Fuori dalla finestra gli alberi erano ricoperti di foglie delicate e brillanti, mostrando i segni di un risveglio in forte contrasto con l’atmosfera plumbea della mattina piovosa. Giulia era seduta sulla solita sedia rivolta verso il vetro, completamente persa nei suoi pensieri. Laura la stava guardando con tenerezza e preoccupazione, da alcuni giorni la trovava distratta; avrebbe voluto aspettare che la figlia tornasse a parlare spontaneamente, ma si sentiva sempre più impaziente. La settimana precedente Giulia era arrivata in ospedale con gli stessi vestiti del giorno prima, confusa e nervosa, dicendole di aver passato la notte con Sebastiano. Laura, che aveva immaginato l’ennesima notte di corse in moto e arrampicate sugli alberi, rimase profondamente stupita dalla reazione della figlia: era arrossita abbassando lo sguardo. Giulia parlava con un filo di voce, raccontandole di essere stata a letto con Sebastiano, e non se la sentiva di parlarne ancora. In seguito non era più tornata sull’argomento. Laura era molto paziente con lei, ma da quando aveva capito che non le sarebbe stato possibile starle vicino a lungo, quella pazienza le risultava più difficile. Era consapevole che Giulia si stava ulteriormente isolando, e l’idea di lasciarla costituiva l’aspetto più straziante della sua condizione.
“Tesoro, come stai? Inizio a preoccuparmi… vieni qui per restare in silenzio e hai un musetto così triste.”
Giulia si girò verso di lei sorridendo; pensò che stava rischiando di rovinare tutto, e  non avrebbe voluto darle altre preoccupazioni. Doveva assolutamente recuperare il controllo per non vanificare lo sforzo fatto per mettere in scena la sua finta storia con Sebastiano, ma le era difficile mentire ancora. “Sto bene, solo solo confusa… e non so che fare.”
“Perché non mi racconti qualcosa? Sai bene quanto sia sempre stata felice del nostro raccontarci ogni cosa importante, in ogni circostanza. In questi giorni mi chiedo spesso se tu abbia più avuto contatti con Sebastiano.”
Lei tornò a guardare gli alberi fuori dalla finestra, rischiando di piangere per la rabbia: non sapeva cosa rispondere, e non aveva idea di come gestire quella situazione. “No. La mattina dopo mi ha svegliato con la colazione a letto, mi ha detto di chiamarlo… ha pure detto un davvero… quando avrei voluto. Sebastiano è un tipo assurdo, forse il più assurdo, ma sa essere anche molto carino. Non l’ho più chiamato. Non so neanche io il perché.”
Laura trattenne a fatica l’istinto di ridere, aveva riconosciuto l’espressione della figlia e pensava di poterla capire. “Tesoro mio… sei stata bene quella notte?
Giulia annuì con il viso imbronciato, e Laura capì che si sentiva imbarazzata.
“Allora non lo chiami perché sei orgogliosa. Hai tanti pregi ma puoi essere anche inutilmente testarda… forse Sebastiano non voleva metterti fretta, per questo ha lasciato a te la scelta di chiamarlo. Altrimenti non te lo avrebbe di certo detto. Immagino che sappia che per te… insomma, non è un evento del tutto normale… tesoro, non farne passare troppo di tempo. Da quello che mi hai detto mi sono fatta l’idea che anche lui non deve essere una persona comune… non fai che ripeterlo. E non sai quanto sarei curiosa di conoscerlo, vorrei proprio vederlo questo ‘assurdo’ ragazzo che ti coinvolge così.”
Giulia le prese una mano e la strinse, felice del divertimento di sua madre, della cura con cui sceglieva le parole e della vena di ottimismo che riaffiorava grazie a quella bugia. “Mamma, Sebastiano neanche sembra un uomo, è strano in tutto, ma molto gentile… insomma, potrebbe non piacerti. Però anche lui mi ha detto diverse volte che vorrebbe conoscerti.”
Per Laura quella rivelazione aveva un grande significato; Giulia le aveva parlato a fatica di questo ragazzo, e fin dall’inizio aveva sperato che potesse essere un punto di svolta per lei. I racconti di Giulia erano sintetici e spesso contraddittori, ma alcuni punti le erano ormai chiari: Sebastiano aveva un aspetto fuori dal comune, comportamenti stravaganti, e una natura decisamente indipendente. Non avrebbe immaginato che potesse manifestare l’intenzione di conoscerla. Prese un tono più deciso. “Allora perché non me lo presenti? Lo so che non sono esattamente al meglio, ma non possiamo aspettare a lungo. Tu stai bene quando sei con lui, me lo hai detto fin dall’inizio. Capisco che per te sia tutto difficile, ma penso che dovresti richiamarlo.”

Gli amici di Sebastiano impiegarono una settimana per trovare il modo di festeggiare il suo ritorno tutti insieme; lui nei primi giorni aveva risposto in modo laconico ai vari messaggi ignorati durante il viaggio, stupito dal calore con cui avevano manifestato il desiderio di rivederlo al più presto. La proposta di organizzare una cena era stata di Amedeo, e a Sebastiano sembrò un ottimo modo per esaudire velocemente quelle richieste.
Elisa li aveva raggiunti in anticipo, per passare più tempo insieme e aiutarli con i preparativi; sapeva che Giulia aveva frequentato quella casa nel periodo in cui Sebastiano era stato in viaggio. Amedeo le aveva raccontato delle recite in cui si fingevano fidanzati, e di come si fosse inserita nel loro ambiente con una naturalezza che gli ricordava i suoi periodi migliori a San Lorenzo. Elisa ormai era convinta che la sua amica avesse un problema solo con lei; non sapeva cosa fare perché nei loro scambi aveva smesso di fornirle indizi che l’aiutassero a capire. Ascoltò le informazioni fornite da Amedeo senza fare commenti, malgrado non riuscisse a capacitarsi sia di come Giulia avesse recitato il ruolo della fidanzata di Sebastiano, sapendo quanto lo detestasse, che di restare completamente nuda in loro compagnia pur di farsi dipingere.
Elisa stava scherzando con Amedeo quando Sebastiano si unì a loro, ironizzando sull’incontro che Ludger stava avendo con una delle sue nuove amiche. Amedeo non raccolse la provocazione, mentre la loro amica non si lasciò sfuggire l’occasione di giocare un po’.
“Quindi Ludger ci tradisce?”
Amedeo sorrise divertito, aspettando la replica di Sebastiano.
“Evidentemente. Non gli bastiamo più. Frequenta sempre più persone. Fortuna che c’è quasi sempre Andrea a raccogliere i cocci.”
Elisa era deliziata. “I ‘cocci’ di chi, scusa?”
Amedeo guardò storto Sebastiano, temendo che Ludger e la sua amica potessero uscire dallo studio in qualsiasi momento.
Sebastiano finse di non coglierlo. “Di quelle poverette, ovviamente. Vedi, Il mio fratellino è un po’ troppo democratico rispetto alla condivisione della bellezza. Ora, io non dubito dell’assoluta fedeltà del suo consorte, ma sulle intenzioni delle sue amichette sì, e non poco. Se non fosse per Amedeo sarei tentato di portar qui uno dei fucili del mi babbo. Così, giusto come monito.” Si girò dalla penisola verso un frammento di muro libero a ridosso del corridoio, per alzare un braccio con fare teatrale. “Lì, ad esempio, starebbe bene. Magari una classica lupara. Nel varco che conduce all’alcova. Potrebbe essere un ready made interessante. Vediamo, come potrei chiamarlo.”
In quel momento Ludger e la ragazza si affacciarono in corridoio, e Sebastiano abbassò il braccio trasformando il gesto in un inchino lezioso.
“Ed ecco il nostro sole invincibile sorgere ancora una volta.”
Terminata la frase si girò verso il tavolo con indifferenza, mentre Ludger avanzava rivolgendosi alla propria ospite.
“Ignora quel cialtrone del mio amico. Mi dispiace non poterti estendere l’invito, sarà per la prossima volta.”
La accompagnò alla porta dopo un giro veloce di saluti e, nel sedersi vicino ad Amedeo, diede uno spintone a Sebastiano mantenendosi del tutto inespressivo.
“Allora, chi ci sarà stasera? Tra non molto Ravi porterà viveri in abbondanza, ma ancora non so neanche quanti saremo.”
Sebastiano asciugò il succo di frutta, che si era versato sul tavolo quando Ludger lo aveva spinto. “I soliti, credo. Amedeo ha avvertito anche Andrea. Davide. Lorenzo e Tommaso li ho sentiti io. Quando possiamo passare al vino? Con il succo io e il tavolo siamo a posto.”
Ludger annuì, senza alzarsi a prendere la bottiglia. “Nessuno lo ha detto a Giulia?”
La loro amica si mosse di scatto rovesciando la propria tazza quasi vuota, e Sebastiano posò l’ennesimo tovagliolo a tamponare anche il suo tè; stava cercando un modo di rispondere, perché la presenza di Elisa lo costringeva a muoversi con cautela.
Lei sorrise, lasciandolo fare. “Grazie fratellastro, con questo il tavolo sarà a posto anche con la teina. Scusatemi, non voglio appesantirvi ancora con i miei crucci. Non solo non sono per niente gelosa di voi, anzi, sono contentissima che sia entrata in contatto con le mie persone preferite. Però… insomma. Ogni volta che sento pronunciare il suo nome è come se una spina che ho nel cuore si conficcasse più in profondità.”
Ludger le sorrise con dolcezza. “Non devi scusarti di nulla, sappiamo quanto sei preoccupata ed è normale che il suo comportamento ti risulti inspiegabile. Sai, credo che tutti i presenti sperino che riusciate a ritrovarvi presto.” Prese una bottiglia di vino continuando a parlare con un tono neutro. “Sebastiano, tornando a noi, l’hai invitata o no? Non mi sembra una domanda difficile. Sarai ricompensato con un un ottimo vino, a prescindere.”
Lui scrollò le spalle, tenendo lo sguardo sui tovaglioli inzuppati che aveva davanti alle mani. “No, non ci ho pensato… avrei dovuto? Quella mattina non mi ha rivolto neanche una parola, la colazione l’ha lasciata agli uccelli selvatici. Ha i suoi tempi, e aspira alla sociopatia. Sto aspettando che sia lei a chiamarmi, per la prossima recita.” Alzò gli occhi al soffitto prima di rivolgersi direttamente ad Elisa, pentito per aver citato il risveglio insieme a Giulia. “Avevamo fatto tardi e si è fermata a dormire di là. ? Secondo te la dovrei invitare? Non sto scherzando, te lo chiedo davvero. Pensi molto meglio di me.”
Ludger rise trattenendosi dal dargli un’altra spinta. “Le persone a volte diventano diverse perché vengono trattate in modo diverso. Tu lo dovresti sapere meglio di me. Bevi, taci e fai quello che ti pare.”
Sebastiano diede diverse sorsate al calice che Ludger aveva avvicinato, e si alzò per tornare con il telefonino. – Il mio super-io mi dice che dovrei invitarti a una cena. Amici di primo grado dei miei organismi ospite. Sentiti libera di rispondere come ti pare. Anche di non rispondere. –
Amedeo stava ancora asciugando il tavolo quando Sebastiano ci posò sopra il telefono; non ebbe il tempo di ribadire a Ludger che aveva sempre ragione perché il monitor si illuminò per un messaggio.
– Salutami Amedeo, il sovrano, e nessun altro. Grazie per l’invito. Assurdo ma grazie. Andiamo da mia madre quando vuoi. Per favore: vestiti in modo normale. Fammi sapere quando. –
Spense il monitor prima di lasciare il telefono sul tavolo. “Ludger, tu che ti vesti in ogni modo possibile. Dovrai aiutarmi a vestirmi da persona normale. Contento?”
“Non chiedo di meglio. Stasera?”
Sebastiano sentì una profonda insofferenza per la posizione scomoda in cui si trovava Elisa. “Non adesso, nei prossimi giorni. Sorellastra cara, mi accompagneresti a fumare una sigaretta in terrazzo?”

Sedettero su un divanetto che consentiva ad Elisa di vedere l’entrata, per controllare eventuali spostamenti degli altri.
“Sei tanto carino ma non devi preoccuparti, non voglio mettere nessuno in imbarazzo.”
Lui si guardò i piedi nudi. “Anche tu sei adorabile. Non mi piace il fatto che la situazione possa farti sentire in imbarazzo. Non ti si addice. So che Amedeo ti ha raccontato delle nostre recite. Conosci il tipo di partecipazione che investo in qualsiasi impresa, e questa non fa eccezione. La tua amichetta è un tipo interessante. Per certi versi insopportabile, per altri deliziosa nel suo sfascio. Al mio ritorno era qui. Quando sono passato a salutarli e a farmi insultare e picchiare da Ludger. Che, come al solito, aveva ragione. Poi ci siamo fatti una delle nostre chiacchierate. Ho avuto pietà della sua insonnia e le ho offerto il sonno indotto. La mattina dopo l’ho salutata e sono uscito. Non l’ho più sentita, anche se le avevo detto di chiamarmi. Sono passati parecchi giorni. Adesso mi ha proposto di mettere in scena un altro dei nostri atti. Posso parlarti soltanto del pezzo di recita che mi riguarda.”
Elisa rise, e aspirò troppo forte la sigaretta. “Giulia non si è mai fatta neanche una canna! Non ci capisco più niente… poi mi parlerai del tuo ‘pezzo’… intanto, puoi dirmi come sta?”
“Come al solito, sempre uguale. La prossima volta potrei offrirle da fumare, ma non credo faccia molta differenza. Dovreste sentirvi.”
“Dillo a lei, io ogni tanto ci provo, ma con me non parla che di cazzate.”
“L’ho detto anche a lei, ogni volta che ho avuto occasione. Mi dispiace tanto. So che non puoi farci niente. Possiamo solo sperare che prima o poi quella testolina dura cambi idea. Chissà, fra una canna e l’altra. Dai! Rientriamo che prendi freddo.”

Sebastiano indossava dei jeans scuri a tubo, scarpe Camper e un giacchetto di pelle nero molto lineare sopra uno dei suoi maglioni di cotone dello stesso colore; stava sorseggiando un succo al bar, e provava un leggero senso di nausea all’idea di rientrare in un ospedale.
Giulia sedette senza salutarlo, e restò diversi secondi in silenzio prima di riempirsi i polmoni e iniziare a parlare, troppo velocemente. “Grazie, per essere venuto. Evita di recitare così… forte, come l’altra volta. Che non reggo a lungo. Lei sa che abbiamo passato la notte insieme quando sei tornato, come hai detto tu… siamo stati a letto insieme. Poi non ti ho più chiamato anche se mi avevi detto di farlo, perché sono orgogliosa e confusa. E tu rispetti i miei tempi. Perché sorridi così? Già reciti?”
Lui scosse la testa, e ancora una volta ebbe l’impressione che la sua tenda di capelli si muovesse al rallentatore, e continuò a detestarlo per il suo aspetto.
“No, non recito. Sorrido perché non riesco a decidere se quello che dici è verosimile o semplicemente vero. Superato lo scoglio del letto, per me del tutto insignificante, il resto mi sembra del tutto vero. Credo. Non fare quella faccia, sembra che ti abbia dato uno schiaffo. Se non posso essere sincero non mi diverto, e tu avevi promesso di non essere permalosa.”
Giulia si sentì nervosa e irritata. “Sarà un disastro.”
“Non credo, sarò bravo. Tu cerca di stare tranquilla. Se poi non ti riesce non preoccuparti, sarebbe strano se lo fossi del tutto. Cerca però di non evitarmi, almeno non farlo per tutto il tempo. Sono vestito abbastanza normale? Mi sono fatto accompagnare a far shopping da Ludger, ti deve un favore. I pantaloni calati proprio non ce la faccio.”
Si alzò in piedi per ruotare lentamente; Giulia da seduta notò soprattutto le curve dei glutei, e si maledisse per essersi cacciata in quella situazione.
“Stai benissimo. Come al solito. Non penso che con te possiamo aspirare alla normalità.”
“Bellissima frase. Sono completamente d’accordo. E sai, mai, nella mia vita ho voluto aspirare alla normalità. Dai, andiamo.”

Laura stava ascoltando Fauré dagli auricolari, con un libro abbandonato tra le mani: leggere la stancava ma continuava ad accanirsi, in tentativi che si facevano sempre più brevi. Aprì gli occhi per il tocco leggero della figlia, e sorrise mentre le toglieva gli auricolari.
“Mamma, buongiorno. Oggi abbiamo visite, lui è Sebastiano.”
Laura si concentrò nel metterlo a fuoco, ricordando le descrizioni che le erano state fatte in precedenza: quella figura coincideva con i racconti della figlia, ma sembrava uscita dalle riviste di moda che le portavano, che solitamente restavano abbandonate sul comodino. Deglutì, abbozzando un sorriso. “Ciao Sebastiano, sono molto felice di poterti finalmente conoscere.”
Sebastiano ricambiò il sorriso, avvicinandosi. “Anch’io sono molto felice di poterla finalmente conoscere.” Non si aspettava che Laura fosse così giovane, di una giovinezza che la malattia ancora non era riuscita del tutto a cancellare. Provò una forte pena per quella donna che avrebbe riposto in lui tante speranze. 
Giulia lo invitò a sedersi sull’unica sedia presente, la stessa occupata abitualmente da lei durante le visite mattutine, e gli passò il libro della madre mentre si occupava del walkman.
“Questo romanzo mi è piaciuto molto, l’ho letto più volte. In un momento difficile, non molto tempo fa, mi sono riletto tutti i suoi romanzi.” Sebastiano usò a sua solita voce priva di intonazioni e accenti.
Laura ne fu completamente rapita. “Anche io… ma non credo che stavolta riuscirò ad arrivare alla fine, leggere mi stanca e Giulia dovrebbe studiare.”
Sebastiano alzò lo sguardo dal tascabile, parlando senza pensare. “Potrei leggerglielo io, non mi stanco mai di leggere Dostoevskij.”
Giulia lo guardò con avversione mentre la madre si affrettava a ringraziarlo, aggiungendo che non era necessario disturbarsi.
“Non mi piace far passare troppo tempo a dei ragazzi in ospedale. Anche a lei permetto di venirmi a trovare solo la mattina. Non è bello stare qui.”
Sebastiano annuì, con un movimento appena accennato. “Non è bello per nessuno. Alcuni anni fa ho perso uno dei miei più cari amici, ed ho passato con lui diversi mesi in ospedale. È vero, non è bello. Ma quel tempo per me è stato importante. Mi ha insegnato tanto.”
Giulia si lasciò cadere seduta sul letto, incredula; cercò di tenere a freno la rabbia per quello scambio che sfuggiva al suo controllo.
Sebastiano le rivolse uno sguardo obliquo, vagamente divertito. “Certo, se la nostra fanciulla me lo permettesse. E se a lei, Laura, facesse piacere. Quando sono a Roma non lavoro molto. Ultimamente lavoro sempre meno, anche fuori. Sono stanco di quell’ambiente, è troppo falso per me. Posso passare giorni interi senza avere un contatto significativo con chi mi circonda, e non mi piace. È un tipo di solitudine piuttosto disturbante. Mio padre mi ha suggerito di darmi all’agricoltura, letteralmente.”
Si fermò per ridere piano, una risata che contagiò anche Laura appena mise a fuoco la mano delicata e curata con cui Sebastiano si stava coprendo la bocca; Giulia era incapace di capire il momento, e non riusciva a trovare il modo di intervenire.
“Ma penso di non essere portato. In alternativa mi ha consigliato di riprendere a studiare, per l’università dovrei comunque aspettare il prossimo anno accademico.”
Laura sorrideva con un tipo di dolcezza che da sempre riservava ai pochissimi amici presentati dalla figlia. “Hai un buon rapporto con lui?”
“Ottimo, anche se spesso non è facile. Spero di riuscire a portare presto Giulia nel suo eremo. Lui lo ha fatto, ha davvero preso un paio di lauree per poi ritirarsi in campagna abbandonando civiltà e socialità. Quando era ancora in forze si dedicava personalmente alle vigne e agli ulivi, un lavoro che lo ha sempre riempito di soddisfazione. Il posto è bellissimo. E sai, Giulia? La strada ti piacerebbe tanto, sembra pensata apposta per una corsa in moto.”
Il viso di Giulia si distese, mentre abbassava lo sguardo. “Immagino ci siano anche parecchi alberi da scalare.” Cambiò atteggiamento: voleva impegnarsi ad essere felice per la gioia manifestata  da sua madre, per il gusto con cui stava parlando, per le sue risate e i sorrisi che rivolgeva a Sebastiano. Gli si avvicinò chiedendo se volessero qualcosa dal bar, e fece scorrere le dita fra i capelli neri al lato del suo viso. Lui le rispose con una voce e un sorriso talmente dolci da far pensare nuovamente a Giulia che le sue doti recitative fossero davvero straordinarie.
Restati soli, Laura riprese a parlare. “Per favore non darmi del lei… Davvero hai intenzione di tornare a trovarmi?”
Sebastiano posò il libro sul comodino, togliendosi il giacchetto con i soliti movimenti lenti ed eleganti. “Certo, se tu vuoi, e se Giulia è d’accordo. Mi abituo facilmente a stare in ospedale. Ma non mi chiedere di parlare di lei. La ragazza è piuttosto permalosa, e io non vorrei complicare ulteriormente le cose.”
Laura lo trovò adorabile, non capacitandosi della fortuna che aveva avuto sua figlia a incontrarlo; sapeva però che la situazione tra loro non poteva essere che fragile. “Devi avere tanta pazienza con lei. Io non riesco ancora a credere che sia potuto accadere. E non voglio chiederti nulla di quello che succede tra voi, non sarebbe giusto. Quanti anni hai?”
Non era soltanto la sua bellezza ad incantare, ma anche la gentilezza e la grazia che mostrava ad ogni gesto.
“Ventotto. Anche lei ha molta pazienza con me.”

Laura li salutò poco dopo, insistendo affinché la figlia andasse con Sebastiano malgrado si fosse fermata meno del solito. Giulia divorò la strada che li separava dalla moto, al punto da ritrovarsi a correre per le scale sfrecciando nei corridoi dell’ospedale, come se stessero scappando.
“Tu sei un mostro.”
Stava guardando la propria moto parcheggiata, pregustando lo sfogo di una guida senza freni, nonostante fosse ancora mattina.
“Grazie Giulia, i tuoi complimenti sono fra i migliori che mi siano mai stati rivolti.”
Lo sguardo che alzò su di lui era un impasto di odio e frustrazione. “Perché le hai detto quella cosa? Come ti è venuto in mente di dire che vuoi tornare a leggere per lei? Non ti rendi conto che è una cattiveria?”
Sebastiano corrugò leggermente le sopracciglia. “Giulia, stai sragionando. Non era una bugia. Vorrei farlo davvero.”
Lacrime di rabbia iniziarono a scenderle sulle guance, aumentando la sua irritazione. “Perché?”
Lui si stupì per come riuscisse a creare complicazioni così inaspettate, paradossali e soprattutto evitabili. “Perché? Perché vorrei farlo, non ci sono altri motivi. Mi piace quel libro e passo ore a leggere ogni pomeriggio. Cosa c’è che non va?”
“Vorrei prenderti a schiaffi. Doveva essere una recita! Non voglio la tua pena né quella di nessun altro.”
Lui perse qualsiasi espressione. “Allora fallo, prendimi a schiaffi. Ma fallo in fretta. Perché ora inizio io. Ascoltami bene. Capisco che per te potrebbe essere difficile da prendere in considerazione, ma provaci. Prova a immaginare che Laura mi sia piaciuta, e che potrei voler passare un po’ di tempo con lei. Pensi che il fatto che sia malata renda impossibile un quadro del genere? Come pensi di poter capire per quale motivo io, o chiunque altro, possa decidere di stare con qualcuno o fare qualcosa? Spesso non mi capisco neanche io. Non ti permetto di giudicarmi in modo così banale. Pensi che adesso sia qui con te soltanto perché mi fai pena? Se è così dillo chiaramente, e chiudiamola qui.”
Giulia aveva il viso completamente bagnato di lacrime, e tirò su con il naso. “No. Non lo so. È tutto difficile.”
Sebastiano era esasperato. Giulia probabilmente stava scaricando la tensione per l’incontro, che per lui era andato talmente bene da fargli dimenticare perfino di recitare. “Giulia, che vuoi fare adesso. Non parlo di programmi per un futuro più o meno prossimo, parlo di questo esatto momento. Io vorrei andare via da questo parcheggio, con te, e non perché mi fai pena. Non faccio questo per tutte le ragazze che piangono nei parcheggi perché sono confuse. A volte mi capita di stare bene con te, altrimenti non saremmo qui, adesso. Puoi per favore provare a calmarti?”
Giulia non aveva un confronto così significativo con qualcuno da molto tempo; le parole di Sebastiano avevano per lei un peso diverso da quelle di chiunque altro. Non ne comprendeva il motivo, come non capiva perché non volesse separarsi da lui, anche se averlo vicino le costava ogni volta tanta fatica. “Guido io, voglio andare veloce, se hai paura lascia stare. Andiamo su un albero, ci stai?”

“Ci sono delle volte in cui impazzisco di claustrofobia, e penso sia solo un anticipo di quello che mi aspetta, di come sarà il resto della mia vita. Quando mi arrabbio per le ingiustizie, ad esempio. Quando potrei uccidere qualcuno per quanto sragiono dalla rabbia. Quando stavo così potevo sempre contare su mia madre, potevo andare da lei in qualsiasi condizione ed ero sicura che sarebbe stata dalla mia parte. Anche se avevo torto. Mi lasciava sempre uno spazio nel quale potevo essere irragionevole, mi faceva sfogare, e poi mi faceva pensare… quando la tempesta era passata. È sempre stato importante per me sapere che avevo questo rifugio.” Giulia stava parlando rivolta verso l’orizzonte, seguendo con lo sguardo le evoluzioni degli uccelli che entravano nel suo campo visivo. Stavano sospesi a molti metri da terra, dopo essersi arrampicati sull’albero più alto che avevano trovato. Non si rivolgeva direttamente a Sebastiano, e andava avanti come se fosse sola e pensasse ad alta voce. “Anche con Elisa un po’ era così, ma lei non sempre riusciva ad aspettare, e a volte abbiamo litigato. Lei, ovviamente, aveva sempre ragione e dopo qualche giorno la richiamavo per scusarmi. Adesso posso solo prendere la moto e correre. Poi pago le multe.”
Nel tragitto percorso dall’ospedale Giulia aveva raggiunto una velocità così elevata che Sebastiano, guardandosi i piedi nudi sospesi nel vuoto, pensò che pagare le multe fosse un prezzo irrisorio per concedersi quel tipo di sfogo.
“Quando sei arrabbiata, se puoi parlare con qualcuno, strilli e te la prendi con tutto e con tutti? Ho un problema, non sopporto le voci acute.  Non la classificherei come una presa di posizione sessista, poi magari per te lo è. Ormai evito di dire cose come voce da femmina isterica. E pensare che ci insultavo la sorellastra. Ma è un problema di timbri vocali, acuti. Anche quelle dei bambini e degli animali, oltre che quelle femminili. Forse sarà un ricordo dei traumi infantili. Non c’erano donne a strillare. Solo animali scannati.”
Lei sorrise, Sebastiano era inequivocabilmente diventata la persona con cui parlava di più, malgrado le reciproche fughe. “Per questo sei vegetariano?”
Lui continuava a guardare il suo profilo delicato. “Mai messo in relazione le due cose. Ho sempre pensato fosse una questione anatomica. Roba di muscoli e ossa, similitudini cannibalesche. Ma può darsi. È interessante come tu riesca a tracciare connessioni semplici, forse banali, ma autenticamente inedite. Insomma, quando scleri, strilli come una matta contro tutto?”
“No. Non strillo. E sono sempre molto mirata, quasi ossessiva. Se sono proprio fuori di me per la rabbia posso piangere, come hai visto. Anche piangere è da ‘femmina isterica’?”
“Non so, lo faccio anch’io, ma le cose da femmina non sono insultanti se riferite a me. Sicuramente è un tipo di sfogo che sopporto bene. Chiamami la prossima volta che ti succede. Se vuoi parlare, salire su un albero, correre in moto. O puoi parlare ossessivamente di quello che ti pare. Non posso garantire di non riuscire a contraddirti. Forse posso pensare di fare il supplente di Elisa, se ti può bastare, io ci sono. Però  credo che dovresti darle una possibilità.”
Giulia guardò le cime degli alberi che li circondavano, e in lontananza frammenti i della città che sembrava molto più lontana vista dall’alto. Si era sciolta i capelli, che il vento leggero faceva danzare sul suo viso inespressivo. Le piaceva sentire il vento fra i capelli, non ricordava più il numero di anni passati da quando aveva iniziato a tenerli sempre legati. Era serena e riusciva lasciarsi libera di pensare senza censurarsi. Ricordò che Sebastiano l’aveva definita ‘da sola’ anche quando era in sua compagnia, e sorrise perché sospettava che molto di quello che diceva servisse innanzitutto a proteggerlo, a causa della vigliaccheria che confessava senza vergogna. L’insieme continuava a sfuggirle: alcuni dei suoi gesti autentici le sembravano poco realistici, come quando si era offerto a Laura di leggere per lei. Decise di lasciarla libera di scegliere senza inteferire, chiedendosi se sua madre avrebbe accettato. Elisa in quel momento  le sembrò lontana, quanto i frammenti di palazzi che riusciva appena a distinguere oltre l’orizzonte di alberi, tanto distante da essere ormai irraggiungibile. “Mi dite tutti la stessa cosa, tutti voi tre. E… a questo punto inizio a pensare che abbiate ragione. Ma ho paura. Ho paura di tutto, ho paura di avere ancora più paura… secondo te, lei mi vuole ancora bene?”
Sebastiano non aveva smesso di guardarla; le appariva tanto presa dai propri pensieri da essersi dimenticata della sua presenza. I capelli attraversati dalla luce del sole avevano riflessi metallici, e gli occhi avevano preso una tonalità di grigio straordinariamente chiara e fredda. Il continuo movimento dei capelli lo avevano svuotato di qualsiasi pensiero, e quella domanda lo riportò al momento presente. Ne era quasi dispiaciuto. “Senza dubbio, anche se in modo diverso da te. E capisco che possa essere frustrante. Ma non la lascerei andare via così. In silenzio. Si ripete spesso la stessa condanna. Il desiderio è una condanna. Ma penso che adesso, forse, la sua vicinanza potrebbe aiutarti a sopportare un dolore più grande. Ho fame. Ti va di pranzare insieme? Puoi lasciare i capelli sciolti?”
Giulia si voltò finalmente dalla sua parte, con un’espressione triste. “Va bene, se vuoi puoi anche guidare. Certo è strano che non hai la patente, ma chissenefrega… Sebastiano, non te l’ho mai chiesto. Rispondimi solo se ti va. Se dovessi pensare di descrivere la morte in una sola frase, cosa diresti? Sei l’unica persona che conosco che l’ha vista così da vicino.” Quello con lei gli sembrava essere, tra tutti i rapporti che aveva, l’unico caratterizzato dal distacco fisico; lo attraversò il sospetto che la capacità di Giulia nel fornirgli prospettive diverse fosse alimentata dal guardarlo costantemente da lontano. “Se deve essere una sola frase potrebbe vincere l’egoismo. Del resto non potrei essere un altro, e io sono egoista. La frase. La morte è di chi resta.”

“Peccato che non hai messo il giacchetto di ieri. Mi piaceva. Evita commenti su come sono conciata io… non posso rinunciare al giubbotto, me lo tolgo appena arriviamo.”
Sebastiano sorrise perché Giulia non aveva neanche provato ad accennare un saluto; lo stava aspettando in un bar, fumando seduta di fronte a una tazzina da caffè già vuota.
“Mi siedo o preferisci partire subito? Con il giubbotto puoi fare come vuoi. Per mio padre non ho bisogno di vestirmi da persona normale. Come stava Laura stamattina?”
Giulia sospirò rumorosamente. “Bene, di ottimo umore, che tu sia dannato. Avrebbe parlato solo di te. Invece, Amedeo che dice delle nostre recite?”
Sebastiano sedette e prese tra le mani il menu, malgrado non avesse intenzione di ordinare nulla. “Si era appena svegliato, ed era ancora ubriaco d’entusiasmo per un concerto di ieri sera. Non si capacitava della mia assenza, ma non preoccuparti. A me non importava poi tanto di vedere i Godspeed. Loro ci sragionano, a me un po’ stuccano. E poi il Classico Village è una topaia, da svenire. Stare con te su un albero è stato sicuramente meno melenso. Ancora non ho avuto modo di parlargli del primo atto, glielo riferirò insieme al secondo. Come stai, Giulia? Mi sembri nervosetta.”
“Lo sono, adesso che le altre recite sono passate questa mi sembra la più difficile… e poi sto a disagio con questi vestiti. Tu invece sembra che stai andando a fare una passeggiata, come se non te ne fregasse niente.”
Sebastiano alzò appena le spalle sorridendo. Fermò un cameriere per ordinare un amaro, aspettando che arrivasse prima di rispondere. “Sono moderatamente divertito. Stamattina ho sentito il vecchio, e quando gli ho detto di andarci piano con te, perché sei una fanciullina timida, lui ha tanto riso. Al punto di farsi venire un attacco di tosse. Questa bugia non mi turba. Forse perché con Laura ha funzionato così bene da farmela sembrare più vicina a un’omissione. A me il sesso è autenticamente indifferente, a differenza di te. Lo è al punto che non mi turba pensare che in circostanze diverse ci sarebbe potuto essere. Con te come con altre persone che riempiono il mio presente. È solo un dettaglio irrilevante. Immagino che per te sia diverso. Ma non preoccuparti. Il vecchio può essere orco, però sono sicuro che non sia minimamente interessato a quest’aspetto. E per lui sarà assolutamente plausibile. Quindi sì, sto molto tranquillo. Se poi sarai tu ad agitarti potrebbe parergli causato dall’emozione per questo incontro importante, e quindi andrà bene.”
Prese il bicchierino che il cameriere aveva appena posato sul tavolo, mandandolo giù in un sorso. Giulia rise per quel gesto, compiuto con la solita disinvoltura.
“Bene, sono contento di farti ridere. Sempre buono lo Jäger. Ti ho portato un anello. Dietro l’ho fatto tagliare, per essere sicuro che non lo perderai. Dopo puoi anche buttarlo, sono sicurissimo che mio padre lo noterà. Dai, andiamo.”

Giulia guidava troppo velocemente; Sebastiano si strinse a lei pensando che avrebbe potuto ammazzarsi se non fosse riuscita a trovare modi differenti per scaricare la tensione. Lei avvertì un imbarazzo inedito per quel contatto forzato; continuava a ripetersi che si trattava di un amico, simile a tutti quelli a cui le capitava di dare passaggi. Gli abiti che indossava la facevano sentire più esposta, e raggiunse velocità mai sfiorate prima con un passeggero. Sebastiano alle sue spalle non mostrava reazioni, nemmeno per indurla a rallentare; fu sfiorato dal dubbio che lei stesse facendo una sfida infantile, probabilmente per indurlo a manifestare preoccupazione o paura. Giulia sorrise al pensiero di star guidando per la prima volta come se fosse sola anche in compagnia di qualcuno, ma contemporaneamente continuava ad essere infastidita dall’inevitabile vicinanza fisica. Abbandonate  le vie principali fu costretta a moderare la velocità, e Sebastiano iniziò a darle indicazioni tendendo il braccio in avanti per segnalarle la direzione da prendere ogni volta. Giulia sentì la sua stretta infiacchirsi mentre percorrevano una strada dalle dimensioni ridotte, circondata da ulivi e senza segnaletica: un’antica villa ne segnava la fine. L’edificio era grande, con proporzioni eleganti e rivelava, man mano che si avvicinavano, dettagli che alimentavano l’impressione che fosse quasi abbandonato. L’intonaco sopravviveva soltanto in piccole zone, tanto scolorite da sembrare di un rosa tenue, e le veneziane storte sembravano destinate a rimanere in quelle posizioni casuali. Un vecchio glicine trascurato ricopriva una parte della facciata, e i rami morti aderivano al muro come quelli vivi, come frammenti d’inverno in piena primavera. Giulia notò ogni ferita di quella struttura immaginando l’effetto che, per contrasto, dovevano aver fatto a Sebastiano bambino le superfici architettoniche pulite, considerando  quanto gli dovesse risultare normale quell’abbandono. Era circondata da vecchi cipressi che in parte la nascondevano, e superata la recinzione verde si ritrovarono in un ampio spazio di terra battuta. Lei decelerò prima di ruotare lo sterzo davanti a un porticato che copriva l’entrata principale, sollevando una nuvola di polvere; si voltò per chiedergli se fosse quella la loro destinazione, e Sebastiano le rispose stringendola di nuovo per un istante, per poi scendere dalla moto in silenzio. Tolse gli occhiali soltanto per il tempo di levarsi il casco, mentre Giulia dopo aver tirato la moto sul cavalletto restò in attesa. C’era un uomo seduto all’ombra del portico, che le apparve in perfetta sintonia con il resto: vecchissimo e dimenticato in quella posizione da tempo, e solo i suoi occhi fissi su di loro le sembravano ancora vivi. Mentre si avvicinavano in silenzio nella trama delle rughe del vecchio si compose un sorriso ambiguo.
Parlò con una voce rauca, corrosa. “Sembrate appena scesi da un’astronave o usciti dal televisore. Non si capisce chi sia l’uomo, tra voi due.”
Giulia arrossì leggermente, e Sebastiano si fermò a pochi passi da suo padre senza accennare un’espressione sulla propria maschera di porcellana.

“Avevo pensato di farle siliconare il seno per farti felice, ma poi non c’è stato tempo. Come stai?”
Jacopo lo squadrò per tutta la sua altezza, sorridendo. “Non è tanto per lei, potresti almeno tagliarti i capelli, hai deciso di battere il tuo record personale?”

Sebastiano sorrise perché anche suo padre li aveva portati lunghi in passato, anche se ormai erano rasati e avevano perso del tutto il colore. Interpretò quell’esordio come un tentativo di sondare la loro predisposizione alle provocazioni. “Babbo caro, sono già travestito da uomo. Penso possa bastare. Come stai oggi?”
Jacopo riprese fiato prima di continuare. “Sono in balìa dei dolori, oggi non ho preso tutte quelle porcherie che me li fanno passare, sennò avresti potuto portarmi anche Biancaneve. Tu sei drogato?”
“No. Da una vita, e lo sai. A volte mi concedo una vacanza, recentemente un vecchio saggio e burlone mi ha suggerito di divertirmi, ogni tanto.”

Giulia era rimasta al suo fianco, con la strana sensazione che il tempo si fosse bloccato: a parte il vento leggero che muoveva i capelli di Sebastiano e le cime dei cipressi, il resto restava immobile. Rimasero in piedi sotto il portico, e lei stringeva ancora il casco tra le mani; aveva l’impressione di essere completamente ignorata, ed era una condizione che non le dispiaceva. Iniziò a sperare che tutto il tempo della visita trascorresse in quel modo, associata allo sfondo: i cipressi e la fidanzatina bionda e muta. Si diresse verso la moto per liberarsi anche della giacca da motociclista, irritandosi per la camicia che indossava: corta e avvitata, al punto di farla sembrare un’altra. Riavvicinandosi a loro si accese una sigaretta, chiedendosi il senso della propria presenza. Quando tolse gli occhi dalla fiamma le fu chiaro di essere sotto esame.
“E tu, bambolina, quanti anni hai? Sedici?”

Lei lasciò cadere il pacchetto sul tavolino davanti alle poltrone, impegnandosi per controllare i nervi. “Ventidue, piacere di conoscerla.”

“Brava. Un paio di vite meno di me. Secondo te com’è mio figlio?”
Restò bloccata a labbra socchiuse, mentre i pensieri diventavano confusi e il cuore accelerava: arrossì abbassando gli occhi. Il vecchio si lasciò andare a una risata sibilante.
Sebastiano la stava guardando con il viso inespressivo, divertito dal fatto che Giulia avesse avuto una reazione perfetta, permettendo al padre di interpretarla come la migliore possibile: la fidanzatina giovane e timida. “Babbo, per favore non la torturare.”
“E Cristo! Una volta nella vita. Riesci a sopportarmi per una volta, principessa?”
Sebastiano trovò la situazione decisamente spassosa, e sperava soltanto che lei riuscisse a reggere. “Giulia. Si chiama Giulia. Non fare l’orco.”

Jacopo sorrise, guardandola con attenzione. “Principessa Giulia, ti fai vedere da vicino?”
Lei sedette su una delle poltrone di vimini, rivolgendogli uno sguardo leggermente imbronciato.
Al vecchio sembrò deliziosa, scolpita nel miele. “Sei proprio una bella bambina, se ti imbelletti forse arrivi a dimostrare vent’anni. Ti piacciono i bambini?”

Lei non era stata istruita su quello specifico punto, e si concesse un tiro di sigaretta prima di rispondere con sincerità; di solito non riusciva a dire bugie convincenti, e in quel contesto sarebbe stato difficile risultare credibile. “Sinceramente no, quelli molto piccoli no.”
Jacopo rise ancora, da solo. “Li ho sempre odiati, ma se li cresci tu appartengono a un’altra squadra… la tua, niente a che vedere con gli altri. Gli animali? Ti piacciono gli animali?”

Questa domanda era talmente facile che finalmente anche lei sorrise. “Molto.”

Jacopo annuì. “Ho dovuto smettere di allevarli perché il bambino qui, ogni volta che ne macellavo uno, impazziva. Era capace di darsi alla macchia per giorni… alla fine tornava sempre, ma io non ho mai avuto modo di capire se lo facesse per fame o per vendicare gli innocenti. Andresti a prendere qualcosa di fresco in cucina?”
Sebastiano completò la frase del padre aggiungendo un per favore. Giulia si alzò per entrare in quella casa sconosciuta; avrebbe preferito restare o farsi almeno accompagnare, anche se in fondo non le dispiaceva potersi concedere una tregua.
Appena rimasti soli Jacopo invitò il figlio a sedersi vicino a lui; per alcuni minuti guardarono la strada davanti a loro, che superava il recinto di cipressi fino a perdersi all’orizzonte.
“È deliziosa, mi domando come tu abbia fatto a trovare una ragazza così, pensavo non esistessero nel tuo mondo, come nel mio. Non mi stupisce che sia giovane…. mi chiedo se sappia tutto di te.”
Si sentì sollevato: le cose stavano andando esattamente come sperava. “Ci stiamo lavorando, passiamo ore e ore a parlare. Non si stanca mai di ascoltarmi. Siamo partiti dalle cose più difficili del nostro passato. Ha superato tutti gli scogli peggiori. Per il resto c’è tempo.”

Jacopo emise un sibilo che sarebbe dovuto essere un sospiro. “Non sai quanto ne sia felice, spero che verrete qui ogni tanto… È già tutto sistemato, non dovrai occupartene personalmente, neanch’io lo faccio più. Appena mi porteranno di peso in un qualche ospedale partiranno i lavori di ristrutturazione. Potrai venirci quando ti pare, senza inciampare nel mio ciarpame.”

Sebastiano prese dal tavolo una delle sigarette di Giulia; non gli piacque sentire suo padre parlare di un tempo in cui non ci sarebbe stato, e non avrebbe voluto se ne preoccupasse. “Babbo, non è necessario.”

“Lo è, altrimenti rimarrebbe mia. Vorrei che questo posto restasse a tuo figlio e così via… falla demolire se questo non dovesse accadere. Mi dispiace soltanto pensare che anche tu lo stia facendo crescere senza un genitore, se ne avrai un altro non ripetere lo stesso errore. Non conosci tutto il passato che ha riempito questo posto, ed è giusto che sia così. Io ti ho sempre visto come il demonio che lo avrebbe definitivamente spazzato via, ti ho sempre voluto così. Io ho iniziato, la vera rivoluzione potevi farla soltanto tu. E non mi hai deluso. Ma la storia vorrei che continuasse, una storia inconsapevole, e per questo ancora più struggente.”
Lo trovò insolitamente sentimentale.  “Babbo, non capisco del tutto perché tu mi stia parlando così, ora.”
“È giusto. Oggi sono felice. Forse dovrei parlarti di tua madre, ma non mi va, non mi va mai. Neanche quando sono felice… con la tua ragazza ne hai parlato, immagino.”
Sebastiano annuì aggiungendo di non preoccuparsene, e che non desiderava ascoltare racconti su quella donna; spenta la sigaretta lasciò andare la testa sullo schienale della sdraio. Giulia tornò con un vassoio e dopo averlo posato sul tavolo rimase ferma, ascoltando Jacopo che definiva il figlio un libro dalla copertina troppo elaborata, che rendeva difficile immaginarne il contenuto. Sebastiano non stava guardando Giulia ma era certo fosse arrossita, probabilmente distogliendo lo sguardo, e non lo stupì ascoltare di nuovo la risata consumata del vecchio. Sul vassoio che Giulia aveva posato sul tavolo c’era un calice di vino rosso, preparato per lui in precedenza; lo sorseggiò, ascoltandoli senza intervenire. Jacopo raccontò di sua madre, di come fosse stato completamente inebetito da quella bellezza fuori dal comune; di quanto fosse arrivato poi a odiarla per le sue inquietudini insaziabili, che sembravano avere come unico scopo la distruzione di tutto quello con cui veniva a contatto. Le disse che Sebastiano somigliava molto a sua madre, anche se aveva sempre sperato che la sua intelligenza riuscisse a salvarlo, e questa speranza adesso veniva alimentata dalla presenza di Giulia. Lei lo ascoltò con interesse e imbarazzo; aveva permesso a Sebastiano di andare a trovare Laura ogni volta che voleva, e in quel momento credette di non riuscire a rendergli il favore: la fiducia che quel vecchio stava riponendo in lei alimentò il senso di colpa.
Sebastiano intervenne con una nota di ironia nella voce perché intuì che Giulia si stava rattristando. “Babbo dacci un taglio, se continui così la farai scappare.”
Il vecchio era sereno ma non del tutto soddisfatto, e si concesse una pausa: era convinto che non ci sarebbero state altre occasioni nelle quali gustarsi la loro compagnia. Il figlio stava sorseggiando il proprio vino, fermandosi ogni tanto per guardarlo controluce. Conosceva quel gesto, e sapeva che Sebastiano stava assaporando sia il colore che il gusto di quel vino, uno dei suoi preferiti. La ragazza gli sembrava ipnotizzata dai capelli mossi dal vento del figlio, e lo divertì credere che Sebastiano li stesse facendo crescere in modo così esagerato per lei. La trovava incantevole, in modo particolare quando distoglieva lo sguardo sentendosi osservata, per poi guardarsi le mani; teneva la schiena perfettamente dritta, e il collo lungo si curvava appena, seguendo la direzione dello sguardo. Alcune caratteristiche gli ricordavano l’unica altra donna che Sebastiano aveva portato lì molti anni prima: ebbe il timore che la dolcezza di Giulia fosse soltanto superficiale, e celasse la stessa ottusa determinazione quell’unico precedente rivelato successivamente. “Il ragazzo mi dice che parlate molto. Ed è giusto. Principessa, te la senti di dirmi cosa ne pensi di Nina e del bambino?”
Sebastiano sorrise, mentre lei prendeva la stessa espressione che avrebbe potuto assumere ricevendo una doccia fredda o uno schiaffo. Quando le fu chiaro che nessuno le avrebbe dato un aiuto, recuperò la calma  e si rivolse a Jacopo come avrebbe fatto con un professore durante un esame: le appariva ben disposto, malgrado le sue domande fossero inevitabilmente difficili.
“Non è facile parlarne… per me è come se ci fossero sempre stati. Non posso giudicare quella donna perché non la conosco, e da quello che ne so non è comunque una figura facile. Per Sebastiano è stata importante, e non voglio mettere in discussione niente di quello che è importante per lui, non sarebbe giusto. Invece, tutto quello che ha a che fare con il piccolo Luca è davvero difficile da accettare. Io sono convinta che non ci sia niente di più grave che togliere a qualcuno la possibilità di scegliere.”
Sebastiano sollevò gli occhiali alla sommità della testa, e posò il calice per prenderle una mano, sussurrandole con dolcezza. “ Giulia cara, può bastare. Babbo lasciala in pace.”
La mano di Sebastiano restò su quella di Giulia; erano entrambe abbandonate sul bracciolo della sedia, e lei gli fu riconoscente per essere intervenuto. Il vecchio sospirò prima di rivolgersi al figlio per chiedere come stessero i suoi amici e lui rispose, consapevole si trattasse di un giro di parole per poter tornare a parlare con Giulia.
“Vivi sempre nella casa vicino a Ludger e Amedeo?”
Sebastiano le lasciò la mano, ormai il cerchio si era chiuso: si sentivano abbastanza spesso da rendere quella domanda completamente inutile.
Jacopo si voltò leggermente verso Giulia. “E tu, come ti trovi con loro?”
Lei sorrise rispondendogli che si trovava molto bene con entrambi. “Con Amedeo siamo amici da anni. È una delle persone più belle che abbia conosciuto. Buono, dolce e altruista.”
Parlarono ancora dei suoi studi, della passione per le arti marziali e del lavoro part time; Giulia concluse ammettendo di stare trascurando ogni attività per la malattia della madre.
Gli sorrise, abbassando gli occhi. “Continuo a prepararmi per gli esami ma nel poco tempo libero preferisco parlare con Sebastiano… arrampicarci sugli alberi o correre in moto…” Si sentì arrossire, e cercò di chiudere in fretta. “Insomma, passarci del tempo insieme.”
L’incontro fu breve: Jacopo li pregò di lasciarlo solo perché era stanco e aveva bisogno delle proprie cure. Salutò Giulia stringendole la mano, e la trattenne tra le sue per guardare la fede che indossava, molto simile a quella portata da suo figlio. Era incantato dalle sue mani piccole e affusolate, decisamente belle, come qualsiasi dettaglio messo a fuoco in quell’incontro. Si sentì felice e sereno. L’immagine di suo figlio che si allontanava con la sua caratteristica andatura leggera, si sovrapponeva sempre a quella della madre nella sua memoria. Jacopo era profondamente contento del loro rapporto e della presenza di quella ragazza. Sperava di non aver motivo per essere diffidente, e continuò a guardarli fino a quando non scomparvero in una nuvola di polvere.
Arrivati di fronte alla moto Giulia si sentì esausta, e chinò profondamente la testa appoggiandola sullo sterno di Sebastiano, che restò immobile; con un filo di voce, si scusò per non essere stata brava quanto avrebbe voluto. Sebastiano le rispose con dolcezza, accarezzandole la testa mentre le diceva che non c’era motivo di preoccuparsi. Giulia si allontanò sorridendo; gli porge le chiavi della moto, che lui accettò ripromettendosi di prendere almeno il foglio rosa appena possibile.

“Perché siamo venuti qui?”
Sebastiano aveva ignorato il bivio per Roma, guidando senza soste fino a raggiungere la costa. “Voglio vedere il tramonto sul mare e pensare al tempo. Se vuoi, dopo possiamo anche cenare insieme. Te lo avrei dovuto chiedere prima, scusa.”
Giulia pensò che se glielo avesse chiesto probabilmente non avrebbe accettato, malgrado non le dispiacesse restare ancora con lui. Rimase in silenzio, sapendo che non sarebbe riuscita a capire il suo stato d’animo dall’espressione che aveva. Legò la moto, aspettando fino a quando non lo vide iniziare a camminare sugli scogli; sedettero sul limite della scogliera, restando a lungo immobili a guardare l’enorme distesa in movimento. Il sole era già basso e l’acqua, per via delle nuvole grigie che riempivano il cielo, aveva dei riflessi che la rendevano simile a metallo liquido.
“La prima volta che ho visto il mare è stato con Nina. Non lo dimenticherò mai. Adesso lo associo ad Amedeo. Vado in piscina da mesi con l’idea di portarlo al mare, di poter nuotare con lui, a giugno. Credo che chiederò anche a Ludger di venire con noi. Mi dispiace che mio padre ti abbia messo in difficoltà, probabilmente voleva metterti alla prova. Tu sei stata brava, non devi preoccuparti. Lui non capisce che rapporto ho con loro, e non mi stupisce. Non lo capisco neanche io. Dopo la morte di Aline non riuscivo a separarmene senza annegare. Anche da Ludger, che quasi non conoscevo. Adesso potrei farlo, ma non voglio. Ti piace il mare, Giulia?”
La domanda restò sospesa. Certe volte parlandole aveva l’impressione di essere da solo, a causa dei lunghi silenzi che ormai non gli pesavano più. Il vento le scomponeva i capelli lasciati sciolti: Sebastiano osservò quelle onde chiare che di solito teneva tirate in una coda bassa, da ragazzo.
Giulia finalmente rispose. “Mi piace molto, ma solo quando il sole è basso, o la sera. Quando mi portavano in vacanza al mare per me era una tortura, stavo sempre sotto l’ombrellone a guardare gli altri giocare, perché ho la pelle troppo delicata. E leggevo tutto il tempo. Mi piace guardarlo, anche se mi mette sempre molta malinconia… soffro perché non posso venire a vederlo di sera se non guidando, senza fermarmi mai. Ho paura a fermarmi da sola di notte, ho paura che qualcuno mi si avvicini. Ormai sono in grado di difendermi bene ma non da un branco, vivo nel terrore di essere stuprata. Perché sei voluto venire qui?”
Era rimasta rivolta verso l’orizzonte; ogni volta che Giulia affrontava argomenti legati al sesso gli dava l’impressione di trovarsi a contatto con un mondo capovolto. Lo disse, aggiungendo di provare un profondo dispiacere pensando alle sue paure, specialmente perché la limitavano.
“Sono venuto qui per guardare le onde. E pensare a tutte le possibili ovvietà sullo scorrere del tempo. Che non ti ripeto per non morire di banalità, e noia. Ogni volta trovo mio padre più debole. Lui per me è sempre stato l’incarnazione della forza, e ormai ne resta traccia soltanto nelle sue idee, nel suo carattere. Stasera vorrei dipingerti, se ti va. Poi pensiamo alla cena. Adesso vorrei soltanto guardare le onde fino a che il sole tramonterà, e pensare a tutte le mie cose noiose.”
L’enorme distesa d’acqua cambiava costantemente colore, mentre Giulia manteneva lo sguardo sulle onde lontane, cercando di distinguerle nei riverberi di luce. “Sebastiano, posso abbracciarti?”
“Certo, quando vuoi. Io abbraccio con molta facilità, pensavo che tu lo evitassi. Perché?”
Giulia si alzò per mettersi dietro di lui: scese fino a sentire sotto le ginocchia la superficie dura degli scogli prima di avvolgerlo con le braccia, aderendo alla sua schiena. Appoggiò il mento sulla sua spalla mentre lui restava fermo, con lo sguardo rivolto verso il mare.
“Perché. Perché non abbraccio nessuno che non sia mia madre da tanto tempo, perché vorrei tanto essere come uno dei tuoi amici per te, di quelli con cui vi potete anche abbracciare, perché la situazione è chiara con loro come con me. Hai ragione, devo provare a parlare con Elisa… comunque lei non la posso abbracciare così. Certe volte penso che potrei impazzire di solitudine. Forse la malinconia del mare per me è davvero troppo. Anche se ti sono riconoscente. Perché grazie a te posso fare queste cose… anch’io voglio poter sparire come fai tu. Quando morirà mia madre partirò in moto. E staccherò con tutto.”
Lui ruotò la testa, abbastanza lentamente da riuscire a cogliere un suo eventuale tentativo di ritrarsi, ma Giulia restò immobile; le baciò uno zigomo coperto dai capelli di entrambi, ormai mescolati, e subito dopo tornò a guardare avanti.
“Sarei felice di averti come amico. Ma penso sia già successo. Faresti bene a parlare con Elisa, e puoi abbracciarmi tutte le volte che vuoi. E resterai sempre libera di andartene, in qualsiasi momento.”

Il suono di un messaggio fece alzare Sebastiano anche se stavano finendo di cenare; tornò verso la penisola digitando una risposta, per poi posare il telefono vicino al proprio posto.
Ludger gli rivolse uno sguardo interrogativo. “Hai sempre definito da cafoni usare il telefono a tavola, hai deciso di cambiare stile?”
Sebastiano che aveva ripreso a mangiare masticò con calma il suo boccone prima di rispondergli, abituato ormai a prendersi anche lui delle pause nelle conversazioni. “Giulia è fuori di sé, stasera doveva vedere Elisa. Non mi ha detto cosa è successo ma sono preoccupato. Chiedeva un incontro urgente, tipo sfogo, immagino. Le ho detto di venire qui. Spero solo che non strilli.”
Ludger sorrise, e Amedeo gli diede un calcetto sotto il tavolo mentre Sebastiano riprendeva a mangiare con indifferenza.
Ludger, malgrado il segnale, non volle trattenersi. “Come vanno le cose fra voi?”
Amedeo si sentì congelare sullo sgabello, ma Sebastiano posò la forchetta e rispose con la stessa partecipazione che avrebbe manifestato per un qualsiasi argomento privo di interesse.
“Bene? Penso bene. Ho preso ad andare all’ospedale dalla madre, il pomeriggio da solo, quando posso. Sua madre mi piace. Giulia non sembra molto contenta di questa cosa, forse perché non può controllarla. Passo tutto il tempo lì a leggere, uno dei miei libri preferiti. Ogni tanto ci vediamo, per dipingere o dormire, ma anche bere, e ci facciamo delle splendide lamentiti che non portano da nessuna parte, le mie preferite. Insiste a definirmi assurdo, ma lei è talmente assurda che mi fa sentire quasi vicino a una forma allucinata di normalità. Poi è bella. Potrei stare anche solo a guardarla per ore. Penso che anche lei stia bene con me, mi dice spesso di essere sollevata di aver incontrato un essere umano che non se la voglia scopare. Singolare, no? Se pronuncia la parola uomo però soffre.”
Ludger era divertito, ma mantenne un tono neutro. “Non mi hai mai raccontato com’è andato l’incontro con tuo padre. Non me ne parli perché ti sto antipatico?”
Sebastiano rise, ed era una risata sincera. “Scusa Ludger, non è per te. Ogni tanto ci ironizziamo su, ci definiamo le crocerossine alcolizzate. Non parlo mai delle cose con e di Giulia perché lei è strana. Forse è così strana per l’impiccio che ha con Elisa, e teme fughe di notizie. Tu sei sempre simpaticissimo, e io ti adoro, sempre. Con il vecchio è andata molto bene, così bene che l’orco ha un solo dubbio. Si chiede se sia realistico sapermi in una storia così vicina alla perfezione. Probabilmente abbiamo esagerato. Dovrei riuscire a convincerla a farsi regalare altri vestiti, mi piace tanto vestirla, ma ogni volta fa delle storie fuori misura. Dopo però li indossa, per far contenta la madre, dice. Potremmo anche sposarci per far contenta sua madre, per quello che mi importa del matrimonio.”
Si interruppe per il suono di un altro messaggio, nel quale Giulia annunciava di essere arrivata e chiedeva se raggiungerlo da loro o nella casa a fianco.
“Posso farla salire qui? Deve aver guidato come un assassino. Vorrei assaggiare quel dolce.”
Giulia entrò con un piglio energico e, dopo aver visto Ludger e Amedeo, tornò indietro perché soltanto in quel momento aveva capito che era stato Sebastiano ad aprirle. Lui si stava avvicinando alla tavola lentamente, quando venne travolto da un suo abbraccio violento.
Cercò di resistere, ma lei stringeva più forte del solito. “Piano, fai piano, questo giubbotto mi uccide.”
Giulia indossava il suo giacchetto da motociclista, con i rinforzi che premevano sulla pelle nuda di Sebastiano. Le si era rivolto con dolcezza e Giulia si allontanò accennando un sorriso, in contrasto con gli occhi lucidi.
Lui la prese per mano. “Vieni, ti verso un calice. Siediti qui, ti raggiungo subito.”
Amedeo rimase colpito dal contrasto tra la tenuta rigida di Giulia, che continuava ad associare a un’armatura, e la pelle delicata di suo fratello, arrossata nei punti dove la pressione era stata più forte.
Lei sedette in quello che era stato il posto di Sebastiano, e bevve in poche sorsate il contenuto del suo bicchiere.“Sono fuori di me. Vorrei ammazzare qualcuno.”
Ludger le riempì il calice che stava ancora stringendo per il fusto. “Buonasera Giulia, vuoi del dolce?”
“Come cazzo fai  Ludger a essere sempre così impermeabile. Ma respiri?”
Ludger rise di gusto, prendendosi un altro calcio da Amedeo, e iniziò a mettere la torta nei piatti; Sebastiano stava sorridendo, e si rivolse a lui, passandogli un piattino.
“Dovrebbe essere buono.”
Sebastiano iniziò a mangiare, chiedendo a Giulia se preferisse andare nella casa a fianco per raccontargli cos’era successo con Elisa quella sera. Gli occhi di Giulia divennero rossi, e iniziarono a scenderle le lacrime. Amedeo si offrì di prenderle la giacca, ma lei scosse la testa.
Era molto agitata, e si chiese come fosse possibile riuscire a restare lì con tre persone senza avere l’istinto di scappare. Si sentì soprattutto stanca. “Ho litigato con Elisa. L’ho lasciata al ristorante in lacrime. Non ne posso più.”
Sebastiano le versò altro vino, e nessuno si mostrò sorpreso per le sue condizioni; Giulia pensò che fosse proprio quella naturalezza a darle la possibilità di non censurarsi.
Sebastiano riprese a parlare con fare casuale. “L’allegro ristorantino dove hai portato anche me? Fortuna che Elisa si sa difendere. Sei riuscita finalmente a dirle quello che ti sta succedendo?”
Lei si alzò di scatto togliendosi il giacchetto con rabbia, e scaraventandolo a terra. Iniziò a camminare avanti e indietro. “No! E non ce la farò mai. Lei ha bisogno di capire tutto. Non sopporta di non avere strumenti per vivisezionarmi. Spara a caso, e mi fa incazzare. Ma non posso dirglielo, Elisa è un disastro con queste cose. Io adesso non posso preoccuparmi anche per lei. Che palle diocristo.”
Sebastiano continuava a mangiare il dolce, mentre Amedeo era l’unico ad apparire preoccupato; Ludger invece era incantato dalle somiglianze che vedeva tra Sebastiano e Giulia, come dalle differenze: gli fu chiaro che il loro legame stesse lavorando in profondità.
Sebastiano era rimasto per tutto il tempo in piedi, appoggiato al piano della cucina, mangiando una fetta di torta; posato il piattino ormai vuoto e le parlò con voce ferma.
“Ricordo benissimo il nostro patto, devo fare un’eccezione. Perdonami. Te lo avevo detto fin dall’inizio che non potevo garantirti una completa passività. Spero ricorderai che mi ero tenuto questa deroga per casi importanti. Giulia hai torto, permettimi di aiutarti a tornare da Elisa e parlarle.”
Lei lo guardò come se le avesse dato uno schiaffo, e soffiò tra i denti. “Cosa?”
“Le persone possono cambiare, Elisa lo ha fatto. Tu non puoi saperlo perché non le hai dato la possibilità di dimostrartelo.”
“E tu che ne sai?”
Sebastiano strizzò gli occhi per il fastidio: Giulia aveva gridato, e nel farlo ricordò la sua insofferenza per i toni alti.
Tornò a guardarla senza traccia di rimprovero. “Mi dispiace, Giulia, davvero. Ma non posso pensare che rischiate di perdervi così, senza neanche averla portata nella tua trincea. Con me Elisa è fantastica. E siamo partiti così male. Non posso permetterti di farla fuori senza prima darle una possibilità autentica.”
Amedeo si rese conto di essere rimasto in apnea, e respirò profondamente stringendo forte la mano di Ludger sotto il tavolo. Il tempo sembrava essersi fermato: Giulia era immobile con un’espressione terribile mentre piangeva senza suoni.
Sebastiano la raggiunse con pochi passi leggeri, schivando la giacca e fermandosi a meno di un metro da lei. “Posso abbracciarti?”
Lo travolse di nuovo con un abbraccio forte, e lui iniziò a carezzarle i capelli tirati nella solita coda bassa.
“Potrebbe essere più facile di come immagini. Se sbaglio poi te la prenderai con me. D’accordo?”
Lo stringeva troppo, con la voce spezzata dal pianto. “Non ce la faccio. Non ce la posso fare.”
“Devi. Sarebbe troppo stupido soffrire così per una perdita che non è reale.”
Giulia si stupì per il messaggio contenuto in quella frase: il dolore che stava provando era causato da qualcosa che poteva ancora evitare. Questa rivelazione bucò la sua ostinazione, proiettandola in una terra di nessuno. “Davvero mi accompagni?”
“Appena mi lasci la chiamo e ti accompagno. E resterò con te per tutto il tempo che vuoi. Se non strillate.”
Giulia tornò alla penisola per sedersi, asciugandosi il viso. “Scusatemi per essere venuta qui in queste condizioni… e aver fatto tutto questo casino.”
Ludger le versò l’ennesimo calice. “Non dire sciocchezze. Puoi venire qui come e quando ti pare, hai fatto bene.”
Lei ripensò a qualcosa che Sebastiano le aveva detto non molto tempo prima, riguardo al potere salvifico che alcune persone potevano avere. Riuscì a guardare Ludger senza traccia di odio, sentendosi priva di punti di riferimento e straordinariamente fragile.
“Scusami Ludger. Lo so che sono assurda.”
Sebastiano aveva già il telefono all’orecchio. “Non ti scaricare così, concentrati sulla tua amica.”
Ludger riprese a sorridere. “Scuse accettate, le persone assurde mi sono sempre piaciute, e non sono permaloso.”
“Ma un difetto, uno, ce l’hai?”
Il tono era scherzoso, ma non ci fu un seguito perché Elisa aveva risposto alla chiamata di Sebastiano.
“Dove sei? Lo so che stai male e la situazione è brutta. Posso venire lì con Giulia? Sì, GIulia. Deve parlarti, non vorrebbe. Deve. Fermati con la bottiglia, dacci il tempo di arrivare.”
Giulia si alzò immediatamente, infilandosi la giacca. “Se stanotte mi lasci da sola ti strangolo.”
“I tuoi modi si fanno sempre più raffinati. Mi metto qualcosa e andiamo.”
Lei sospirò, di nuovo chiusa nella sua armatura, e Amedeo la raggiunse per prenderle le mani.
“Stai facendo la cosa giusta.”
“È probabile, perché non l’ho scelta io. Sebastiano mi fa paura. Non lo so cos’è che ha. E non capisco perché le sue parole abbiano un peso tanto diverso per me, perché lo sento così. Forse perché non ha niente da perdere, come me. E non mi sembra un buon motivo. Io sono alla deriva e a volte ho paura di sostenermi a qualsiasi cosa… e lui potrebbe essere una zattera che affonda.”
Adesso era lei a stringergli le mani con uno sguardo straordinariamente intenso.
“Amedeo, tu lo conosci da una vita… Amedeo, secondo te, posso farmi trascinare così da quella cosa assurda che è pure un uomo?”
“Guarda che se fai così piango, e Ludger mi dovrebbe consolare tutta la sera… comunque sì.” Si girò a guardare verso il corridoio dal quale Sebastiano sarebbe tornato presto. “È una delle persone migliori che abbia incontrato.”
Giulia aveva di nuovo il viso rigato di lacrime. “Sono così confusa, in questo momento dovrei essere in autostrada a manetta. È come se avessi perso la bussola.”
Sebastiano riuscì a cogliere solo quell’ultima frase avvicinandosi. “Finalmente una buona notizia. Hai il casco anche per me o prendo le chiavi del mio motorino?”
Giulia trattenne le mani di Amedeo. “Qual è la persona migliore che conosci?”
“In questo momento, in questo preciso istante sei tu. Perché stai distruggendo una gabbia.”
Amedeo si ritrovò avvolto dalla sua armatura, ma cercò di rispondere all’abbraccio con forza, in modo da farsi sentire.
Sebastiano le si rivolse con dolcezza. “Adesso però andiamo, vero Giulia?”

Elisa aveva pianto così a lungo da dover lavar via il trucco rimasto, e per lei era insolito trovarsi fuori di casa completamente struccata. Dopo l’uscita di Giulia era rimasta seduta, aspettando di recuperare la calma prima di rimettersi al volante. Nessuno l’aveva infastidita. Iniziò a bere, scambiando dei messaggi con Lorenzo, bloccato per una cena di lavoro, ma disposto a raggiungerla subito se lei voleva. Preferiva restare ancora un po’ da sola, perché lui non conosceva Giulia abbastanza da poter condivider la sua preoccupazione.
La telefonata di Sebastiano le sembrò irreale; non riusciva ancora a capacitarsi del suo rapporto con Giulia, così come il fatto che fosse andato a cercarlo subito dopo averla lasciata. Non riusciva neanche a immaginarli insieme. Continuò a fumare guardando il telefonino, in attesa. Non le piaceva stare in quel locale dove la sua amica la trascinava da anni, soltanto perché non era frequentato da uomini; pensò che nessuna la stesse importunando perché veniva associata a Giulia. In quel momento, si chiese perché lui le avesse chiesto di aspettarli in quel posto. Sebastiano si era completamente dimenticato che la loro prima recita aveva avuto luogo nel locale, e Giulia era talmente agitata da non averci pensato. Elisa non li vide entrare, ed era così presa dai propri pensieri da sussultare quando sentì una mano sulla spalla; vedendo Sebastiano così preoccupato le lacrime le salirono di nuovo agli occhi, e cercò di fermarle abbassandoli e stropicciandoli. Il locale era affollato e rumoroso; lui le parlò all’orecchio, mentre Giulia andava al bancone a prendere un altro bicchiere per lasciarli da soli, come lui aveva chiesto. Con una voce era dolce e calma disse ad Elisa che gli sembrava una bambina persa; sapeva che sarebbe stato difficile per entrambe, ma doveva provare ad essere paziente, perché era importante per entrambe superare quello scoglio.
Elisa gli si rivolse con poca convinzione. “Mi sembra difficile, non per me…figurati. Stasera ho avuto la netta sensazione che Giulia mi odi. È stato terribile. Non mi sembra vero che adesso sei qui… a parte che non capisco neanche come ti abbiano fatto entrare. Ma ormai non capisco più un cazzo.”
Sebastiano sorrise, rispondendole con una voce appena udibile. “Forse pensano che io sia una fanciulla. Ma chissenefrega. Non ti odia, tu sai quanto sia orgogliosa. Se ti odiasse non sarei riuscito a trascinarla qui neanche sedata. Anzi, forse una punturina le avrebbe fatto bene, è elettrica. Speriamo non scleri.”
Giulia era stata trattenuta da una ragazza che conosceva al bancone, incuriosita dalle dinamiche di quell’incontro e offesa perché continuava a ignorare i messaggi che lei e le altre le avevano mandato.
Giulia ricordò l’ultima volta che era stata lì, con Sebastiano che interpretava la fidanzatina, e arrossì abbassando la testa. “Sto passando un periodo di merda e faccio un sacco di casini. Mi dispiace, tu e le altre non c’entrate niente. Pure stasera ho tirato su un bel delirio, e adesso sto cercando di metterci una pezza. O almeno di provarci.”
Alzò gli occhi ancora rossi di pianto verso la sua conoscente, che cambiò immediatamente registro.
“Vai dalle tue amiche e non preoccuparti. In bocca al lupo!”
Giulia diede alcune sorsate, pensando che Sebastiano non aveva specificato per chi fosse il calice, e si alzò per dirigersi al loro tavolo. Si sentiva ubriaca e straordinariamente sola, al punto da immaginare che quella sensazione di totale abbandono avrebbe dovuto provarla alla morte di Laura. Una paura sorda la attraversò per pochi istanti, prima di ricordare che avrebbe ricevuto notizie dall’ospedale nell’evenienza di un peggioramento delle condizioni di sua madre. Le era capitato spesso di sentirsi completamente isolata nei luoghi come quello in cui si trovava, ma mai in compagnia di Elisa o di Sebastiano. Vedendo i suoi amici seduti vicini provò un dolore che non aveva immaginato: chiunque altro al loro confronto era condannato a un’insignificanza deprimente. Per alcuni secondi si fermò e diede altri sorsi al calice; pensò che se si fossero potute sommare in una sola persona alcune delle caratteristiche di entrambi, ne sarebbe risultata una creatura perfetta.
La presenza di Elisa continuava a toccarla più di quanto avrebbe voluto. Si sentì in colpa per i suoi occhi bruciati dal pianto e per l’espressione smarrita, che persisteva malgrado i sorrisi che le rivolgeva Sebastiano, gli stessi che facevano sentire Giulia stupidamente gelosa. Si lasciò cadere sulla sedia con un movimento sgraziato, e Sebastiano le versò da bere mentre lei cercava di raccogliere il coraggio per iniziare, maledicendosi per essersi fatta trascinare in quella situazione. Sarebbe voluta scappare in moto, e correre per andare da nessuna parte: sapeva da sempre che avere vicino delle persone sarebbe equivalso a uno scambio di sofferenza, e non voleva più né raccogliere né dare altro dolore. Sorrise ricordando che quei due si erano detestati per anni, e credeva che il fatto che si fossero legati così tanto fosse l’ennesima cattiveria che il destino le aveva riservato. Sentì bruciare gli occhi per la rabbia, e guardò Elisa negli occhi iniziando a parlare con una voce ferma e bassa.
“Ti ricordi quando ci definivamo amichette… mi dispiace Elisa, mi dispiace perché mi sto comportando da stronza ma proprio non ce la faccio. Tu sei l’unica… in tante cose sei unica e anche in questa. Nessuno come te conosce il significato del rapporto che ho con mia madre. Avrei voluto evitarti questo strazio perché non puoi farci niente, nessuno può farci niente. Però ormai non ho più scelta.” Si girò repentinamente verso Sebastiano, con le lacrime che ormai le scorrevano ormai sul viso, continuando a parlare con un tono normale. “Ho cambiato idea. Stanotte voglio correre in moto da sola. Tu resta con Elisa e raccontale tutto quello che sai.” Tirò su rumorosamente con il naso prima di concludere, abbassando lo sguardo. “Adesso vado. Mia madre sta morendo. Come dove e perché non ce la faccio… scusatemi. Vi prego, vi imploro solo di lasciarmi andar via e scomparire.”

GL – come sta? –
Sebastiano stava suonando da ore lo stesso pezzo, mentre aspettava l’alba per andare a camminare nel parco. Afferrò il telefono con il monitor illuminato per il messaggio: a prescindere dal contenuto si sentì sollevato nel leggere la sigla che aveva associato al mittente.
– Meglio di te, Giulia cara. Meglio di come immagini. Giustamente incazzata per la mancanza di fiducia. Hai guidato fino ad ora? –
– no non avevo abbastanza benzina. non ce l’ho con te. sono incazzata con me innanzitutto. adesso ho bisogno di terra bruciata. scomparire –
– Fallo. Grazie per il messaggio. –
Raggiunse la finestra, fermandosi a guardare gli alberi; cercò di pensare alle poche frasi che si erano scambiati, e capì di essere finalmente esausto. Aspettava da ore di sentirsi abbastanza stanco per sdraiarsi e dormire. Non si fermò ad analizzare il fatto che quella stanchezza era arrivata perché quei messaggi avevano alleggerito la preoccupazione che gli impediva di dormire. Tornò al pianoforte per abbassare il copritasti, proseguendo verso il materasso a terra che usava di giorno, per poi lasciarcisi cadere. Chiudendo gli occhi si diede dello stupido: si era messo in una posizione simile a quella presa dai suoi amici durante il suo ultimo viaggio. Ricordando la reazione di Ludger, si diede dell’idiota poco prima di addormentarsi, maturando la determinazione di lasciare Giulia libera perché il loro rapporto non avrebbe mai potuto paragonarsi a quello che aveva con lui.

Superata la rabbia e la delusione Elisa iniziò a scrivere lunghe mail a Giulia, cercando di ignorare il proprio dolore per concentrarsi su quello della sua amica. Con il passare dei giorni analizzò molti degli errori comunicativi fatti in passato con lei: adesso sapeva che Giulia, malgrado si stesse sgretolando nascosta dentro la sua corazza, aveva continuato a suo modo a proteggerla. Elisa era determinata ad apparirle serena e pronta ad aiutarla: continuò a scriverle malgrado non ricevesse risposta, sperando che la situazione cambiasse abbastanza velocemente da permetterle di sostenerla quando la madre l’avrebbe lasciata. Chiedeva ciclicamente a Sebastiano se aveva notizie di Giulia, e lui cercava di non rispondere in modo irritato alle sue domande perché, anche se voleva incoraggiarla, non voleva fare da intermediario. Amedeo scriveva spesso dei messaggi a Giulia, che restavano senza risposta; cercava di non parlare di lei, ma non sempre gli riusciva. Sebastiano inserì nella propria routine quotidiana le visite pomeridiane in ospedale: Laura era sempre contenta di vederlo, e i loro scambi erano facili da gestire perché non gli parlava mai della figlia; con il suo buonumore gli confermava indirettamente che la situazione era stabile. Ogni giorno le portava pasticcini che consumava con lei o dei CD di musica classica da ascoltare; conversavano spesso delle proprie letture, e Sebastiano prendeva il libro e iniziava a leggere appena coglieva in lei un accenno di stanchezza. Il tempo in cui Laura riusciva a sostenere la conversazione diventava più breve ogni giorno, e spesso dopo le prime pagine si addormentava silenziosamente; in quei casi Sebastiano continuava a leggere, perché sapeva quanto le piacesse ascoltarlo quando era in dormiveglia. A volte si congedava in anticipo per l’arrivo di altri visitatori: se Laura era sveglia non insisteva mai per farlo fermare più a lungo, e lui gliene era riconoscente.

Quel pomeriggio Ludger si era liberato prima del previsto, e tornò a casa quando la luce naturale tingeva ancora di tinte calde il soggiorno; Amedeo e Sebastiano erano sdraiati sullo stesso divano, il primo poggiato con la testa sul torace nudo del secondo, ed entrambi concentrati sui loro libri.
“Non vi siete alzati neanche per cambiare disco o accendere una lampada. È bello trovarvi così.” Fermò i capelli dietro le orecchie chinandosi per baciare le labbra di Amedeo, e riprese a parlare mentre si rialzava. “Mi sembra di tornare nel mio harem, volete che vi procuri delle candele o posso accendere una banale lampada da lettura?”
“Ludger caro, pretendo anch’io un bacio e sì, risparmiaci dalla cecità, grazie.”
Sebastiano non aveva neanche distolto lo sguardo dalla pagina strappata che teneva in mano. Ludger gli baciò la fronte la fronte prima di allontanarsi per attivare l’interruttore, ignorando le sue lamentele.
“Un saluto degno di un cane, anche It si offenderebbe. Come mai sei tornato prima? Speravi di coglierci in flagrante delicto? Hai dato picche all’ennesima creatura infelice?”
Ludger si era spostato in corridoio per togliersi il cappotto, e Sebastiano continuò ad alzare la voce con un tono completamente incolore.
“Che fai, fingi di ignorarmi? Prima o poi dovrai rassegnarti all’evidenza che non hai l’aspetto per poterti permettere di essere gratuitamente gentile con i passanti. Lù-ù? torni qui?
Amedeo abbassò il libro e rise. “Ti prego vieni qui e poni fine a questo strazio.”
Ludger si mosse con la sua abituale calma, prese una mela e sedette sul divano di fronte al loro.
Sebastiano aveva ancora la pagina sospesa davanti al viso e faceva scorrere le dita fra i capelli di Amedeo, che gli solleticavano la pelle. “Allora? Che hai combinato? Andrea è già al lavoro con secchiello e paletta? O forse sarà il caso di allertare anche Davide?”
Ludger sorrise ad Amedeo, che aveva abbandonato il libro voltandosi nella sua direzione e mantenendosi sdraiato sul divano; l’ennesimo richiamo quasi ululato da Sebastiano lo spinse a rispondere.
“E datti pace! Sei sovraccarico, se continui così dovremo portarti dal veterinario. Non ho dato picche a nessuno oggi, sarei dovuto uscire con Helga, ma aveva altro da fare. E a te cos’è successo? Anche tu a quest’ora in genere non ci sei.”
Amedeo si sollevò a sedere incrociando le gambe sul divano, e prese una posizione diagonale per poterli osservare entrambi. “Fratello, rispondi dunque.”
Sebastiano lasciò finalmente cadere la pagina, e sorrise. “Helga ha rimorchiato un tipo interessante. Le capita spesso adesso che è uscita dalla gabbia. Questo però penso abbia uno straccio di speranza. Me lo ha anche fatto conoscere. A te non ne ha parlato?”
In risposta Ludger annuì, restando in attesa.
“Bene, sono contento. Io mi sono fermato poco in ospedale perché Laura ha avuto visite. Quando vengono altre persone sfumo, non credo che sia il caso di leggere i Karamazov ai passanti.”
Sentendogli pronunciare il nome di Laura, Amedeo abbassò gli occhi: si sforzava per non chiedere notizie di Giulia a Sebastiano, malgrado fosse costantemente preoccupato.
Ludger diede gli ultimi morsi alla mela, prima di abbandonare il torsolo sul tavolo basso che li divideva. “Quindi vai in ospedale ogni giorno. Pensavo avessi iniziato un altro corso di qualcosa, immaginavo il tip-tap. Come sta Laura?”
Tip-tap, quando mi alzo ti picchio. Laura è debole, sempre più debole. Non posso saperne molto di più. Credo che lei sia convinta che io e Giulia ci stiamo vedendo, come farebbero normalmente due fidanzatini. Non parliamo mai di sua figlia, e io ovviamente non ho contatti con i medici. Mi è stato detto che posso andare ogni volta che voglio e continuerò a farlo, fino a nuovo ordine.”
Scese il silenzio, e Sebastiano spostò lo sguardo su Amedeo; non gli piaceva vederlo così preoccupato, e fece uno sforzo per descrivere a parole la posizione che aveva preso nei confronti di Giulia. Per lui era disposto a fare fatiche che avrebbe evitato per chiunque altro. Specificò di non averla più sentita dalla notte in cui si erano incontrati con Elisa, e da allora non aveva fatto tentativi per contattarla. Pensava che Giulia in quel momento fosse come un animale selvatico, che doveva essere lasciato libero di avvicinarsi seguendo le sue dinamiche e che, al contrario, tendeva a ritrarsi quando qualcuno provava ad avvicinarla. Non aggiunse altro, ricordando quando da bambino giocava da solo nei boschi, e quelle dinamiche per lui erano state del tutto naturali. Avrebbe voluto essere il primo a restare del tutto indifferente alla presenza o assenza di Amedeo e Ludger, e il fatto che non gli riuscisse confermava quanto fossero importanti. Amedeo restò disattivato, con lo sguardo perso sulla trama del divano, e fu Ludger a riprendere a parlare.
“Secondo la tua teoria questa fuga potrebbe essere una reazione all’incontro forzato con Elisa. Mi sembra plausibile. Sai, credo che cercherà te per primo perché sei l’unico, tra voi tre, che non stia provando a raggiungerla.”
Sebastiano si sentì stanco e concentrò la propria attenzione, fragile come un guscio d’uovo, su di lui: Ludger era semisdraiato, con le gambe inevitabilmente fuori dalla base d’appoggio, e i contorni bruciati dalla luce della lampada dietro di lui, mantenendo il viso inespressivo nell’attesa. Sebastiano sapeva che avrebbe iniziato a leggere uno dei tanti libri che lasciava aperti ovunque, se non gli avesse risposto. Prese una mano di Amedeo continuando a guardare Ludger: stava vivendo uno dei tantissimi momenti in cui desiderava che il tempo si fermasse. “Fratellino non devi preoccuparti costantemente, ognuno trova o costruisce le sue strade per attraversare le tempeste. Giulia troverà sicuramente la sua. E sì Ludger, penso anch’io che potrebbe contattarmi per primo. Anche perché sa che non la sto aspettando.”
Ludger sorrise dopo pochi secondi, sollevando una rivista lasciata sul tavolo la sera prima. “Non riesco a crederti del tutto.”
“Giulia è faticosa, io sono pigro.”
“E io potrei sbagliarmi.”
Amedeo rise, scuotendo la testa. “Fratello, io non ti chiederò niente, però se senti Giulia puoi dirmelo? Grazie. Prima mi ha scritto Davide proponendomi un’uscita stasera. Andiamo?”