveva preso una camera in un albergo, e lo trovò seduto a uno dei tavoli mentre aspettava guardando fuori. Quell’immagine gli provocò una profonda tristezza, facendogli sperare che sarebbero riusciti a superare quell’ennesimo scoglio. Pensando al padre di Sebastiano ricordò le parole di Helga, e gli apparve stranamente giovane.
Amedeo si avvicinò velocemente, riconoscendo la gioia e lo stupore nel volto di suo padre nel metterlo a fuoco. Si sedette con gesti disinvolti, rivolgendogli un sorriso. “Ciao papà, spero di non averti fatto aspettare.”
Si accorse subito della tensione del figlio, malgrado la nuova veste in cui gli si presentava. “Sei dimagrito ancora, e hai i capelli così lunghi. Sembra che suoni in un gruppo rock. Sono felice di vederti. Stai bene?”
“Benissimo.”
Annuì, abbassando lo sguardo. Si manteneva distante, ricordando il fastidio di Amedeo per ogni contatto imposto. Avrebbe voluto metterlo a suo agio, ma non poté evitare di rivolgergli alcune domande. “Non ti droghi vero, tua madre è ossessionata… hai un lavoro, onesto?”
“Non parlare di lei. Non ne voglio sapere niente.” Amedeo respirò a fondo, ordinò un tè e cercò di riprendere in un tono conciliante. “Non devi più preoccuparti per me. Non mi drogo e non ho nessuna intenzione di farlo. Ho un lavoro normale. Sto bene, probabilmente non sono mai stato così bene in vita mia. Sono successe tante cose, ma credo di riuscire a stare così bene perché voglio essere quello che sono, senza dovermi giustificare con nessuno. Lei è sempre stata un mostro con me. E non è stata colpa mia. Questa cosa io la vedo bene, e non faccio più confusione. Di Irene proprio non voglio parlare. Non sei venuto fino a qui per parlare di loro, spero. Tu come stai? Mi dispiace di non averti risposto per così tanto tempo, ma avevo bisogno di schiarirmi le idee. Tu sei l’unico che è riuscito a volermi bene, per questo sono qui.”
Lo guardò con incredulità, forse con sospetto. “Faccio fatica a riconoscerti. Già l’estate scorsa eri diverso. Tu non mi hai mai detto bugie, ma io sono preoccupato. Puoi dirmi cosa ti è successo? Ti serve aiuto?”
Ad Amedeo stava venendo da ridere, ma si trattenne. “Ma se ti ho appena detto che sono felice. Sono fuori dalla gabbia e mi muovo bene. Sono innamorato. È la cosa più bella che mi è capitata da quando sono nato. Sono così felice che solo pensarci mi rende euforico. Spero tanto che tu riuscirai accettarlo. E parlo di te. Solo di te.”
Suo padre iniziò ad essere profondamente confuso. “Perchè non dovrei accettarlo? Non capisco.”
“Perché sei circondato da bigotti. Papà, io sono innamorato di un ragazzo. E sono felice.”
Lo vide cambiare espressione: alla difficoltà si sommarono velature più complesse, ma Amedeo leggeva chiaramente, sotto lo stupore, una nota di dolore che lo face bruciare di rabbia. Cercò di trattenerla, ma lo trovava ingiusto. Mandò indietro i capelli e sorseggiò il suo tè, non volendo farsi scuotere neanche in superficie. “Di’ qualcosa.”
“È quel tuo amico, Sebastiano?”
Annuì per l’ovvietà di quella deduzione. “No, ci conosciamo da meno di un anno. È una stata una storia molto complicata, e bellissima. Se riesci a reagire bene vorrei anche presentartelo.”
Suo padre aveva un aspetto terribile; per Amedeo quella reazione sarebbe stata giustificata soltanto se gli avesse comunicato di avere una malattia incurabile. Decise di smettere di guardarlo, e si concentrò sul legno del tavolo, aspettando. Il silenzio durò a lungo, e Amedeo arrivò a credere che quella potesse essere l’ultima volta che si incontravano. Era sollevato di aver chiesto a Ludger di aver reso il suo numero invisibile per chiamare il padre. “Vivo con lui da alcuni mesi, non chiamare più a casa di Elisa per favore. Chiudi il conto che avevi aperto per me, non lo uso più. Per favore dimmi qualcosa.”
Lo aveva sempre visto affrontare con dignità le difficoltà, ma in quel momento appariva affranto, con le spalle ricurve.
“Speravo che almeno tu ne uscissi normale. Mi dispiace.”
Amedeo sentì l’irritazione crescere senza freni, e replicò senza neanche concedersi il tempo di pensare. “Guardami bene, ricordati che io sono felice. È l’ultima volta che mi vedi.” Si alzò, prese il giacchetto e uscì senza voltarsi, iniziando a camminare nel caos di Via Nazionale a grandi falcate.
Si sentì afferrare il braccio e si girò di scatto. “Cosa vuoi?”
“Scusami, mi dispiace.” Non era abituato a correre, e respirava con difficoltà: vedere Amedeo uscire dal bar gli aveva fatto capire che sarebbe stata una separazione definitiva, ed era stato preso da una paura sorda. Lo aveva inseguito senza pensare a cosa gli avrebbe detto; Gli sembrò di essere finito in un incubo.
Amedeo lo stava guardando con un’espressione che non riconosceva del tutto; non lo aveva mai visto così arrabbiato e determinato, anche il fatto che parlasse ad alta voce in strada era sconcertante.
“Non me ne faccio niente delle tue scuse e del tuo dispiacere, niente! Hai capito! Se mi definisci anormale non voglio più sentire niente da te! Mi avete fatto a pezzi per anni, non voglio più subire queste cattiverie. Lasciami in pace!”
Stava per andarsene quando lo vide fare qualcosa che non si sarebbe mai aspettato: suo padre iniziò a piangere, senza suoni all’inizio, per poi scoppiare in singhiozzi. Amedeo si maledisse per essersi cacciato in quella situazione: non provava compassione, e questo lo colpì profondamente. Preparò una sigaretta limitandosi ad aspettare, mentre alcuni passanti si avvicinarono incuriositi, e una donna gli chiese se avessero bisogno d’aiuto.
Amedeo era così irritato che la liquidò con sarcasmo, decidendo di sbloccare la situazione. “Dove alloggi? Ti accompagno.”
Prese il braccio a suo padre e iniziarono a camminare; il movimento sembrò calmarlo, ma restava confuso.
“Quindi non torni per Natale.”
“Papà, io non torno mai più, non ho più intenzione di fare niente che mi renda infelice. Ti voglio bene e per te sto facendo un grosso sforzo, come hai fatto tu tante volte per me. Ma non posso sopportare di sentirti dire bestialità. Se davvero pensi che io sia un freak puoi piangere tutte le tue lacrime che hai. Non mi riguarda.”
“Cos’è un freak?”
Amedeo mandò gli occhi al cielo per l’esaperazione, e per la prima volta ebbe l’impressione di avere a che fare con un bambino. “Una creatura infelice, anormale, un mostruosità deforme. Senti, sei al sicuro nel tuo albergo. Ti lascio qui. Non mi cercare più.”
A quel punto era sconcertato. “Per favore… per favore dammi un po’ di tempo.”
Amedeo si prese alcuni secondi. Mise bene a fuoco la disperazione ottusa di quell’uomo che si era sempre nascosto da tutto, ridotto in lacrime davanti all’entrata di un albergo. Non voleva permettergli di trasformarlo in un mostro alimentato dalla rabbia.
“Ti chiamo domani mattina. Ma se mi insulti un’altra volta puoi fare tutte le scene che vuoi, non mi fermi più.”
“E neanche hai detto ‘felicemente frocio’? La tua famiglia deve essere allergica alla felicità, forse hai insistito troppo su quel dettaglio.”
Amedeo era tornato a casa di buon umore, raccontò subito agli altri l’esito di quell’incontro. Sebastiano preparò un aperitivo e si spostarono a chiacchierare allegramente sui divani, anche se Ludger sembrava contrariato.
“Lù, cos’è quella faccia? Non sono abituato a vederti così, ormai.”
Il viso di Ludger aveva un aspetto più duro, lo sguardo era tagliente e si muoveva con gesti veloci. “Non mi piace che tu ti stia innervosendo così tanto negli ultimi giorni. Questo matto ha aspettato tanto, per poi farti fare una scorpacciata di traumi e concluderla in cima all’albero secolare. Tanto per rischiare anche una caduta disastrosa.”
Sebastiano bevve con gesti lenti alcune sorsate di prosecco.
Ludger si accese una sigaretta. “Io evito di proposito di esprimere la mia opinione sulle dinamiche del vostro rapporto. Non credo sia giusto. Però questa cosa mi ha fatto girare, e preferisco dirlo adesso che siamo insieme. Già che mi viene chiesto. Poi tuo padre. Mi sembra incapace di pensare. Dalla reazione che ci racconti sembra che abbia solo paura di perderti, che non ti abbia ascoltato… come se fossi un oggetto da conservare su uno scaffale. Se lo vedrai ancora, vorrei chiamarti durante l’incontro. Non per interferire ma solo per darti una scusa per accannarlo lì dove si trova, se serve, a piangere per il suo giocattolo rotto.”
Amedeo lo aveva ascoltato con attenzione. “Fratello, che ne dici?”
“Che devo dire. L’alieno ha sempre ragione. Per il prossimo trauma devo almeno assicurarmi che l’eventuale caduta sia tollerabile… mi sono dato per primo dello stronzo. Non so perché a un certo punto mi è sembrato insostenibile che tu non lo sapessi.”
Ludger lo interruppe con un sorriso tirato. “Non essere ipocrita, lo sai il perché. Perché avevi detto a me di Luca, e non ti piaceva che lui ancora non lo sapesse. Perché ci piace pensare che tra noi possiamo parlare liberamente di tutto. E con questa omissione avevi incrinato palesemente questo bel pensiero.”
Sebastiano gli rivolse uno sguardo affilato. “Io, prima o poi, ti spacco la faccia.”
“Quando vuoi.”
Ludger aveva risposto senza intonazioni, Sebastiano posò il calice e Amedeo si sporse in avanti fra loro, sorridendo.
“Ecco, no. Questa scena proprio non la voglio vedere, grazie. Avere un bel pensiero, immaginare che tra noi si possa parlare senza censure, è il primo passo per poterci riuscire davvero. Non sono cose che si materializzano come per magia, e io sono contento che ci stiamo muovendo in questa direzione. Non può essere sempre facile, ma non dobbiamo fossilizzarci sulle difficoltà. Adesso spero sia chiaro che non voglio essere protetto, che deve essere un gioco alla pari. Tornando a mio padre… se ci vedremo ancora, mi chiamerai dopo mezz’ora. Penso sia più che sufficiente per capire che direzione ha preso.”
Amedeo passò a prendere il padre davanti all’entrata dell’albergo con la Micra di Ludger. Accostò soltanto per farlo salire, prima di continuare a guidare senza meta.
“Dove andiamo?”
“Da nessuna parte, preferisco guidare, così non ti guardo.”
Il silenzio era pesante, il volume dello stereo bassissimo; Amedeo si concentrò sulla strada amplificando mentalmente la musica che sapeva a memoria. Al telefono il padre non aveva usato termini offensivi, pregandolo di vedersi ancora. In quel momento non sapeva dove portarlo.
“Quando hai comprato questa macchina?”
“È di Ludger, il mio uomo.”
“Già.”
Amedeo accostò con una manovra morbida. “Allora, pensi di poter accettare il figlio anormale come una cosa normale o buttiamo lo stampino riuscito male?”
“Non capisco quello che dici. Io ti voglio bene, non ho una buona idea di questa cosa che due uomini stanno insieme. Per me è sempre stata una cosa strana, non pensavo potesse capitarmi così vicino. Ma sei mio figlio e non voglio perderti. Me ne farò una ragione.”
“Può essere un inizio, almeno non hai detto niente di insultante. Che per te è una cosa ‘strana’ posso capirlo. Pensi di dirlo a casa?” Vide sul viso di suo padre espressioni che non pensava possibili: in quel momento le sopracciglia si alzarono leggermente al centro, probabilmente non ci aveva ancora pensato.
“Tu lo vorresti?”
Amedeo sorrise, con tristezza. “Quelle due per me sono destinate a diventare delle estranee. Puoi fare come vuoi, le reazioni però sarebbero tutte per te, e non mi immagino niente di leggero.” Rimise in moto, e parcheggiò poco dopo lungo il perimetro del Circo Massimo, per raggiungere il bar che aveva frequentato con Ludger. Tornò a parlargli soltanto quando furono seduti. “Vuoi conoscere Ludger e poi ti riaccompagno in albergo?” Gli sembrò spaventato e incuriosito.
“A te farebbe piacere?”
Amedeo rise mentre il telefono squillava.
– Siamo al bar vicino casa di tua madre, ti va di raggiungerci per un tè? L’ascia bipenne puoi riporla, per ora. –
Restarono in silenzio per alcuni minuti. Amedeo era contento pensando che Ludger li avrebbe raggiunti a piedi, in quel luogo in cui lo aveva portato nei primi tempi sulla sedia a rotelle. Il padre lo osservò sorridere, rivolto alle volute di fumo che lo stavano avvolgendo. Iniziò a credere di non averlo mai visto così felice, e quest’idea gli procurò un dolore che somigliava a un rimpianto. Quando Ludger varcò la porta la gioia sul viso del figlio lo colpì profondamente; aveva immaginato si trattasse di un turista, ma l’espressione di Amedeo gli tolse ogni dubbio. Si alzarono per le presentazioni. Il viso di Ludger era scolpito nel ghiaccio: indossava un cappotto nero che rendeva i suoi colori ancora più chiari e netti. Guardando Amedeo sorridere riacquistò anche lui un po’ di morbidezza, e sorrise mentre parlava con naturalezza del viaggio a Venezia che stava programmando. Il padre di Amedeo fu sollevato nel sentire quella voce bassa, e nel constatare che non c’era niente di femminile nei loro gesti; pensò che Amedeo avesse ragione a definirlo bigotto. Cercò di fargli le stesse domande che avrebbe rivolto a uno dei ragazzi di sua figlia. Chiese del bastone, del suo nome straniero, dei suoi genitori, e così via. Ludger rispondeva con semplicità, sorseggiando il suo tè con lentezza; controllava spesso l’espressione di Amedeo, continuando a sorridere. La descrizione che diede di sé era tanto semplificata che Amedeo restò ammirato dalle sue doti diplomatiche. Ne venne fuori il ritratto di un ragazzo che in seguito a un brutto incidente, era stato costretto a fermarsi per alcuni anni, ma aveva fortunatamente recuperato quasi del tutto la sua autonomia. Raccontò delle origini origini nord europee della sua famiglia, del padre scomparso da anni durante un viaggio, e definì la madre una donna d’affari. Disse di aver ripreso a frequentare l’università da poco, specificando che la madre avrebbe preferito giurisprudenza, ma lui aveva scelto un indirizzo che riteneva più interessante: ingegneria informatica. Ludger parlò con lentezza, senza muovere le mani dal tavolo o dalla tazza, trasmettendo calma e sicurezza; non faceva domande, il viso era sgombro dai capelli lucidi e appariva come sempre a proprio agio. L’incontro fu breve, si salutarono con una stretta di mano, e Ludger rivolse ad Amedeo l’ennesimo sorriso.
Nel viaggio di ritorno Amedeo e suo padre si sentivano molto più rilassati.
“Ludger forse è l’uomo più affascinante che abbia conosciuto.”
Amedeo trattenne le risate per quella frase che era arrivata dopo un lungo silenzio. “Già.”
“È stato così brutto quell’incidente?”
Non intendeva scendere in dettagli e rispose seccamente. “Orribile.”
“Povero ragazzo, sono contento che l’abbia superato.”
Amedeo si domandò come suo padre stesse elaborando quell’incontro. “Ne parlerai a casa?”
“No. però vorrei che tu mi chiamassi ogni tanto. E quel conto non lo chiudo, lascialo lì. Per me questa cosa è difficile ma non voglio perderti, e vorrei che tu continuassi a pensare che puoi contare su di me. Questa per me è la cosa più importante.”
Sebastiano passò i giorni prima della partenza per Venezia in preda a un nervosismo crescente. Non riusciva a concentrarsi nelle sue attività; il clima non gli consentiva di camminare a lungo tra gli alberi come avrebbe voluto, e cercò di restare da solo per la maggior parte del tempo in cui stavano in casa. Ammise di avere le paturnie, e chiese a Ludger se poteva dargli delle pillole anche a pranzo, ma lui non ne volle sapere. Quando gli domandavano il motivo di tanto nervosismo non riusciva a fornire risposte chiare. Non voleva parlarne perché non aveva soluzioni: non sarebbe voluto andare a Venezia, ma non riusciva a pensare di restare da solo; senza Amedeo vicino avrebbe ceduto a quel desiderio sordo di spegnere i pensieri, evitando di ricorrere a Ludger. Trovava aggressiva l’ospitalità della zia di Ludger, che aveva insistito per farli fermare tutti a casa sua; non era ancora chiaro come si sarebbero distribuiti per dormire. Pensava fosse un’assurdità che dovessero convivere per diversi giorni con una zia, una vicinanza forzata che non aveva sperimentato fino a quel momento. D’altra parte non se la sentiva di restare in albergo da solo, perché trovava Venezia insopportabilmente malinconica e non sarebbe riuscito a reggere un risveglio notturno lì da solo. Provava una profonda frustrazione per la propria condizione di dipendenza; non riusciva a rassegnarsi alle limitazioni che comportava, e avrebbe voluto lasciare Amedeo e Ludger da soli. Era nauseato dalla propria debolezza. Pensava di non riuscire più a sopportare lo spazio vuoto nel quale si costringeva a vivere, ed era arrivato a credere di aver fatto un errore rifugiarsi da loro, costringendosi a dover resistere senza prospettive. Non riusciva a concepire pensieri che riuscissero a dargli sollievo.
Amedeo era emozionato per quel viaggio: studiò la storia di Venezia e i possibili itinerari, ma anche lui non era sereno. Non aveva ancora assimilato l’incontro con il padre di Sebastiano e la rivelazione che ne era seguita. Temeva che l’immersione nello scenario della storia di Ludger e Nobuko potesse rivelarsi difficile.
Ludger coglieva e assorbì quel cambiamento di atmosfera, arrivando a proporgli di restare a Roma con Sebastiano e partire da solo; Amedeo insistette per accompagnarlo, e lui si ripromise di fermarsi pochi giorni, meno di quelli programmati nel caso la situazione fosse diventata pesante.
“Siete elettrici, Sebastiano non sta bene. Anastasia non mi preoccupa, lei ha davvero visto di tutto, ma temo che alla minima scintilla qualcuno potrebbe sbroccare… e non sarebbe piacevole in trasferta. Io però devo andare, e sarei più sereno ad andare da solo. Se proprio non ne vuoi sapere proveremo anche questa avventura. Però mi devi assicurare che, se vieni contagiato anche tu dalle paturnie, me ne parlerai. Non penso che ce la farei a sopportarvi, altrimenti.”
Partirono un sabato pomeriggio. Amedeo aveva lavorato la sera precedente e dormì fino a tardi. Ludger fece molta fatica per concentrarsi nel preparare la valigia, a causa di un forte mal di testa. In viaggio leggevano e ascoltavano musica; Amedeo fumò più del solito mentre Sebastiano restava in silenzio. Arrivarono nel tardo pomeriggio e Amedeo, appena scesi alla stazione, si incantò; sembrò in difficoltà quando Ludger gli chiese di riprendere a camminare, ma lo fece cercando di sorridere.
“L’architettura è magnifica ma il mare è atroce, penso di non aver mai visto un mare morto come questo. È un contrasto violento, sembra un delirio irreale, un sogno pronto a diventare un incubo. Il vecchio Mann ha ragione, sembra il posto perfetto per morire pensando alla bellezza.”
“E ancora neanche l’hai vista. Fratello, muoviamoci di qui, ti prego.”
Ludger lanciò uno sguardo storto verso Sebastiano: il suo tono non era stato gentile, e sapeva che Amedeo aveva sempre trovato in lui un alleato prezioso per quel tipo di riflessioni.
Sebastiano sembrò coglierlo, ma le parole che aggiunse non migliorarono la situazione: tutto quello che stavano vivendo era soltanto un conto alla rovescia verso il sonno per lui, e l’incontro con Anastasia gli pesava come un ulteriore ostacolo. “Luca, lo so, è un posto meraviglioso. È uno di quelli che preferisco in assoluto. Ma non riesco a starti dietro, orientati su Ludger e sta’ tranquillo, sono esausto. Voglio solo dormire.”
Il mal di testa di Ludger era passato da diverse ore, ma si sentiva nervoso; passò un braccio sulle spalle di Amedeo sussurrandogli con dolcezza che dovevano prendere il traghetto, e provò una tenerezza quasi dolorosa nel doverlo strappare alle sue visioni. Malgrado il freddo e il vento, una volta imbarcati Amedeo volle restare fuori; Ludger rimase con lui mentre Sebastiano prese posto al riparo nella cabina. Amedeo guardò l’acqua macinata dal motore, scura, e i palazzi gli apparivano come merletti gotici dalla base marcia, a contatto con quel liquido morto. Aveva un leggero senso di nausea e pensò alla corrosione della pietra leccese che rendeva il suo barocco così struggente per il contrasto tra l’artificio e la corruzione del tempo; allo stesso tempo gli sembrava una visione surreale di un’estetismo esagerato, un posto sognato, sospeso sull’acqua, coerente con l’idea di una fuga temporanea divenuta irreversibile. Ludger ascoltava le sue parole senza riuscire a farsi trasportare come avrebbe desiderato, perché era preoccupato. Il turbamento di Amedeo gli sembrava un regresso: a Creta le sue visioni erano alimentate da una base di entusiasmo, mentre in quel momento aveva l’impressione che si stesse spegnendo. Amedeo era rapito al punto da smettere di parlare e Ludger, che conosceva il panorama, guardò il suo profilo perso nella contemplazione. Aveva evitato di dirgli che non visitava Venezia da moltissimi anni e che, dopo la morte di Nobuko, aveva avuto la convinzione che non ci sarebbe tornato mai più.
Appena scesi dal traghetto sentirono di nuovo la voce di Sebastiano che domandava, atono, che tipo di persona fosse la zia. Ludger la definì molto aperta e disponibile.
“Le case di Venezia sono piccole.”
“La sua non lo è. Poi alle brutte possiamo sempre pensare a un albergo.”
Anastasia aveva passato il pomeriggio ad aspettarli, emozionata per quell’incontro; era curiosa di conoscere Amedeo e Sebastiano, dei quali aveva sentito parlare molto da Helga. Tra le tante cose che le erano state raccontate la prima che le tornò in mente, osservando Sebastiano dietro gli altri, fu quella che le era sembrata più inverosimile: un ipotetico figlio di Ludger e Nobuko avrebbe potuto somigliargli. Ludger lasciò la maniglia del trolley e la mano di Amedeo per abbracciarla, e lei lo strinse a lungo.
“Mannaggia a te, quanto mi hai fatto aspettare.” Lo lasciò andare per concentrarsi sul secondo della fila. “E tu saresti Amedeo? Diosantissimo! Sei uno splendore, fatti abbracciare immediatamente.”
Amedeo la guardò incredulo, colpito dalla forte somiglianza con Ludger, e si fece abbracciare restando immobile, imbarazzato.
“Anastasia mollalo, Amedeo è molto riservato, così lo traumatizzi.”
Lo lasciò andare scusandosi, e il sorriso incerto di Amedeo le sembrò bellissimo.
Sebastiano si sentiva precipitato in un teatrino dell’assurdo, e si impegnò a mantenere un tono neutro. “Io sono l’altro, per la pomiciata preferirei aspettare di conoscerti un minimo. Posso entrare?”
Anastasia si spostò, facendo strada; il suo tono le aveva ricordato i modi respingenti del nipote nei momenti peggiori. Pensò che il recupero di Ludger fosse straordinario per poter riuscire a sopportarlo. Lei propose di prendere qualcosa da mangiare in un ristorante vicino, e quando chiese compagnia Amedeo si offrì subito di accompagnarla.
“Ancora non riesco a credere a tutto quello che c’è lì fuori, verrei volentieri.”
Restati soli Sebastiano decise di aver aspettato abbastanza. “Ludger, sii buono e dammi subito il pillolone che sto parecchio storto.”
Solo in quel momento, ripensando alla collocazione data ai vari oggetti nella valigia, Ludger ricordò di non essere passato nello studio: era dispiaciuto, e glielo disse guardandolo negli occhi.
Sebastiano prese subito un’espressione poco conciliante. “Non ci posso credere! Porco il creato, come cazzo hai fatto a non pensarci?” Sapeva che Ludger si era svegliato con mal di testa e che le valigie erano state preparate in fretta, ma in quel momento trovò insopportabile dover dipendere da qualcuno fino a quel punto.
Ludger cercò di rispondergli con un tono tranquillo. “Ti ho già detto che mi dispiace, e mi dispiace davvero. Dammi il tempo di pensare a una soluzione, e cerca di calmarti.”
Sebastiano interruppe il suo girare in tondo con passi nervosi nel piccolo salotto, e rise con un suono falso che troncò di netto. “Calmarmi. Pensi che sia facile?”
Ludger iniziava a sentirsi esasperato, e temeva fosse stato un errore portarli con lui. “Ti rendi conto di dove siamo? Sei tanto intelligente e certe volte sembri proprio stupido.”
La voce di Sebastiano era alterata. “Dimmi un’altra volta che sono stupido e ti spacco le ossa.”
Restò immobile a pochi passi, rispondendogli atono. “Dalla faccia siamo passati alle ossa, bene. Ma la risposta è sempre la stessa. Quando vuoi.”
Sebastiano gli rispose immediatamente, con un sorriso storto. “Non aspetti altro? Che sia io a iniziare, vero? Vuoi solo un alibi. Se a te capita di trovarmi ‘stupido’ a me di aver voglia di sentirmi le mani che fanno male a forza di picchiarti. Puoi essere davvero insopportabile. Sempre imperturbabile. Irraggiungibile dalle miserie umane. In momenti come questi odio la tua saggezza del cazzo, la tua vita perfetta, la tua bellezza assurda e la tua maledettissima generosità. In momenti come questi ti farei a pezzi, così magari diventi umano.”
Sebastiano aveva ripreso a muoversi avanti e indietro, mentre Ludger restò fermo, ridendo.
“Forse un paio di sganassoni potrebbero far bene anche a te.”
“Con la tua rinomata sincerità da santone, puoi dirmi cosa cazzo dovrebbero curare?”
Ludger era apparentemente tranquillo, ma consapevole che gli si stavano irrigidendo i muscoli. “La tua vigliaccheria. Puoi essere tanto coraggioso per gli altri e poi, per te, di questo coraggio che te ne fai? Quanti anni stai buttando? Se non ci fossero stati Amedeo e Aline saresti morto da un pezzo, con il tuo giochino idiota per cui niente può toccarti davvero. Certe volte penso che lo sei.”
Sebastiano si fermò il tempo di accendere una sigaretta, e aspirò velocemente fino a infiammarla prima spegnerla con un gesto violento. “E tu, superuomo, tu. Fino a che non è arrivato l’eroe a salvarti, che facevi?”
“Mi preparavo ad andarmene, ma sul serio. Per me ogni giorno in più era una maledizione. Tu sembra che voglia drogarti di noia. Aumenti la distanza e diventi sempre più impermeabile anche a te stesso. Potresti essere tanto brillante, e invece sei solo uno spreco. Cos’altro deve capitarti per riuscire a vederlo?”
Sul viso di Sebastiano iniziarono a scendere lacrime di rabbia, mentre Ludger continuava a parlare incolore.
“Io aspettavo la morte come un traguardo, tu vorresti allontanarla facendo lo zombie. Distante da tutto e affamato di tutto quello a cui rinunci. Se non fossi affezionato a te ti avrei ucciso nel sonno per farti un favore.”
Sebastiano prese il posacenere per lanciarglielo, ma Ludger lo raggiunse in pochi passi lasciando cadere il bastone e bloccandolo. Subito dopo lo lasciò andare, sorridendo.
“Prenditela con me, non con le cose che non mi appartengono.”
Sebastiano guardando quel sorriso divertito smise di pensare, cedendo completamente ai nervi scossi. Gli diede uno schiaffo, graffiandogli la mandibola con l’anello di Amedeo; subito dopo poggiò entrambe le mani sul suo torace, spingendo abbastanza forte da farlo cadere a terra. Ludger, continuando a ridere, si rialzò agilmente; Sebastiano iniziò a sferzare dei calci che venivano intercettati senza difficoltà. L’apparente buon umore di Ludger alimentò la sua rabbia.
“Potresti almeno fingere di non divertirti.”
“Non ho intenzione di fingere niente, soprattutto per te.” Finita la frase gli diede uno schiaffo.
Il labbro di Sebastiano cominciò a sanguinare, e reagì spingendolo più forte; Ludger rovinò a terra urtando il tavolino con una spalla senza fare danni.
Sebastiano si portò due dita alla bocca, e le vide sporche di sangue. “Pezzo di stronzo, se mi rovini il viso ti faccio a pezzi.”
Ludger si alzò senza difficoltà. “Te lo faccio ricostruire, meglio di quello che avevi. Magari lo gonfiamo un po’.”
Sebastiano iniziò a sorridere, e portò a segno un pugno all’addome. “Hai ragione, è divertente.”
Ludger, ancora piegato, glielo restituì. “Sullo stomaco un po’ meno, che dici?”
“Cristo!” Sebastiano strinse la camicia di Ludger piegandosi, e la stoffa si lacerò. Ormai rideva anche lui. “Poi te la ricompro.”
“Grazie, è tra le mie preferite.” Nel rispondergli gli mise una mano sulla testa, prima di spingere bruscamente, facendolo finire a terra.
Sebastiano rise di gusto e Ludger si mise a sedere di fronte a lui; continuarono a ridere lanciandosi calci senza troppa convinzione, che lasciarono arcipelaghi di lividi sulle loro gambe. Andarono avanti a lungo, malgrado il dolore l’addome, restando piegati a terra senza riuscire a smettere.
“Posso sporcare di sangue il pavimento di zia. Ma ti rendi conto di quanto sei allucinante cazzo. Mi hai portato a casa di zia.”
“Sul pavimento di ‘zia’ puoi pure collassarci.”
Rientrando in casa, Amedeo li trovò sdraiati sul fianco, a ridere lanciandosi calci. Vedendo la camicia strappata e il segno sulla mandibola di Ludger, spostò lo sguardo sul viso di Sebastiano che rideva, sporco di sangue sul mento e sui denti. A quella vista provò un capogiro, e Anastasia decise di soccorrere lui prima degli altri; gli tolse le buste del ristorante dalle mani e lo fece sedere su una poltrona, parlando con dolcezza. La voce di Anastasia così calma, con il sottofondo di risate, gli fece sembrare la scena ancora più irreale.
“Non ti preoccupare, Louis faceva amicizia così da piccolo… deve essere un’eredità del fratello, che era un gran picchiatore. Le mamme si arrabbiavano tanto, ma non è mai finito nessuno all’ospedale.” Amedeo non riusciva a sbloccarsi, e Anastasia si sedette in terra tra i due. “Allora, valutiamo i danni. Siete interi? Vi volete bene anche più di prima?”
Ludger e Sebastiano non riuscivano a smettere di ridere: quando uno dei due stava per calmarsi la risata dell’altro, e il pensiero della situazione che avevano creato, lo faceva ripartire. Anastasia ripeté le domande, mentre Amedeo iniziò a sorridere. La testa di Ludger si mosse in senso affermativo.
La voce di Sebastiano era spezzata dalle risate. “Sei senza fondo.”
Ludger capì che si riferiva alla tranquillità con cui Anastasia stava reagendo a quella scena. “Ti prego taci! Non ne posso più.”
Anche lei iniziò ad essere divertita. “Volete un sedativo?”
In reazione, una ricaduta li fece ridere ancora di più.
Anastasia tornò da Amedeo. “Andiamo a mangiare, quando la smaltiranno sapranno dove trovarci.”
Lui la seguì senza protestare, ancora confuso; il suono delle risate non poteva che essere un segnale positivo. Nel breve tragitto per andare al ristorante era stato in silenzio; Anastasia aveva parlato ininterrottamente, consigliandogli le tappe che riteneva indispensabili fare in quella città. In cucina continuò a parlargli con un ritmo musicale, appena indurito dall’accento tedesco.
“Non devi preoccuparti. Immagino tu non sia il tipo da fare a botte con gli amici, sembri molto mite. Per Louis non è un comportamento insolito e per suo fratello lo era ancora meno. Steinar non se ne capacitava.” Fece una pausa per ridere a quel ricordo. “Non puoi neanche immaginare le botte che si sono dati Louis e Andrea, so che lo conosci e sai quanto si vogliono bene. Era forse un modo per farlo reagire, da piccolo Andrea era troppo timido. E ridevano sempre, come con il tuo amico. Sai? Io penso sia un modo barbarico per rompere delle separazioni, forse ridurre delle distanze. Con Sebastiano non si erano mai messi le mani addosso? Mi stupisce.”
Era rimasto incantato con un piatto in mano, che Anastasia gli tolse per posarlo in tavola.
Amedeo pensava alle leggere spinte che li aveva visti scambiarsi, ed annuì appena. “Non così… potresti spiegarmi questa cosa delle ‘separazioni’? Sembra una teoria interessante.”
“Non ho molte spiegazioni, non mi appartiene, però quando due ragazzi se le danno senza farsi male io credo ci sia una forma di attrazione, che però non capisco. Un modo per entrare in contatto, fisico, che non vuole necessariamente essere distruttivo. Anzi, con Andrea era esattamente il contrario. Louis voleva farlo reagire, insegnargli a reagire, a uscire fuori, e rompere una distanza. Prima avevo detto separazione? Che in quel caso era alimentata da un’adorazione che rischiava di diventare soggezione, mentre nel caso di Sebastiano non posso saperlo. Però, sai? Sono sicura che si vogliano bene, non ti preoccupare. Se avessero avuto brutte intenzioni non sarebbero ancora interi, a ridere. Helga mi ha detto che si piacciono tanto.”
Amedeo li vide passare in corridoio mentre rifletteva sulle sue parole: Ludger stava tenendo il braccio sulle spalle di Sebastiano, e sorridevano scambiandosi frasi che non riuscì a interpretare.
“Penso tu abbia ragione. Loro per me sono… così importanti che non riesco a pensare in modo distaccato. Però è vero che hanno entrambi caratteristiche molto forti, e a me ancora sembra un miracolo che siano riusciti a prendersi… All’inizio si sono avvicinati tanto, e Ludger è stato fantastico ma poi… si sono allontanati. Lui credeva che doveva essere Sebastiano a reagire, e decidere la distanza. Non so cosa sia successo quando siamo usciti, ma non li avevo mai visti abbracciati. Penso che la tua teoria sia giusta, anche se mi spaventa parecchio.”
Sul labbro inferiore di Sebastiano era leggermente gonfio, e c’era un piccolo taglio; l’anello che indossava aveva lasciato un segno rosso sullo zigomo di Ludger. Dopo essere entrati in cucina insultandosi scherzosamente, iniziarono a mangiare con naturalezza; gli sguardi irrequieti di Amedeo fecero sorridere entrambi.
Anastasia versò da bere. “Avete fatto pace?”
“Grazie zietta. Sai? Credo che l’unico problema era il non riuscire a trovare un pretesto per litigare. Adesso penso vada meglio.”
Sebastiano giunse le mani. “Amen. La prossima volta ti corco. Zietta, quella storia dei sedativi quant’è realistica?”
Anastasia si alzò, sorridendogli. “Louis mi chiama così per scherzo, se puoi evitare di imitarlo te ne sarei grata. Vado a prenderli.”
“Non vi capisco e non mi piace vedervi ridotti così.. era proprio necessario? Chi ha iniziato e perché?”
Amedeo aveva parlato con una vena di nervosismo, e Ludger gli prese una mano, rispondendogli con una voce serena.
“Tesoro, penso che io abbia fatto un errore a portarvi qui. Sarebbe stato meglio aspettare un momento più tranquillo, ma ormai ci siamo e ce la caveremo. Non posso sapere quanto fosse necessario e penso non importi. Io sto bene e ‘sto piagnone pure. Sono convinto che sia sempre meglio affrontare le cose piuttosto che far finta di niente. Chi ha iniziato non ha importanza perché ci siamo divertiti entrambi, Ok?”
Amedeo annuì, e rimase in silenzio.
Sebastiano sussurrò ancora un amen. Prese la scatola di compresse che Anastasia aveva posato sulla tavola, e la aprì porgendo il foglietto a Ludger. “Fai il bravo e studialo in fretta.”
“Direi mezza compressa, sono molto più leggeri dei miei. Questi ti faranno soprattutto venire sonno.”
Sebastiano spezzò la compressa, ingoiandola subito. “Adesso però la scatola la tengo io. Non reggo più ad averti come tutore. Cos’è che ti preoccupa, esattamente?”
Ludger scosse il capo, senza turbarsi. “Se aumenti le dosi poi smettere è molto difficile.”
“Ho smesso con qualsiasi cosa volessi smettere. Nessuno può essere libero se non è il capo di se stesso. Non sono parole mie, ma di uno stronzo filosofo. Se lo vorrò fare lo farò. Adesso è un’ipotesi remota, adesso mi farei qualcosa di molto più efficace. I termini del patto devono cambiare. Se non sei disposto a rivedere le tue posizioni, sono pronto a comportarmi di conseguenza.”
Ludger rimase indifferente, notando la preoccupazione sul viso di Amedeo, e la determinazione su quello di Sebastiano; ignorò Anastasia, che continuava ad occuparsi del cibo. Non lo interpretò come un ricatto. “Hai ragione, per molti aspetti ho pensato che fosse passata la fase acuta, e avresti dovuto riprendere a gestirti autonomamente… Con lo spaccio di oblio non mi è neanche venuto in mente, ed ho sbagliato. Probabilmente ho valutato la situazione misurandola sulle mie debolezze, ed hai ragione a essere incazzato per questo, le tue non le conosco e devi essere libero di gestirle come meglio credi.”
Sebastiano si alzò e gli baciò la sommità della testa. “Ti voglio tanto bene anch’io. Vado a farmi una doccia che sono esausto. Luca, fratellino caro, respira. A dopo.”
Ludger ed Anastasia parlarono a lungo, invitando Amedeo a partecipare alla loro conversazione dove ogni argomento diventava pretesto per resoconti divertenti, ma lui era stanco e si limitò a sorridere. Poco dopo la mezzanotte Sebastiano si addormentò sul divano, e gli occhi di Amedeo diventarono lucidi di sonno: Anastasia capì che era il momento di mandarli a dormire.
La casa aveva una stanza con un letto matrimoniale ed un’altra con due singoli; Amedeo cercò di calcolare, al buio, quanti mesi fossero passati dall’ultima volta in cui aveva dormito in un letto da solo, ma si addormentò prima di riuscirci. Sebastiano stava dormendo profondamente a pochi metri da lui, aveva raggiunto quel letto come un sonnambulo limitandosi a snocciolare saluti poco convinti. Ludger ed Anastasia continuarono a chiacchierare ancora a lungo; era stato lui a decidere la distribuzione dei letti, per evitare imbarazzi e ritagliarsi un po’ di tempo con lei. Ludger le raccontò di Sebastiano e del rapporto straordinario che aveva con Amedeo, perché si fidava della sua riservatezza e dei suoi giudizi.
“Farò del mio meglio per metterlo a suo agio, facendolo vedere il meno possibile, non ti preoccupare. Povero ragazzo, sta nella classica situazione in cui tutto può risultargli soffocante… deve volervi molto bene per non invidiarvi. Da quello che mi dici e che ho visto, se fosse stato così risulterebbe evidente. O vi adora o è masochista.”
“Oppure, lo adora ed è troppo stanco per affrontare la solitudine. Perché non mi chiedi di me?”
“Perché basta guardarti per capire come stai, poi hai deciso di passare la notte con la tua vecchia zia, ed è un’ulteriore conferma che non potresti stare meglio. Mi diceva Helga che torni all’università, non sai quanto sono contenta. Sono più che contenta, sono felice. Mi sembra un miracolo ritrovarmi a parlare così con te. Sei cambiato tanto, ma ci sono delle cose che riconosco. Mi ricordi tanto tuo padre, sai?”
“Anche Helga ha iniziato a dirmelo. Non so se mi fa piacere. Io lo ricordo poco, e detto da voi mi fa un effetto sinistro.”
Sebastiano si svegliò di mattina presto, e rimase sdraiato su un fianco guardando Amedeo muoversi nel letto di fronte a lui: era una visione insolita, solo in momenti di profonda agitazione lo aveva visto tanto inquieto nel sonno. I suoi pensieri iniziarono a precipitare velocemente. Lo raggiunse sedendosi sul bordo del letto, e iniziò ad accarezzargli la testa: dopo l’ennesimo sussulto, Amedeo si svegliò spalancando gli occhi. Sul suo viso c’era un’espressione spaventata.
Sebastiano gli sorrise, senza interrompere le carezze. “Hai avuto un incubo? Me lo racconti?”
“Release release release my heart before you move ahead.”
Riconobbe immediatamente quelle parole, pronunciate senza l’intonazione del brano a cui appartenevano. “È il testo di una canzone.”
“Sì. Ho sognato di inseguirti in un dedalo di vicoli, era quasi buio e a ogni svolta pensavo di perderti. Vedevo dei piedi bianchi, nudi, sulla pietra consumata. Ma sai, non sapevo se eri tu o era Nobuko… però c’era questo pezzo, che a un certo punto ascoltavi spesso. Così ho capito che dovevi essere tu. Alla fine ti vedo svoltare in fondo a una stradina ma quando arrivo lì c’è solo acqua, quasi nera per la poca luce. Mi sa che questo posto mi angoscia. Perché sei sveglio?”
In risposta alzò leggermente le spalle prima di farle ricadere; sembrava stanco e Amedeo si pentì di avergli raccontato il suo sogno.
Sebastiano parlò, con un filo di voce “Pensavo alle persone che muoiono e vorrebbero ancora vivere, e a quelle che vivono desiderando solo la morte. È un’ingiustizia atroce. Poi mi sono alzato e mi sono seduto qui a guardarti, e ho iniziato a pensare al potere dell’amore. L’amore che provo per te è il cardine su cui ruota la mia vita. Mi rendo conto di essere inopportuno, e so che focalizzarsi in una sola direzione non è mai un bene. Ma la mia non è una direzione, è un’ancora. Ed è sbagliatissimo anche questo… Anche se sei l’ultima persona con cui potrei desiderare di fare sesso, per certi versi è una condizione imbarazzante. Nei tuoi confronti e verso Ludger. Mi dispiace, ma ancora non riesco a farci niente. Posso baciarti, fratello?”
Ludger e Amedeo passarono molto tempo da soli a camminare. Amedeo parlava seguendo le sue prime impressioni e per Ludger visitare quella città, riscoprendola attraverso la sua voce, era un esorcismo. Soltanto in un secondo momento gli raccontò delle storie che collegava ai luoghi che stavano visitando. Amedeo aveva studiato la storia di Venezia, ci sarebbe voluto tornare in estate per la Biennale. In piazza San Marco si bloccò talmente a lungo che Ludger gli prese la mano, per spingerlo a muoversi verso l’entrata.
“Non capisco come sia possibile, a me non piace l’oro ma i mosaici mi incantano, mi trascinano in un’altra dimensione. Dovremmo andare a Ravenna insieme. Quando ci sono stato con Sebastiano pensavo a te così intensamente che mi sembra quasi che tu fossi stato lì con noi. Ripensarci adesso mi dà le vertigini, il tempo da quando ti conosco non scorre più come prima.”
Amedeo aveva portato con sé la sua reflex, e fotografò Ludger un’infinità di volte. Quando intuiva che una strada sarebbe finita in un canale, accelerava il passo per fermarsi sul ciglio, dove non c’erano più vie oltre l’acqua.
“Continua a sembrarmi sempre un sogno.”
Ludger gli cinse le spalle. “Di quelli belli?”
“Se mi abbracci, sì.”
Da quando si trovava a Venezia Amedeo aveva ripreso a ricordare i propri sogni, che erano sempre angoscianti. Ludger continuava a stringerlo carezzandogli la testa; gli chiese con dolcezza di parlarne, ma Amedeo preferiva assaporare quel contatto in silenzio. Nei suoi incubi inseguiva figure bianche in vicoli bui a volte strettissimi, destinati a finire sempre nell’acqua nera, e non riusciva mai a raggiungerle. Poteva vedere i loro piedi immergersi in quel liquido opaco, le loro schiene e raramente i loro visi. Nella maggior parte del ripetersi ossessivo di quelle scene ignorava chi stesse seguendo: non riusciva a distinguere la figura con i capelli chiari che inseguiva: avrebbe potuto trattarsi sia di Aline che di Ludger, così come era difficile riconoscere Sebastiano o Nobuko. Si risvegliava sempre senza fiato. Puntava gli occhi bagnati su Sebastiano che dormiva poco distante, e sembrava irraggiungibile come i fantasmi che popolavano i propri sogni. In quei giorni Sebastiano restò perennemente chiuso in casa a leggere, ascoltare il Walkman e giocare a scacchi con Anastasia, che si dimostrò contenta di aver trovato un avversario instancabile. Ludger sapeva che quella passione per il gioco era in parte simulata, ma lei era abile ed era l’unico a essersene accorto.
Amedeo pianse a lungo tra le sue braccia. “Sto meglio, non vedo l’ora di tornare a dormire insieme, mi manchi così tanto la notte. Ma non ti preoccupare, non voglio fare il bambino capriccioso.”
Ludger era ormai convinto che quel viaggio fosse stato un errore. “Però svegliami la prossima volta che fai un incubo, non devi pensare di essere solo.”
“Sebastiano è quasi sempre sveglio a quell’ora… l’effetto del sonnifero finisce. E non ne vuole prendere di più, anzi, ha deciso che quando avrà i tuoi pilloloni vuole spararsene uno ogni tanto piuttosto che una briciola al giorno. Sono sollevato che si trovi bene con Anastasia, da quando siamo qui mi sembra così distante. Una mattina mi ha baciato le labbra, non ti dà fastidio, vero?”
Erano in un vicolo lontano dai percorsi turistici; non avevano contatti fisici da giorni, e Ludger lo strinse pensando che quella vicinanza per loro fosse una risorsa irrinunciabile.
“Lo sai che non mi infastidisce, puoi fare quello che vuoi. Io vorrei soprattutto sapere che non ci siano forzature tra noi, e che tu non mi veda mai come una gabbia. Te l’ho detto tante volte e sai che sono sincero.” Non capiva perché la vicinanza di Sebastiano non lo aiutasse in quei brutti risvegli, e si preoccupò che il potere salvifico della loro amicizia sembrasse indebolito. “Se lui è sveglio, perché resti così angosciato, non potete stare vicini?”
Amedeo continuò a stringerlo, riprendendo a piangere, e Ludger aspettò la risposta senza mettergli fretta. Guardando i riflessi sull’acqua aveva l’impressione di tornare indietro, ai pomeriggi in cui doveva separarsi da Nobuko e lei non riusciva a smettere di piangere. I capelli di Amedeo erano castani e sottili, schiariti dal sole sulle punte: non c’era niente in lui che la ricordasse, e in quel momento gli sembrò una grandissima fortuna.
Si allontanò da lui prima di rispondere, si pulì il viso e lo guardò negli occhi. “Mi sta vicino mentre dormo, seduto sul letto e mi carezza la testa, ma quando mi sveglio torna subito nel suo letto e si mette le cuffie… sente sempre lo stesso album e legge sempre gli stessi libri. Non non me la sento di raccontargli i miei sogni. Sono troppo anche per me, e appena sveglio mi sento ancora invischiato.”
Ludger gli sorrise ma la tensione sul suo viso trasparì dalla linea della mandibola, che appariva più netta. “Cosa hai sognato stanotte?”
“Conosci l’Ophelia di Millais? Non importa. Stavolta non c’erano inseguimenti. Sebastiano… era sicuramente lui perché il torace era piatto e la fronte era sgombra, galleggiava a filo dell’acqua. L’acqua era la solita poltiglia opaca, viscida come petrolio. Il viso era fuori dall’acqua come parte del torace, i capelli ci si confondevano, e sulla superficie scura c’erano i disegni bianchi che sta scarabocchiando nella camera della casa a fianco… dovresti vederli… non rappresentano un soggetto particolare ma una moltitudine intrecciata, esplosa, e ogni volta metto a fuoco dettagli diversi. Ossa, fiori, rettili, insetti e legni, tante linee bianche. Nel sogno c’erano anche alcuni tulipani bianchi, semianniegati. Il suo viso, Ludger, era tremendo. Gli occhi aperti erano opachi come l’acqua, non c’era il bianco, la sua pelle era come pietra bianca, anche le labbra non avevano colore. Era morto. Io non ho mai visto un morto, ma quel tipo di abbandono credo non possa essere nient’altro.”
Per Ludger, averlo vicino, era una cura straordinaria per esorcizzare i tanti ricordi depositati in quei luoghi, ma era preoccupato per Amedeo che descriveva Venezia come la materializzazione più efficace della tristezza.
“Un monumento alla malinconia umana universale, sospesa su un mare morto e maleodorante, bella e fragile come uno stato d’animo difficile da definire. Fra una distesa di morte e il cielo.”
“Parli come Sebastiano.”
“Forse è per questo che non vuole mai uscire, penso che se fossi da solo mi schiaccerebbe. Capisco perché non eri più voluto tornarci dopo la morte di Nobuko, e sono tanto felice che ora tu riesca a viverla senza effetti collaterali. Almeno per te questo viaggio ha un effetto positivo.”
Sebastiano partecipava alle loro uscite soltanto per la cena; Anastasia li portava ogni sera in ristoranti diversi e in quei casi scherzava come e più del solito con Ludger, sfoggiando i suoi commenti coloriti. Anastasia si rapportò a Sebastiano senza difficoltà dalla prima partita a scacchi e, il primo giorno trascorso insieme, gli chiese perché non seguise i ragazzi nelle loro passeggiate.
“Perché non esco con loro? Semplice, conosco benissimo questo posto. Sono pigro, e penso sia giusto che collezionino ricordi esclusivi nel primo viaggio che si fanno insieme qui. Va bene l’altruismo e che sono tanto simpatico da portare in giro, però devono pure darsi un limite. Se non lo fanno loro dovrò farlo io. Poi mi piace giocare a scacchi, ed è raro trovare qualcuno che non si addormenti mentre penso a una mossa.”
Quella notte camminarono a lungo per le strade deserte: Anastasia gli restò a fianco e lui le tenne il braccio, parlandole con estrema disinvoltura. Ludger stava valutando se partire il giorno seguente, mentre li seguiva tenendo Amedeo per mano.
La città era quasi completamente deserta, e Amedeo continuava a incantarsi fissando i vicoli vuoti inghiottiti dal buio. “È bello che tu e Nobuko potevate baciarvi in strada, mi piacerebbe tanto. Prima o poi mi porti in un posto dove potevate fare anche qualcosa di più?”
Ludger si fermò per avvertire gli altri che li avrebbero raggiunti a casa più tardi. Camminarono velocemente in piccole strade scarsamente illuminate, fuori dagli itinerari turistici. Ludger gli stringeva la mano, e lo guardava sorridendo; gli fece fare un giro tortuoso, che terminò nella via di fronte al palazzo dove viveva Anastasia.
“Perché mi hai portato qui, non capisco.”
Ludger gli posò un indice davanti alle labbra per invitarlo al silenzio, e guardò le finestre illuminate del primo piano: gli altri erano già rientrati. “Passeremo davanti alla porta ma non ci faremo sentire, e saliremo fino al tetto, c’è uno stenditoio. A quest’ora non ci sarà nessuno.”
Il panorama era bellissimo e Amedeo restò colpito dalla visione della città dall’alto, perché sembrava completamente disabitata. Il vento era freddo e in lontananza si vedevano le cupole di San Marco, come mongolfiere pronte a partire. Per la prima volta capì fino in fondo perché Ludger avesse tanto insistito per non fargli visitare Parigi in quel periodo.
“Con lei vi appartavate qui sopra?”
Ludger gli sorrise, con le labbra seminascoste dalla sciarpa. “Non a dicembre.”
I suoi occhi avevano una tonalità di verde più cupo nella poca luce, con un taglio ancora più stretto per il divertimento. Amedeo restò inespressivo e teso: stava serrando leggermente i denti, e gli occhi erano inquieti, completamente spalancati. Ludger lo guardò in silenzio, aspettando che riprendesse a parlare; si aspettava di ascoltare una delle sue visioni liriche, ma dal tono gli fu chiaro che avrebbe adottato un altro registro.
“Voglio che adesso mi prendi come se stessi lottando per la tua stessa vita.”
Ludger spalancò gli occhi, stupito e preoccupato, mentre Amedeo lo guardava intensamente senza cambiare espressione, come ribadendo la propria determinazione.
“Amedeo, cos’hai? Fa un freddo impossibile, siamo su un tetto… tesoro, cerca di calmarti.”
“Non c’è niente più freddo della morte. Ti prego, allontanala. Amore mio, voglio sentirti, voglio il tuo calore, allontana questo freddo, portami lontano da qui.”
Gli poggiò le mani calde al lato del viso, e Ludger sentì la sua presa salda. Amedeo avvicinò le labbra alle sue, prima di immergersi nella bocca con forza; lo premette contro il parapetto con la stessa decisione, con uno slancio che tendeva tutto il suo corpo.
“Amami Ludger, adesso. Spegni tutto il resto, ferma il tempo. Manda in frantumi ogni frammento di pensiero, fammi esplodere il cuore.”
Quando Amedeo era in quelle condizioni e si lasciava trasportare dalle parole, Ludger sentiva cedere ogni possibile resistenza. Continuava a guardarlo negli occhi, immobilizzandogli la testa, e il suo sguardo aveva qualcosa di visionario, completamente indirizzato verso di lui. Rispose ai baci mentre Amedeo si apriva il giacchetto, il maglione, e fece quasi saltare i bottoni della camicia.
Ludger iniziò a baciargli il collo. “Tu mi farai impazzire, come puoi spogliarti così.”
“Voglio sentirti sulla pelle, voglio sentirti ovunque, non esiste nient’altro che il secondo che stiamo vivendo, ed è bellissimo.”
Quella notte Amedeo lo svegliò, sussurrando il suo nome per non disturbare Anastasia che dormiva sulla sponda opposta del letto. Ludger si alzò e lo portò in cucina, dove lui prese soltanto un bicchiere d’acqua.
“Quanto era angosciante, stavolta?”
Amedeo guardò a terra, sorridendo; in quell’ambiente piccolo e accogliente, con la luce accesa e Ludger di fronte, si sentì terribilmente in imbarazzo. Lo aveva svegliato soltanto perché Ludger poche ore prima se lo era fatto promettere. Gli era capitato di soffrire di insonnia per lunghi periodi, e in passato era stato perseguitato da incubi ricorrenti, ma non gli era mai successo di svegliarsi tanto disorientato prima. “La felicità rende deboli.”
Ludger gli restò a fianco, in piedi, provando una profonda tenerezza per il suo viso da bambino irrequieto. “Penso sia vero, ma soltanto da una prospettiva molto limitata. Io sono felice del fatto che puoi cercarmi. Se non ti va di raccontarmi cosa hai sognato, non importa. Adesso andiamo nel tuo letto, voglio dormire con te. Lo so che è piccolo, ma per una notte non mi ucciderà. Domani torniamo a Roma.”
Amedeo sospirò, e Ludger non riuscì a interpretare se fosse una reazione a quell’annuncio.
Iniziò a parlare mantenendo gli occhi bassi, mentre carezzava la condensa del bicchiere con i polpastrelli. “Vi baciavate, un bacio profondo e statico. Ormai non provo neanche più a distinguere quelle creature, so solo che ci siete dentro anche voi… voi vivi, tu e Sebastiano. Dalla bocca vi colava l’acqua nera, densa e opaca come al solito… stavolta sembrava grumosa.”
Ludger lo prese per mano e lo portò fino al letto; si distese e lo accolse tra le braccia, portandosi la sua testa sotto il mento e carezzandogli il viso, fino a che Amedeo non si riaddormentò di nuovo.
Sebastiano si svegliò molto presto, e fece ripartire il CD ancora nel lettore prima sedersi ad osservarli: quel letto per Ludger era davvero piccolo, ma dormiva aggrappato ad Amedeo come se fosse stata una sua necessità a portarlo lì, e non gli incubi del compagno.
“Io voglio vivere.”
Ludger distinse chiaramente le parole di Sebastiano, e aprì gli occhi assorbendone il significato.
Riprese a parlare dopo una pausa che sembrò lunghissima. “Non so neanche perché.”
Ludger sorrise, pensando a quanto quella strana creatura gli si fosse sedimentata in profondità nella coscienza. “Tu non puoi neanche immaginare, letteralmente, quanto questo mi renda felice.”
Sebastiano si alzò per baciargli la fronte. “Grazie, torna a dormire adesso.”
Ludger organizzò il viaggio di ritorno, mentre Amedeo e Sebastiano passeggiavano da soli per la prima volta nelle calli del centro, diretti verso la Collezione Peggy Guggenheim.
“Mi sembra così strano che non siamo mai stati insieme qui, almeno una volta avremmo potuto lasciare Ludger a giocare a scacchi con Anastasia e farci un giro insieme… sei stato così distante in questi giorni… può suonare assurdo, ma mi sei mancato.”
Sebastiano gli prese la mano; camminava guardando in alto, affascinato dagli spazi compressi dei vicoli, come se fosse appena arrivato.
“Ci incontravamo tutte le mattine da soli… e non mi hai più raccontato i tuoi sogni. A Ludger però sì, vero? Hai fatto bene. Per quanto mi riguarda non c’è nulla che non vada. Forse, in questo momento, questo posto è troppo romantico-decadente anche per me.”
Lo guardò sorridendo con ironia; Amedeo non capiva cosa fosse accaduto ma gli sembrò più presente.
“Evidentemente anche io ho i miei limiti. Però sono preoccupato per te e non capisco perché sei tanto stressato. Mi auguro non ti sia di nuovo avvitato su Nobuko. Se tu chiedi Ludger racconta, ma lui mi sembra così sereno, anche rispetto a Nobuko. Come su qualsiasi altra cosa. Neanche devo stare a specificare che gli spaccherei la faccia per questa sua serenità trascendentale. Perché il labbro alla fine me lo ha spaccato lui. Così come non serve dirti quanto mi piaccia, perché lo vedi. Però, tornando a te, mi auguro che quella faccia sia solo per il poco sonno. E ora che dormirete di nuovo insieme, tornerai in te. Se arrivassi a pensare che sia io a renderti così triste non reggerei con voi neanche un altro giorno.”
Amedeo gli strinse la mano più forte. “Perché sembravi stare meglio a Roma?”
Sebastiano lo guardò con dolcezza. “Probabilmente perché era l’ultimo posto sul pianeta dove avrei deciso di fermarmi. Ovviamente per voi, da bravo parassita. Per la vostra casa che è come un varco dimensionale. È un sollievo che non ci siano pareti bianche. Casa di Anastasia è tutta bianca, mi soffoca. Il bianco è il mio colore preferito, e come tutte le cose che mi piacciono mi disturba. Tranne voi. Ora tu fai in modo di ricordarti chi sei e cosa ci fai qui, oppure dovrai rinunciare a queste continue perle di saggezza. Ti impegnerai? Bravo. Adesso parlami di Venezia, come ne parlerai ad Elisa al ritorno, come se fosse già passata e come se io non l’avessi mai vista. E poi gustiamoci quest’unica tappa insieme, senza pensare ad altro. Mi manca il Giovane triste su un treno.”
Amedeo raccontò le camminate di quei giorni con Ludger, senza omettere la gita sul tetto della notte precedente che, per lui, era stato uno dei momenti più emozionanti del viaggio. Sebastiano ne rise, dicendo di essere contento di sapere che almeno suo fratello fosse in grado scalfire le resistenze di Ludger, portandolo ad essere così irragionevole.
Durante il viaggio di ritorno Amedeo iniziò a sentirsi insolitamente stanco, mentre Ludger si innervosì temendo che si stesse ammalando. Sebastiano appariva decisamente più presente: mostrò ad Amedeo diverse sottolineature già condivise con Tommaso di un libro che gli aveva prestato; parlò del proposito di fare al più presto un viaggio a New York da solo e, anche se le motivazioni erano nebulose, entrambi la interpretarono come una manifestazione di ripresa. Sebastiano era determinato a recuperare spazi di autonomia e solitudine, perché in quei giorni aveva trovato intollerabile la dipendenza sviluppata nei loro confronti. Non condivise quelle riflessioni, e nascose anche il proposito di tornare in un locale che conosceva per trovarsi qualcuno con cui passare una notte. Voleva provare ad attenuare le posizioni estreme adottate negli ultimi anni riguardo al sesso, come aveva fatto con molte altre cose; pensava di dover trovare dei compromessi che gli avrebbero consentito di inserirsi nella corrente delle vite degli altri, attenuando quel distacco radicale che chiamava vetro. La vicinanza di Tommaso ed Elisa lo portò a considerare quel cambiamento fattibile, e temeva di non poter portare avanti ancora a lungo quell’isolamento radicale restando costantemente a contatto con Amedeo e Ludger. Riteneva la mancanza assoluta di qualsiasi forma di desiderio una difesa che, in quelle circostanze, rischiava di avvelenarlo. Lo definiva un tentativo, come tutto quello che stava facendo, e la possibilità del fallimento gli era del tutto indifferente.
Arrivarono a casa abbastanza tardi, e consumarono velocemente il cibo lasciato da Ravi in silenzio.
I piatti erano ancora a tavola quando Ludger li lasciò per alcuni minuti, e tornò con diverse scatole di compresse che lasciò cadere davanti a Sebastiano. “Questo è il bottino. Preferisci fare esperimenti, o vuoi delle istruzioni?”
Ludger era sempre più nervoso, e serrava la mandibola ogni volta che Amedeo si soffiava il naso; si rivolse a Sebastiano con indifferenza, perché per lui quella questione era già risolta.
“Grazie Ludger. Ovviamente preferisco le istruzioni. Non ho intenzione di avvelenarmi o di trasformarmi in uno dei tuoi cactus. Ma per la legenda aspettiamo domani, stasera posso anche non dormire. Voglio studiare un pezzo, se il suono è troppo forte mandatemi un messaggio. Allora a domani, chiamatemi per la colazione.”
Amedeo lo guardò stupito.
“Sì fratellino, torno a dormire nella casa a fianco. Perché? Te lo spiega poi Ludger.”
Prese la bottiglia ancora piena a metà per il collo, due sigarette e li lasciò con un sorriso, augurando la buona notte.
La mattina successiva Amedeo aveva la febbre, e limitò gli sforzi al minimo. Ludger era molto nervoso, si muoveva velocemente senza usare il bastone e non riusciva a maneggiare gli oggetti senza fare rumore. Sebastiano, ubriaco di stanchezza perché era riuscito a dormire soltanto poche ore, trovava la sua irritazione divertente ma cercò di trattenersi per non peggiorare la situazione: si occupò dello stereo, e cercò di fare un minimo di conversazione a tavola. Amedeo propose di invitare Elisa a pranzo perché non si sentiva in condizioni di uscire. Ludger aveva già preparato la borsa per la piscina, Amedeo glielo aveva quasi imposto perché sperava riuscisse a scaricare la tensione nuotando.
Sebastiano si mordeva il labbro superiore per trattenere le espressioni senza rischiare di riaprire la ferita su quello inferiore. “Non ti preoccupare Lù, resto io con il moribondo. Se serve chiamo anche i pompieri.”
Ludger lo guardava obliquo, percepiva chiaramente la sua allegria trattenuta, e questo non faceva che alimentare la sua irritazione.
“Perchè sei così di buon umore stamattina?”
Infine Sebastiano si concesse di ridere, Amedeo mandò gli occhi al soffitto e quelli di Ludger si contrassero ulteriormente.
Rise per poco, si massaggiò gli occhi stanchi e tornò a guardarlo. “Ludger, ti adoro. Davvero. Vederti così incazzato mi piace tantissimo perché posso adorarti ancora di più. Mi piace vederti umano, una volta tanto. Il nostro eroe ha solo preso freddo, e sono felicissimo che lo abbia preso con te. Credo dovresti esserlo anche tu. Probabilmente è stato uno dei momenti migliori di quel viaggio che per lui è stato soprattutto claustrofobico. Hai fatto benissimo a concederti di essere irragionevole.”
Ludger abbassò il viso e ondeggiò leggermente la testa, come se stesse constatando che un ennesimo cerchio di informazioni si fosse chiuso. Non ne era per niente infastidito, la sua posizione non cambiò ma la voce aveva perso il tono tagliente avuto fino ad allora, perché era sempre sollevato quando i pensieri si potevano esprimere liberamente. “Sono stato un cretino ad assecondarlo.”
Sebastiano si sforzò di restare serio, per Amedeo vedergli tutte quelle espressioni era una piccola epifania. Quando tornò a parlare, la sua voce era completamente neutra.
“Da quello che so sei stato il solito cavaliere che sconfigge il drago. Senti, il fanciullo qui ha ventitré anni e tutto il diritto di fare qualche cazzata. E mi sembra che sia una meraviglia che voglia farle con te. Vatti a fare una bella nuotata e compra qualche aspirina. Già che ci sei prendi anche qualcosa di potente contro il mal di testa. Ti voglio bene e non capisco perché tu non possa prendere più neanche un banalissimo antidolorifico… non ti sembra una posizione un po’ troppo radicale?”
Ludger sorrise alzandosi, era decisamente più calmo, iniziò a sparecchiare parlando con un tono più tranquillo. “Sai che è singolare sentirti dire che alcune mie posizioni potrebbero essere troppo radicali? Però, immagino che debba prenderlo come il parere di un esperto. Passerò in farmacia a comprare farmaci banali, posso farcela. Amedeo, se ti riesce attaccagli qualcosa, magari il mal di gola.”
Amedeo finalmente sorrise constatando che, se avesse avuto qualcosa di contagioso, Ludger non avrebbe avuto scampo.
Sebastiano abbassò la temperatura del condizionatore che Ludger aveva lasciato così alta da rendergliela insopportabile, soprattutto per la vicinanza di Amedeo, che gli dava l’impressione di abbracciare una borsa dell’acqua calda. Dormì diverse ore, recuperando il sonno perduto nella notte passata a studiare un pezzo al pianoforte. Si svegliava per ogni movimento di Amedeo che leggeva, carezzandogli la testa, e ogni volta gli chiedeva se avesse bisogno di qualcosa, ma in casa non avevano farmaci e lui non voleva farlo uscire. Consumarono diverse tazze di tè, e parlarono a lungo. Amedeo gli raccontò di sua iniziativa i sogni e le tante riflessioni che aveva fatto sulla morte in quei giorni, alimentate dal sentirsi nei luoghi di Nobuko e dal vederlo così distante. Arrivò alla conclusione che il proprio crollo emotivo fosse inevitabile: per assimilare la morte di Aline, l’incontro con i loro padri e la notizia del piccolo Luca. Amedeo ricordò il giorno in cui lui e Ludger erano stati a Parigi, e pensò che tutto il dolore provato in quell’occasione non doveva essere stato abbastanza. Sebastiano si sentì molto sollevato nel sentirlo parlare con sincerità; ricordò l’ultima volta che erano saliti sull’albero di Luca, di come Amedeo gli avesse gridato che doveva smettere di pensare di proteggerlo, omettendogli particolari importanti della sua vita. Era profondamente toccato per il suo modo di mettere in pratica quello che gli aveva chiesto in quell’occasione, senza farsi fermare neanche dalla paura di perderlo. Sebastiano gli aveva detto tante volte che non avrebbe sopportato di essere lui la causa della sua tristezza, adesso gli appariva evidente che quella richiesta fosse condannata ad essere incoerente. Lo strinse a sé piangendo in silenzio, gustandosi quel momento e rimandando ancora il passo successivo. Lo immaginava seminudo su un tetto che chiedeva a Ludger di farlo sentire vivo, solo nel presente, stremato dai fantasmi che lo aspettavano nel letto. Guardava le pareti grigie, la tavola enorme che aveva sempre trovato bellissima per il fatto che, paradossalmente, sembrava sporcata di bianco, la foto macro del centro di una chiocciola, le tavole aeree con i libri e i pochi oggetti. Provava una profonda gratitudine per Amedeo e in particolare per il suo modo di esorcizzare con lui i suoi mostri.
Sebastiano assorbiva il suo calore guardandosi distrattamente intorno con gli occhi stanchi: quel luogo sembrava perfetto per accoglierlo, malgrado fosse stato preparato per Ludger. “Mi sei così prezioso, fratello. Venezia è bella e detestabile per chi è deragliato. Speravo di poterti proteggere dalle mie storture. Ma era un proposito destinato a fallire. Poi tutte quelle pareti e cose bianche, la casa di Anastasia mi stava annegando. E io non sopporto più il grado di dipendenza a cui sono arrivato con voi. Non posso tollerarlo più. Non ci siamo sposati e Ludger non può avermi sempre fra le palle. Non ti allarmare. Voglio semplicemente arrivare a poter scegliere dove stare, non voglio smettere di stare anche con voi . Ha ragione Ludger, sono affamato di ciò che faccio fuori, innanzitutto devo riconquistare un po’ di libertà. Farò dei tentativi.”
Amedeo seguiva i suoi ragionamenti con attenzione, malgrado lo stordimento che lo appesantiva. “Il viaggio a New York.”
Sebastiano annuí e si prese altro tempo, continuò a stringerlo a lungo per poi staccarsene e preparare l’ennesima tisana. Quando tornò con le tazze fumanti su un vassoio, decise di iniziare parlandogli di Tommaso. Definì il suo stile di vita ideale, arroccato in una solitudine inattaccabile e contemporaneamente non isolato, innamorato di una presenza quasi intangibile ma per lui completamente soddisfacente. Si rendeva conto che non poteva aspirare a trovarsi in una situazione simile, ma la sua amicizia così come quella con Elisa, lo avevano portato a pensare che doveva provare a rivedere le sue posizioni. “Voglio fare un tentativo per recuperare una fisicità che, dopo anni di completa negazione, con Aline è implosa in un buco nero. Il contatto con Elisa e Tommaso, in modo diverso, mi ha fatto pensare che posso almeno provarci. Provare a fare sesso con una creatura viva.”
Amedeo lo ascoltava con attenzione, aveva la febbre alta e quei pensieri, se chiudeva gli occhi, diventavano fughe in un circuito metallico in cui si aprivano passaggi dove non avrebbe mai sospettato. Condivideva l’intento di reagire, ed era sollevato dalla visione di una ricerca di un percorso che si stava sostituendo all’immobilità. La visione dell’insieme gli risultava claustrofobica, perché non coglieva niente che somigliasse a un’emozione a spingere questo movimento.
“Fare sesso con una creatura viva, dici. Hai in mente anche il tipo di ‘creatura’ o è un’idea ancora astratta?”
Sebastiano teneva lo sguardo sulla sua tazza, provò tenerezza pensando che Amedeo fosse l’unica persona che aveva conosciuto capace di sommare spontaneamente il sesso e l’astrazione. Fu felice di poterlo riconoscere ancora per quello che era sempre stato, malgrado si trovasse ormai dall’altra parte del vetro. “Fratello, pensavo banalmente a un uomo, un ragazzo, quello che trovo. Non me lo voglio sposare, voglio provare a scopare. Come fanno tipicamente gli esseri umani. Un tempo ero una macchina e adesso, forse, una notte ogni tanto potrebbe essere la mia normalità. Ma senza storia, non la reggerei un’altra storia.”
“New York. Perché devi arrivare lì? Non potresti provare con Davide?”
Sebastiano posò la tazza e scoppiò a ridere, Amedeo lo guardava stupito, gli sembrava di aver detto una banalità e non capiva perché fosse tanto divertito. Si sollevò per dare alcuni sorsi ma la tisana per lui era ancora troppo calda, aspettando pazientemente la risposta di Sebastiano.
“Quella città è straordinariamente sexy, meravigliosamente bastarda, diresti tu. Soprattutto non vorrei ritrovarmi il mio ‘tentativo’ a cena a casa di Tommaso o, peggio ancora, qui. Credo che New York sia abbastanza distante. Davide è fuori questione, se lo usassi per i miei esperimenti, lo distruggerei. Fratello, non ti è chiaro che lui è innamorato e io no? Lo trovo una persona piacevolissima, proprio per questo non voglio torturarlo inutilmente. Lo capisci?”
Amedeo annuì, aveva ricevuto diversi messaggi dal suo amico: Davide continuava a confermargli che stava mettendo in atto un cambiamento radicale, era spaventato e ossessionato dall’idea di rivedere Sebastiano; gli aveva chiesto più volte aiuto per capire la situazione, specificando che sperava solo di avere ancora la possibilità di essergli amico, ma lui non gliene aveva più parlato. Pensò fosse il momento giusto per provare. “Ma, adesso, qual è la tua posizione nei suoi confronti? Lui vorrebbe vederti, ma non osa più mandarti messaggi dopo l’ultima volta… vorrebbe frequentarti come prima e io lo vorrei anche invitare, mi è sempre venuto a trovare quando stavo male… in effetti era l’unico a venirmi a trovare.”
Sebastiano sembrava inanimato, per lui la situazione era talmente semplice che non credeva ci fosse qualcosa di cui parlare. “Penso di averglielo detto. Non devo essere stato chiaro, forse. Dipende da lui, io lo trovo gradevole, simpatico, mi piace starci insieme. Ma se me lo devo sorbire mentre piange per un banale saluto non ce la faccio. Sempre perché mi piace, e non mi va di farlo soffrire. Però è ovvio che lo puoi invitare quando ti pare, sarebbe assurdo dirti di non farlo, è casa tua. Se mi guarda con gli occhioni da Giulietta sul balcone mi eclisso, non preoccuparti.”
Elisa li raggiunse per pranzare insieme; appena entrata tolse così tanti strati da restare in canottiera, e salutò Sebastiano abbracciandolo per poi ripassare un passo di danza che stavano studiando. Amedeo si era spostato sul divano, ma gli era stata imposta comunque una coperta sulle gambe. Li guardò come se fossero una visione, pensando a quante realtà possibili restano latenti, fino a perdersi in mancanza delle condizioni che possano permettergli di manifestarsi. Elisa e Sebastiano volteggiavano su una musica non adatta, non ripetevano meccanicamente dei movimenti, al contrario, vedeva nei loro gesti un trasporto che rese i suoi occhi ancora più lucidi.
Elisa sorrise. “Fratellastro dovremmo iniziare a salutarci così anche in strada, tra le macchine e i passanti.” Si fermò vedendo Amedeo e la sua espressione si spense. “Tesoro, quanto stai male?
Sebastiano si mise ai fornelli mentre Amedeo tornò a raccontare il viaggio. Parlando con Elisa ironizzò sulla tristezza che gli aveva scatenato la bellezza corrosa di Venezia, sui sogni horror-simbolisti che motivò come un esorcismo al senso di morte che lo aveva circondato, e sulla cura che lo aveva ridotto così come lo vedeva. Elisa lo seguiva con rapimento, chiedendo dettagli senza pietà per le sue tonsille irritate, divertendosi per il distacco con cui descriveva le sue cadute così come i suoi antidoti. Sebastiano li seguiva dalla penisola aggiungendo, con fare casuale, alcuni particolari con lo scopo di rendere i racconti più spassosi.
Al rientro Ludger sorrise vedendoli così riuniti; passò la scorta di medicinali a Sebastiano prima di salutare Elisa. La sua allegria scomparve nel mettere a fuoco Amedeo sul divano, pallido e sudato. Gli si sedette vicino mettendogli una mano sulla fronte.
“Lù non fare quella faccia, ho buone possibilità di sopravvivere.”
Si fece abbracciare e, restando fermo tra le sue braccia, si impegnò per mantenere il suo umore sotto controllo. Tornò a parlare rivolgendosi ad Elisa. “Immagino ti abbia già raccontato la romantica storia del sacro fuoco della passione che sconfigge il senso di morte sui tetti, e dispensa bronchiti.”
Elisa rise e Amedeo stava cambiando espressione, ma non ebbe il tempo di manifestare la sua insofferenza perché Sebastiano parlò prima di lui.
“Ludger, stai diventando terribilmente noioso con questa storia. Adesso basta. Premi l’interruttore e poi ti lamenti perché c’è troppa luce? Se per te è troppa puoi sempre renderlo di nuovo infelice. E smetti di rompere i coglioni. Oppure cerca un ottimo impagliatore. Sono d’accordo, è il momento migliore, Luca non è mai stato così bello. Ora, prima di svenire per il caldo, vado a farmi una doccia.”
Scattò in piedi per poi iniziarsi a muovere di nuovo con il solito ritmo lento e aggraziato.
Elisa era sorpresa dalla reazione di Ludger, che lo aveva semplicemente guardato sorridendo, mentre Amedeo rideva piano. “Tesoro, come va tra ‘gli uomini della tua vita’?”
Ludger rispose per lui. “A meraviglia, ci siamo dichiarati il nostro amore, e i motivi per cui ci scanneremmo a vicenda. Ora ci esprimiamo più liberamente. Penso mi sia grato che, per questa storia, mi sia assunto integralmente il ruolo del rompicoglioni così che lui, e anche te, potrete concentrarvi soltanto sul lato lirico della faccenda. Però probabilmente devo darci un taglio. Non sono abituato a sentirmi in colpa, è una condizione che mi manda in bestia.”
Amedeo era ormai solo divertito. “Lù, tesoro, non hai nessun motivo per sentirti in colpa, mi sembra ridicolo anche sentirtelo dire. Credimi, non devi. E davvero, basta.”
Ludger si voltò nella sua direzione. “Però mi dai un bacio, se almeno potessi dividere una parte della tua terribile malattia forse potrei sentirmi più leggero.”
Amedeo gli rispose ridendo. “Penso di averti già dato tutto quello che ho da dare stanotte… però…” Gli carezzò con delicatezza il profilo della mandibola. “Mi piace vederti camminare così a lungo senza bastone, forse dovrei farti incazzare più spesso.”
Elisa si alzò con l’intenzione di iniziare ad apparecchiare. “Ragazzi! Le vostre dichiarazioni, per me, restano sempre difficili da interpretare. Ma finché vi divertite…”
Amedeo stava bevendo l’ennesima tazza di tisana calda quando Ludger gli chiese se aveva programmi per il pomeriggio, perché Andrea sarebbe voluto passarlo a trovare. Parlarono a lungo della separazione dei loro amici e Ludger lo rassicurò, perché era convinto si stessero muovendo bene e che avevano ottime prossibilità di continuare ad essere amici.
Elisa ascoltò con attenzione e appena ebbero finito introdusse un altro argomento. “Io invece sto seguendo da vicino un altro scoppiato, che non se la sta cavando altrettanto bene… Davide è incazzato nero con l’ex e Lorenzo lo ha semi-adotttato. Poveretto, sta talmente depresso che non ha neanche traslocato del tutto, e vive con pochissimo nella stanza che ha preso a casa di un tipo. Però è tanto carino e non ci pesa per niente anzi. In certi momenti, quando siamo fuori con i miei amici, mi dà quasi l’impressione che sta prendendo una serie di posti che sono rimasti vuoti. Giulia ormai la incontro in modalità così assurde che mi sembra di frequentare una spia… Comunque, tornando a lui. Ha mollato l’armadio, come dice lui, e pensa di aver perso, di conseguenza, tutto ciò che aveva in comune con lui. Ha lasciato lì quasi tutte le sue cose e non ha neanche provato a contattare qualche amico per comunicargli il cambio di telefono. Non vuole appoggiarsi a nessuno e pensa di dover ripartire da capo in tutto. Spesso si perde puntando il vuoto e tutti sappiamo a chi stia pensando, ma non ne parla mai. Però basta dire un chissà dove saranno ora e torna presente. Non nutre nessunissima speranza e non vuole angosciare nessuno… dice che tutto quello che sta attraversando è una specie di purgatorio, e lo fa solo per se stesso. Però io ho un’indole romantica e mi sto abituando a pensare che tutto è possibile, forse… Arrivo al dunque. Sebastiano vi ha mai parlato di lui in tutto questo tempo?”
Amedeo le raccontò di quella mattina, concludendo brevemente che non si poteva immaginare niente di più di un’amicizia. “Invece, so che il fratello si è fermato a cena con voi diverse volte dopo le lezioni di danza… come va con Lorenzo?”
Elisa lasciò sospesa la tazzina e prese un aspetto sognante: negli ultimi tempi il suo aspetto era cambiato molto, ma le sue espressioni lo facevano sentire sempre a casa.
“Lo so che può sembrare strano viste le premesse, ma si trovano bene insieme. Lorenzo è entusiasta, penso che avrebbe voluto anche in passato potersi rapportare con lui così, ma ai tempi di Adriano sembra che Sebastiano quasi non parlasse. Da quello che mi dice. Sembra ancora più strano, ma ora lo trova più sereno. Boh. Io non sono come te Amedeo, non mi faccio i deliri surrealisti, ma sembra che anche la mia posizione sia già stata impostata in passato anche se, ovviamente, non ho nessuna intenzione di competere con Adriano. Anzi, sono ben felice di giocare non solo un’altra partita ma proprio un altro sport. Mi piace un sacco stare con loro, sono strepitosi. Siamo anche usciti con amici di Lorenzo e non ci sono stati incidenti, Sebastiano lo ha pregato di presentarlo in modo da risparmiargli ogni possibile seccatura. Per ora funziona, speriamo che continui così. Non credo di avertelo mai detto, ma con il fratellastro non faccio che misurarmi con i miei limiti e i miei pregiudizi, e sono contenta di essermi sbagliata per tanto tempo.”
Amedeo chiamò Davide, che gli chiese di poterlo incontrare da solo prima di unirsi agli altri. Ludger lo guardò coprirsi come se dovesse affrontare un viaggio in montagna senza dire nulla, e lo baciò sulla porta. “In bocca al lupo. Sono sicuro che aiuterai Davide a superare questo momentaccio.”
Amedeo lo abbracciò sorridendo. “Come mai non spari fiamme dalle narici per il disertore che abbandona il microonde?”
Ludger gli sfiorò il viso caldo. “Sono un mostro! Dai, vai a soccorrere il tuo amico e torna vittorioso.”
Si incontrarono in un bar poco distante; risero della quantità di vestiti che indossava Amedeo prendendo un tè caldo, e lui raccontò del viaggio. Davide gli appariva dimagrito, lo ascoltava con attenzione, rideva con lui del torno ironico con cui raccontava le sue angosce, ma aveva uno sguardo inquieto. Amedeo si concesse la prima sigaretta della giornata che sarebbe riuscito a fumare senza sentirsi un traditore, e lui iniziò finalmente a parlare.
“Grazie per avermi incontrato, è strano, non ci vediamo dall’inizio di questo casino ma sei quello che ho sentito più vicino. Forse perché sei una persona speciale per lui, e poi Elisa e Lorenzo sono gli unici amici che sto frequentando da quando me ne sono andato da quella casa. Non lo avrei mai detto prima di entrare in contatto con i tuoi amici… tu hai qualcosa che unisce le persone, non molto tempo fa non avrei mai creduto possibile arrivare a pensare questo di te. Malgrado ti abbia sempre voluto bene e ammirato per tante cose, non pensavo potessi avere dei contatti così forti con le persone. Tu hai un modo tutto tuo di raggiungerle e di unirle a te, che poi, stranamente, crea anche ponti tra loro.”
Amedeo si sentiva debole ma continuò a sorridere, domandandosi come fosse possibile che Davide in quel periodo avesse pensato così tanto anche a lui. “Ti ringrazio però mi sembra una visione troppo lusinghiera. Io penso di aver avuto una fortuna incredibile ad aver incontrato le mie persone. A volte ancora faccio fatica a crederci, a volte temo di vivere un delirio, una specie di effetto collaterale della solitudine in cui sono cresciuto. Hai poi ripreso tutte le tue cose che stanno a casa del tuo ex?”
Davide abbassò il viso accennando un movimento negativo con la testa e Amedeo continuò a parlare.
“Appena mi passa il raffreddore vorrei accompagnarti a finire il trasloco… prima o poi ti tocca, e penso sia meglio non far passare troppo tempo.”
Davide gli rivolse un sorriso bello e sofferente. “Grazie, da solo non ci andrei mai… Lui sta molto peggio di me, e io gli voglio bene, quindi ci sto male. Ci ho parlato tanto ma è inutile, non si rassegna, soprattutto non riesce a capire che non è per un altro. Una delle cose che voglio superare, o almeno comportarmi come se lo avessi già fatto, è non farmi condizionare dalla paura di stare da solo. Perché non sto facendo tutto questo sperando di riuscire a stare con Sebastiano, devo restare lucido e indirizzare le forze nelle direzioni giuste. Lo amo, ma non importa. Importa per altri versi, perché questo sentimento è come se mi avesse preso a schiaffi, costringendomi a reagire, e ne avevo bisogno. Spero soltanto di poter continuare ad essergli amico e che non parta più… che ne so, capisco che non si può ‘concedere di abusare di voi’, come dice lui, per sempre. Spero solo decida di continuare a vivere a Roma.”
Davide si massaggiò gli occhi stanchi.
Amedeo sentiva il suo corpo insultarlo per il caldo eccessivo, e la sedia che lo costringeva in una posizione che faceva crescere il dolore alle ossa dato dalla febbre, ma era comunque felice di trovarsi lì. “Spero tanto anch’io che Sebastiano decida di restare a Roma, ma ancora sembra tutto così difficile… Io dovrei sdraiarmi, te la senti di salire con me?”
Davide spalancò gli occhi per la sorpresa e la paura. “Pensi sia il caso? Come sta?”
Amedeo era sicuro di non averlo mai visto così e provò per lui una profonda tenerezza. “Come sempre, dipende da te… come stai tu?”
Una risata “Mi sono preparato a comportarmi normalmente e penso di riuscirci, perché gli sono grato di avermi scosso e non mi aspetto nulla di più… è come se, con lo scorrere del tempo, si fossero depositati dei detriti, sugli occhi, sui pensieri e sul cuore. Un processo lento e costante, tanto che praticamente non me ne accorgevo neanche. Pian piano sarei finito del tutto soffocato, avrei del tutto dimenticato cosa sono e cosa vorrei essere. Adesso non ho più nulla, solo la certezza di voler tenere gli occhi ben aperti e tutto il resto pulito. Devi avere la febbre alta, andiamo.”
Sebastiano non trovò al suo rientro Amedeo, ed Elisa gli fece un resoconto della situazione con toni decisamente ironici.
Per concludere cambiò registro. “Non solo Davide non ce l’ha con te, ma dice di essere addirittura contento di quello che sta passando, il poveretto. Lorenzo sostiene di non averlo mai visto così bene e che evidentemente gli ci voleva. Tanto per buttarla in caciara. Io sto imparando a sedermi ed aspettare, perché spesso non capisco. Però, insomma, spero che riesca a salire. Che fai, lo fulmini?”
Era seduta con Ludger sul divano, che manifestava uno scarso interesse per la conversazione e sembrava completamente tranquillo.
“Sorellastra carissima, questa non è casa mia. E la mia presenza non dovrebbe essere determinante per la selezione all’ingresso. Immagino sia più facile che Davide finisca evaporato. Intanto mi fumo una sigaretta in terrazzo, così evito di farlo anch’io ancora per un po’.”
Sebastiano guardava il giardino pensile che lo circondava seduto su uno dei divanetti, cercando di riordinare i pensieri; si augurava che le parole di Davide fossero autentiche, perché non avrebbe voluto ulteriori incidenti. Trovava assurdo allontanare un amico di Amedeo mentre viveva in casa sua, ma non poteva tollerare a lungo qualsiasi manifestazione di desiderio. Era determinato ad accoglierlo usando un registro neutro, valutando i suoi comportamenti per reagire di conseguenza. Si rese conto di non aver ancora ringraziato Ludger per la casa a fianco, e si ripromise di farlo. Rientrando in soggiorno trovò il caldo ancora più insopportabile, e si spogliò restando soltanto in pantaloni, mentre Elisa lo guardava divertita.
Sebastiano si rivolse a Ludger sfilandosi le calze. “Ludger, se non abbassi il condizionatore credo che collasseremo tutti.”
“Lù, davvero, fa talmente caldo che quasi non respiro, non credo possa farmi bene.”
Ludger si alzò per prendere il telecomando. “Abbasso la temperatura prima che ti strappi anche la pelle.”
Sebastiano dopo aver raccolto il fagotto di indumenti si diresse verso il frigo, senza guardarsi intorno. “Luca, sei ancora vivo? Com’è andata la spedizione al Polo?”
“Bene, ho portato anche un prigioniero.”
Sebastiano posò il cartone di spremuta d’arancia sul tavolo. Sollevando gli occhi vide Davide in piedi dall’altra parte della penisola, che gli porse la mano imitando la sua voce con ironia.
“Sebastiano caro, se proprio devo…”
Sebastiano la strinse rispondendo al sorriso, sollevato. “Bravo, hai studiato. Arancia fredda? Con questa temperatura dovremmo procurarci una piscinetta gonfiabile.”
Da quel momento il loro scambio prese uno slancio nuovo. Davide era più presente e attento a quello che lo circondava, e dai suoi modi non traspariva frustrazione o risentimento; maneggiò con disinvoltura il registro ironico che li aveva uniti. Sebastiano si ritrovò a scherzare insieme lui con naturalezza e ad ammirarlo per il cambiamento in atto.
Andrea li raggiunse per un aperitivo, portando una generosa scorta di birre fredde; Sebastiano gli aprì restando davanti alla porta in silenzio, studiando il contenuto delle buste con perplessità.
“Ciao fantasma, dalle palandrane sei passato al nudismo?”
“Caldo. Ludger ci sta cuocendo a fuoco lento. Pensi debba mettere del nastro isolante sui capezzoli?”
“Preferisco la palandrana, mi fai entrare o devo riscendere a comprare il vino?”
“Stavo giusto pensando che la birra fredda, stasera, mi sembra particolarmente allettante. Togli pure lo scafandro.”
Andrea iniziò a togliere il giaccone alzando la voce per farsi sentire da Sebastiano, che lo aveva preceduto in soggiorno.
“Ma che tipo di serate pensi che facciamo? Che ti ha detto il fratellino? Perché non vieni una volta? Così ti tranquillizzi… oh, se vuoi, ti prendiamo un cubo?”
Ludger gli andò incontro ridendo, sfiorando la parete con una mano.
“Ciccio! Senza bastone!”
“Se continuate così dovrò organizzarmi con una frusta, fatti abbracciare.”
Andrea si sentì felice di essere lì, malgrado il forte senso di irrealtà che percepiva ogni volta che tornava in quella casa. Salutò e rispose ai sorrisi, abbracciando Amedeo con forza. “È così pare che non sarai dei nostri domani, ti sostituisco senza problemi ma mi mancherai, e non sarò il solo.”
Amedeo avrebbe voluto chiedergli come stessero andando le cose con Nora, ma si trattenne temendo che per Andrea fosse difficile parlarne in quel contesto. Ludger non si fece gli stessi scrupoli.
“Che ti devo dire, sto bene. A volte mi sento solo, a volte mi sale la tristezza a immaginarla in un qualche angolo di casa che fa qualcosa. Però sto bene. Per la maggior parte del tempo. Io sono un cazzone, lo sai, mi faceva una fatica tremenda vivere con gli psicodrammi perennemente in agguato. C’è stato un lungo periodo, all’inizio, in cui erano molto molto avvincenti… anzi, devo dirlo. Nora mi ha aiutato tanto quando tu ti sei schiantato e poi sei scomparso, non so come avrei fatto a superare quel disastro senza di lei. Ma adesso sono contento di potermene stare un po’ tranquillo… non voglio vivere perennemente su un’ambulanza. Non mi sembra neanche giusto. Vi appallo?”
Nel frattempo Elisa si era alzata chiedendo a Davide di aiutarla ad aprire le bottiglie.
Sebastiano era rimasto con gli altri sui divani. “Non appalli per niente. Anzi, se non ti rompe parlarne ti chiederei come sta Nora, ma solo se non ti rompe.”
Andrea era divertito: si trovava perfettamente a suo agio con loro, e sapeva che non sarebbe mai stato possibile con Nora al suo fianco.
“Nora in questi casi fa il festival dello psicodramma. A volte è incazzata, a volte è depressa, dipende dal pubblico. Io sto evitando di vederci da soli perché, in quei casi, scoppia a piangere, e mi tocca consolarla cercando di non ricascare nelle solite dinamiche che non fanno bene a nessuno. Preferisco quando mi tratta da fratello stronzo per farsi forte di fronte a qualcuno. Mi fa ridere, ma se lo faccio si incazza ancora di più. Come se avessi ancora un qualche obbligo nei suoi confronti. Ma sono storie stupide. Deve solo passare un po’ di tempo, non c’è niente di cui preoccuparsi… poi certo, se ti va di farti un giro di trucco e parrucco con lei accelereresti parecchio il processo. Ti do il numero?”
Quando Lorenzo chiamò Elisa le chiese di passargli Sebastiano, che iniziò a parlarci speditamente. Dopo averci scambiato alcune battute si rivolse a Ludger e Amedeo proponendogli di invitarlo a cenare con loro. Lorenzo si presentò poco dopo, portando l’ennesimo mazzo di fiori.
“Sei sempre squisito, ma sembra che ogni volta vai al cimitero.”
“Non ti piacevano i crisantemi? Poi stavolta non sono per te, mia graziosa primadonna, ma per il moribondo. Mi piace usare i vasi comprati insieme… prima che la tremenda malattia lo strappasse alla giovinezza.”
“Mi sembra un soprannome ingombrante anche per Ludger… Lù posso chiamarti ‘tremenda malattia’ o ti pare troppo?”
“Non credo di farcela, peccato, perché ‘primadonna’ sarebbe stato perfetto per te. Pensi di togliere anche i pantaloni quando aprirai al ragazzo delle consegne?”
Ordinarono cibo cinese: Elisa e Ludger si offrirono per preparare la tavola, e Amedeo era felice di essere di nuovo circondato dai loro amici malgrado la stanchezza; ogni tanto chiudeva gli occhi, sorridendo al suono delle loro voci. Pensò che era passato quasi un anno dal pomeriggio in cui aveva varcato per la prima volta il cancello del giardino della casa di Helga. Ricordò il senso di oppressione del salottino voodoo e la fatica del vuoto di quei giorni, che sembravano molto più lontani. A tavola Elisa disse di aver già visto, nelle vetrine, tracce del Natale che si avvicinava.
La prima reazione fu di Sebastiano. “Natale? Perdio, pure il Natale! Perché il tempo proprio non riesce a fermarsi? Se arriverò a compiere trent’anni, giuro, mi faccio una pera.”
Amedeo fu il primo ad iniziare a ridere, ma si fermò quando Ludger riprese a parlare con sarcasmo.
“Se riesci ad aspettare così a lungo te la offro io.”
“Fratello, io sono per regali più tradizionali, non potresti festeggiare in altro modo?”
“Suggerimenti?”
Davide diventò improvvisamente serio. “Io ne avrei ‘almeno’ uno.”
“Potresti illustrarmelo fra tre anni se ci sarà modo, ma spero per il bene di entrambi che non ci sia. Preferisco la pera. Ora dovrò concentrarmi sul Natale. Com’è, doloroso?”
Amedeo si stava preoccupando, perché temeva di ricevere regali che avrebbero potuto metterlo in imbarazzo.
“Luca, con quella faccia mi fai temere il peggio. Devo rifugiarmi in Australia?”
“I regali. Quelli mi annientano. Per favore, la mia preoccupazione è direttamente proporzionale alla pazzia di voi due. Vi prego, parlate con Elisa che mi ha sempre fatto superare il tutto senza traumi.”
Appena Amedeo si fu completamente ristabilito Sebastiano partì; a entrambi rimase un bel ricordo di quel raffreddore, per le ore passate a letto insieme a parlare, leggere, e ascoltare musica abbracciati. Sebastiano aveva trascorso molto tempo con lui, allontanandosene ogni volta che Ludger rientrava, il pomeriggio o la sera. Cenava fuori, quasi mai solo, e al ritorno andava direttamente nella casa a fianco augurandogli la buonanotte con un messaggio.
Amedeo e Ludger parlarono a lungo del suo viaggio, preoccupati per gli effetti che quell’esperimento avrebbe potuto scatenare. Ludger non riusciva ad essere ottimista: secondo lui quel tentativo era destinato a fallire, perché riteneva fosse un esperimento sbagliato già dai presupposti.
“È come se volesse mettere in moto un motore senza benzina. Se non prova nessun tipo di desiderio non ha senso. Non capisco perché voglia farlo, ma con me non ne ha neanche parlato. Non ha senso, non fa che ribadire che tutti dovrebbero accettare la propria natura e cercare di realizzarla, e questa mi sembra solo una forzatura. Però, d’altra parte, penso sia importante che cerchi di aprire strade nuove. Da questo punto di vista lo ammiro, se lo vogliamo vedere come un tentativo di uscire dall’immobilità. Spero non ci stia troppo male, ma non preoccuparti, sono sicurissimo che tornerà presto.”
– Dove sei? –
– Un tempo ero io a iniziare le telefonate così. Sono a Roma, Luca. Mi è venuto a prendere Tommaso all’aeroporto. Mi fermo da lui, stanotte… non sto bene, ma sono stato molto peggio. Pranziamo insieme domani? –
Uscendo dall’Università Amedeo vide Sebastiano sulle scale, in compagnia di Davide. A lui non aveva raccontato le motivazioni del viaggio di Sebastiano, ma si lasciò sfuggire che al ritorno si era fermato da Tommaso; era la prima volta che a Roma dormiva lontano da loro, e Amedeo non sapeva come interpretare quel cambiamento. Sebastiano indossava un cappotto grigio scuro a doppio petto nuovo, e anche il walkman che teneva in mano lo era. Stava leggendo un libro prestato da Tommaso con un’espressione lievemente contrariata, ma era solo concentrato nella lettura. Appena Amedeo gli sfiorò la spalla gli sorrise alzando gli occhi, iniziando a riporre le sue cose nella tracolla senza accennare gesti che anticipassero l’abbraccio.
“Devo spuntarti i capelli, le punte sono davvero rovinate. Quanto tempo è che non li tagli?”
Amedeo sorrise. “Un anno esatto, e tu?”
“Io non sto partecipando a nessuna gara. Ha già vinto Ludger. Dove volete mangiare?”
Davide prese la parola con fare molto disinvolto: era molto felice di avere la possibilità di passare del tempo insieme a loro. “Mi piacerebbe farti vedere la bettola dove mi sono trasferito, il mio coinquilino non c’è quasi mai. Magari, strada facendo, ti offro uno Jäger.”
La stanza di Davide si trovava in un appartamento molto caotico; Amedeo lo aveva aiutato a portare lì molte delle scatole che non avevano ancora trovato una sistemazione definitiva. Fecero un giro della casa, evitando la stanza del coinquilino e un ripostiglio che Davide definì una trappola ancora da domare. Nonostante la mancanza di un balcone aveva comunque portato con sé molte piante, appoggiate un po’ ovunque. Si sedettero in cucina, l’unico ambiente già in ordine.
“Insomma, che te ne pare?”
Sebastiano li aveva seguiti rimanendo completamente inespressivo, e quando capì che la domanda era rivolta a lui cercò di tornare presente. “Potrebbe essere divertente, se il tipo è tranquillo come dici. Ancora la devi demarcare, ma ‘me ne pare’ solo bene. La tua stanza diventerà una serra. È grande e luminosa, devi solo organizzare gli spazi. Se vuoi posso buttare giù qualche idea, ti aiuterei volentieri.”
Davide accettò con entusiasmo e Sebastiano iniziò a tracciare dei bozzetti, mentre gli altri due restavano in cucina a preparare il pranzo. Amedeo era preoccupato, e l’allegria di Davide non riusciva a contagiarlo: cercò di concentrarsi sulle poche cose da fare per evitare di rovinarsi l’umore. Adesso che la separazione era compiuta, Davide a volte veniva preso da un entusiasmo che era il primo a trovare vagamente ottuso: sentiva di aver intrapreso una specie di viaggio avventuroso, anche se molte volte veniva travolto dalla paura di restare solo. In quel momento si sentiva quasi ubriaco per il senso di libertà, e l’idea che Sebastiano volesse aiutarlo contribuì ad alimentare quello stato d’animo. Propose ad Amedeo di raggiungere Sebastiano in camera sua, perché capiva che stava sentendo la mancanza di un contatto esclusivo. Fece partire una cassetta di Amedeo da un vecchio registratore arroccato sul frigorifero, quasi a ribadire di essere pronto a restare solo; lo accompagnò fino alla porta, lasciandolo con la promessa di chiamarli appena il pranzo sarebbe stato pronto in tavola.
Amedeo restò diversi minuti a guardare Sebastiano seduto di spalle sulla scrivania, in quella stanza caotica e ancora anonima. Stava tracciando segni sul taccuino e ogni tanto alzava il viso per guardarsi intorno: fu così che lo vide.
“Pensavo alle lucertole stamattina. Mi sono sempre piaciute e in inverno mi mancano. Sono abilissimo a prenderle, ma c’è sempre il problema della coda. Sembra mi sia impossibile avere una lucertola intera fra le mani.”
Amedeo gli si avvicinò restando in attesa, avrebbe voluto abbracciarlo ma avvertì una barriera respingente, lo vedeva rigido, con uno sguardo affilato. Si mise le mani in tasca e gli restò vicino, concentrandosi su un’enorme pianta grassa che aveva portato in quella stanza pochi giorni prima con molta fatica; era pesantissima e ricoperta di aculei, neanche Davide aveva saputo dirgli quanti anni avesse.
“Da bambino le prendevo per la coda, ho iniziato così. Inevitabilmente mi restava in mano solo la coda. E io impazzivo di frustrazione. Poi ho imparato a prenderle per il corpo, ma la coda si stacca sempre. Sono creature bellissime, ma sembra impossibile poterle vedere davvero da vicino intere. E pensavo. Alla coda che mi dava un senso di promessa, l’idea che sarei arrivato prima o poi, a mettere i polpastrelli sul corpo dell’animale. Dopo ho avuto tante lucertole vive, mi hanno morso, ho visto le squame e i colori. Adoro giocare con loro e poi farle andare via… ma ho perso quel senso di promessa.”
“Quanto è andato male il tuo ‘tentativo’?”
Girando il viso verso di lui lo mise finalmente a fuoco. “Non mi piace mai vederti preoccupato. Non pensavo a quella roba adesso, non è importante. Può esserlo soltanto per le considerazioni che ne posso ricavare. Ho fatto sesso con un bellissimo afroamericano, un corpo perfetto. La macchina funziona ancora, ma l’esperimento non mi ha suscitato nessun interesse. Anzi, forse la macchina neanche funziona più. Poi mi sono vomitato anche gli antenati. Ma non importa, è importante solo nella misura in cui mi ha permesso di capire che di sesso non voglio proprio saperne più niente. Vorrei poterti vedere da solo, non solo tu, anche Ludger. Non si parla nello stesso modo quando si è in tre. Faccio fatica a capire il momento, devo cercare di mettere a fuoco una cosa alla volta. Non ho mai vissuto così, circondato da amici. È diverso e io ancora non sono capace, ma questa cosa del dialogo esclusivo la vedo con chiarezza. E non voglio perderla proprio con te, e neanche con lui. Fra tutta questa gente amica di cui mi hai circondato, Ludger resta quello che mi piace di più. Anche o forse proprio per la tensione che c’è nella nostra comunicazione. Tu mi commuovi, lui mi scuote, ed è importante. Ora potrei stringere nella mano tutte le lucertole che voglio ma, di base, resto indifferente. E lo so che lui intende questo quando dice che sto sprecando la mia vita.”
Amedeo decise di assecondare l’impulso di abbracciarlo, ma lui non reagì rimanendo inerte tra le sue braccia.
“Quando te lo ha detto?”
Una breve risata mentre stringeva con una mano calda una delle braccia che lo stavano cingevano. “Quando mi ha spaccato il labbro. Ma aveva ragione. Mi da così sui nervi. Ha sempre ragione. Ma è un problema tutto mio. Mi sono divertito tantissimo quella sera, quando ci siamo picchiati. Non scherzavo così con un amico dai tempi di Adriano. Non ti devi preoccupare di niente, lui mi piace davvero. E io dovrei solo capire cosa voglio. Il problema, autentico, è che non voglio niente. Però voglio vivere, sono affamato di vita. E non capisco come uscirne. Ma ci sto provando.”
Amedeo continuò ad abbracciarlo, in quella stanza esplosa le sue parole gli sembrarono ancora più deprimenti. Davide stava reagendo, e nelle difficoltà di quel passaggio aveva manifestato una spinta in avanti che, misurata sulla stasi di Sebastiano, sembrava straordinariamente vitale. Trovava confuse le sue idee quanto le sue richieste, perché oltre a vedersi spesso da soli nel pomeriggio, Sebastiano avrebbe potuto passare con Ludger le serate in cui lui lavorava. Capì che gli mancavano gli incontri straordinari che avevano segnato la loro amicizia, prima che si intrecciasse nel tessuto dei giorni; quella convivenza per Sebastiano poteva ancora essere associata alla frustrazione della dipendenza.
Amedeo lo trattenne con dolcezza. “Fratello, tu sai che il mio amore per te è sconfinato, e farei tutto il possibile per aiutarti. Non posso capire tutto e neanche ci ho mai provato, ma voglio accettare tutto quello che è tuo, anche quello che mi sfugge. Ammiro molto i tuoi tentativi di uscire da una condizione che non senti naturale, e non provo a fermarti quando vuoi andartene… però credo che tu non debba forzarti, perché penso che le cose possano funzionare solo se è il momento giusto. Invitami a uscire e uscirò da solo con te come faccio con gli amici. Fallo anche con Ludger, possiamo anche fare un viaggio se vuoi, come li abbiamo sempre fatti. Cambiano tante cose ma non voglio che si perda la nostra capacità di parlare, di incontrarci fuori dai confini… è così importante per me e non vorrei mai rinunciarci. Continua a parlarmi senza censure, sempre.”
Sebastiano finalmente rispose all’abbraccio, stringendosi con forza al torace di Amedeo.
“Sembra che solo ancorandomi a te riesco a ritrovare il mio cardine.”
“Puoi farlo, io sono felice di essere qui per te.”
Davide aveva finito di preparare il pranzo, apparecchiando con una cura che non aveva usato finora in quella casa. Stava per invitarli a raggiungerlo in cucina, ma si fermò sulla porta ascoltando le loro due ultime battute. Non avrebbe voluto spiarli, ma era stato rapito da quella visione: Amedeo e Sebastiano, abbracciati, trasfiguravano quella stanza che lui ancora vedeva come un deposito di scatole, e non come un luogo che gli apparteneva. I suoi amici in quel caos diventarono il primo ricordo bello che avrebbe avuto su quello sfondo, e voleva imprimerlo bene nella memoria. Loro continuarono a stringersi, senza accorgersi della sua presenza; Amedeo prima di allontanarsi gli baciò la fronte, e Sebastiano sorrise con una dolcezza che finì di stordire Davide, che si appoggiò allo stipite. Guardando il loro profilo gli apparirono scollegati da tutto quello che li circondava.
Sebastiano aveva il viso rivolto in alto, verso Amedeo, con un’espressione che solo lui riusciva a fargli emergere. “Fratello, posso avere un bacio?”
Davide manifestò la sua presenza parlando troppo velocemente. “Scusate, mi sono incantato a guardarvi. Non volevo spiarvi!”
Non si girarono nella sua direzione: Amedeo mandò i capelli dietro le orecchie, ridendo senza rumori per quell’espressione che riconosceva come propria; anche lui si sarebbe ‘incantato’ al suo posto. Il momento era passato, ma appoggiò lo stesso le labbra su quelle di Sebastiano. Fu un contatto breve, a cui seguì un movimento fluido per raggiungere l’amico ancora sulla porta.
Davide si limitò a sussurrare. “Volete uccidermi o cosa?”
“Cosa.” Anche Sebastiano lo superò per raggiungere la cucina.
Una volta seduti a tavola iniziarono a mangiare, ma Davide sembrava ancora confuso. Si rivolse ad Amedeo, che non mascherò il proprio divertimento.
“Ludger lo sa?”
“Che siamo quello che siamo? Lo sa da sempre, e tu non devi riscrivere nessuna storia. Ci baciamo così da quando ci conosciamo, anche con Elisa l’ho sempre fatto, anzi, con lei molto più spesso.”
Sebastiano rise di gusto e parlò con un tono più presente, posando la forchetta. “Hai idea di quanto mi dava raccapriccio questa cosa un tempo? Che buffo, adesso la bacerei anch’io, ma è meglio non allargare il cerchio, si potrebbe fare confusione. Già gestire gli amici per me è una fatica nuova. Con il tempo anche i nostri baci si sono rarefatti. Ma è difficile fare una media, perché non avevamo mai passato tanto tempo insieme, prima. Immagino che l’alieno saggio si rapporti a questa cosa con la sua proverbiale ie-ra-ti-ci-tà. Peccato sia così equilibrato, è stupendo quando si incazza. Bacerei anche lui. Magari la prossima volta.”
Amedeo era felice di quella vivacità. “Non credo tu sappia quello che dici.”
Sebastiano alzò di nuovo le spalle con fare annoiato, prima di riprendere. “Buono questo cibo, grazie Davide. La differenza, la grande differenza su cui si è costruito questo tutto con Luca, che adesso è il mio rifugio, sta in un dettaglio fondamentale. Lui non mi ha mai desiderato. Per me, adesso, ma in fondo sempre questa mancanza di desiderio è una salvezza. Davide, oggi pomeriggio se sei libero ti aiuto volentieri a riordinare la stanza. Ma non ti bacerò mai. Se mi vuoi ‘almeno’ come amico.”
Quel pomeriggio Amedeo andò a San Lorenzo da solo, sollevato al pensiero che Sebastiano fosse rimasto con Davide per aiutarlo. Mandò un messaggio a Ludger, con l’intenzione di liberarsi presto; la sua stanza era rimasta intatta, e lui amava rifugiarcisi in solitudine: sdraiato sul divano, nella perenne penombra riusciva a seguire i pensieri con maggiore distacco. Riordinò delle foto a cui stava lavorando, si era fatto una doccia dopo essersi allenato. Abituato al clima della casa di Ludger quella casa per lui risultava fredda: tornò a vestirsi completamente prima di sdraiarsi a contemplare il cranio di toro, pensando a come avrebbe raccontato a Ludger della confusione di Sebastiano. Era già scivolato nel dormiveglia quando sentì la porta dell’appartamento aprirsi e richiudersi piano; credendo fosse Elisa non reagì, continuando ad abbandonarsi al sonno. Ludger entrò senza fare rumore, da alcuni giorni aveva smesso di usare il bastone perché i momenti in cui riusciva a camminare, senza doversi concentrare per mantenere l’equilibrio, si stavano allungando. Ogni volta che si trovava lì ripensava alla prima sera passata insieme ad Amedeo; molti di quei dettagli erano persi per i suoi vuoti di memoria, ma era in grado di rievocare con precisione l’atmosfera di quella stanza, fino ad accusare un leggero senso di nausea. Ricordava le persiane spalancate, l’ordine maniacale, e le poche foto appese che ritraevano soltanto Elisa e Sebastiano. In precedenza il letto si trovava accostato alla parete della finestra a destra, ma non riuscì a ricostruire la posizione degli altri mobili, anche sapendo che probabilmente erano gli stessi gli risultava impossibile collocarli nello spazio. L’aspetto che aveva acquisito quel luogo gli restituiva una parte della vita di Amedeo che aveva perso durante la loro separazione: quel processo doloroso che lo aveva reso il ragazzo che era diventato. Si tolse il cappotto, cercando di non svegliarlo; Amedeo stava dormendo sdraiato sul dorso, con il viso completamente libero dai capelli, abbandonato nel sonno: le labbra erano appena socchiuse, scure e morbide, e sembrava completamente sereno. Ludger si sdraiò al suo fianco sperando di non svegliarlo, ma venne immediatamente avvolto dalle sue braccia.
“Lù, che bello.” Mise la testa sotto il suo mento per raggiungere il collo, senza aprire gli occhi.
Ludger iniziò ad accarezzargli i capelli. “Cosa?”
“Che sei tu.”
Ludger gli baciò la fronte. “Come fai a riconoscermi sempre, anche senza aprire gli occhi?”
“Il tuo profumo, è buonissimo, è una delle mie ossessioni… mentre dormivo avevo perso la cognizione del tempo. Quando sei entrato pensavo fosse Elisa. Probabilmente ero finito in uno dei tanti momenti in cui tu non c’eri, o forse non ti avevo ancora conosciuto. Sognavo cose senza importanza, potevo essere ovunque e in ogni tempo. Svegliarmi così, con te vicino, è una visione surrealista capovolta.”
Ludger lo strinse delicatamente, e si sentì avvolto da una tenerezza travolgente. Parlò con dolcezza. “Poi me lo spieghi? Sebastiano sta bene? Ti ha raccontato qualcosa?”
Amedeo sollevò il viso per guardarlo negli occhi: gli piaceva vederlo così vicino da riuscire a distinguere la trama della pelle e le screziature degli occhi verdi. Spostò le ciocche che gli erano scivolate sul viso. “Poi te lo spiego. Non è successo nulla di straordinario, poi ti racconto, volevo solo vederti. Adesso voglio solo baciarti.”
Ludger sorrise, divertito. “Certe volte ho il sospetto che vuoi solo il mio corpo.”
Anche Amedeo sorrise. “Forse hai ragione, ma solo in parte… in certi momenti se dovessi rinunciare a tutto penso che terrei solo questa macchina meravigliosa in cui, per una fortuna impossibile, abiti. Altre volte penso che ti amerei esattamente come ti amo anche se tu fossi davvero un alieno, che ti amerei anche se avessi sessant’anni o le squame. Poi ti guardo e mi sento così fortunato che mi viene da piangere. Piango? O ti bacio fino a consumarmi le labbra?”
Ludger fece scorrere i polpastrelli freddi sul suo viso teso. “Se continui così piango io, ma c’è sempre tempo per farlo. Preferisco provare finalmente questo divano.”
“Qual è il tuo animale preferito.”
Ludger era seduto con le gambe incrociate sul materasso a terra della camera da letto, non entrava nella casa a fianco da molto tempo. Sebastiano aveva deciso di iniziare lì la loro serata insieme, per offrirgli il suo vino preferito. Amedeo si sarebbe fermato a cena a casa di Andrea con Claudio, prima di andare al lavoro. Ludger non riusciva a distogliere lo sguardo dalla trama di segni bianchi che, dal pavimento, si alzava fino a raggiungere circa un metro in altezza. Amedeo gliene aveva parlato tante volte, ma la complessità di quei dettagli aveva un potere ipnotico.
“Ludger? Lo sai che iniziate a somigliarvi? E questo mi dispiace, perché trovo le vostre singolarità preziosissime.”
Ludger sorrise, chiudendo gli occhi nel sorseggiare il vino, buono quanto stratificato. “Hai ragione, mi ero incantato. Ma non mi succede spesso. Voi siete abituati a questa cosa… sai, mi viene da perdermici. Come se fosse una trama da leggere, o decodificare per seguire e cercare un percorso.”
Sebastiano si lasciò cadere con la schiena sul letto: sul soffitto aveva stuccato il foro del lampadario per completare l’impressione di stare dentro una scatola scura. Assorbì quelle parole, respirando a fondo prima di tornare a parlare. “È esattamente così. Una specie di scrittura automatica o flusso di coscienza. Te lo ha detto Amedeo.”
Ludger continuò a bere guardando le pareti; non c’era musica, e dalla finestra accostata arrivava il suono del vento fra gli alberi, più vicini alla finestra rispetto al suo appartamento. Gli piaceva la parentesi esclusiva che Sebastiano aveva richiesto, e pensò a come il modo di comunicare potesse cambiare anche solo modificando alcuni dettagli. “No, lui mi ha descritto più volte alcuni particolari, ma non mi ha mai dato una sua interpretazione. Forse non ha ancora abbastanza elementi per strutturarla. Non si lancia mai a parlare, e forse a pensare, su soggetti incompiuti… tranne per Michelangelo. Che secondo lui ha una sua precisa completezza anche nell’incompiuto. Ma parlane con lui, che è molto più bravo. I miei animali preferiti sono i felini, ocelot e ghepardo, forse i felini in generale. Per questo desideravo tanto un gatto. Per te sembra vincano i rettili e gli insetti.”
“Soprattutto i rettili. Perché non hai preso un gatto? Io non mi offendo. Non ne ho mai avuti ma mi piacciono. Non molto da disegnare. Sono dinamici, disegnati diventano una cosa morta. I rettili invece possono essere così statici. Quando arriverò a te ci penserò.”
Sebastiano raggiunse le sigarette con un gesto fluido, e tornando porse il pacchetto a Ludger che continuava a fissare quei segni: si era girato di spalle per seguirli sulla parete opposta. L’interesse che stava manifestando lusingava Sebastiano, confermandogli di aver fatto bene a voler iniziare la serata nel suo appartamento.
Ludger sorrise prendendo una sigaretta. “Ho detto diverse volte ad Amedeo che volevo andare a prendere un gatto in una comunità felina, ma lui ancora non mi ha proposto di farlo, forse hai riempito tu quello spazio. Per me non è una necessità, sono anni che non ho un gatto… cosa intendevi dicendo che dovrai pensarci quando arriverai a me?”
Sebastiano si era di nuovo sdraiato, e fumava ad occhi chiusi pensando ad Amedeo: alla sua necessità di rapportarsi a ciò che considerava completo entro confini misurabili almeno con lo sguardo, per poter analizzare e ricostruire la realtà attraverso oggetti prodotti dagli altri. Sebastiano rapportava questa necessità al suo continuo ribadire di non voler contenere per intero le persone, attraverso una comprensione e una definizione che avrebbe tolto loro respiro. A Sebastiano piaceva perdersi in quelle idee mentre era con Ludger.
“Pensavo a lui, è una delle mie attività preferite. Quegli scarabocchi sono la mia storia. Mi sdraio, mi siedo, penso alle persone e agli eventi e li traduco in immagini non del tutto collegate. Allegorie che seguono percorsi diversi. Non c’è una sola chiave di lettura per decodificarlo e non c’è un preciso ordine cronologico, anche se sono ancora nel passato. Però spesso ci sono elementi che si fondono, di Aline e Adriano. Probabilmente perché i morti escono fuori dalle maglie del tempo. Per te non so ancora cosa disegnare, forse perché sei il futuro. Dovrò comprare una scala. Una scala per il futuro. La parola futuro mi da la nausea, quasi come il sesso.”
“Il futuro non esiste.”
Sebastiano rise, per la bellezza di quella frase, detta da quella persona, in quel preciso contesto.
“Perché ridi?”
Sebastiano gli rispose, privo di intonazioni. “Perché tu, Ludger, mi piaci tantissimo. Ridevo per l’accostamento, per la tua voce. Per il momento… tu sei il futuro – il futuro non esiste. Domani me lo scrivo sul taccuino. A parte i miei giochi scemi, cosa intendi?”
Ludger diede gli ultimi tiri alla sua sigaretta, pensando che avrebbe preferito fumare una di quelle di Amedeo almeno per la durata. Si sdraiò anche lui e chiuse gli occhi. “Il futuro non esiste perché, per quanto possiamo provare ad immaginarlo, siamo condannati a fallire. Ogni futuro possibile è condannato a dissolversi sul presente che ci troviamo a vivere. Sai, ho passato molto tempo a immaginare futuri che sembravano incontestabili, e ho sempre fallito. Questo mi ha fatto pensare che il mio cervello non possa contenere il futuro, che non è strutturato per questo. Da diverso tempo non riesce a contenere in modo normale neanche il passato. Forse dovremmo avere il coraggio di essere come i bambini, e vivere solo e semplicemente nel presente.”
Sebastiano si sollevò a guardarlo, ma gli occhi di Ludger restarono chiusi. Si concesse di osservarlo senza intralci; lo sguardo di Ludger gli trasmetteva sempre una certa tensione, anche se positiva, e lo induceva a un livello di vigilanza che in quel momento stava venendo meno. Per Sebastiano quello sguardo, quando lo sosteneva davvero, era uno specchio che richiedeva un livello di attenzione molto alto. Non c’era stato un singolo istante nel quale non fosse stato felice di saperlo al fianco di Amedeo. “Fai ancora terapia.”
“Sospese tutte da tempo. Ho dei vuoti di memoria. Ma non c’è niente da fare, anzi, mi sembra assurdo chiedere a qualcuno di parlare di ciò che non ha in archivio. Come chiedere a qualcuno di darti qualcosa che non ha. Adesso sono felice, non ho nessuna necessità di fare terapia. Vuoi darmi il cambio?”
“E il passato, Ludger, esiste?”
Ludger portò le mani al viso per massaggiarlo. “Il passato esiste e ci rende ciò che siamo. Ma non ha un andamento lineare. Non è un nastro ordinato con gli eventi distesi in ordine cronologico. Penso ai labirinti tanto amati da Amedeo e dal suo amico scrittore. La memoria smonta e rimonta gli eventi seguendo necessità tutte sue. La mia poi lascia degli spazi vuoti, così vuoti che non posso calcolarne l’estensione. Ma penso che trattenga abbastanza da farmi restare intero, da farmi essere ciò che voglio essere ora. Pensa agli storici che riscrivono costantemente il passato, o alle reliquie, pezzi di robe che forse non hanno mai avuto veri contatti con ciò che dovrebbero evocare, ma servono solo alla memoria. Amedeo che accarezza pietre e mattoni, il suo senso di storia è vicino al mio modo di contenere il passato. Una continua reinterpretazione funzionale alla visione presente. Mi sa che sono ubriaco, se vogliamo uscire non devo bere più, e se guidi tu dormo in macchina… Amedeo pochi giorni fa si è addormentato a San Lorenzo. Al risveglio mi ha detto che ritrovarsi con me, nel presente, era una specie di sogno che lo strappava da un vero sogno atemporale e senza importanza. Visto il suo passato, è stato come svegliarsi da un incubo. Amedeo mi fa impazzire di tenerezza. Lui in qualsiasi momento, tra la tristezza per il suo passato e il gusto di vivere il presente, non ha mai dubbi. Io voglio essere così.”
“Ludger, tu sei così.”
“Perché lo voglio.”
Non c’erano tracce di accusa nel tono, e gli occhi di Ludger rimanevano chiusi, ma Sebastiano si sentì teso. Si chiese perché, tra le tante persone con cui parlava senza censure, fosse soltanto Ludger a renderlo così nervoso. Non capiva perché, ascoltandolo, si trovasse a proiettare quello che diceva su di sé.
“Sicuro che non vuoi altro vino?”
“Sicurissimo. Dove andiamo a cena?”
Sebastiano versò un calice generoso e tornò sul letto; ormai la sola luce naturale era quella della luna, e accese una piccola lampada, posata a terra nello spazio riservato a un comodino. Non restava molto tempo prima di uscire.
“Sono i giorni più corti dell’anno. Ho sempre avuto un debole per il Sol Invictus, sono contento di festeggiarlo con te.”
Ludger non si muoveva, quella casa per lui era fredda. Indossava due maglioni grigi, ed era completamente rilassato; Sebastiano fu tentato di proporgli di restare a dormire fino al ritorno di Amedeo. Immaginò di rileggere uno dei libri di Tommaso sul letto in soggiorno, fino ad addormentarsi. Quello scenario non gli sarebbe dispiaciuto. Ludger era silenzioso, e iniziò a credere che stesse dormendo.
“Poi me ne parli? Ricordo vagamente che i romani festeggiavano il sole mentre sembrava fermarsi basso all’orizzonte. Sono sicuro che mi diresti cose più interessanti. Dove vuoi andare a cena?”
“Ho prenotato un giapponese, che pare sia buonissimo. Abbiamo ancora un po’ di tempo. Te ne parlo in macchina. Tu invece mi racconteresti della storia della tavola bianca? Mi hai detto che è lunga, ma stasera dovremmo avere abbastanza tempo.”
Dopo essere usciti dal ristorante camminarono a lungo. Sebastiano aveva smesso di nascondersi dietro gli occhiali scuri, e alcune volte era stato salutato da vecchi conoscenti. La prima volta accadde a un concerto, e Amedeo gli era rimasto vicino per tutto il tempo, sentendolo rispondere a monosillabi fino a quando l’entusiasmo dell’interlocutore era scemato di fronte alla sua indifferenza titanica. Nella maggior parte dei casi si trattava di ex compagni del liceo o dell’Accademia di Belle Arti, da lui definiti comparse generiche, individui che non avevano lasciato tracce significative. Fecero una pausa sui gradini di Sant’Ignazio, e continuarono a parlare scivolando senza interruzioni da un registro all’altro, entrambi con l’impressione di poter andare avanti all’infinito.
“Un tempo non parlavo, quasi mai. Parlavo solo con le mie persone. Non credo di averne avute più di due per volta. Questo presente mi sembra assurdo per tanti motivi, anche per questo continuo a parlare. Lo dicevo anche a Luca, fra i tanti tu sei quello con cui mi da più gusto. Se dovessi scegliere le mie due persone sicuramente tu saresti la seconda. Qualche giorno fa ho passato un pomeriggio con Davide. Sono contento che abbiamo superato lo scoglio, perché sembra che per lui la mia presenza sia molto importante. Altra assurdità. Però è un tipo piacevolissimo. Ha visto Luca e me mentre ci baciavamo e si è molto turbato, tipo bambino piccolo. Ha subito pensato a te.”
“Me lo ha detto Amedeo, anche lui si è divertito per la sua reazione.”
Sebastiano guardò il suo profilo chiaro stagliato contro il buio di un vicolo laterale: era completamente inespressivo. “Tu non sei proprio, per niente, geloso.”
“Devo aggiungere un punto di domanda? La interpreto come l’ennesima constatazione. Ne abbiamo parlato già. No, non sono per niente geloso, possibile che ancora dobbiamo ribadirlo? Ora non so che effetto mi farebbe se le cose prendessero un altro assetto tra voi, ma così, in astratto, non mi importa molto. Potete fare quello che vi pare, non vorrei che la mia presenza nella sua vita fosse mai associata a un confine. Sarebbe triste pensare di essere la sua nuova gabbia… questa cosa io l’ho vista sempre con chiarezza, non ricordo se ne abbia parlato anche con te. Lo sai che perdo pezzi. La sola cosa che non sopporterei in lui sarebbe solo un atteggiamento distruttivo, e quando si è manifestato proprio non ho retto. Ma è passato tanto tempo.”
Si girò a guardarlo, sorridendo, con l’espressione dolce che prendeva parlando di Amedeo. Sebastiano la conosceva bene: gli illuminava il viso in modo diverso. Gli sarebbe bastato anche solo quel dettaglio per avere conferma dei sentimenti che Ludger provava per suo fratello.
Ludger riprese a parlare, con calma. “Amedeo si è preoccupato perché non è mai capitato quando siamo insieme. A me non interessa neanche questo. Finché sarà evidente che non ci saranno menzogne, perché l’unico aspetto che potrebbe infastidirmi sono le censure. Le bugie rendono le persone meschine, e pensare a lui che mi dice bugie mi fa davvero orrore. Ma penso che lo farebbe anche a te.”
“Ludger, molto spesso sembri così poco realistico.”
“Lo prendo come un complimento. Vorrei muovermi, sento freddo stando fermo. Ti va di camminare ancora?”
“Secondo te come andrà a finire. Io non riesco a vedere niente alla fine di questo periodo, che doveva essere di passaggio. Mi impegno, ma non risolvo molto.”
I vicoli avevano iniziato ad essere deserti; camminavano vicini, fermandosi spesso a guardare gli scorci che si aprivano agli incroci, e le luci sugli alberi spogli che piacevano tanto a Sebastiano.
Ludger non era stanco. “Non ne ho la più pallida idea, e sai? Neanche mi interessa.”
“Il futuro non esiste. Ma non ti secca avermi sempre fra i piedi?”
“Ti prego, basta. No, non mi secca per niente. Per me dovresti smettere definitivamente di agitarti su questa questione. Vorrei restasse chiaro che non solo non mi secca averti con noi, ma mi piace. L’unico che sembra dispiacersi sei tu, e questo mi rattrista, ma penso di non poter fare molto per aiutarti. È un processo interno, non credo che dipenda dal luogo dove sei… questa stasi ti soffoca anche se sei immobile da anni. La grande differenza penso consista sul tuo avere spostato il baricentro su Amedeo. Non è un problema per me o per lui, è un disagio tutto tuo. Se un edificio ha il baricentro che non cade all’interno della base, crolla, così come una cellula dovrebbe avere il suo nucleo all’interno. Tu vivi una condizione innaturale, ammiro i tuoi sforzi nel crearti interessi e attività, e penso che tu non possa fare molto altro, ma vivi queste cose come se fossero un lavoro. Le persone che non hanno entusiasmi, passioni, pulsioni vitali autentiche, esclusivamente personali, a me spaventano… per me sono come morte. Non credo che tu sia così, se fossi stato sempre così adesso non saresti così irrequieto, ma qualcosa con la morte di Aline deve averti destabilizzato profondamente. È passato ancora poco tempo, spero sia solo una fase… noi ti siamo vicini e continueremo a farlo perchè lo vogliamo. Per noi non è un lavoro. Potresti anche iniziare a pensare che il posto in cui sei è la tua casa, ora, senza starti a flagellare pensando al futuro.”
Si fermarono a guardare il fiume dall’argine all’altezza del Lungotevere Raffaello Sanzio.
Sebastiano iniziò a piangere in silenzio. “Tu hai qualcosa, Ludger, che non riesco a spiegarmi. Mi agiti e mi calmi, simultaneamente. Non ho mai conosciuto nessuno che riuscisse a mettere insieme gli opposti, come te. Sei prezioso.”
Ludger, osservando il suo viso rivolto verso l’acqua scura, ricordò i sogni di Amedeo a Venezia; sommò la visione di quel profilo sul liquido nero ai disegni che aveva visto poche ore prima sulle pareti.
“Anche tu lo sei, e non per il rapporto che hai con Amedeo. Mi piace stare e pensare con te.”
Gli amici avrebbero raggiunto le rispettive famiglie per la vigilia di Natale, mentre loro tre sembravano essere gli unici rimasti liberi dalle maglie della tradizione. Davide propose di cenare insieme prima di partire, e anche Elisa fece una richiesta simile; decisero di organizzare una cena per stare tutti insieme. Amedeo era euforico come se fosse sfuggito a una condanna, e Sebastiano si lasciò trascinare dal suo entusiasmo. Passarono la giornata precedente ad acquistare decorazioni dallo stile poco convenzionale, e raccolsero un ramo secco dal parco sotto casa da usare come base. Ludger rientrando fu accolto dalle loro risate, mentre erano intenti ad addobbarlo in soggiorno.
Amedeo gli andò incontro ridendo, ricoperto di capelli d’angelo argentati. “Sono così contento, non mi sembra vero di non dover scendere a Lecce quest’anno, a farmi torturare. Stare qui con voi, anche adesso, mi sembra davvero magnifico. Non sappiamo se usare questi fili, tu che dici?” Allargò le braccia ruotando su una gamba in un turbine di nastri.
Ludger non avrebbe mai pensato a un albero di natale in quella casa, ma Amedeo gli aveva raccontato una storia di alberi magici e di doni completamente scollegata dal Natale cristiano. In quel momento, vedendo il caos giocoso che aveva invaso quello spazio sempre ordinatissimo, avrebbe accettato anche addobbi meno pagani: il volume della musica era moderato e contribuiva a rendere l’atmosfera ludica. “Se li sacrifichiamo per un abbraccio?”
Amedeo si tirò sulle punte avvolgendolo nelle frange, e lo baciò. Si diedero un bacio profondo, diverso da quelli con cui si salutavano di solito, brevi e conclusi con un sorriso.
“Se avete finito di pomiciare, io vorrei riprendere.”
Ludger era entusiasta, e dovette impegnarsi per rispondergli usando un tono neutro. “Buonasera Sebastiano, il nostro albero non mi sembra molto in salute. Lo hai scelto tu, immagino.”
“Portaci un prosecco e trovati un’occupazione. Non sono ammesse critiche altrimenti il gioco si rompe.”
Ludger annuì, liberandosi di diversi strati di lana prima di unirsi a loro. Fecero scendere dai rami secchi i fili d’argento, fissando alle estremità delle minuscole palline trasparenti: l’effetto finale faceva apparire il ramo morto simile a un albero ghiacciato. In seguito decorarono anche alcuni enormi cactus che Ludger aveva spostato all’interno per proteggerli dal freddo, fissando le palline alla fine degli aculei. Risero e giocarono con quegli addobbi, e quando Amedeo raccontò a Ludger di aver chiamato il padre quella mattina, l’atmosfera non cambiò.
“Credimi, sono solo felice di come si siano messe le cose. Stare qui con voi invece di dovermi preparare al martirio mi sembra un vero miracolo.”
Tramite quella telefonata aveva saputo che nella sua famiglia c’erano state reazioni diverse alla sua decisione di non tornare più: la madre aveva distrutto tutte le cose che Amedeo aveva lasciato in casa. Lei e la sorella parlavano di lui come un disertore, come se le avesse private di un loro diritto. Invece i nonni paterni si erano schierati immediatamente dalla sua parte; grazie al loro consenso Amedeo si era sentito sollevato.
Sebastiano si concesse una pausa fumando mentre rimescolava palline avanzate. “Poi, tuo padre, gli ha detto o no che sei ‘felicemente frocio’?”
“Sì che gliel’ha detto. Ma lo ha scelto lui, e secondo mia madre è tutta colpa sua. Quant’è allucinante quella donna. Però le ha fatto passare la voglia di avermi a casa, quindi meglio così.”
Ludger pensò che l’allegria di Amedeo fosse proporzionata al dolore causato dalle visite a Lecce, imposte negli anni. Gli si rivolse con dolcezza. “E tuo padre come sta?”
Rise. “Meglio, mi ha detto che è quasi un sollievo averle dato un motivo per essere sempre incazzata. Io spero che riesca a lasciarla, prima o poi. Ti saluta e ti manda gli auguri, la prossima volta che riuscirà a venire a Roma vorrebbe vedere dove vivo, e conoscerti meglio. Magari lo invitiamo a cena, se ti va.”
“Se mi dai il numero posso chiamarlo domattina, ed è ovvio che puoi invitarlo, se va a te… spero solo che Sebastiano riesca a mettersi una maglietta. Ho confermato con Helga per il ventiquattro, vorrebbe portarci fuori a cena. I regali però quando vogliamo scambiarli? Con gli amici domani o con lei in un ristorante?”
Sebastiano alzò uno sguardo obliquo dal cactus sul quale aveva ripreso a disporre palline. “Se la temperatura fosse consona potrei mettere anche un maglione. Io direi di scambiarceli domani sera. Questa cosa dei regali mi sembra abbastanza assurda, preferisco affrontarla in un rifugio sicuro.”
“Fratello, non lo dire a me, sono terrorizzato.”
Ludger era l’unico a non essere agitato: non ricordava di aver mai festeggiato il Natale, e gli piaceva che Amedeo lo avesse trasformato in un’occasione per scambiare regali con gli amici, anche se non si aspettava di vederli così eccitati. Dopo pranzo Sebastiano si spostò nella casa a fianco, annunciando che sarebbe ricorso alla chimica e ancorato alla chitarra per sopravvivere fino a sera.
Ludger lo lasciò andare senza commentare. “Inizio a pensare che siete davvero troppo elettrici… devo preoccuparmi?”
Amedeo lo abbracciò, ridendo. “Ma no! Invece, nel pomeriggio dovremmo uscire per finire una cosa, se il fratello riuscirà ancora a deambulare… non ti dispiace restare da solo per un po’, vero? Immagino che Elisa arriverà sul presto, anche prima del nostro ritorno.”
Ludger lo scrutò con un’espressione tesa. “Però non mi devo preoccupare… avete allestito la sala del ghiaccio e mi mollate per una missione misteriosa… dimmelo guardandomi negli occhi.”
Amedeo gli prese la testa tra le mani e lo guardò, trattenendo a fatica una risata. “Lù, non devi preoccuparti di niente.”
Ludger capì dalla sua espressione divertita che quella manovra aveva a che fare con un regalo per lui. Dopo averlo baciato lo lasciò andare, iniziando a sentire una curiosità insolita.
La prima ad arrivare fu Elisa, che trattenne a fatica lo stupore alla notizia che Sebastiano era uscito con Amedeo.
Ludger si lasciò cadere sul divano sospirando, perché quella reazione non faceva che confermargli l’anomalia della situazione. “Elisa, quei due escono insieme in continuazione.”
“Gli addobbi però sono stupendi.”
Quel repentino cambio di registro gli diede un’ulteriore conferma. “Però…”
Lei ignorò quella puntualizzazione iniziando a guardarsi intorno; non sapendo dove appoggiare i propri pacchetti li mise sotto il ramo secco. Notò che Ludger non aveva la solita espressione serena, e rise apprendendo che dipendesse soltanto dalla curiosità per il suo regalo. Parlarono del padre di Amedeo, che lei aveva conosciuto, e di Sebastiano; Era euforica e proiettò ottimismo su qualsiasi argomento. All’arrivo di Davide Ludger pensò di aggiungere anche i suoi regali agli altri pacchetti. La base del piccolo albero nelle ore successive si rivelò insufficiente; tutti avevano seguito la regola imposta da Amedeo di prendere un solo regalo a persona, ma erano in tanti e ad ogni arrivo il mucchio colorato si alimentava.
“Mi chiedo come sia possibile che tu non abbia trovato un’altra soluzione.”
Sebastiano aveva parlato con una velocità leggermente rallentata, e Amedeo pensò di non averlo mai visto così stordito fuori di casa.
“Se vuoi puoi aspettarmi in macchina, in qualche modo farò… ma non ti sembra di esagerare?”
Avevano preso per Ludger un gatto, e per potergli fare una sorpresa, era stato ospitato da Giulia fino a quel pomeriggio. La macchina era già parcheggiata ma Sebastiano, dopo essersi chiuso in un silenzio ostinato per tutto il tempo del tragitto, non accennava a muoversi.
Amedeo abbassò il finestrino, e iniziò a rollarsi una sigaretta. “Tutti i nostri amici stanno andando a casa nostra. Lei non festeggia, ama gli animali, è mia amica e sta passando un brutto periodo… so che le piace rendersi utile. Insomma. Dobbiamo prendere il gatto. Posso fare due viaggi e portare prima tutto il corredino… credimi, non te lo dico mai, ma stavolta sono convinto che tu stia esagerando. Lo so che è strana in questo periodo, ma da te mi aspetterei un po’ di elasticità.”
Sebastiano era colpito, ma non lo manifestò. “Casa nostra… e pensi che io stia esagerando. Evidentemente mi sfugge qualcosa. Tipo il pianeta in cui mi sono trasferito. Per me quella è solo una bellissima stronza. Ma se è tua amica, e arrivi a insistere, lo prendo come un lavoro. Però se mi insulta ancora perché sono un uomo ti mollo lì.”
Dal pianerottolo sentirono le note di un disco degli Autechre; Giulia aprì la porta sorridendo, accompagnata da quei suoni che per Sebastiano equivalevano a un ennesimo fastidio. Lei era scalza, e indossava una felpa nera sformata sopra dei pantaloni da lavoro, mentre il gattino rimaneva ancorato a una sua spalla. Sebastiano distolse subito lo sguardo dal viso e dal gatto, puntandolo sui suoi piedi.
“Questa creaturina è adorabile, entrate, ho preparato tutto… anche se penso possiate portarlo anche senza gabbietta.”
Amedeo prese per mano Sebastiano, ed avanzò ringraziandola. “Spero non ti abbia fatto danni.”
Si ritrovarono in un ambiente molto disordinato, con pile di libri accatastate ovunque, anche in terra. Sebastiano raggiunse il divano e spostò un casco integrale e alcuni volumi per sedersi; le pareti bianche e spoglie gli fecero tornare ad abbassare lo sguardo sul pavimento.
Giulia parlò con allegria. “Amedeo non ti devi preoccupare di niente, lo avrei portato anche in ospedale stamattina per quanto è tranquillo, e non ha fatto nessun danno… è così tenero, sembra non riesca a staccarsi. Se avessi ancora qualcosa che somiglia a una vita me ne prenderei anche più di uno. Dai, tienilo tu.”
Alla parola ospedale Sebastiano alzò gli occhi, e vide il gattino scivolare sulla giacca di cuoio di Amedeo. Si alzò per prenderlo e il cucciolo, a contatto con la superficie del suo cappotto, gli si arrampicò subito sulla spalla.
Giulia li guardò inespressiva: oltre al viso anche le mani delicate di Sebastiano la infastidirono. “Ciao Sebastiano, scusami per l’altra volta, per me ogni nuova faccia è un peso. Ti assicuro che è proprio così, e adesso più che mai. Puoi scusarmi?”
Lui evitò di alzare gli occhi dai suoi piedi, con il viso così inespressivo da sembrare una statua. “Hai dei bei piedi, sono bellissimi. Condivisibile la storia delle facce. Non importa. Dell’altra volta, non pensarci.”
Lei storse il viso in una di smorfia di fastidio, perché il suono della sua voce era indubbiamente maschile. Quell’espressione venne colta soltanto da Amedeo, mentre veniva invitato a seguirla per recuperare tutti gli oggetti portati il giorno precedente. Le era costato un notevole sforzo scusarsi, e lo aveva fatto esclusivamente per Elisa: la sua amica le aveva parlato di Sebastiano con entusiasmo, rimproverandola più volte per il comportamento aveva avuto con lui, e sottolineando che era sembrata gelosa e stupida. In quel momento si ripetè che Elisa probabilmente aveva ragione, ma che Sebastiano le risultava insopportabile e avrebbe voluto mandarli via in fretta. Pensò con antipatia al cappotto avvitato ed elegante che lui non aveva accennato a sbottonare, alle mani sottili e curatissime, e a quel viso irritante quanto la sua ostinazione nell’evitare di guardarla in viso.
Erano in un piccolo balcone invaso dal disordine, come il resto della casa. Con il peggiorare delle condizioni della madre, Giulia aveva iniziato a trascurare tutto quel che poteva, e le condizioni della casa lo testimoniavano chiaramente.
“Quella cosa che ha detto il tuo amico sui miei piedi… spero non sia una specie di perverso apprezzamento similsessuale.”
Amedeo prese la lettiera e la busta con cibo e giochi; si fermò sentendo quella domanda, stupito per come lei e suo fratello fossero destinati a non capirsi. “Non c’è pericolo. Sebastiano ha completamente fatto fuori il sesso dalla sua vita, ed è molto risoluto nel mantenere questa decisione per il resto dei suoi giorni. La risposta è quindi un netto no. Sembra che non vi potete sopportare, e mi dispiace.” Guardò i piedi scalzi di Giulia sulle mattonelle sporche e fredde del balcone, capendo che quel dispiacere era più forte di quanto avesse creduto.
“Non preoccuparti, possiamo ignorarci. Come faccio con il resto del mondo. Però tu sei sempre tanto caro a invitarmi, e sei uno dei pochissimi che non vorrei perdere, anche se vorrei vederti da solo. Non pensiamoci adesso, anzi, sbrighiamoci perché poi devo prepararmi per andare in ospedale.”
Sebastiano si concentrò esclusivamente sull’animale, che mantenne sulle gambe durante il viaggio di ritorno. In casa trovarono un’atmosfera festosa che gli fece dimenticare la fatica di quella parentesi. Lasciarono il gattino nella casa a fianco, e Sebastiano ingoiò un ulteriore frammento di pillola prima di separarsene. Si unirono agli altri e iniziarono subito a bere e ad aprire i regali, ritrovandosi in poco tempo in un caos di carte colorate, nastri e oggetti di ogni tipo. Ludger ammise di essere divorato da una curiosità bruciante, che era decollata vedendoli tornare a mani vuote. Elisa trattenne a fatica la commozione dopo aver aperto il regalo da parte di Sebastiano: un vestito da sera che le aveva preso a New York. I libri e gli accessori erano impilati un po’ ovunque, e ogni volta che Sebastiano apriva un pacco si fingeva deluso, ripetendo che non poteva trattarsi un vibratore. Andrea aveva regalato a tutti bottiglie molto prestigiose, immaginando non sarebbero sopravvissute alla serata. Ludger porse un pacchetto e una busta ad Amedeo, che perse subito espressione prima di concentrarsi sulla lettura.
Il colore in un mondo vuoto, spento
un’esplosione
Il presente, il dono più prezioso
Bellezza assoluta dell’istante, il tuo sorriso
L’epifania
Il mondo capovolto, la trasparenza dei tuoi occhi
La tua prima via di fuga
Perché non si chiuda mai
La commozione del contatto con una creatura selvaggia
Che sceglie
Non fermarti mai
Amedeo continuò a rileggere quelle righe, trovandoci ogni volta un significato differente: ciascuna frase lo portava a pensieri diversi, e anche il soggetto oscillava senza che potesse riuscire a fermarlo su di sé. Anche se i suoi amici non si erano interrotti, era evidente per tutti che si era incantato. Sebastiano gli strinse leggermente una spalla, esortandolo ad aprire il pacchetto prima di svenire per l’apnea. Nella piccola scatola trovò le chiavi di un motorino, che trattenne a lungo in mano restando in silenzio.
Sebastiano iniziò a parlare con fare teatrale. “Ludger, sei proprio un coatto. Guarda come l’hai ridotto. Come se ti ci volesse chissà che. Cuoricino, frasetta da Baci Perugina, cuoricino, regalo a effetto. Vergognati.”
Ludger si alzò, cercando di raggiungere Amedeo senza inciampare nel groviglio di incarti ai loro piedi. Sorrise rivolgendosi a Sebastiano. “Non rompere i coglioni, tu.”
Sebastiano si alzò senza ribattere, porgendogli una mano per aiutarlo a mantenere l’equilibrio, mentre Andrea seguiva preoccupato gli spostamenti precari di Ludger. Amedeo continuava a guardare il foglio, pensando che la calligrafia con cui era stato scritto era la sua preferita. Gli amici aspettavano in silenzio, come se ogni gesto si fosse apparentemente sospeso. Sebastiano lasciò il suo posto a Ludger, che preferì restare di fronte ad Amedeo sedendosi sul tavolo basso.
“Tesoro… Tutto bene?”
Ludger appoggiò i gomiti alle ginocchia, intrecciando le mani davanti al viso, per niente turbato.
Sebastiano restò in piedi. “Sei un coatto senza fondo. Ci mancava solo il tesoro e il vocione. Mi stucchi. Mi annegherò nel rum che mi ha regalato Andrea, per sopravvivere.”
Davide lo seguì verso la cucina sperando di venire imitato dagli altri, in modo lasciare ad Amedeo e Ludger un momento di intimità, ma gli altri restarono seduti.
Amedeo alzò gli occhi su Ludger dopo un tempo apparentemente lunghissimo: era imbarazzato, e sorrise con le guance leggermente arrossate. “Pensavi a quella sera dei ricordi belli… e a chissà quante altre cose.”
Tornò ad abbassare gli occhi ringraziandolo, e Ludger gli liberò le mani con delicatezza per prenderle tra le sue.
“Poi te le racconto tutte, ma credo che tu le conosca già… tesoro, non volevo metterti in difficoltà. Mi avevi chiesto di scriverti qualcosa e ho solo fermato delle idee, come le altre volte. Dobbiamo tornare a Ponte Sisto.”
Finalmente Amedeo sorrise, ricambiando il suo sguardo. “Con un motorino su cui riesco a portarti.”
“Dammi un bacio e torniamo dai nostri amici, che ne dici?”
“Sì, per favore basta! Che se continuate così mi cola il rimmel!”
L’intervento di Elisa sciolse i confini della bolla che li aveva avvolti con una risata. Amedeo e Ludger si sfiorarono le labbra prima di abbracciarsi, per poi prendere uno dei bicchierini portati da Sebastiano, rimasto completamente inespressivo.
“Ludger, adesso che ci avete imposto cotanto romanticismo. E ci siamo definitivamente stuccati con il rum, esigo il mio regalo. E ti ricordo che tu stai ancora aspettando il tuo. Ti lascio il mio posto.”
Sebastiano aprì il proprio pacco, strappando la carta grigia fermata da un nastro di seta nero: conteneva il suo profumo preferito. Ludger doveva averlo visto tra i tanti flaconi che, a Parigi, erano finiti nei secchi della spazzatura. Era un oggetto raro e Sebastiano rimase colpito anche dal biglietto: un piccolo foglio bianco come quello letto da Amedeo poco prima.
Un tempo avevi un profumo sempre diverso.
Spero tu possa scegliere, sempre, la tua versione preferita.
“Mi rifiuto di incantarmi, ma tu sei un criminale. Spero che il nostro regalo ti faccia a strisce.”
Ludger fu l’unico a non cogliere il riferimento. “A questo punto non ne posso più. Se è una tortura avete vinto e mi dichiaro sconfitto.”
Amedeo afferrò la mano di Sebastiano, scavalcando gli incarti con pochi passi elastici. “Lú, tieni gli occhi chiusi quando riapriremo la porta.”
Il viso di Ludger perse espressione mentre osservava Amedeo che gli porgeva un gattino con le braccia tese. Quell’immagine si sovrappose al ricordo di un pomeriggio lontano: Ludger era vicino al parco, ancora sulla sedia a rotelle, e lui gli aveva avvicinato un gattino incontrato per caso. Amedeo era cambiato tanto in quell’anno, ma a Ludger tornò l’immagine del suo viso da bambino con espressioni sempre trattenute, e il colore degli alberi sullo sfondo attraversati dal sole. Ricordando anche l’odore della terra e dell’asfalto avvertì un senso di nausea. Rispose a quel sorriso ripetendo lo stesso gesto di allora, e fece scivolare le mani tra quelle di Amedeo e il gatto, per prenderlo. Anche ad Amedeo tornò in mente quel momento.
“Da parte mia e di Sebastiano. Se siamo riusciti nell’impresa è tutto merito suo.”
Rispose con un sussurro, portandosi il cucciolo in grembo. “Che bello. Grazie”
Andrea avvicinandosi per guardarlo meglio decise immediatamente di scherzare. “Ciccio, di gatti neri così te ne trovo a pacchi vicino ai cassonetti.”
Sebastiano gli sorrise. “Per me sarebbe un nome perfetto. Dovrai trovargli un nome, intanto voto cassonetto.”
Il gattino prese posto sulla spalla di Ludger, appoggiando la testa sui suoi capelli; ammise di non volerci pensare in quel momento, mentre cercava di tirarlo giù per poterlo guardare. Il gatto mantenne la posizione ostinatamente, emettendo un buffo miagolio rauco che scatenò diverse risate. La felicità illuminava il viso di Ludger e Amedeo ammise di essere grato alla testardaggine di Sebastiano, che aveva alimentato quell’impresa. Lo scambio di doni andò avanti, anche se il cucciolo aveva ormai catalizzato l’attenzione di tutti i presenti. Amedeo scese con Ludger per vedere il suo nuovo motorino; avrebbe anche voluto anche provarlo, ma decise di aspettare per non trascurare gli amici. Si baciarono a lungo nel box, e nel risalire in ascensore, iniziarono a ridere senza motivo in preda a un’euforia incontenibile. Rientrarono in casa tenendosi per mano, e trovarono la tavola apparecchiata. Andrea raccontò del nuovo gruppo con cui suonava insieme a Ludger; Nora quella sera lavorava e parlò liberamente di come aveva dovuto sciogliere il precedente, perché finivano sempre per litigare. Anche Ludger ribadì il suo dispiacere dell’aver dovuto sospendere le prove con lei, e si augurava di poterle riprendere in seguito.
Andrea era particolarmente allegro. “E a capodanno io lavoro, ragazzino che fai? Ti fai tornare la bronchite, parti con ciccio per una qualche località esotica, o sei dei nostri? Considera che a me va bene tutto, però è una serata particolare, in genere si guadagna parecchio. Pensaci. Per tuo fratello possiamo sempre prendere un cubo.”
Sebastiano alzò gli occhi al soffitto, rispondendo con un piglio melodrammatico. “Anche il capodanno! Non c’è mai fine alle assurdità.”
Ludger rise. “Puoi sempre restare a casa con il gatto.”
Sebastiano aveva continuato a bere senza quasi toccare cibo, spegnendosi progressivamente.
Elisa notò che non si era offerto di apparecchiare la tavola o riscaldare il cibo, e sapeva si trattava di un comportamento insolito per lui. Era rimasto sul divano, assumendo posizioni sempre più scomposte. Gli si avvicinò rivolgendogli un sorriso. “Fratellastro stai bene?”
Le rispose con un sorriso assente. “Sto solo riposando. Mi porteresti una cicca?”
Restò a fumare vicino a lui che le chiese, stupendola, di tenerle la mano.
“Però non arrossire così, non ti dona.”
“Hai degli occhi strani.”
“Ho giocato un po’ troppo con le pillole di Ludger, penso di stare ancora bene… sei l’unica donna qui dentro. E lo capisco. Sei l’unica donna frequentabile che conoscono. Più che frequentabile, ma non continuo perché stai arrossendo. Proviamo un po’ di danza contemporanea a gennaio? Forse anche il flamenco, saresti stupenda a muovere le mani così. Come si muovono nel flamenco.”
Lei rise accarezzandogli la fronte, che trovò fresca. “Sicuro di non aver esagerato? E perché lo hai fatto, se posso chiedertelo…”
“Puoi chiedermi quello che ti pare, se non mi va non rispondo. Non so, non lo so perché, e se ho esagerato. Adesso sto ancora bene, più liquido che solido. Questa cosa del Natale mi spaventava, un poco. La tua amica, quella stronza, mi innervosisce. E siamo dovuti andare da lei a prendere il gatto. La bellezza è ingiusta.”
Elisa mantenne lo sguardo sulle loro mani intrecciate. “Molte cose lo sono, forse la bellezza è più facile da perdonare.”
Sebastiano parlò senza lasciare pause. “Non quando è sprecata.”
Lei spalancò gli occhi, colpita; sapendo che l’amica di cui parlava era Giulia non si capacitava di come potesse essere arrivato a quelle riflessioni, e pensò stesse generalizzando. Il fatto che avesse ripetuto una frase che in diverse varianti lei stessa aveva detto a Giulia, doveva essere una coincidenza. Si detestavano per motivi tanto superficiali che Elisa non riusciva a capacitarsi delle loro prese di posizione radicali, ancorate con tenacia su una buccia sottile.
“Posso parlarti come se tu non fossi una donna?”
“Certo, devo pensarmi come una creatura superiore o come un uomo senza uccello?”
Sebastiano sorrise al rallentatore. “Sei adorabile, facciamo un gioco in cui valgono solo le idee. Fingiamoci superiori, anche se non so a cosa. Tu, io credo, sei molto più cazzuta di me, a volte. Invece, le donne, deboli isteriche e cretine. A me iniziano a far paura. Perché creano e distruggono a livelli così alti che forse gli uomini forse diventano artisti credibili soltanto per compensazioni… perché non si sporcano in continuazione le mani di sangue. Ma non so se puoi seguirmi, quasi non mi seguo neanche io.”
“Peccato, mi piaceva, e potrei anche essere d’accordo… però riapri gli occhi, che altrimenti penso che sei svenuto… parli così rallentato.”
Le rivolse un sorriso stanco, che lei trovò stranamente dolce.
“Tu lo farai un figlio?”
“Non ora. E tu?”
“Io l’ho già fatto, tanti anni fa. Ma non me ne sono accorto. Lei non me l’ha detto. Mi ha cacciato. Stronza, lei, forse. Amedeo pensa che sia stata stronza. Io ancora non lo so.”
“Adesso ci alziamo e andiamo a fare una passeggiata in terrazzo. Forse non dovresti bere più, ma continua a parlarmi finché ti va… mi piace tanto ascoltarti.”
Davide li vide alzarsi e uscire mentre stava aiutando in cucina, e si rivolse a Lorenzo. “Sono preoccupato per Sebastiano, non capisco cos’ha ma non sta bene… guarda come cammina, sembra un sonnambulo.”
Lorenzo continuò a riporre stoviglie senza neanche alzare lo sguardo. “Non ho bisogno di controllare perché è fatto da quando sono arrivati, e sono ore che beve come un condannato a morte.”
Davide non capiva come potesse restare così impassibile. “Mi devo allarmare?”
Lorenzo rise, pensando che Davide non avesse idea di quanto quella situazione fosse sotto controllo. “Non essere ridicolo, e per stasera lascialo stare.”
Tornarono tutti a sedersi a tavola per il dolce, e al momento di alzarsi Sebastiano non riuscì a calibrare i gesti correttamente, finendo per ancorarsi alla spalliera della sedia.
Ludger, che fino a poco prima gli era stato seduto vicino, gli prese il viso tra le mani. “Riesci a guardarmi?”
Gli occhi di Sebastiano si alzarono lentamente, con le pupille dilatate.
“Hai giocato al piccolo chimico con le mie pillole e hai condito il tutto con troppi alcolici.”
Sebastiano continuò a sostenersi alla sedia, si sentiva le gambe deboli e avvolto da un calore innaturale. Le mani fredde di Ludger sul suo viso gli darono sollievo. “Pensavo volessi baciarmi.”
“Penso tu debba vomitare.”
Sebastiano accennò un sorriso. “C’è un collegamento fra le due cose? Mi baci e poi vado.”
Ludger si voltò appena, usando il solito tono di voce neutro. “Amedeo, bacia il moribondo.”
“Lù fallo tu. Io lo prenderei a pizze.”
Sebastiano scandì lentamente le parole. “I giovani possono essere così poco indulgenti.”
Ludger si ritrovò a pensare alle somiglianze tra loro, a come se il vetro potesse divenire specchio, mentre il tempo passava e gli occhi neri si chiudevano lentamente. “Non ho intenzione di occuparmi di te stasera, ma abbiamo diversi soccorritori più o meno collaudati. Non hai fatto una cosa furba.”
Sebastiano rispose con un mormorio appena udibile e Ludger poggiò le labbra sulle sue, che reagirono appena.
Sorrise debolmente. “Grazie Ludger, ora sono pronto per vomitare.”
Erano circondati dai loro amici: Amedeo e Andrea si trovavano a pochi passi ma non si avvicinarono; Tommaso li raggiunse, e mise un braccio intorno al torace di Sebastiano per sostenerlo.
Lorenzo parlò con la sua tipica disinvoltura. “Posso occuparmene io?”
Sebastiano lo guardò, cercando di metterlo a fuoco mentre lui gli sorrideva.
“Non sarebbe la prima volta, ma probabilmente tu non puoi ricordarlo. Dai, vieni.”
Lorenzo, dopo essersi arrotolato le maniche della camicia e legato i capelli, lo prese in consegna da Tommaso e si diresse verso il bagno del corridoio.
“Mi difenderesti anche dalle ‘pizze’ di mio fratello?”
Il tono di Lorenzo era divertito. “Anche questa scena non sarebbe inedita, per fortuna Amedeo almeno non strilla.”
Sebastiano si fermò davanti allo specchio in bagno; la sua immagine riflessa gli ricordò l’ultimo incontro con il padre. Allontanò quel pensiero scuotendo la testa, per poi cercare di legarsi i capelli senza riuscirci: furono le mani di Lorenzo a fermare la coda.
“Grazie, adesso lasciami e accomodati pure dove vuoi. Dovrei farcela da solo. Che palle.”
Lorenzo lo accompagnò comunque, ma fino a quando Sebastiano non ebbe finito, si tenne a distanza. Gli tornò tornò accanto per aiutarlo a rialzarsi, sostenendogli le spalle mentre si lavava il viso e i denti. “Ti senti meglio? Cosa preferisci fare ora?”
“Sediamoci un po’ su questa bellissima vasca che hai scelto per me. Sono stremato. Mi hai soccorso tante volte? Me ne ricordo vagamente una, a casa mia. Diocristo quanto strillava Adriano, è vero.”
“Quella peggiore non puoi ricordarla, ti abbiamo portato all’ospedale completamente incosciente. Adriano in quell’occasione è stato ingestibile, per poco non ci hanno arrestato. Io non ho mai capito… lui aveva tutta una serie di teorie sulla tua fattanza, ma era in grado di condividerle solo gridando, di conseguenza non ne parlavamo. Stasera di nuovo non comprendo, ma avrai certo avuto le tue ragioni. Oppure era soltanto uno stratagemma per baciare Ludger?”
La risata di Sebastiano gli fece provare un profondo sollievo, che però si spense in fretta.
“Perché non siamo riusciti a salvarlo?”
Lorenzo abbassò il viso senza distogliere lo sguardo, sciolse i propri capelli iniziando ad annodare l’elastico tra le dita. Non avevano mai affrontato quell’argomento, e lo trovava doloroso. “Perché Adriano non voleva essere salvato. Questa è l’unica risposta o consolazione che sono riuscito a trovare. Io non mi sono risparmiato, ho fatto tutto quello che potevo ma era sufficiente, e non sarebbe potuto mai bastare. C’era una bestia pazza in lui che non si saziava mai. Penso tu lo sappia meglio di chiunque altro… Anche tu, in questo momento, non mi sembri del tutto in salvo. Spero che sia soltanto un caso isolato, spero che abbia ragione Ludger e che tu non sia portato per l’alchimia. Mi sembra un miracolo averti ritrovato, così come sei ora… per favore, non te ne andare. Per il poco che può valere il mio punto di vista… vorrei che tu avessi la certezza che per me sei una persona preziosa, e sarei disposto a fare l’impossibile per non farti perdere ancora.”
Sebastiano continuava a sentire la sua presa salda intorno alle spalle; era debole e quel contatto gli dava conforto. Si sentiva profondamente confuso.
“Perché mi volete bene? Non ho mai avuto tanti regali come stasera. E poi tu. Perché mi dici queste cose così… sembra che parli di un altro. Come puoi. Tu che mi hai visto prima, proprio tu che sei l’unico che può avere un’idea di cosa ci sia stato prima. Se ci penso vomito ancora.”
“Sebastiano, temo tu abbia una percezione distorta di quello che visto prima. Di quello che eri prima, forse di quello che sei. Vivevi di estremi, è vero, ma non hai mai fatto male a nessuno. Io ho amato profondamente Adriano, e a lui hai sempre e solo fatto del bene. Eri l’unico a riuscirci, e io ho visto soprattutto questo.”
Sebastiano si ancorò con le mani al lavandino, restando in silenzio alcuni minuti. Si sentiva vuoto, esausto: le parole di Lorenzo sembravano uscite da un sogno ossessivo e brutalmente realistico. “Lasciami pure, ce la faccio. Ci sono momenti in cui tutto quello che mi circonda mi fa paura, e mi è estraneo… e altri in cui mi chiedo perché tutti non vivano così, perché persone come Adriano non abbiano potuto vivere così. Ma la risposta è ovvia. E tu lo vedi… stasera mi sembra di parlare con una parte della mia testa che si è risvegliata per la chimica sbagliata, e non con te. E forse anche quella parte di testa è sbagliata. Adriano non voleva essere salvato. Adriano non sarebbe andato all’aeroporto quella notte. Adriano bruciava e brillava e niente e nessuno poteva fermarlo. Era lui ad alimentare il fuoco che lo ha mangiato. La benzina erano i troppi errori, e il troppo odio. E lui era così buono… povero ragazzo. Non sarebbe riuscito a vivere così… e anche io non riesco… non riesco del tutto.”
“A calmare la bestia. Senti, il fatto che hai mollato con il sesso e l’eroina è una delle metamorfosi più radicali che abbia visto. Non so cosa ti manchi, ma non credo sia questo. Forse tante cose… sei un individuo incantevole, è molto facile adesso volerti bene. Anche per una persona banale come me. Stare a contatto con te mi ha sempre dato un senso di esaltazione, simile a quello provato da adolescente. In ogni circostanza… anche qui e adesso, in bagno come due teenager. Hai qualcosa che fa brillare il momento che vivo, e mi sembra un paradosso crudele che tu non riesca a coglierlo. Forse dovresti dare respiro a quella parte di testa sbagliata, che forse così sbagliata non è. Lasciati essere quello che sei. Evita di fare cazzate, sarebbe così triste.”
Sebastiano pensò a quell’ultima frase: le sue cazzate sarebbero state tristi, e si chiese da quale punto di vista; non si capacitava del fatto che tante persone si fossero legate a lui. Per la prima volta vide il proprio rapporto con Amedeo come una fonte di potenzialità e connessioni, che soltanto negli ultimi mesi erano riuscite ad emergere grazie a un contatto quotidiano. Dopo tantissimo tempo i filtri si erano progressivamente assottigliati, con lui e con chi li circondava. L’evoluzione dell’amicizia con Elisa dimostrava quanto il cambiamento fosse stato radicale.
“Non sto bene. Pensavo alla bellezza sprecata, prima, con la tua donna. Lei sembrava molto colpita, ma parlavamo d’altro. Forse entrambi parlavamo d’altro. Ti ringrazio Lorenzo, non sono in grado di valutare davvero per cosa. Sei troppo generoso. E io ne approfitto. Stasera non voglio dormire da solo. Potete fermarvi? Ho un rifugio mio qui a fianco, non te lo farò arredare.”
Lorenzo restò in piedi al suo fianco, calmo. Era consapevole che quella richiesta fosse una testimonianza importante di come Sebastiano stava assorbendo quel momento, e ne era felice. “Hai abbastanza letti?”
“Certo. Adesso torniamo dagli altri. Devo scusarmi con Andrea per aver vomitato il rum buonissimo che mi ha regalato.”
In soggiorno il tappeto di incarti era stato smaltito, e gli altri si erano accomodati sui divani. Sopra il tavolo c’erano nuovi calici, mentre il gatto si arrampicava sulle spalle di chiunque provasse a tenerlo in braccio. Sebastiano e Lorenzo sentirono le risate e i toni scherzosi già dal corridoio. Sebastiano era molto sollevato per non aver rovinato la serata, e Amedeo lo accolse con un abbraccio, prima di prendergli la mano accompagnandolo fino al divano: pochi minuti dopo Sebastiano già sorseggiava un té sgranocchiando grissini. Quando iniziarono i saluti prese da parte Lorenzo per ringraziarlo.
“Non preoccuparti, non c’è bisogno di organizzare un bivacco, stanotte dormo con loro. Amedeo me lo ha ordinato e io non penso di voler fare la fatica di staccarmi da lui, stasera. Sono troppo debole. Ti ringrazio, davvero, ti sono profondamente grato.”
Lorenzo era felice. Negli ultimi tempi si erano avvicinati, ma le loro conversazioni erano sempre state superficiali, ed era contento di aver avuto un’opportunità per stargli vicino in modo diverso. “Grazie a te, in bagno è stato bello… mi sento più giovane. Per stanotte non starti a crucciare, a volte non è necessario fare troppi sforzi. Conta sempre su di me… Quando hai iniziato a chiamare Amedeo con il suo nome?”
“Ho iniziato a volerlo da un po’. Eravamo su un albero. Ma faccio fatica ad abituarmi.”
L’ultima settimana dell’anno il tempo passò lentamente; avevano sospeso tutte le loro attività: la maggior parte dei loro amici erano partiti, e trascorrevano intere giornate senza uscire di casa. Le ore passate sembravano occupare poco spazio, come se fuggissero più velocemente del solito. Ludger sosteneva che doveva essere un effetto collaterale della vacanza. Amedeo si gustava quelle giornate con una pigrizia insolita per lui: smise di andare a San Lorenzo e di allenarsi, perché da gennaio avrebbe iniziato a seguire un corso in una palestra. Il gatto si era ambientato, e loro iniziarono a scrivere nomi su dei foglietti che infilavano in un vaso, senza decidersi ad estrarne uno. Ogni volta che il clima lo permetteva Sebastiano portava il cucciolo al parco, per fargli mantenere l’abitudine ad uscire. Amedeo e Ludger non si stancavano di farlo giocare correndo in casa, nascondendosi dietro gli angoli.
Videro alcune mostre, Amedeo partecipò alle prove del nuovo gruppo di Ludger. Sebastiano decise di andare a giocare a scacchi con suo padre, come facevano un tempo quando era piccolo, d’inverno.
Passarono la maggior parte del tempo in casa a leggere, suonare e vedere vecchi film.
Il trentuno dicembre estrassero dal vaso il nome “It”, come il personaggio di una vecchia serie amata molto da Amedeo; Ludger era sollevato, perché temeva venisse pescato uno dei tanti nomi ridicoli che avevano proposto per gioco.
Sebastiano annunciò che avrebbe passato la serata con degli amici di Elisa e Lorenzo, e si sarebbero portati dietro Tommaso. “A meno che tu, Ludger caro, non lo voglia come spalla per sopravvivere alla serata di Andrea.”
Ludger chiamò Tommaso per chiedere cosa volesse fare, e lui confessò che avrebbe preferito restare a casa da solo, perché il suo compagno sperava di raggiungerlo dopo la mezzanotte.
Sebastiano provò un sentimento che somigliava all’invidia per la decisione di Tommaso, ma Lorenzo era stato talmente felice quando aveva accettato il suo invito che non se la sentiva di tirarsi indietro. “Forse dovrei davvero restare con It, ma non avrei mai il coraggio di dirlo ad Elisa e Lorenzo.”
Ludger gli passò un braccio sulle spalle. “L’entusiasmo con cui intraprendi qualsiasi attività suscita sempre la mia più profonda ammirazione.”
“Dovrei addestrare il felino ad attaccare a comando. Togli quel braccio o ti mordo.”
Ad Amedeo dispiaceva che non sarebbero stati insieme quella sera, ma cercò di non darlo a vedere. Anche se accettava la decisione di Sebastiano aveva deciso di lavorare quella sera credendo che lo avrebbero seguito entrambi. “Ti penserò a mezzanotte. Puoi farlo anche tu?”
“Però se stai pomiciando con Ludger lascia stare. Puoi anche far passare qualche minuto.”
Amedeo rise. “D’accordo. Mi manderai dei messaggi? Io spero che riusciremo almeno a vederci al rientro, sarebbe bello.”
Sebastiano si fermò ad osservarlo con più attenzione. “Se ci tieni così tanto mi faccio trovare sveglio. Ludger lo fa sempre, per una volta potrei sopravvivere anch’io. Mi sembri particolarmente malinconico, perché. Vorrei fosse una serata come le altre, non mi sembra così significativo attraversare un millennio. Ora che ci sono arrivato la cosa mi lascia completamente indifferente. Non devi preoccuparti di niente. Sarò in buona compagnia, e lascerò le pillole a casa.”
Elisa e Lorenzo salirono per salutarli: lei indossava il vestito che le aveva regalato Sebastiano pochi giorni prima, entusiasta all’idea di passare quella sera insieme. Al momento di separarsi Amedeo li abbracciò a lungo.
“Fratello, se stringi ancora un po’ mi sgualcisci la giacca. Perché fai tutti questi capricci. Ci rivedremo fra poche ore, non capisco.”
“Hai ragione, mi avete viziato.”
Elisa e Lorenzo avevano già varcato la porta, restando in attesa. Ludger passò un braccio sulle spalle di Amedeo mentre si rivolgeva a Sebastiano. “Lo tengo fermo, scappa finché puoi. Non fare cazzate stasera.”
“Ludger caro, non sarebbe cortese da parte mia collassare in quel contesto. Piuttosto. Stai dimagrendo.”
Ludger indossava dei pantaloni neri a tubo, e la maglietta dello stesso colore che Amedeo gli aveva regalato subito dopo il suo ritorno. Normalmente cercava di spezzare il colore dei suoi vestiti, come se volesse lasciare ad Amedeo il nero, che su di sé risaltava troppo.
“Poi metterò un maglione grigio, e no, non sto dimagrendo più. Che fai, ti preoccupi?”
Sebastiano lo abbracciò per pochi secondi prima di varcare la porta.
“Certo, sempre. Fai ubriacare il fratellino, attaccalo a un container se dovesse servire. Io starò bene. Siete bellissimi.”
Sebastiano aveva lasciò le pillole a casa dopo averne preso una dose ragionevole. Avrebbero trascorso la serata con alcuni conoscenti di Lorenzo che aveva già incontrato alcune volte; il suo amico era stato autorizzato a raccontare qualsiasi cosa necessaria ad evitargli seccature. Non aveva idea della quale avesse escogitata da Lorenzo, ma gli era riconoscente: pochi arrivavano a varcare una soglia di interesse che lo avrebbe messo in allarme, e le poche volte che era accaduto non c’erano stati incidenti. Elisa e Lorenzo non lo lasciavano mai da solo a lungo, e lui era consapevole di quanto entrambi fossero una presenza preziosa. Non si erano più visti dalla cena in cui Sebastiano aveva confidato ad Elisa di avere un figlio, in modo così naturale da confermargli quanto fosse cambiato il suo modo di rapportarsi ai nuovi amici. La trovò bellissima con l’abito che le aveva regalato, e arrivò perfino a dirle di essere dispiaciuto per non poterla prendere in considerazione come bambola.
Elisa gli sorrise mentre erano seduti in disparte. “Non posso che esserne lusingata. Brrrr. Ma temo di non essere per niente portata… mi piace un sacco giocare con te, ma il feticcio mi mette in allarme. Ti va di seguirmi in bagno? Ho bisogno di uno specchio.”
Accostarono la porta: la stanza era completamente rivestita di specchi e resine nere impastate nel glitter. Scherzando per la sobrietà del luogo lei si tolse una ciglia dall’occhio, mentre Sebastiano osservava il suo riflesso ripetuto all’infinito dal gioco di specchi. La musica arrivavaa attenuata, così come le voci più vicine. Erano già leggermente ubriachi.
“Ti andrebbe di parlarmi di tuo figlio? Non sai quanto ci ho pensato. Solo se ti va però.”
“Sorellastra potrei anche farlo in un luogo meno riflettente. La tua bellezza moltiplicata mi distrae. Magari anche con un altro calice di prosecco. Sei sicura. Non vorrei appesantirti con le mie storie tetre. Del resto mi definivi così in tempo. ‘Il tetro’. Probabilmente avevi ragione, ma non vorrei fosse un peso per chi mi tollera con tanta gentilezza.”
Elisa si girò verso di lui, per guardarlo negli occhi. “Tu non hai idea di quanto io sia felice di averti qui con me, adesso. Ogni persona importante richiede uno sforzo, ma per me è sempre e solo una grandissima gioia poterlo fare, altrimenti che vivrei a fare?” Pensò a Giulia, al suo chiudere sempre di più il cerchio delle persone alle quali consentiva di raggiungerla, alla sua necessità di ribadirle in continuazione che ogni faccia era un peso per lei. La sapeva in casa da sola quella sera, barricata nella propria solitudine, mentre non molto tempo prima l’avrebbe seguita ovunque. Non voleva parlarne con Sebastiano, perché esisteva una palese antipatia tra loro due.
Lui colse l’intensità del suo sguardo, e credette di riconoscere un eco delle parole di Ludger nelle sue. Lo considerò un processo del tutto naturale. “Ti ringrazio. Anche io spero di diventare così, prima o poi. Magari per caso, inciampando. Quanto sei bella quando sorridi.”
“Tu sei già così.”
Lui rimase completamente indifferente. “Grazie. Non ci credo, ma grazie. Hai finito. Andiamo.”
Continuarono a parlare su un divanetto; quando qualcuno si avvicinava cambiavano discorso, e Sebastiano ripercorse le tappe della sua storia con Nina con lei. Cercò di mantenere un equilibrio tra il tanto che gli aveva dato e quello che gli aveva tolto, definendolo inquantificabile nella propria esperienza. Lei continuava ad ascoltarlo con attenzione, cercando di collocare quell’ultimo pezzo importante della sua storia nel puzzle di una vita che le sembrava straordinariamente complessa.
Sebastiano continuò a sorseggiare il suo calice con tranquillità. “Non mi piace creare separazioni nelle coppie con le mie storie, parla a Lorenzo anche di questo. Fallo presto, e specifica che io sono d’accordo.”
Nessuno si era più avvicinato a loro: erano riusciti a ricavarsi uno spazio esclusivo in un angolo di quella festa rumorosa.
Lei abbassò gli occhi pesantemente truccati. “Lorenzo ha notato l’anello che porta Amedeo, lo ha riconosciuto. Fino a che lo indossava con la mia collana, nascosto sotto i vestiti, non lo aveva visto. Amedeo lo sa che lo aveva portato anche Adriano?”
“Quell’oggetto ha una storia di secoli, che non conosco. Era di mio padre. Amedeo sa che è importante per me. Non credo di avergliene parlato, lo ha fatto mio padre al posto mio. Mi ricordo benissimo quando gliel’ho dato. Lui mi ha regalato questo. È stato un momento bellissimo.”
Elisa accarezzò la fede larga e piatta che Sebastiano portava all’anulare della mano sinistra; l’aveva già notata altre volte, perché contraddiceva il sui rifiuto radicale di indossare qualsiasi tipo di orpello. Lasciò andare la mano per accendersi una sigaretta. “Lorenzo penserà di aver trovato la soluzione a tante cose difficili da capire… con la storia del piccolo Luca. Io non la vedo così. Sicuramente è un tassello importante, ma sono convinta non sia il solo.”
“Dovresti farlo parlare con Amedeo, sull’impossibilità di contenere e capire per intero ciò che è ancora vivo, e quindi incompiuto. Partendo magari da Michelangelo. A me lo ha suggerito Ludger, e gliene sono grato. Come di tante altre cose.”
Pochi minuti dopo Lorenzo si unì a loro; mancava poco alla mezzanotte, chiese se avessero intenzione di andare in terrazza con gli altri per brindare e vedere i fuochi d’artificio.
Sebastiano si alzò senza esitazioni. “Non mi voglio risparmiare niente. Penserò ad Amedeo come richiesto, anche se spero che Ludger riuscirà a farglielo dimenticare.”
Elisa lo seguì confessando che aveva fatto la stessa richiesta anche a lei, ma non era la prima volta. Si arrampicarono su scalette ripide, sentendo il frastuono avvicinarsi, fino ad arrivare in una terrazza spaziosa.
Sebastiano riprese a parlare appena finito di salire le scale. “Tanto romanticismo rasenta lo stucchevole. Temo che con l’arrivo del gatto ci siamo definitivamente trasformati in una famiglia di pensionati sentimentali.”
Un ragazzo seguiva il conto alla rovescia da una radiolina, e diffondeva gridando i numeri decrescenti; puntarono lo sguardo al cielo, che esplodeva di colori a perdita d’occhio. Elisa prese una mano di Sebastiano e una di Lorenzo, e gridò di essere felice; Lorenzo le baciò le labbra poco prima di raggiungere lo zero. Sebastiano le strinse forte la mano tiepida, che ricambiò la sua stretta; chiuse gli occhi pensando ad Amedeo, a Ludger e al proprio Olimpo di fantasmi, riconoscente per il contatto con la mano di Elisa, che lo manteneva ancorato al tempo presente con calore.
Appena rimasti da soli Amedeo bloccò Ludger in corridoio, iniziando a baciarlo; lui aveva opposto poca resistenza, rinunciando all’idea di arrivare in orario all’appuntamento con i loro amici. Corsero in motorino a una velocità inedita, arrivando a casa di Claudio a cena iniziata. Amedeo si assunse tutta la responsabilità del ritardo ma erano talmente allegri che nessuno lo sottolineò; anche Andrea evitò di fare qualsiasi commento. Ludger aveva già partecipato alle loro serate, le ‘creature della notte’ lo avevano sempre fatto sentire completamente accettato; in quelle occasioni trascorreva non solo molto tempo seduto al bancone o alla console, ma anche parlando e bevendo in compagnia di quei ragazzi mentre lui ballava. Il modo di muoversi di Amedeo era cambiato negli ultimi mesi; Andrea non perdeva occasione per manifestare il proprio sollievo, perché risultava evidente che in quei movimenti non ci fosse più ambiguità, malgrado i contatti e gli abbracci.
Quella sera Amedeo chiese a Ludger di accompagnarlo anche in pista, sostenendo che ormai aveva ormai recuperato abbastanza equilibrio per farlo. Insistette con tanto che Ludger arrivò a considerarlo possibile, e Amedeo lo ringraziò con un sorriso che sciolse definitivamente ogni sua resistenza. All’arrivo della mezzanotte si trovavano alla console con Claudio che fermò la musica: per alcuni secondi la sala restò al buio, in un silenzio innaturale. In quell’esatto momento Amedeo pensò a Elisa e Sebastiano, e subito dopo premette le labbra contro quelle di Ludger prima di far ripartire la musica con il pezzo God Save the Queen dei Sex Pistols; tornò a baciarlo mentre lo spazio circostante si illuminava con un boato assordante, che coprì la musica e ogni altro suono. Ludger lo strinse con forza, restando in silenzio perché sarebbe stato impossibile parlare in quel caos. Sorrisero nel separarsi e Amedeo riprese le cuffie scandendo un ringraziamento. Andrea li aveva osservati da lontano, in compagnia di una ragazza con cui aveva iniziato a uscire; lei lo prese in giro senza cattiveria per il fatto che aveva gli occhi lucidi.
Sebastiano mandò ad Amedeo diversi messaggi quella sera, nei quali si limitava a ripetere la formula del fin qui, tutto bene, e soltanto nell’ultimo fece uno sforzo in più.
– Ho pensato a te guardando la città in fiamme da un tetto. Ai fantasmi. A te e Ludger. Se al ritorno sarai ancora in balia delle tue crisi sentimentali svegliami. Ti autorizzo. Spero vi siate baciati in una grotta piena di animali sudati. Forse lo state facendo anche ora. Perchè i vostri baci annullano qualsiasi inutile contesto. Tutti i contesti possono essere inutili. Andrò a dormire, It mi sta covando nel vostro letto. Ti amo fratello. –
Amedeo fu felice di saperlo al sicuro e del tono del messaggio. Comprese di essere stato preoccupato per Sebastiano quella notte, più di quanto avesse creduto.
Nelle prime ore del mattino Claudio suonò il pezzo che Amedeo gli aveva chiesto nella speranza far ballare Ludger; la pista era ancora molto affollata, e lo sarebbe rimasta fino a quando avrebbero acceso le luci a fine nottata. Entrambi erano molto ubriachi, ma i loro movimenti non ne risentirono: restarono in pista per la durata di alcuni pezzi tirati, guardandosi spesso tra loro e ridere senza suoni. I capelli di Ludger prendevano i colori delle luci, come una cometa ondeggiante, e Amedeo era euforico: aveva desiderato a lungo di poter vivere quel momento. Quando Ludger gli prese un braccio per portarlo fuori dalla calca lo baciò ancora, appoggiandosi allo stesso pilastro della prima volta; lo premette con decisione contro la superficie di cemento.
Ludger lo allontanò ridendo. “Tesoro basta… non voglio esagerare con lo spettacolino.” Gli sfiorò il viso con le dita fredde, sorridendo con dolcezza.
Amedeo si sollevò sulle punte per sussurrargli a un orecchio. “Sei la cosa più bella.”