Nei primi giorni del nuovo anno continuarono al ritmo rallentato con cui avevano concluso il precedente; al ritorno dei loro amici ripresero progressivamente le loro normali attività. Ludger chiese ad Amedeo di accompagnarlo a Berlino, come unico regalo di compleanno. Sarebbero partiti l’ultima settimana del mese, lasciando a casa Sebastiano e il gatto; Amedeo aveva cercato di convincerlo a seguirli, ma lui era stato irremovibile. Una mattina si unì a Sebastiano nella sua solita passeggiata, determinato a fare un ultimo tentativo. Amedeo non si era arreso al primo rifiuto, perché vedeva Sebastiano scivolare di nuovo nell’indolenza: malgrado avesse ripreso a frequentare le lezioni e ad uscire spesso con gli amici, sembrava quasi sempre indifferente a quello che lo circondava. Malgrado il clima inospitale gli propose di arrampicarsi insieme su un albero ma Sebastiano rifiutò, e quando tornò a parlargli della possibilità di seguirli a Berlino assunse un tono leggermente infastidito.
“Per favore non chiedermelo più. Non voglio venire con voi. Noi tre non siamo una coppia allargata. Ludger è adorabile, e sai bene quanto tu sia importante, per me. Ma io resto fuori dal cerchio. Quando siamo andati a Venezia mi sono maledetto per non aver avuto la forza di restare a Roma da solo. Adesso ce la faccio. Ho diverse persone intorno, e molte cose che mi tengono impegnato. Posso anche portare a cena Helga, sto bene con lei, ma mi fermo qui. Ti prego, non me lo chiedere più.”
Il padre di Amedeo tornò a Roma la seconda settimana di gennaio, con il proposito di conoscere meglio Ludger e la nuova vita del figlio; Ludger e Amedeo decisero di invitarlo a cena.
Sebastiano propose di coinvolgere anche Elisa. “Perché già si conoscono, e penso che la sua presenza aiuterebbe un po’ tutti. Io credo che indosserò scarpe e camicia, a maniche corte.”
Quando Amedeo andò a prendere il genitore in albergo si sentì nervoso. Sapeva di aver recuperato quel rapporto più di quanto avesse sperato, ma non era ancora in grado di gestirlo con spontaneità; il pensiero che le persone che gli erano più care lo stavano aspettando a casa gli diede molto conforto.
Anche suo padre ammise di essere teso, e restò seduto rigidamente in macchina. “Te lo voglio dire per non rischiare di essere frainteso… Non ho paura di vedere cose che non mi piacciono. Non mi interessa, se tu sei contento a me va bene tutto, ho paura di non essere… ho paura di non piacere al tuo ragazzo.”
Amedeo rise di gusto, un tipo di risata che l’altro era certo di non aver mai sentito: rimase senza parole vedendolo girarsi sorridendo verso di lui.
Amedeo parlò con voce ferma ma velata di dolcezza. “Papà, non devi preoccuparti di niente. Credimi, non ne hai motivo. Ci saranno anche Elisa e Sebastiano, che conosci già meglio. Tu comportati con naturalezza, a casa nostra lo fanno tutti.”
In risposta si limitò ad annuire, sentendosi più sereno. Al momento di scendere dalla macchina avvertì di nuovo una certa insicurezza; non conosceva il quartiere di Roma dove viveva il figlio, e osservò con attenzione il complesso residenziale dov’erano diretti. Chiese se l’appartamento in cui vivevano fosse in affitto, ma Amedeo lo interruppe.
“È di Ludger, la sua famiglia penso si possa definire decisamente benestante. Io non potrei mai permettermi di dividere un affitto qui.” Respirò profondamente, fermandosi per guadagnare un po’ di tempo. “Anch’io all’inizio mi sono fatto tanti problemi con questa cosa… ne ho sofferto molto. Però poi ho capito che davvero non è importante. Per me è importante solo lui. Il resto potrebbe anche sparire. Io ho le mie cose, il mio lavoro e la mia stanza, lui ha le sue. Abbiamo chiavi doppie di tutto ciò che è nostro. Il resto non ha importanza.”
Il padre voltò a guardarlo negli occhi, seguendolo con attenzione.
“Papà, quando io ho conosciuto Ludger lui era immobilizzato su una sedia a rotelle, era così chiuso nel suo mondo che quasi non parlava più… e tante altre cose difficili da spiegare… è pazzesco. Ancora adesso non mi capacito della fortuna che abbiamo avuto a incontrarci, eravamo come due condannati a morte. Adesso siamo felici. Il posto è questo e il momento è adesso. Non mi interessa altro.”
L’intensità dello sguardo e delle parole di suo figlio lo colpirono profondamente. Ripresero a camminare per raggiungere l’ultima palazzina in fondo al giardino; lo seguì in silenzio ricordando le corse e i sorrisi con i quali lo accoglieva a casa da bambino. Le emozioni manifestate in quelle occasioni erano state altrettanto vive, come quando gli si sedeva sulle ginocchia parlando di dinosauri e delle sue altre ossessioni, che in quel tempo lontano condivideva solo con lui. Dovette fermarsi per trattenere le lacrime: aveva pensato che quel bambino fosse scomparso per sempre, mentre in quel momento capì che era stato costretto a nascondersi e provò di nuovo dolore e rimpianto. Amedeo si girò, incantandosi nel vederlo con gli occhi lucidi e un sorriso tremante difficile da interpretare; il padre riconobbe il suo modo di staccarsi da ciò che aveva di fronte e di come sua figlia lo avesse sempre definito scemo, in quelle occasioni.
Si tolse le lacrime dagli occhi. “Sto bene, non preoccuparti. Quello che hai detto mi ha colpito, ma in positivo. Invecchiando sto diventando sentimentale.”
Amedeo era confuso, e scandì lentamente: colpito in positivo.
“Sono felice di sentirti parlare così… me lo avevi detto che sei innamorato e sei felice, adesso lo capisco meglio e sono contento. Non so se le persone cattive vadano all’inferno, ma inizio a credere che se lo costruiscano qui. E tu sei buono, lo sei sempre stato.” Notando la sua incertezza, il padre gli domandò se stesse bene.
“Benissimo. Saliamo.”
Furono accolti dalla musica e dal suono della risata di Elisa, che volteggiava nel soggiorno insieme a Sebastiano. Amedeo sollevò verso il soffitto It, mentre il gatto emetteva delle fusa molto rumorose; si fece annusare il viso, ma non lo prese sulla spalla perché la giacca di cuoio non avrebbe fornito appigli. Ludger si avvicinò, e strinse la mano al padre di Amedeo ridendo per l’accoglienza del gatto, che prese in consegna appoggiandolo sulle proprie spalle. Anche Sebastiano gli strinse la mano, ed Elisa gli baciò le guance dicendo che era bellissimo vederlo lì. Ludger lo invitò a fare il giro della casa continuando a tenere It sulle spalle; sorrise raccontandogli di come Amedeo avesse curato quegli spazi quando lui era ricoverato in clinica, per accelerare il recupero dopo l’incidente. Il padre di Amedeo lo ascoltò con attenzione, cercando di ricostruire la propria versione di un mondo che gli era completamente estraneo nel quale collocare il figlio, che non voleva perdere.
Amedeo li raggiunse, spinto da Elisa. “Papà, la versione di Ludger è sempre un po’ esagerata. Il lavoro importante lo ha fatto un amico architetto, il ragazzo di Elisa. Senza di lui non credo che gli operai sarebbero riusciti a capire quello che avevo in mente.” Rise, divertito nel vederli insieme.
Ludger scherzò della sua modestia aggressiva con il cucciolo sulle spalle, che non smetteva di fare le fusa. Il padre li guardò rapito, tenendo il calice che gli avevano offerto davanti a sé, senza bere.
“Papà, di’ qualcosa.”
“Come si chiama il gatto?” Pensò che spostando il discorso su un argomento innocuo sarebbe stato più facile interagire; parlarono di It sorridendogli. Tutto quello che lo circondava gli sembrava bello e diverso, un mondo nuovo con il quale non avrebbe mai immaginato di entrare in contatto. Trovava una traccia di suo figlio in ogni piccolo dettaglio che metteva a fuoco; era felice delle espressioni che animavano il viso di Amedeo, come dei suoi movimenti sciolti e naturali.
Sebastiano annunciò che la cena era pronta, e Ludger sollevò It per depositarlo con dolcezza sul letto, dove si accucciò con un lamentino rauco.
Al padre di Amedeo sfuggì un commento innocente. “Non usi più il bastone, sono contento che tu non ne abbia più bisogno.”
Trovò la loro camera e il letto assurdamente grandi, ma era contento di riuscire a stare a contatto con il ragazzo di suo figlio senza imbarazzo; il senso di straniamento veniva da tanti fattori differenti, e non si focalizzava su quello specifico dettaglio. Ludger gli sorrideva spesso, rivolgendosi a lui con una gentilezza che sembrava del tutto naturale, che lo rendeva felice. A tavola la conversazione proseguì in maniera fluida: Elisa era raggiante e offriva spunti inesauribili che decollavano con facilità, facendo passare quelle ore con leggerezza.
Quando Amedeo riaccompagnò suo padre in albergo si sentì sollevato per la serenità con cui gli parlava di Ludger. Gli disse di essere contento di averli potuti incontrare e conoscere meglio, e soprattutto di saperlo circondato da così tanto affetto.
Appena arrivati a Berlino Ludger e Amedeo lasciarono i bagagli in albergo per uscire immediatamente. Quel viaggio si rivelò una corsa frenetica nella quale non riuscirono a concedersi tregue, le loro giornate iniziavano tardi per recuperare il sonno trascurato durante la notte. Non riuscirono a visitare tutti i musei che Amedeo avrebbe voluto vedere e il freddo limitava il tempo che riuscivano a passare all’aperto; di sera non riuscivano a rinunciare a bere e ballare nei locali dove una cugina di Ludger, Gerd, li portava. Lei si rivelò instancabile: conobbero molti dei suoi amici, trovando in ogni luogo un’atmosfera così accogliente che si ritrovarono a programmare di tornare entro la fine dell’estate. Amedeo era profondamente affascinato dalla storia della città, e non si stancava mai di ascoltare i racconti delle persone con cui veniva a contatto.
In un pomeriggio particolarmente mite avevano visitato alcuni negozi di modernariato, ed Amedeo si era incantato molte volte per il design rétro degli oggetti in vendita. Carichi di buste si rifugiarono in a bere in un locale aspettando Gerd per andare a cena. Ludger sfogliava distrattamente alcune riviste mentre Amedeo non si stancava di guardarsi intorno, affascinato dagli interni arredati con oggetti di recupero: gli sembravano sempre interessanti, quasi di un’eleganza decadente. Pensò che gli sarebbe piaciuto avere Sebastiano lì per parlargli di quello con cui veniva a contatto, anche soltanto della tappezzeria di velluto che lo attraeva al punto da fargli desiderare di toccarla.
“Gerd mi ha mandato un messaggio, dice che stasera vorrebbe portarci in un locale gay, te la senti?”
La voce di Ludger riportò Amedeo al momento presente. Sorrise. “Certo, così magari posso anche baciarti, adoro baciarti quando balliamo… poi mi sono piaciuti tutti i posti dove ci ha portato finora, Gerd è davvero carina. A Roma non mi viene da andarci perché il weekend lavoro, e mi piace stare anche con Sebastiano… e lui lo sai come la pensa… già per i concerti è uno strazio, e quando incontra qualcuno mi imbarazzo tantissimo… comunque mi ha mandato il suo messaggio quotidiano, e quindi per oggi possiamo darlo per archiviato… però continua a dispiacermi che non sia qui con noi.”
Ludger abbandonò la rivista aperta sul tavolo, sorridendo. “A Roma non vorrei andarci neanch’io. Mi viene da ridere a immaginarti a ballare Raffaella Carrà al Mucca. Con Tommaso e il suo gruppo mi limito ai pub e alle cene, Sebastiano invece lo frequenta sempre e solo in modalità esclusiva. Sai, sono molto contento della loro amicizia… Tommaso ci si trova molto molto bene, ma ha anche bisogno di uscire e di immergersi nella confusione. Credo sia giusto e, quando mi capita, lo accompagno volentieri… soprattutto considerando che con il suo compagno non può condividere niente di vagamente sociale. I suoi amici poi non sono così molesti, anzi, li trovo simpatici. Magari una volta vieni con noi quando non lavori, ma le serate danzerecce me le risparmio volentieri, anche perché sono un rimorchio continuo e la musica è pessima. Quella di stasera è una serata con musica elettronica, e sono abbastanza sicuro che balleremo parecchio. Invece io sono contento che Sebastiano non sia con noi. Non fare quella faccia preoccupata. Semplicemente con lui sarebbe stato tutto diverso, probabilmente avremmo avuto più tempo per visitare i musei e ci saremmo vissuti anche le mattine, però mi piace strafare con te. Fare tardi tutte le sere, bere da schifo, scopare in continuazione e non avere il pensiero di dover assecondare i suoi ritmi. Siamo come dei genitori in vacanza, e mi piace da impazzire.”
Ludger aveva seguito le diverse sfumature di emozioni sul viso di Amedeo, continuando a sorridere. Si avvicinò sporgendosi sul tavolo, per prendergli la mano che stava disegnando ghirigori con la condensa della bottiglia di birra. “Tesoro, non devi essere triste per quello che ho detto. Non ha senso. Voglio bene a Sebastiano, mi piace tantissimo, sono felice di passare del tempo con lui e che lo ritroveremo a casa. Posso dirti che Sebastiano è tra persone che mi piace di più, tra tutte quelle che ho incontrato nella mia vita. Il fatto che si sia impuntato per non venire non fa che consolidare la stima che provo per lui. Non mi hai mai parlato chiaramente delle motivazioni che ti ha dato, ma da qualsiasi punto di vista non posso che ammirarlo per questo. Sono contento anche perché significa che sta recuperando autonomia e sai, credo che per lui essere così dipendente da noi sia stato davvero pesante. Insomma, non devi preoccuparti di niente, sono sicuro che entrambi vogliamo soltanto che ti gusti fino in fondo questa vacanza.”
Amedeo gli strinse la mano sul tavolo, sorridendo. “Genitori in vacanza. Sicuro che non è una cosa brutta?”
“Sicurissimo. Sarebbe brutto pensare anche a dei genitori veri che non siano più in grado di prendersi una vacanza, non credi? E poi sai, anche io penso che ogni rapporto si nutra in modo particolare degli spazi esclusivi… e non vorrei che fosse trascurato proprio il nostro. Questi giorni sono una continua festa, e sono felicissimo che stiano passando così… poi, magari, fai un viaggio anche con lui… come avete fatto altre volte da giovani. Adesso muoviamoci per passare in albergo a lasciare tutta la zavorra prima di uscire di nuovo.”
Amedeo conobbe anche la madre di Gerd, una zia paterna di Ludger, ma lui evitò di fargli incontrare gli altri parenti che ancora vivevano a Berlino; li definì molto rigidi, e arrivò ad insistere affinché Amedeo visitasse uno dei tanti musei in programma mentre lui andava a trovarli.
Ludger tornò da quell’incontro di cattivo umore, ed era raro vederlo così nervoso; Amedeo lo fece parlare a lungo di argomenti che lui stesso definì poco interessanti e irritanti. I parenti con cui aveva trascorso il pomeriggio erano del ramo della famiglia di Helga, e conservavano un pessimo ricordo di suo padre: lei era riuscita a mantenere dei buoni rapporti con loro grazie alle sue abilità diplomatiche, ma per Ludger quella visita si era rivelata particolarmente faticosa.
“Perché vedono in me una forte somiglianza con mio padre, e anch’io sono stato catalogato come weltfremd. Te lo posso tradurre come spostato, non so bene perché pensino questo anche di me. Sai, per me è una grande seccatura, anche perché non mi importa delle convenzioni. Ho fatto uno sforzo per mia madre, ma sono contento che tu non ci sia stato… se avessero rivolto a te anche una singola critica avrei sbroccato di brutto.”
Erano in albergo ed Amedeo, sdraiato al suo fianco, lo ascoltava attentamente aspettando un segnale per poterlo abbracciare.
Ludger non riusciva a sciogliere la tensione che gli induriva i lineamenti. “Se non fosse per lei farei come hai fatto tu, falcerei tutte le zavorre della mia famiglia, ma per Helga è importante. Sai, mi innervosisce a bestia quando mi dicono che sembro Steinar. Io ho fatto del mio meglio con questa storia, sempre, soprattutto per mia madre… Quando ero in terapia, chi mi seguiva sosteneva che ho un irrisolto con mio padre ma, davvero, non capisco cos’altro potrei fare. Io non lo conosco e non ce l’ho con lui per essersene andato, mi sembra già un ottimo risultato. Il mio problema iniziano ad essere i ricordi che ha lasciato agli altri. Non sono utili per me, perché non sono miei e sembra che nessuno abbia nei suoi confronti una posizione neutrale. Da una parte c’è la sua famiglia e in prima linea Anastasia che lo adora, al punto di non essere attendibile. Per lei è una specie di santo martire. Gli altri hanno sempre evitato di parlarne con me. Tu hai conosciuto l’altra sorella, la madre di Gerd, sono tutti molto cordiali e affettuosi come lei, ma delle sfingi. Come anche Ravi, che era legatissimo a lui, al punto da restare ad occuparsi perennemente di me anche quando ho fatto di tutto per essere inavvicinabile. Anche mia madre non lo nomina da secoli, e la ammiro moltissimo per come sia riuscita a tollerare l’abbandono senza mai lamentarsene con me… mai, neanche una volta. Per la famiglia di Helga Steinar è un inconcludente fricchettone, e non hanno mai perso occasione di ribadirlo. Sono arrivati a criticare qualsiasi cosa, anche il fatto che non abbia mai lavorato. Sono quel tipo di persone convinte che chiunque debba farlo, anche senza necessità pratiche. Sono talmente assurdi che avrebbero preferito fosse appartenuto a una famiglia meno ricca della loro, se non addirittura in condizioni tali da costringerlo a trovarsi un’occupazione. Stavolta sono stati particolarmente molesti… forse perché mi hanno trovato bene, e quindi hanno pensato di potersi finalmente sfogare un po’, come se fosse un loro diritto… probabilmente perché anch’io non ho soddisfatto le loro aspirazioni. Non gli piaceva Nobuko, non devono aver apprezzato quello che ne è seguito e adesso che sono dichiaratamente omossossuale non studio cose interessanti, secondo loro… e non lavoro, certamente non devo sembrargli un erede ideale. Come se poi me ne fregasse qualcosa della loro eredità, o ne avessi bisogno. Ne ho palle piene. Mi può andar bene non aver avuto un padre, ma non voglio prendermi il peso dell’eredità di una persona che non conosco soltanto perché gli somiglio. Pensi che stia sbagliando?”
Amedeo gli rivolse uno di quei sorrisi che riuscivano a restituirgli equilibrio, confinando tutte le brutture in un mondo altro.
“Ma no, non credo che sbagli, anzi… mi sembra assurdo che tu me lo chieda. Se vuoi mantenere un contatto con loro per non dare un dispiacere ad Helga, devi diventare impermeabile alle critiche che ti fanno. Sono persone che non ti piacciono, di conseguenza le loro parole non dovrebbero aver peso per te. Probabilmente non riesci ad essere distaccato, perché giocano sporco mettendo in mezzo tuo padre… ma credo sia un motivo in più per lasciarli a parlarsi e sparlarsi addosso… e non è vero che non riesci a comportarti secondo le convenzioni, con mio padre sei sempre stato eccezionale.”
Le dita fredde di Ludger iniziarono, finalmente, ad accarezzargli il viso. “Tuo padre si è dovuto liberare di una serie di preconcetti prima di incontrarmi e ha fatto un buon lavoro. La fatica è stata tutta sua, io ti amo. Non ho manifestato con lui niente di diverso da quello che sono, e lui non ha proiettato su di me nessun mostro tutto suo. Sono contento che siate riusciti a recuperare, è debole ma non è cattivo. Ora però basta parlare, sei d’accordo? Ho pagato il mio pedaggio, merito di tornare in vacanza?”
Nel giorno del suo compleanno, Amedeo portò Ludger in uno dei luoghi dove scorreva la cicatrice del muro che aveva diviso la città. Molti anni prima, lì vicino, si trovava uno studio di registrazione dove era stato inciso uno dei suoi brani preferiti: Heroes. Lo ascoltarono dividendosi le cuffie, baciandosi per tre minuti abbondanti.
I, I wish you could swim
Like the dolphins
Like dolphins can swim
Though nothing, nothing will keep us together
We can beat them, forever and ever
Oh, we can be heroes just for one day
I, I will be King
And you, you will be Queen
Though nothing will drive them away
We can be heroes just for one day
We can be us just for one day
I, I can remember
Standing by the wall
And the guns, shot above our heads
And we kissed, as though nothing could fall
And the shame, was on the other side
Oh, we can beat them, forever and ever
Then we could be heroes just for one day
We can be heroes
We can be heroes
We can be heroes just for one day
We can be heroes
Amedeo aveva gli occhi lucidi, malgrado il sorriso. “Mi sembra che sia un regalo per me. Da quando stiamo insieme ho pensato così tante volte di vivere uno dei momenti più belli della mia vita, che inizio a sentirmi poco originale. Però credimi, se potessi scegliere, vorrei che la memoria mi riportasse qui un secondo prima di spegnersi. Vorrei vedere il tuo viso contro questo cielo bianco, la tua stretta ancora nelle ossa e il tuo sapore sulle labbra.”
A Sebastiano arrivarono molti messaggi di Amedeo; si impose di scrivergli almeno una volta al giorno, cercando di mitigare le tonalità cupe che dominavano i suoi pensieri. Fin dai primi giorni risultò evidente che stare in quella casa senza di loro non lo aiutava. Ripensò spesso alle parole di Amedeo: ‘la felicità rende deboli’, che trovava profondamente giuste; lo torturavano perché in quei mesi erano stati rari i momenti in cui si era sentito davvero felice, e ammettere che non capitava mai quando era solo o completamente sobrio, lo infastidiva. Era confuso e scoraggiato e detestava il senso di vuoto, causato da uno scenario che non riusciva più a sentire come proprio senza Amedeo e Ludger ad animarlo. Sarebbe stato tutto più facile se non avesse avuto It di cui occuparsi, perché avrebbe potuto concedersi una fuga. Seguiva le molte lezioni a cui si era iscritto portando il gatto con sé ogni volta che poteva, come gli aveva suggerito Elisa. Accettò un suo invito, ma una volta rimasto solo in camera di Amedeo non riuscì a leggere né a dormire a lungo. Con gli occhi che bruciavano per la stanchezza, trascorse quella notte ad accarezzare il gatto, completamente insensibile al nuovo ambiente.
Il giorno seguente si trasferì a casa del padre, dove rimase fino al loro ritorno; si stupì di riuscire a trovare un po’ di serenità proprio nel luogo dove non avrebbe mai pensato di poter trascorrere una sola notte. Decise di non raccogliere le provocazioni di Jacopo, così come aveva fatto nel pomeriggio passato a giocare a scacchi durante le vacanze di Natale, e per la prima volta non gli riuscì difficile. Si interrogò a lungo sulle motivazioni che lo avevano portato a quel cambiamento, e si convinse che i fattori potevano essere molteplici. Gli tornava spesso in mente la conversazione avuta con Helga, che aveva invitato a cena poco dopo la partenza di Amedeo e Ludger. Lei sosteneva che Jacopo soffrisse del fatto che per tutti quegli anni il loro rapporto fosse stato tanto difficile, così come era convinta che anche Sebastiano provasse un grande dolore per non essersi sentito sostenuto dall’unico genitore che gli era rimasto. Helga gliene aveva parlato con dolcezza, senza cercare di convincerlo: era certa del loro affetto reciproco, e pensava che il loro rapporto si fosse incrinato per un problema di comunicazione.
Sebastiano inizialmente provò irritazione per il suono che suo padre produceva respirando, quando era stanco; con il passare del tempo gli si insinuò il sospetto che quel fastidio fosse una reazione alla sofferenza per le condizioni fisiche di Jacopo. In alcuni momenti Sebastiano scambiava la serenità con cui incassava le frecciate per indifferenza: in quei casi provava un sollievo amaro, e finiva per sorridergli con compassione. Era una blanda difesa, perché provava pena soprattutto per se stesso. Cercò di consolarsi distraendosi, ricordando il peso che avevano le parole di Amedeo per lui e quanto quelle di Ludger fossero in grado di innervosirlo, al punto da fargli perdere il controllo. Non lo sfiorò il pensiero di non aver vissuto fino a quel momento il declino fisico di suo padre; ormai non poteva ignorarlo, e stava iniziando a sviluppare nei suoi confronti un istinto di protezione che lo rendeva più tollerante.
Sebastiano bruciava le mattinate a casa del padre dormendo nella sua vecchia stanza, chiuso con It che ne aspettava pazientemente il risveglio. Appena alzato usciva con il gatto per fare delle lunghe camminate nei boschi, nei quali passavano le ore più calde della giornata. Durante il pomeriggio parlava e giocava a scacchi con suo padre: in quel contesto ne apprezzava i modi ruvidi, e il suo registro ironico lo metteva a proprio agio. Gli raccontò molto più di quanto avrebbe immaginato possibile, ascoltando i suoi pareri con un’attenzione particolare. Nella maggior parte dei casi si trovava d’accordo con lui. Quando Jacopo lo definiva un rammollito lo accettava come una variante rude della frase di Amedeo: ‘la felicità rende deboli’.
Per il padre la sua costante malinconia era un banale effetto collaterale della scelta di vivere in piena libertà. “Quando le cose vanno male si aprono abissi senza fondo, ma sono convinto sia un prezzo che si debba sempre essere disposti a pagare, lo stesso che può garantire di non ritrovarsi alla fine con l’impressione di aver sprecato la propria vita. Certo, è alto… altrimenti non ci sarebbero così tanti coglioni in giro.”
Liquidò la storia di Nina e del piccolo Luca in modo simile a quello di Amedeo, definendola una stronza megalomane; capiva però che doveva essere stata una figura fondamentale per lui.
“Forse ti ha formato ed educato più di me. Ma tu prima o poi dovresti conoscere questo ragazzo. Prenditi tutto il tempo che vuoi, ma non fargli solo regali. Dovresti provare a capire che persona hai contribuito a mettere in questo formicaio.”
Ogni sera Sebastiano beveva molto, mentre il padre poteva concedersi soltanto un bicchiere anche se aveva una cantina inesauribile. Era lui a vincere sempre le loro interminabili partite a scacchi, ed entrambi la definivano una storia già scritta: anche se non aveva molte possibilità di batterlo, Sebastiano non perse mai il gusto di giocare.
Jacopo gli suggerì di disfarsi della casa che il figlio continuava a chiamare il cimitero, e tenere solo i ricordi liberandosi dell’esagerazione di oggetti che si ostinava a conservare. “Perché il tempo non torna mai indietro, e non sarai mai più così giovane da usare quella roba. Capisco che è un peccato, a volte potevi essere parecchio spassoso. Ma un adulto conciato in quei modi sarebbe solo grottesco. Del resto ormai ti vesti più da vecchio di me.”
L’ultima sera Jacopo arrivò a bere un secondo bicchiere, chiedendo al figlio di tenerlo nascosto al carceriere, l’infermiere che viveva con lui. Dopo molto tempo passato insieme, finalmente gli confessò di essere rimasto colpito dalla storia del piccolo Luca. Cercò di rassicurarlo usando un tono distaccato. “Non te ne devi preoccupare. So che non avrò la possibilità di conoscerlo, e mi va benissimo. La mia unica preoccupazione è per te, anche per lui, ma soprattutto per te… non vorrei che permettessi a questa storia di trasformarsi in un rimpianto. Non portarti dietro questo peso. Fino ad ora non hai fatto niente, neanche degli errori. Non permettere a quelli degli altri di diventare un problema tuo. E, per concludere… se a un certo punto capissi di esserti definitivamente rammollito potresti iniziare a lavorare a qualcosa. Un lavoro vero, come se ne avessi bisogno… In mancanza di vocazioni potresti iniziare a dedicarti alla tua terra, così come ho fatto io molti anni fa… quando, dopo la storia con tua madre, ho capito di averne avuto abbastanza della vita sociale. Oppure, in alternativa, potresti prenderti una laurea in qualcosa da poter poi criticare con cognizione di causa. So che ti sei sempre divertito a demolire le idee altrui, come me. Quando andrò a dormire, tra poco, vai nello studio e prendi la busta blu che sta nel primo cassetto. Io non l’ho aperta e non te l’ho data subito perché volevo gustarmi la tua compagnia in questi giorni. Poche settimane fa è passato il tuo amichetto di giochi e l’ha lasciata per te.” Riprese, dopo un sorso di vino. “Non mi ha fatto una bella impressione, mi è sembrato un mentecatto come tanti. Anche per questo non metterti fretta. Lui ha fatto passare una vita prima di cercarti, e io gli ho detto che non ti vedo per stagioni intere. Penso che tu abbia altre cose a cui dare priorità. Pensa a rimetterti in piedi. Hai degli amici ora, non c’è da starci male. Dici che non vorresti avere un uomo o una donna al tuo fianco, ma hai due persone che sembrano esserti molto vicine… cos’è che ti manca, allora? È difficile fermare chi se ne vuole andare. Forse è impossibile. Ed è giusto, credo… Adriano e Aline non torneranno. Così come tu non tornerai bambino a giocare con il vecchio Luca, che non esiste più. Smetti di fare i capricci, non li hai mai fatti e adesso non ti riesce bene. La vita è stronza, ma la tua non è finita, cerca di divertirti un po’. Ci sarà un modo, trova il tuo. E se l’hai già trovato, conceditelo ogni tanto.”
Sebastiano consegnò il padre all’infermiere più tardi del solito, e portò una bottiglia appena iniziata nel suo studio. Il cassetto, oltre alla busta blu, ne conteneva altre da parte dei pochi amici di Jacopo ancora in vita, gli stessi che un tempo andavano a trovarli spesso. Si spostò nella propria stanza con It che lo aveva seguito silenzioso, in attesa di potersi di nuovo sdraiare addosso a lui. Sebastiano restò a lungo con la busta tra le mani, senza decidersi ad aprirla: gli sembrava un errore, e sperava non contenesse una lettera. Continuò a perdersi con lo sguardo sugli oggetti che aveva lasciato lì; era uno scenario che aveva pensato di non rivedere, oggetti e disegni legati alla sua infanzia e a Nina. Ricordava bene il silenzio, interrotto soltanto dai suoni degli animali notturni. Lo stupì la tranquillità, o forse l’indifferenza che gli trasmetteva quel luogo; passò anche quell’ultima sera bevendo, fumando e assorbendo le parole del padre. Sorrise leggendo un messaggio inviato da Amedeo, carico di entusiasmo.
– Fratello, non vedo l’ora di raccontarti meglio tutte le cose bellissime che sto vivendo. L’idea di rivederti è l’unica consolazione che mitiga il dispiacere per la fine di questo viaggio. Ti adoro. –
Dopo avergli risposto aprì la busta, che conteneva un numero di telefono e una sola frase:
Non ho mai smesso di pensarti.
Ripose la lettera nella borsa, e tornò alla finestra per fumare. Assaporò una sensazione nuova e dolce, e sorrise pensando di non conoscere minimamente l’uomo che aveva scritto quelle poche righe. Continuò a sorridere ricordando le parole del padre sullo scorrere del tempo, gli abissi e i rimpianti. Quel messaggio veniva da un’altra strada, le parole erano giuste ma confermavano che la direzione che Luca aveva preso era sbagliata.