Sebastiano era seduto su uno degli sgabelli dell’enoteca che affacciava su largo Osci; quel pomeriggio aveva inviato un messaggio ad Amedeo, proponendo di incontrarsi lì per iniziare la serata insieme. Era rivolto verso via dei Volsci, aspettando di vederlo comparire insieme a Ludger; cercò di ricordare ogni dettaglio di un appuntamento che avevano avuto nello stesso luogo quasi un anno prima, con le stesse persone. Aveva conosciuto Ludger in quell’occasione, che li aveva aspettati stando esattamente nella sua posizione. Sebastiano ricordava bene l’ammirazione che aveva provato per la sua bellezza e per il suo restare impermeabile alla tensione, malgrado l’umore di Amedeo che minacciasse di crollare in qualsiasi momento. La memoria gli restituì soltanto pochi dettagli, ancorati alle condizioni emotive e all’aspetto dei suoi amici; guardandosi intorno pensò che tutto il resto, a cui non aveva prestato attenzione, dovesse essere stato molto simile a quello che lo circondava. Sorrise, pensando al fatto che Ludger occupava allora una posizione opposta a quella presente: era il detestabile estraneo che gli stava portando via suo fratello. Accese una sigaretta, prima di dare un sorso di vino; aveva ripreso a fumare, beveva abitualmente, e viveva un presente che non sarebbe mai riuscito immaginare un anno prima. Era profondamente soddisfatto di essere riuscito a canalizzare i pensieri in quella direzione. 
Amedeo e Ludger si stavano avvicinando, camminando vicini; era raro che si scambiassero tenerezze o anche banali contatti in strada. Sebastiano trovava eccessiva la loro discrezione, malgrado gli consentisse di continuare a focalizzare l’attenzione su di loro, mantenendoli ben distinti. Amedeo prese Ludger per un braccio per spingerlo ad andare più veloce appena lo mise a fuoco.
“Che bello trovarti qui in piazza ad aspettarci!”
Sebastiano si alzò allargando le braccia. “Che bello vedervi arrivare, mentre la sera scende. Fatti abbracciare fratello. Voi due insieme potreste cancellare ogni bruttura. Voglio offrirvi il primo di una lunga serie di calici.”
Esauriti i saluti e le ordinazioni, Ludger cercò di avviare una conversazione che non includesse Giulia; sapeva che Amedeo era curioso di sapere come fosse andato il loro viaggio, ma intuì che Sebastiano non voleva parlarne.
“Sei passato a casa a cambiarti oggi? Stai molto bene vestito così… sai? Mi sembra passata un’eternità dall’ultima volta che ti ho visto travestito da uomo.”
Sebastiano indossava una blusa senza maniche su dei pantaloni a sigaretta tagliati appena sopra la caviglia, e un paio di scarpe molto ricercate. Da quando aveva iniziato a far visita a Laura evitava di usare i completi, ma evitava comunque di uscire portando abiti che ne sottolineassero ulteriormente l’androginia; quella sera teneva anche i capelli raccolti, come in genere faceva esclusivamente in casa.
“Non c’è nessuna necessità di rinchiudersi in un ghetto per farsi una crocchia, ma sto facendo lo stronzo. Perdonami. Sì Amedeo, sono passato da casa a posare i bagagli e fare una doccia. È impossibile stare a Londra senza fare acquisti, anche per me. , ti ho comprato un paio di chili di vinili, facciamo finta che tu ne abbia bisogno.”
Amedeo sussurrò fra le labbra socchiuse. “Londra? Ma… non eri a Berlino?”
Sebastiano si prese un po’ di tempo per rispondere; aveva intenzione di raccontare del suo viaggio ad Amedeo, ma non voleva farlo in quel momento.
“Fratellino, domani partiremo per il nord, ho aspettato di proposito di tornare poco prima della nostra partenza. Volevo una sera con voi, una sola, bella come un regalo. Puoi accontentarmi? Stanotte vorrei bere, parlare e ridere con voi fino all’estinzione di ogni idea solida. Vorrei stare con voi anche a dormire. Vorrei respirare la vostra presenza fino a pulirmi i polmoni. Gli ultimi giorni sono stato a Londra. Ho scelto Londra per il clima, e per la National Gallery. Di quello che c’è stato prima ti parlerò poi. Non ho niente di abbastanza importante da dirti per cui valga la pena rovinare questo bellissimo momento. Può essere bello essere innamorati. Voi siete la creazione più significativa di un universo insensato. Lady Jane Grey sta per essere decapitata ed è così splendidamente bianca, bianca malgrado il ceppo che la aspetta per la decapitazione. Le sue mani lo cercano. Non mi stancherei mai di guardarla. Volevo rivedere gli zoccoli di legno degli Arnofini. Sporchi di fango. Devono essere tolti prima di entrare in uno spazio mentale, puro. Tutti guardano lo specchio. Ogni volta resto incantato da quegli zoccoli. Parleremo anche di quello, anzi, tornando dall’Irlanda magari ci passiamo insieme. Adesso non voglio annoiare il nostro uomo.”
Ludger sorrise avvicinandosi a Sebastiano. “Non mi annoi, anche se avrei bisogno di maggiori elementi per decodificare le metafore. Lasciami i riferimenti da studiare mentre sarete in viaggio, sono sempre affascinato dal vostro modo di leggere le immagini. Invece, a proposito di soggetti interessanti che mi piacerebbe approfondire, ti dispiacerebbe se andassi a trovare tuo padre?”
Amedeo era sorpreso da quella richiesta; sapeva che Sebastiano frequentava Helga, e si stupiva della loro amicizia ogni volta che gliene parlava. La prospettiva di un legame tra Jacopo e Ludger gli appariva altrettanto strana: gli era ancora impossibile pensare di superare del tutto una base di imbarazzo al cospetto di persone più grandi di loro, tanto complesse. Sebastiano portò il bicchiere alle labbra senza bere, e ad occhi chiusi li immaginò sotto il portico, a giocare a scacchi.
“Ti lascerò il numero. Tu Ludger, per quanto mi riguarda, puoi fare tutto quello che vuoi. E il vecchio ne sarà felice. Attento solo a non stancarlo troppo. Gli piaci molto, e quando è preso da qualcuno dimentica di essere prudente. Come la storia ci insegna. Dove volete cenare?”

“Non la sopportavo più. I primi giorni sono stati bellissimi. Ci sono stati momenti così belli che compensano la fatica. Ho ancora negli occhi la sua figura che cammina, immersa in quel panorama surreale. Una delle immagini più luminose che abbia collezionato. In Francia siamo stati davvero bene. Ma la tappa a Berlino è stata un fallimento totale. Piangeva sempre, ma non era un pianto nobile, era spremuta di veleno. Mi ha portato nella sua tana. Voleva e non voleva. Personalmente non me ne fregava un cazzo. E gliel’ho detto, ma non è servito. Lei stessa l’ha definita una comunità senza individualità di spicco, nel senso che non ha amici. Era nervosa, era gelosa dell’interesse che suscitavo, ed era una cosa senza senso stare lì, così. Loro, i ragazzi che bivaccano lì, tutti molto carini. Di modi, alcuni anche esteticamente. In un’altra vita mi sarei divertito moltissimo a giocare con quei ragazzi, ma lei stava un disastro, e non mi sono divertito per niente. Mi ha fatto vedere il suo giaciglio e mi sono meravigliato che non avessero tutti la scabbia, o un qualche parassita dei cani che stazionano ovunque. Ma esagero, sono curatissimi, i cani. ‘Sta cosa dei cani proprio non la capisco, li darei tutti in pasto a It, appositamente omogenizzati. Mi ci vedi come macellaio?”
Sebastiano ed Amedeo erano seduti su un prato, sulle Scogliere di Moher. Amedeo stava prestando la massima attenzione, perché le parole del suo amico lottavano contro il vento prima di arrivargli all’orecchio. Sebastiano durante il viaggio sembrava sereno, anche se particolarmente taciturno, e ogni tanto si era voltato verso di lui per sorridergli. Avevano cantato a squarciagola nella macchina noleggiata all’aeroporto, ascoltando una cassetta di vecchi classici post-punk che Amedeo aveva portato per divertirsi con lui. Si erano tenuti la mano passeggiando sulla scogliera, abbracciandosi ogni tanto nei punti più suggestivi, guardando l’oceano. Nessuno li infastidiva, perché si mimetizzavano con le tante altre coppie che visitavano quel luogo. Sebastiano indossava una delle sue bluse di seta, e ancora una volta si era raccolto i capelli in un grumo scomposto fermato con un elastico di fortuna, per non essere infastidito dal vento.
Amedeo ascoltava con molta attenzione, ed entrambi mantenevano lo sguardo verso il mare.
“Saresti il mio macellaio preferito, anche se la carne di cane me la risparmierei volentieri. Come vi siete lasciati?”
“Uno schifo. Abbiamo dormito in albergo, ovviamente. Sarebbe stato molto meglio se mi avesse lasciato con uno dei suoi biglietti. Non ho avuto questa fortuna. Ho aperto gli occhi che già piangeva. Perché stavo andando via, che pazzia. Avermi lì l’ha devastata. Quei due giorni sono stati una fatica inutile, anche e soprattutto per lei. Le ho detto infinite volte che può andare e venire come le pare. Quella mattina non l’ho consolata, ero stufo. Mi sono preparato e l’ho lasciata a piangere seduta sul letto. Nessuno può scegliere per lei. Io so cosa voglio, o forse so solo cosa non voglio, e va bene lo stesso. Mi rifiuto di scegliere per un altro.”
Sebastiano stava usando un tono di voce duro, come il suo sguardo perso sull’orizzonte lontano. Amedeo non osava interromperlo, e credeva che quell’irritazione fosse l’ulteriore conferma del fatto che Giulia riusciva a scalfire l’indifferenza granitica di suo fratello.
“Abbiamo così poco tempo, la vita è talmente stronza. Non mi capacito di come si possa sprecare in sofferenze inutili. Lei è bellissima, anche troppo. Ha un potenziale straordinario, a volte. Ma è impastato nel fango. Non posso cercare sempre la pietra filosofale, dopo un po’ la nigredo mi rompe i coglioni.”
Amedeo rise, prendendosi la radice del naso tra pollice e indice, quasi cercando di raccogliere le idee. Scosse la testa. “Saresti il mio macellaio-alchimista preferito.”
Sebastiano gli sorrise. “Aline, suo malgrado, mi ha insegnato molto. Tutta una serie di risorse mie, con lei, si sono consumate in modo irreversibile. Non possono rigenerarsi. Anche perché non vorrei. Se Giulia vuole stare male può farlo. Chiunque dovrebbe essere libero di fare della sua vita quello che gli pare. Ma non ha senso stare con qualcuno per questo. E io mi rifiuto di prestarmi a giochetti del genere. Penso ai rampicanti morti, che anche da estinti mantengono i rampini ancorati all’intonaco. Questa determinazione mi fa raccapriccio. Vogliamo chiamarlo egoismo? Potremmo farlo. Ma per me è una forma di ecologia mentale.” Sorrise, con una sfumatura di cattiveria. “Mi ha definito viscido masochista, ma sbaglia. O forse non lo sono fino a questo punto.”
Amedeo annuì: era completamente d’accordo, malgrado il dispiacere che quel racconto gli provocava. Sarebbe stato inutile chiedergli se si fossero sentiti da allora. “E adesso?”
“L’ho invitata per qualcosa che faremo noi a fine mese. Prima che le cose precipitassero, e quindi non so se verrà. Non mi ha voluto neanche ricordare cosa abbiamo in programma per fine agosto, ha solo chiesto di essere invitata. Che fatica. Se si ripetessero queste dinamiche non credo potrà esserci un seguito. Nella nostra non-cosa. A proposito. Che facciamo a fine mese, fratello?”
Amedeo mandò gli occhi al cielo, e pensò che fosse profondo, ricco di stratificazioni di nuvole, una profondità che rifletteva quella del mare. “Un allegro concertino. Ottima occasione per rivedervi. Senti, per chiudere, mi dici qualcosa di positivo di questo viaggio? Non penso che la coda abbia potuto cancellare tutto.”
Per entrambi accendere una sigaretta richiese manovre complicate; fumarono in silenzio guardando le onde frangersi contro le rocce, in basso, molto lontane da loro.
“Come un giardino italiano. La vita, le piante sono contenute. Elemento organico costretto entro i limiti di una geometria rigida. Per contro, dove si perde il disegno, negli spazi non definiti e apparentemente insignificanti, esplode in una vitalità sorprendente. Struggente.”
Amedeo restò in silenzio, scavando in quella metafora, interpretando i simboli. Lo strinse per le spalle avvicinandosi al viso per baciarlo sullo zigomo, ma Sebastiano si girò per prendere quel bacio sulle labbra. Gli sorrise, la tensione era stata trascinata via dal momento presente.
“Mi chiedo solo se non hai paura di perdere Giulia… la vostra non-cosa ha delle caratteristiche straordinarie, e mi dispiacerebbe se dovesse scomparire, credimi, mi dispiacerebbe tanto.”
Il braccio di Amedeo era ancora sulle sue spalle, e Sebastiano inclinò leggermente la testa sul collo lungo; rivolto verso l’acqua pensò che dopo tanto oceano non sarebbe tornato a vedere il mare per parecchio tempo. Trovò che l’idea della rinuncia avesse un sapore dolce, ma sapeva di non poterla considerare una conquista, perché stava ancora tenendo gli occhi su quelle onde colossali.
“Fratello, tutto scompare. Non mi interessa più. Ludger a Venezia mi ha definito vigliacco e aveva ragione. Ludger ha sempre ragione, ma questo particolare tipo di vigliaccheria l’ho superata. Trovo che quando qualcosa si perde, senza che ci sia una morte, resti una perdita affrontabile. Posso fare tentativi, ma rifiuto di vivere con un fallimento travestito da tentativo. Non mi risparmio niente. Con Giulia non è tutto perso. D’altra parte c’è qualcosa che non potrei mai pensare di perdere. Ma non è lei. Solo a pensarci mi viene voglia di correre i pochi metri che ci separano dall’abisso e spiccare il volo. Un dono che ne porta altri, almeno un altro fortemente significativo. Così intrecciato ormai che è come parte di uno stesso nucleo. Tu, Ludger, noi. Penso che potrei sopravvivere ad altre perdite, credo. Ma non vorrei sopravvivere a questa.”

I giorni trascorsero come un fiume in piena e, in una notte di ubriachezza passata a Dublino, Sebastiano raccontò della lettera di Luca mentre camminavano nelle strade vuote bagnate di pioggia. Ne parlò con serenità e distacco, trovando una formula che ottenne l’effetto sperato: Amedeo assorbì l’informazione senza turbamenti. Gli chiese se avesse intenzione di risentirlo prima o poi, e la risposta arrivò con un sorriso.
“Non lo so. Non so come e se usare la possibilità che ha aperto. Forse lo farò. Per uccidere definitivamente qualcosa che è morto da tempo. Ultimamente preferisco frequentare i vivi.”

Ludger non chiamava mai Amedeo quando era in viaggio; rispondeva alle telefonate e ai messaggi molto velocemente durante il giorno, lasciando in sospeso quelli che gli spediva in piena notte fino alla mattina successiva. Quel giorno non rispose ai suoi messaggi per diverse ore, spingendolo a chiamarlo durante l’ultimo giorno che lui e Sebastiano trascorsero a Londra per visitare diversi musei.
– Stai bene? –
Amedeo notò che la sua voce era completamente priva di intonazioni. – Certo… tu piuttosto.. –
– Scusami se non ho risposto ai messaggi. Ho… sto affrontano una situazione spiacevole, niente per cui valga la pena di farti preoccupare adesso. Ti racconterò tutto domani, ok? –
Nel silenzio che seguì, Amedeo immaginò che Ludger si trovasse in una situazione che gli impediva di parlare in piena libertà. – Mi dispiace. –
Ludger rise, ma la sfumatura di quella risata suonava sbagliata. – Sai? Se potessi ti ordinerei di divertirti e di non pensarci. Davvero. Perdonami, non posso stare a lungo al telefono, ma ci rivedremo presto. Salutami tuo fratello. Ricordati che ti adoro. A presto, tesoro. –
La conversazione venne troncata di netto, ed Amedeo restò fermo fuori dal pub guardando il telefono che ancora teneva in mano. Sebastiano lo raggiunse, e non diede troppo spazio ai dubbi, considerando che si sarebbero rivisti il pomeriggio successivo; gli ripeté che Ludger non diceva mai bugie, e che non sarebbero stati in grado di fare molto da lì in ogni caso. Suggerì ad Amedeo di mandargli un messaggio per chiedergli se fosse solo, e la risposta gli arrivò subito: Ludger lo invitava affettuosamente a non pensarci, specificando che sarebbe rimasto con Andrea fino al loro arrivo. Sebastiano archiviò momentaneamente la questione, invitandolo a riprendere la visita del museo che avevano interrotto.
“Adesso, fratellino caro, smetti subito di fare il fidanzatino ansioso. Andiamo a vedere uno dei miei pezzi preferiti del British, una graziosissima scultura precolombiana di una testa, con denti umani. Se non gli dedicherai tutta l’attenzione che merita ti diseredo. Mi sento indirettamente autorizzato dal capo, non puoi ignorare il volere dei tuoi uomini impunemente.”

Il pomeriggio successivo  trovarono Andrea ad accoglierli all’uscita dall’aeroporto; li abbracciò entrambi scherzando come sempre, dicendo di aver posteggiato la macchina in un parcheggio precario, e  che Ludger aveva preferito aspettarli lì.
Strinse di nuovo Amedeo. “Ti impongo di accompagnarmi a prendere un caffè.” Si rivolse poi a Sebastiano, dandogli indicazioni per raggiungere il loro amico.
Sebastiano si mise in cammino senza fare domande, ma Amedeo era accigliato e non riuscì a trattenersi dal manifestare il proprio nervosismo.
“Questa situazione non mi piace.”
Anche se Andrea sorrise scuotendo la testa aveva un viso stanco e preoccupato. “E infatti… ma il peggio è passato, e tu devi stare tranquillo. Ti racconterà tutto, ma non lo stressare. Davvero, non ne ha bisogno. È dispiaciuto soprattutto per te, e io penso che non sia giusto. Lui parla contorto ma insomma, adesso andiamo e ve la vedrete voi. Però, ti prego non lo far agitare, fammelo come favore personale.”
Amedeo iniziò a camminare verso l’uscita, costringendo Andrea a bere il caffè in fretta per non restare indietro; ricordava le sue indicazioni e sapeva come raggiungere la macchina. Sentiva crescere un’agitazione che cercò di tenere sotto controllo, ma non riusciva sopportare quella tensione sapendo di poter raggiungere Ludger così facilmente.
Andrea lo trattenne per un braccio. “Senti. Io sono sempre stato il primo a lasciarti fare quello che ti pare. Stavolta però te lo chiedo da capo, come favore personale. Non fare i capricci, lasciagli il tempo di parlare,. Tu non c’entri niente, stattene un attimo buono, ok? Adesso ci fumiamo una sigaretta e diamo a quei due il tempo di farsi due chiacchiere. Ludger pensa sempre prima a te e lo sai. Due minuti, due, glieli puoi lasciare con Sebastiano?”
Amedeo annuì, pensando che fosse inutile chiedergli ulteriori informazioni anche se non riuscì a trattenersi. “Dimmi solo se sta bene.”
Andrea sorrise nervosamente. “Senti, è intero e non vede l’ora di rivederti. Ora torniamo dentro, mi prendo un caffè che non mi farai andare di traverso, e poi ci fumiamo una sigaretta. Dopo di che li raggiungiamo. Se scappi ‘nartra volta giuro che litighiamo.”

Ludger stava aspettando fuori dalla macchina, appoggiato sulla fiancata; aveva un umore instabile, che oscillava seguendo pensieri impossibili da tessere in una trama unica. Quando vide Sebastiano bloccato alcune file di macchine prima della sua, gli sorrise andandogli incontro.
“Non sai quanto sia felice di vederti, non posso aiutarti con i trolley… li porteresti fino alla macchina… Sebastiano? Sai che mi fa tenerezza vederti incantato.”
Lui si portò due dita alla fronte strizzando gli occhi, dopo avergli sentito pronunciare il proprio nome: i bendaggi sulle mani di Ludger rievocarono una serie di informazioni che gli permisero di interpretarli con facilità. Ludger lo chiamò ancora, sfiorandogli il viso con le dita lasciate libere dalla garza, e a quel contatto Sebastiano prese finalmente il bagaglio per dirigersi alla macchina. Dopo averlo caricato restò in silenzio; sembrava inanimato, ma dall’intensità del suo sguardo Ludger leggeva quanto quell’attesa fosse pesante per lui. Lo strinse a sé riempiendosi d’aria i polmoni, pensando che quell’incontro sarebbe dovuto essere il più facile, ma la completa mancanza di reazioni di Sebastiano lo portarono ad affrontare in anticipo una delle possibili reazioni di Amedeo. Si sentiva in difetto, esattamente come avrebbe fatto con il suo compagno, e decise di aggrapparsi con determinazione soltanto all’aspetto positivo di quella similitudine.
“Sto bene, ancora scosso, ma sto bene. Purtroppo ho ancora i nervi elettrici, puoi aiutarmi?”
Sebastiano annuì, e gli posò le mani sulle spalle per allontanarlo. “Cosa posso fare?” Le sue mani restarono lì, stringendo troppo forte.
“Aiutami con Amedeo. Ho ancora il caos in testa, e non so bene come gestire alcune cose con lui. Tu sarai sicuramente d’accordo, qualsiasi cosa che accade è responsabilità soltanto di chi la vive.”
“Non capisco. Senza contesto… non so di che parli. Ma cercherò di aiutarti, se sono d’accordo, e con te succede spesso. Che cazzo di sfiga non esserci stati.”
L’espressione di Ludger cambiò repentinamente, mentre Sebastiano non allentava la presa sulle sue spalle.
“Ludger. Perché fai quella faccia?”
“Ecco, sai, hai preso proprio uno dei nodi. Voi potete e dovete esserci o non esserci a prescindere dalle sfighe.”
Sebastiano si stupì per quel cambiamento: il tono di voce con cui gli si era rivolto equivaleva alla durezza del viso teso. “Certo.” Non gli chiese di stare calmo sapeva perché sapeva di rischiare l’effetto opposto. Ricordò una crisi di nervi di Giulia nel parcheggio dell’ospedale dove sua madre stava morendo, mentre lei era incapace di gestire le proprie emozioni. Pensò al ruolo di supplente che si era offerto di ricoprire  per lei, nel caso avesse avuto uno dei suoi crolli; Laura era sempre stata in grado di fornirle un rifugio sospendendo momentaneamente ogni forma di critica. In quel momento capì di voler fare la stessa cosa per Ludger: gli sorrise e lo abbracciò con forza.
“Ludger. Io sono dalla tua parte. Adesso lo sarei anche se non fossi d’accordo con te. Se c’è di mezzo Amedeo. Lo so che lo metti sempre al primo posto, prima ancora di te stesso. Con me te la vedrai dopo, quando te la sentirai, e se vorrai la mia opinione. Adesso non preoccupartene, puoi contare su di me.”
Ludger rispose all’abbraccio evitando di premere con le mani, e lo ringraziò. Provava una gratitudine così profonda da sentirsi momentaneamente sgombro da altri pensieri.

Andrea inseguì Amedeo che sfrecciava nel parcheggio: quello slancio si spense non appena vide Sebastiano, di schiena fra le braccia di Ludger. I bendaggi risaltavano bianchi appoggiati sui capelli neri, e il viso di Ludger aveva un’espressione vicina al pianto anche se stava sorridendo a occhi chiusi. Andrea passò un braccio sulle spalle di Amedeo ancora bloccato, e gli si rivolse con una tonalità più leggera di quelle che aveva usato in precedenza, quasi scherzosa.
“Tuo fratello è il più figo di tutti. A me per poco non mi menava ogni volta che provavo a farlo stare un po’ tranquillo. Chissà che ha fatto… adesso tu devi fare il bravo. Ok?”
Amedeo si avvicinò a loro camminando lentamente, cercando di capire il momento. Era agitato, preoccupato e soprattutto confuso. Non riusciva a immaginare il motivo di quelle ferite, ma non gli fu difficile ricostruire la dinamica con cui poteva essersele procurate: si spaventò pensando al gatto, rimanendo contemporaneamente commosso da quell’abbraccio che non voleva interrompere. Restò fermo a pochi passi, in attesa. Ludger riaprì gli occhi mantenendosi appoggiato alla testa di Sebastiano, e anche se gli sorrise con i suoi colori luminosi il suo viso era teso.
Amedeo ricambiò il sorriso, alzando le spalle. “Sto aspettando il mio turno, ma non ho fretta… potrei anche invecchiare stando qui a guardarvi.”
Sebastiano sentendo il suono della sua voce strinse appena più forte, prima di separarsi da Ludger spostandosi dall’altro lato della macchina, mentre loro si abbracciavano in silenzio. Fumò una sigaretta pensando a Giulia; tra le tante parole che avevano riempito la breve tappa a Mont Saint Michel gli tornarono quelle scambiate poco prima di addormentarsi: gli aveva raccontato di avere imparato qualcosa ogni volta che era stata innamorata, anche quando il processo era completamente imploso e doloroso. In quel momento gli dispiaceva di averla lasciata in lacrime quella mattina, ma non provava rimorsi, perché non avrebbe potuto fare niente per rendere la loro separazione meno spiacevole, e restava convinto che lei gli avesse tolto qualsiasi potere di dare forma al tempo passato insieme. Avrebbe potuto ottenere una crosta più accettabile, ma sotto la superficie sarebbe rimasta quella frattura; Giulia aveva ridotto la presenza di Sebastiano a un involucro vuoto, un significante impossibilitato a produrre significato.
Andrea stava fumando vicino a lui. “Sei un grande tu. Ma non te lo dico che già lo sai, no?”
“Tutto merito loro, te lo assicuro. Io sono soltanto un bravo parassita. E tu sei sempre molto simpatico.”

Andrea si era messo alla guida e Sebastiano si era seduto davanti con lui, dietro Ludger teneva un braccio sulle spalle di Amedeo, che gli carezzava le bende e le dita della mano abbandonata sulla sua gamba. Appena avevano preso posto Ludger aveva detto che preferiva arrivare a casa per raccontare cosa gli era accaduto, e nessuno aveva fatto domande. Andrea chiese del viaggio e Sebastiano fu il solo a rispondere, parlando con voce monocorde di prati, pecore, castelli, fiordi, litri di birra e suonate stonate nei pub di notte. “E poi, certo, l’oceano. Ma quello non si può raccontare. Almeno non posso farlo io. Ci vorrebbe un poeta. Io preferisco le pecore e le birre, mi riescono meglio.”
Arrivati a casa Ludger tornò a manifestare nervosismo, nei gesti spezzati e nel viso teso. Il gatto li accolse tuffandosi ai piedi di Sebastiano, intonando le sue fusa rumorose mentre Amedeo, dirigendosi verso il bagno, si fermò in corridoio senza raggiungerlo; prima di seguirlo Ludger chiese ad Andrea di aprire una bottiglia.
“Farò riparare tutto, immagino che adesso sia difficile trovare qualcuno… saranno in ferie. Poi sentiamo Lorenzo.”
La maschera rituale di Steinar era scomparsa, e la porzione di muro intorno allo spazio che la ospitava era devastata. Amedeo ricordò le impronte delle tele in negativo che aveva trovato in soggiorno quando aveva riaperto quella casa da solo: rettangoli vuoti definiti dalle pennellate che sporcavano le pareti oltre un confine scomparso. Ma lì il muro era inciso, e si sentì oppresso nel non riuscire a immaginare come. Aveva osservato le dita di Ludger per tutto il viaggio: c’erano solo graffi superficiali, e le unghie erano intatte. Sentiva un peso sui polmoni, girandosi verso di lui vide sulla porta dello studio alcuni buchi, e si stupì di come la superficie del legno fosse così sottile. Non aveva mai provato a immaginare la struttura di una porta, e ora sfiorava il bordo di quei fori che avevano distrutto uno strato sottile, rivelando un’intercapedine vuota e buia. Sebastiano restò al margine del corridoio, vicino alla penisola dove Andrea disponeva i calici: la voce di Ludger che scandiva la parola pugni gli arrivò nitida; come quella di Amedeo che parlava senza colore.
“E questi?” Nel chiederlo fece i polpastrelli nei solchi del muro.
“Martellate… adesso vai in bagno, ne parliamo appena tornerai di là.”
Sebastiano si lavò le mani nel lavandino della cucina perché non voleva spostarsi, Ludger si sedette dall’altro lato della penisola, vicino ad Andrea che si massaggiava il viso stanco. Fu lui a parlare.
“Louis, sei sicuro di volerci qui… me lo hai già detto. Spiegato. Ma io non capisco che ve ne fate di noi, adesso.”
Ludger prese il suo calice annuendo, dando alcuni sorsi senza aspettarli come faceva di solito. Sebastiano lo osservava restando al lavandino, si era soltanto girato appoggiandosi al piano di lavoro; quel lato lo voleva lasciare ad Amedeo. Analizzava il suo viso teso che rendeva più duri i lineamenti, i capelli che non erano stati pettinati, pensando che il suo aspetto gli restituiva dettagli che per Andrea non dovevano essere inediti. Si chiedeva cosa non riuscisse a rimettere in ordine nei suoi pensieri, era la sua maggiore curiosità, più forte del conoscere la causa che aveva scatenato quella crisi. Nel parcheggio gli aveva dato un indizio che non voleva approfondire, per tenersi vigile ed essere pronto a intervenire assecondando il momento.
“Sì Andrea. Lo preferisco. Però mi basta Sebastiano, tu hai già fatto tanto, se sei stanco puoi anche staccare a questo punto. Ti chiamerei più tardi.”
Andrea rise scuotendo la testa, per poi passare una mano sulla sua rasatura perennemente ferma a pochi millimetri. Il giorno precedente era partito dalla casa presa a Sabaudia per passare alcuni giorni con l’ultima ragazza con cui stava avendo una storia poco impegnativa, come le precedenti. Non desiderava tornare lì con quella preoccupazione. “Non se ne parla, non stacco certo per una tresca. Lo sai che non ti mollo fino a che non mi butti fuori.”
Gli sorrise chiedendogli una sigaretta, non poteva stringere niente fra le mani senza dolore, e continuò a sorridere pensando che sembrava una metafora della sua situazione. Si impose di ricordare che non era vero.
Amedeo tornò con passi veloci, il viso al pavimento, e con gesti fluidi prese posto sullo sgabello di fronte al suo. Era corrucciato ma cercava di mantenere il più possibile un atteggiamento neutro, e il suo turbamento traspariva soltanto dallo sguardo carico che alzò verso di lui sussurrando con una voce completamente incolore. “Allora?”
Ludger si portò di nuovo il calice alle labbra, non sapeva da dove iniziare. “Io sono contento che tu non ci sia stato, vale anche per Sebastiano. Cercherò di essere sintetico perché sono ancora elettrico, ma anche molto stanco.”
Un’altra pausa, Amedeo iniziava a sentire la tensione in modo quasi doloroso. Quella premessa per lui non era abbastanza significativa. Ignorava il vino e le sigarette, sembrava evitare anche di sbattere le palpebre. Si impose di non invitarlo a continuare.
“Ieri pomeriggio ho avuto un incontro con mia madre e Anastasia. Helga si è portata anche il compagno. Non mi aveva detto che sarebbe venuta accompagnata. Ma non sono questi i dettagli importanti. Il dettaglio, l’unico importante, è Steinar. È vivo, ancora in India, e sta male. Quanto e perché non ha importanza. Anastasia è venuta a Roma appena lo hanno saputo, pensando di partire per raggiungerlo con la squadra al completo. Nella loro idea io avrei dovuto far parte della spedizione, e nessuna delle due se la sentiva di parlarmene da sola. Non faccio fatica a capirlo. Anastasia in particolare mi ha fatto incazzare a bestia. Con la sua generosità aggressiva neanche si rende conto di quanto possa essere astrusa. È suo fratello e non mi permetterei mai di dirle cosa fare, ma non mi capacito… proprio non riesco a capire come possa pensare di avere il diritto di permettersi di chiedere una cosa del genere a me. E anche a Helga, ma non sono affari miei. Posso pensare solo alla mia posizione, e per me la sua richiesta è inaccettabile.”
Aveva parlato alzando la voce, senza cambiare tono. Amedeo pensò che fosse un aumento progressivo, come se una manopola del volume venisse girata lentamente. Contemporaneamente gli occhi di Ludger si assottigliarono fino a diventare due fessure; teneva le mani abbandonate sul ripiano, inutilizzabili, ma le braccia avevano leggeri fremiti. Allungò le mani per prendere le sue dita e al contatto Ludger si fermò: spalancò gli occhi e rivolse il viso al soffitto come se volesse stirare il collo. Era tanto che Amedeo non gli vedeva fare quel movimento, e lo associò a una condizione di immobilità forzata che era superata da tempo. Andrea tornò a massaggiarsi il viso, tormentato. Sebastiano restava immobile, non aveva mai visto Ludger tanto scosso: in quel momento non restava traccia del divertimento che aveva provato ogni volta che lo aveva visto manifestare nervosismo, era solo preoccupato. Amedeo aspettava che riprendesse, accarezzandogli le dita dolcemente.
“Lui. Steinar. Per me non esiste. E non l’ho scelto io. Mi manda in bestia anche solo l’idea di non aver potuto scegliere. Lo so che con i genitori è così, ma in questo caso buchiamo qualsiasi misura accettabile.”
La voce era troppo alta, Amedeo abbassò la testa e chiuse gli occhi stringendo delicatamente l’estremità di pelle che usciva dai bendaggi. La rabbia di Ludger arrivava a lui veicolata della violenza del volume sbagliato delle parole, ridotta alla struttura su cui si era plasmata; per lui era solo un’ondata di dolore che lo colpiva al petto facendogli curvare leggermente le spalle. Ludger lo mise a fuoco riabbassando il viso, e la sua voce perse potenza, ma non durezza.
“Io non ho potuto scegliere, io ho potuto solo accettare la sua assenza. Adesso non esiste nessuno che possa impormi di esserci per qualcuno che ha deciso di non esserci mai. Per me può pure morire da solo, è un estraneo. E non sopporto che mi si ribadisca che abbiamo un legame, mi fa solo incazzare che mi somigli. Io non lo conosco e a lui non è mai fregato un cazzo di me. Posso accettarlo, ma per me è inconcepibile pensare di dover provare qualcosa di diverso per lui. Anzi, mi fa girare anche che mi si chiami con il nome che aveva scelto lui. Andrea, fattene una ragione. La mia famiglia siete voi. Voi tre. Se quelle due non cambiano radicalmente atteggiamento nei miei confronti non ne voglio più sapere neanche di loro.”
Amedeo fece per alzarsi perchè avrebbe voluto abbracciarlo ma Ludger, con un gesto repentino, gli afferrò un braccio; alla stretta sul polso corrispose sul suo viso una contrazione di dolore.
“Resta lì, non ho ancora finito.”
Amedeo restò bloccato mentre Ludger ritirava le mani per portarsele alla fronte. Detestava quel momento e voleva concludere in fretta, perché si era imposto di affrontare subito il nodo che voleva sciogliere con Amedeo. Tornò a parlare senza sollevare il viso.
“Scusami, odio questa situazione e non voglio vederti così. Ma ci sono ancora alcune cose importanti che devo dirti.”
Una mano di Ludger restò a massaggiare la tempia, mentre l’altra tornò sul tavolo, ma Amedeo non la prese: era dritto e rigido sullo sgabello, in attesa mentre non riusciva più a seguire pensieri coerenti. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che si era sentito così confuso, e faceva fatica a ricordare quelle che, un tempo, aveva definito le sue tattiche per trovare una direzione quando aveva i pensieri in disordine. In quel momento ancora non poteva avere un quadro completo, e una direzione non poteva ancora esserci.
Sebastiano iniziava a essere esausto, il tono era fermo ma non duro quando invitò Ludger a proseguire e lui riprese subito a parlare.
“Odio sentirmi in colpa. È una condizione che non mi appartiene. Anastasia, sempre lei, ha detto che a volte non mi riconosce. Credo che lei non riesca a trovarmi perché cerca sempre qualcun altro quando ha a che fare con me. Mio fratello e mio padre. Forse perché sono l’ultimo, il superstite… io posso cambiare, tanto, ma non sono certo loro la mia guida. Se proprio devo sceglierne una è il contatto che ho con voi a darmi una direzione. Anche per questo vi ho chiesto di restare. Anastasia, a un certo punto… l’ultimo, perché poi li ho sbattuti fuori di casa, mi ha detto che era un vero peccato che tu non fossi qui. Tu, Amedeo. Perché così sarei stato più ragionevole… ragionevole! Che vigliacca.” Si fermò per respirare a fondo. “Io sono felice che tu non ci sia stato. E non sarebbe stato diverso se tu fossi stato qui. Da un lato devo potermi sentire libero di sbroccare se mi attaccano a ditruggere. Da un’altro sono felice che voi possiate prendere e partire, quando e come vi pare. Per me, adesso, è importante… è la cosa più importante sapere che su questo siamo d’accordo.”
Amedeo non riusciva a capire quel collegamento, intuiva che quel passaggio dovesse essere fondamentale per Ludger ma non riusciva a seguirne le dinamiche. Paradossalmente arrivò a sperare che quella pausa non fosse un invito a intervenire, perché voleva una base stabile da cui partire per non correre il rischio di alimentare il turbamento di Ludger. Sebastiano aveva stretto il ripiano così forte da doversi massaggiare le mani, ormai gli era evidente che quello fosse l’aspetto che più preoccupava Ludger, il motivo per cui aveva voluto incontrarlo e chiedergli aiuto. Sapeva che Amedeo era stato investito dalla prima parte del racconto con violenza, e immaginava stesse facendo fatica a focalizzarsi sul finale, a cui probabilmente non riusciva a dare la stessa importanza.
Ludger gli si avvicinò appena sul tavolo. “Amedeo, dimmi cosa ne pensi.”
Lui diede voce al primo pensiero, l’unico distinguibile in un turbine caotico. “Mi dispiace di non esserci stato.”
Ludger scattò in piedi facendo saltare Andrea che gli stava a fianco, e parlò di nuovo aumentando il volume della voce. “Tu non puoi essere la mia terapia. Tu non devi essere questo.”
Andrea gli mise le mani sulle spalle che vennero scansate con un gesto violento, la rabbia sul viso di Ludger non lasciò trasparire neanche del dolore causato da quella stretta. Si girò per allontanarsi dalla penisola, senza una direzione perché non aveva nessun oggetto particolare da distruggere, e si ritrovò davanti Sebastiano che, esaurito il movimento per raggiungerlo, restò immobile come una statua.
“Ludger. Siamo sicuramente tutti d’accordo con te. L’odio avvelena i pensieri, lo sai, vero? Fermati. Sei già ferito.”
Ludger chiuse gli occhi stringendo i pugni, e tornò a ruotare la testa verso il soffitto. Gli rivolse soffiando fra i denti serrati. “Aiutami.”
Quella richiesta investì Sebastiano come un’epifania: voleva essere lì, in quel preciso istante, per lui. Lo guardò negli occhi, parlando lentamente. “Certo che ti aiuto, io ti amo come ho amato poche altre cose. Cerchiamo di tornare indietro, troviamo un’altra formula. Parole più adatte. Amedeo non potrebbe mai essere felice di non esserci mentre tu vieni travolto da una catastrofe, è ovvio. Ribalta la prospettiva di questa singola frase e ti sarà chiaro. Non gli stavi chiedendo questo.”
La stretta dei pugni si sciolse, e Andrea pensò che Sebastiano dovesse aver evitato di proposito di chiedergli di calmarsi. Amedeo era in apnea, in piedi di fianco al suo sgabello; vide Ludger annuire in silenzio, e poi girarsi per tornare a sedere mentre Sebastiano camminò intorno alla penisola fino ad abbracciarlo cingendogli le spalle. La sua voce gli arrivò vicino all’orecchio.
“Fratello caro, il nostro uomo, in mezzo a questo delirio, è preoccupato soprattutto di ribadire che tu devi sentirti libero. Era il primo viaggio che abbiamo fatto io e te da soli, probabilmente non vorrebbe che fosse l’ultimo. Concentrati solo su questo. Se la mettiamo così, cosa ne pensi?”
Amedeo era stremato, il contatto con Sebastiano e il tono dolce con cui gli parlava aprì una possibilità di sfogo, e le lacrime iniziarono a scendere senza che cambiasse espressione.
“Non riesco a pensare… sì, certo, faremo altri viaggi… ma adesso mi sembra così poco importante.”
Sebastiano alzò solo lo sguardo, mantenendo la testa appoggiata a quella di Amedeo.
“Ludger, puoi fartelo bastare?”
Lui si alzò con un gesto repentino, facendo precipitare lo sgabello a terra per raggiungerli. Sebastiano lasciò immediatamente Amedeo, che venne avvolto dalle braccia di Ludger mentre si girava per rispondere all’abbraccio. Sebastiano li guardò sorridendo per pochi secondi poi, senza voltarsi, raggiunse Andrea chiedendogli se gli andasse di accompagnarlo a bere qualcosa in una bettola qualsiasi, e lui si alzò per seguirlo verso la porta, domandando se avesse mai pensato di cambiare sesso, perché quella sera se lo sarebbe anche sposato.

La luce forte della mattina riempiva il soggiorno; da molto tempo le porte degli unici due appartamenti dell’ultimo piano restavano solo accostate, e la loro funzione era stata sostituita dal cancello a ridosso dell’ascensore e delle scale. Sebastiano entrava in quello spazio senza distinguerlo dalla casa a fianco, il bagno che usava abitualmente era lì, così come la cucina. Prima di uscire per le sue passeggiate si preparava sempre una tazza di té, mentre il gatto lo raggiungeva dal terrazzo e poi scendeva con lui al parco. La porta della camera da letto in fondo al corridoio, usata da Amedeo e Ludger, in alcuni casi restava chiusa dalla notte precedente ma nella maggior parte dei casi era spalancata per il caldo. Sebastiano la vedeva dal corridoio, e quando era aperta poteva entrare e restare diversi minuti ad osservarli abbracciati nel sonno; amava restare lì ai piedi del letto e guardarli. Amedeo aveva il sonno pesante e non si accorgeva mai di quelle visite; Ludger, a volte apriva gli occhi, si scambiavano poche parole o un bacio, e poi tornava ad addormentarsi senza difficoltà. Quella mattina Sebastiano non era entrato in camera e la passeggiata al parco era stata lunga, aveva preso diverse lucertole lasciando a It le code. Il suo umore oscillava senza controllo seguendo le variazioni di pensieri che ancora non voleva mettere in ordine, perché era fondamentalmente sereno. Quando Giulia era stata con lui aveva partecipato al suo rituale. Dopo la morte di Laura avevano trascorso insieme molto tempo, e Sebastiano non era in grado di quantificare i giorni; nella sua memoria era un periodo, come tanti altri di cui non si preoccupava di calcolare l’estensione, perché ininfluente sullo spazio che aveva conquistato nella sua memoria. Quando si svegliava con lei indugiavano a lungo a letto a carezzarsi il viso in silenzio, in quelle mattine era sempre riposato e i suoi pensieri potevano ancorarsi solo al momento presente, diventando più leggeri. In quelle occasioni non entrava mai nella camera dei suoi amici, limitandosi a farlo soltanto quando la lasciava addormentata nel letto.

Ludger sedeva alla penisola massaggiandosi la tempia, con ancora i capelli in disordine e tracce di tensione sul viso, ma sorrise vedendolo entrare. Sebastiano lo raggiunse per abbracciarlo, mentre lui si stava girando nella sua direzione ritrovandosi con la testa sul torace, che avvolse fra le braccia. Ludger poteva sentire il suono del cuore che batteva regolare sotto l’orecchio e, dopo alcuni secondi, rispose all’abbraccio cingendogli la vita, lasciando però le mani abbandonate.
“Grazie per ieri sera.”
“Ieri sera, Ludger caro, io stavo esattamente dove volevo stare e avevo la possibilità di fare quello che voglio fare. Esserci. In modo significativo, per te. Sono io che ti ringrazio. Capirlo è stata una specie di folgorazione.”
Ludger strinse più forte, sospirando. “Sai, pensavo che non sarebbe più accaduto. Credevo che non avrei più perso il controllo… così. Lo vedo come un regresso.”
Sebastiano gli carezzava i capelli, travolto dalla tenerezza, la sua voce prese una nota dolce per lui davvero insolita. “Ludger, sei umano. E sei un essere umano di una bellezza rara. È un fatto, non è un fallimento. Forse è addirittura una conquista. Quello che ti è successo è un uragano, ha scosso anche me. Mi ha dato tante cose a cui pensare, talmente tante che ancora non riesco neanche a focalizzare. Voglio pettinarti i capelli, non mi piace vederti così.”
Rise, ancora avvolto dalle sue braccia. “Prima, ti prego, preparami un caffè. Non riesco a stringere nulla.”
Sciolse l’abbraccio chinandosi a baciargli le labbra, sorridendo mentre si allontanava. “Com’è andata poi, ieri sera con Amedeo?”
Ludger lo guardava di spalle mentre preparava la macchinetta con i suoi soliti gesti, che sembravano una danza silenziosa.
“Bene, poi bene… anche lui si è concesso una crisi di nervi, assolutamente legittima. Sarebbe stato tutto più difficile se tu non avessi sciolto quel nodo su cui mi ero incagliato, molto più difficile. Non posso pensare al casino che avrebbero montato quelle due se voi foste stati qui. Forse Helga ne avrebbe parlato prima con uno di voi. E per me sarebbe stata ancora più dura. Ma lei quasi non ha detto quasi niente. Il vero veleno me lo ha scatenato Anastasia.”
Girandosi lo vide di nuovo con due dita a massaggiare la fronte: anche se lui e Helga non parlavano mai di Ludger  in sua assenza quell’ipotesi gli sembrava piuttosto probabile. “Parlerò con Helga quando torna. Se vuoi. Sono contento di sentirti dire che non è stata lei a farti perdere la calma. Spero che possiate recuperare, ma devo capire che posizione ha preso rispetto a questa situazione. Per ora potrei solo fare delle ipotesi, ma lo sai, non mi piace fare fatiche inutili. Poi prendi una sana dose di paracetamolo?”
Ludger annuì, aveva il viso stanco, anche quella notte non doveva aver dormito abbastanza da recuperare. Pensò che fosse passato troppo tempo dall’ultima volta che si erano trovati da soli a parlare, e gli dispiacque ancora di più che fosse esausto. Gli chiese se preferiva restare in silenzio.
“No, Sebastiano. Mi va sempre di parlare con te, in questo momento anche più del solito. Parlare mi aiuta a non fare confusione, e mi fa bene. Dicevi che questo casino ti ha aperto visioni che ancora non hai approfondito. Mi hai incuriosito… e poi, a proposito di stare dove vuoi stare e fare quello che vuoi fare. Non mi sembra che ti sia mai imposto di comportarti diversamente, sbaglio?”
Ludger aveva un sorriso stanco e stranamente dolce.
“No, non fai confusione. Ma sono cose diverse. E difficili, per me. Ci provo. Quando parlavi di tuo padre che ha deciso di non esserci ho pensato a Luca, mio figlio. Da diverso tempo non sto più rispondendo ai messaggi e alle chiamate di Nina. Ho anche smesso di mandargli regali. Per assecondare un’idea che ho avuto tempo fa, quando ero da mio padre. La definitiva perdita della storia, che è uno dei suoi sogni. Però tu hai ragione, non stiamo parlando di questo. La situazione è diversa ma si tratta, comunque, di un margine che mi è stato dato e al quale sto rinunciando. E non faccio fatica a immaginare la sua rabbia per questo. Forse sono stato costretto a farlo entrando in contatto con la tua. E non so che pensare, ma si è aperto un dubbio e gli lascerò lo spazio per crescere. Però, davvero, recitare la parte di zio per lui sarebbe solo avvilente. Io non sopporto le bugie con le persone che si vorrebbero autentiche. Non so come può aver risolto questa cosa Nina, ma per me è impossibile.” Prese la macchinetta del caffè e la mise in tavola con le tazzine e i biscotti, poi girò intorno alla penisola per sederglisi di fronte, con un velo cupo sul viso.
“Sebastiano, tu sei il padre. Ha il tuo cognome. Non hai più diciassette anni da parecchio tempo. Penso che tu abbia tutto il diritto e diversi strumenti per poterti muovere con maggiore libertà.”
Sebastiano versò il caffè, sorridendo con amarezza. “Stiamo parlando di una delle persone che più ho amato nella mia vita. Un tuo pari, per intenderci. Io non ho mai tradito una promessa. E non posso permettere a niente di farmi diventare qualcosa che non voglio essere. È una partita difficile che sto facendo da solo, e i pezzi che sono rimasti sulla scacchiera non credo possano modificare una sconfitta annunciata. Ci penserò, ma i miei tempi sono dilatati.”
Ludger si portò la tazzina alle labbra, mentre i pensieri scorrevano veloci, su binari diversi da quelli in cui sembrava essere condannato a girare all’infinito negli ultimi giorni: era un sollievo quasi fisico essere uscito da quel circuito.
“Se davvero pensi che Nina sia una mia pari allora dovresti prendere in considerazione l’ipotesi di parlarle. Mi verrebbe da pensare che dovrebbe essere disposta ad ascoltarti, soprattutto considerando il tipo di souvenir che ha deciso di portarsi dietro come ricordo della vostra storia. Quanto tempo è che non vi vedete?”
Sebastiano piegò lievemente la testa di lato, mantenendo lo sguardo basso. “Undici anni. È sposata, ha altri figli. Io non ho più niente a che fare con la sua vita da un secolo.”
“Vive con tuo figlio, tu sei costantemente nella sua vita.”
Sospirò rumorosamente. “Hai ragione”. Si alzò per tornare con una sigaretta; era molto insolito per lui fumare di mattina, e restò in piedi davanti alle porte-finestre spalancate per non infastidire Ludger con l’odore. Guardò gli alberi oltre il giardino pensile del terrazzo, il gatto sdraiato all’ombra della tenda, immaginandosi un adolescente imbronciato chino a carezzarlo. Conosceva l’aspetto di suo figlio grazie alle foto che gli arrivavano a intervalli regolari, e aveva un’ottima immaginazione. Quella visione gli causò un dolore al petto. Spense la sigaretta appena iniziata.
“Tu pensi.” Non riuscì a finire la frase, tornò a guardare fuori, e riprese con una voce incerta. “Pensi che per un adolescente potrebbe essere… un bene avere a che fare con un tipo come me?”
“Se io avessi potuto scegliere avrei sicuramente preferito avere a che fare con quel fricchettone che mi ritrovo per padre. Probabilmente mi avrebbe fatto bene anche poterlo odiare, incazzarmi con lui. Penso che qualsiasi cosa non sia pura distruzione potrebbe essere meglio di un’assenza ingiustificata. Sono convinto che per un cervello in crescita sia utile un contatto con tutto ciò che è autentico, se non attacca a distruggere. E tu sei una persona straordinaria. Certe volte ho il sospetto che tu sia l’unico a non vederti.”
“Ora però basta. Grazie. Devo digerire troppe cose. Tutto quello che viene da te, per me, ha un peso anomalo.”
Sebastiano tornò a sedersi senza guardarlo negli occhi, concentrato sui biscotti che sgranocchiava velocemente. Riprese a parlare dopo un silenzio piuttosto lungo, quando Ludger stava pensando di alzarsi, anche se per la doccia avrebbe dovuto aspettare il risveglio di Amedeo: questo dettaglio lo riportò nel circuito di frustrazione da cui era uscito in modo così graduale, e il ritorno risultò essere particolarmente fastidioso. Stava valutando se proporre a Sebastiano di aprire e chiudere l’acqua da farsi scorrere addosso senza bagnare i bendaggi, e glielo avrebbe chiesto ma lui riprese a parlare.
“I faraoni erano considerati divinità in terra. Letteralmente. Questo gli garantiva un potere illimitato e una condizione di isolamento straordinaria. In ogni immagine che li rappresenta sono sempre perfetti, più grandi delle altre figure con cui vengono a contatto. Perché quelle pitture sono talmente simboliche che, per il nostro modo di pensare, dovremmo catalogarle più vicine a un codice linguistico che a una forma espressiva figurativa. In ogni immagine la figura del faraone non ha mai qualcuno di vivo con cui poter guardare le cose dalla stessa altezza. La vita, del resto, era considerata una parentesi insignificante prima di raggiungere l’eternità. Nelle tombe queste creature celesti incontravano gli altri dei, finalmente dei pari, grandi come loro. Nel mio viaggio in Egitto pensavo alla noia, tremila anni di noia, e a questa solitudine inumana.”
Ludger lo aveva ascoltato con attenzione, non era evidente se avesse preso un altro percorso di pensieri, anche se ormai era abituato a sentir parlare Amedeo e Sebastiano con quelle metafore. Aspettava pazientemente che gli venisse fornita la chiave di lettura; era talmente preso che anche il suo mal di testa sembrava essere scivolato in secondo piano, ed era di nuovo uscito dal suo circuito mentale ossessivo.
“Ricordi Ludger, mi dicevi che ogni cosa che facevo sembrava fosse per me un lavoro. Avevi ragione, come sempre. Adesso non è più così. E non mi sento più solo. Ci ero già piuttosto vicino, ma ieri l’ho sentito così forte. Quando mi hai chiesto aiuto è stato come se si spalancasse un portale. Tante cose che avevo in memoria hanno preso corpo, tanti discorsi passati è come se fossero diventati carne e respiro… e mi ha fatto bene. Penso che accetterò definitivamente il tuo invito a invecchiare insieme, se avremo la fortuna di riuscirci. Tu e Amedeo siete il posto dove voglio stare.”
Ludger gli sorrise con una dolcezza che cancellò completamente la tensione dal suo viso. Riprese a parlare, ricordando una mattina lontana. “Sai, ripensavo a quella volta a casa di Anastasia, poco prima di partire… io avevo dormito con Amedeo per l’ennesimo incubo di quelle notti. Ricordi? Mi viene da risponderti esattamente nello stesso modo anche se siamo ormai lontanissimi da quel buco nero, da quella condizione in cui anche capire che volevi ancora vivere era una conquista. Ma sono felice come allora. Anche che non ci siano voluti tremila anni.”
Sebastiano lo guardava con tenerezza, ma aveva ancora un velo sul viso. “Sei stanco Ludger? Ci sono altre cose di cui ti vorrei parlare. Altri mostri che devo digerire, e mi sembra sia passato troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo fatti una chiacchierata come questa. Devo portarti a cena più spesso, anche soltanto per avere più occasioni per parlare con te.”
Gli rispose che non si sarebbe mai stancato di parlare con lui, che anzi, in quel preciso momento lo alleggeriva dal veleno ancora in circolo nei suoi pensieri, e Amedeo avrebbe dormito ancora a lungo. Si spostarono sul divano che dava verso le finestre e Sebastiano riprese come se non ci fossero state interruzioni.
“Ho una lettera di Luca da mesi, con i suoi contatti. L’ha lasciata da mio padre parecchio tempo fa. Prima o poi li userò, ma continua a restare un proposito confinato sullo sfondo. Un’altra morte della bellezza da ufficializzare, forse devo aspettare il prossimo lutto. Nel mio immaginario lui è sempre l’adolescente di cui sono innamorato. Sono consapevole che non esiste più, ma vederlo potrebbe coincidere con la separazione definitiva da questa fantasia, che non saprei come sostituire. Ma, temo, che a un certo punto dovrò lasciarlo andare via per sempre. E trovarmi anche un’altra fantasia erotica.”
Risero e Ludger parlò con un tono scherzoso.
“Magari stavolta cercati una fantasia maggiorenne. E poi?”
Sebastiano sapeva che restava un argomento in sospeso da tempo. “E poi Giulia. Sta diventando la persona che vorrebbe essere, sta spalando dolore e caos per riuscirci, e io le auguro di farcela. Però non so cosa alimenti il nostro rapporto. Da parte mia è tutto chiaro. Sto bene con lei, quando lei c’è e non è un involucro presente mentre il suo essere affonda. In quei casi mi piace, mi affatica, mi stimola, mi diverte e mi accoglie. Riesce a farlo in modo davvero unico. Quando sta bene anche solo guardarla mi riempie di gioia. Quando le cose fra noi vanno bene è come se abitassimo in un mondo ideale. Giochiamo, parliamo e ci coccoliamo come se non esistesse nient’altro che il momento presente. Ascolta, lo sa fare davvero. Ma l’ultima volta era tutto troppo forte. Non per me, per lei. E gli aspetti positivi sono diventati così pieni, una meraviglia, stavamo davvero da un’altra parte. Ma anche l’altra faccia è stata esplosiva, si è fatta prendere da paturnie fuori misura. Capisco che è in pieno caos, ma non è questo il problema. Non mi piace che non sappia neanche lei cosa vorrebbe da me, anche banalmente andare o restare. Io so dove voglio stare e dove voglio tornare. Lei no, e annega in questo magma al punto da rendermi del tutto inutile. Ci siamo lasciati male, me ne sono andato mentre piangeva in una stanza d’albergo. Il giorno prima avevo cercato di resistere, con lei può volerci molta pazienza, ma non è servito a niente. E mi dispiace, ma anche se mi fossi impegnato di più, per ottenere una separazione più accettabile, sono convinto che sarebbe stato inutile. Adesso, come al solito, non ci stiamo sentendo e per me è una liberazione. Anche se penso sempre a lei. Forse verrà con noi a quel concerto a fine agosto. E non so cosa aspettarmi. Stavolta non sono del tutto felice all’idea di rivederla. Tu che ne pensi?”
Il silenzio dell’attesa per Sebastiano fu faticoso, cambiò posizione guardando il profilo di Ludger che aveva un’espressione molto concentrata, fino a che si girò per rispondergli, tutto d’un fiato.
“Non so se faccio bene a dirtelo ma sticazzi. Si sta innamorando di te? Hai provato a prenderlo in considerazione?”
Sebastiano rise di gusto, iniziando a sperare che avessero altro tempo per quella parentesi esclusiva che gli stava regalando Amedeo. Continuava ad avere un’espressione divertita mentre si alzava per liberarsi della blusa e delle scarpe che portò in corridoio. Rispose mentre ancora camminava per tornare verso il divano. “Sto così bene, Ludger. L’atmosfera che c’è qui è perfetta per me. Ora che la temperatura coincide con l’esterno davvero non cambierei niente. Lei è parecchio strana, su molti fronti, ma da un punto di vista sessuale è piuttosto banale. Sicuramente e terminalmente lesbica. E non mi desidera, ne sono sicuro. Me ne accorgerei, lo sai. Però è vero che è piuttosto traboccante. Forse si sta innamorando di me come mi innamoro io, ma a lei non riesce così naturale. Forse potrebbe essere questo. Ma non mi piace pensarci, e non credo di poter essere io la causa della sua confusione così radicale. E, comunque, quando ha le paturnie non la sopporto. Secondo te che dovrei fare.”
Ludger sorrideva pensando che la pigrizia di Sebastiano lo portava a tagliare fuori i frammenti non funzionali alla propria visione, e sperò fosse solo un modo per non accelerare i tempi. Ricordò un discorso con lo stesso soggetto affrontato a ridosso del parapetto del balcone, quando gli aveva rivolto una domanda molto simile anche se la storia con Giulia era in una fase molto diversa. Decise di riproporgli la stessa risposta, sperando potesse aiutarlo a raccogliere altrettanti doni. Ludger era convinto che, grazie al contatto con Giulia, Sebastiano avesse ritrovato il suo asse, e un equilibrio che avrebbe impiegato molto più tempo a riconquistare senza quello stimolo.
“Ludger… era una domanda.”
“Lo so. Anche io sto bene e mi gusto il momento. La risposta. Lascia che le cose possano continuare ad andare avanti così come verranno, come hai fatto fino a ora con lei. Se poi si dovesse arrivare a una rottura o a un naturale logoramento potrai lasciarla andare senza rimpianti.”
Si era appoggiato alla spalliera del divano rivolto verso di lui; notò che la formula era molto simile a quella che gli aveva già dato in passato. Appoggiò la testa sul ripiano orizzontale dell’imbottitura, rispondendo annuendo per chiudere quell’argomento.
Sebastiano guardava il profilo di Ludger fra i capelli impicciati che gli ricadevano sul viso, tornando dopo tanto tempo sul termine ieraticità constatò che il suo recupero era avvenuto in tempi straordinariamente brevi: i movimenti di Ludger continuavano a dare l’impressione di attraversare uno spazio diverso, ma adesso appariva completamente immerso nel flusso temporale che stava vivendo. “Non pensare, in nessun modo, che la tua incazzatura sia un regresso. Non sarebbe giusto. Hai tutto il diritto di sbroccare, tutti dovrebbero averlo. Secondo me è, anzi, una parte di un recupero più ampio. Nessuno dovrebbe chiederti di censurare le tue emozioni. Mai. Devi sentirti libero di poterle vivere anche quando sono scomode. Anche se mi preoccupa che prima o poi tu possa amputarti una falangina. Insomma, non credo che ci siano tante cose che possano farti incazzare così. Non devi preoccuparti per Amedeo. Ricordi quando mi hai scaraventato a terra? Quella volta lui ha retto benissimo. E tu hai fatto bene a non censurarti.”
Ludger lo ringraziò, quelle parole lo aiutavano molto. Anche lui sedeva ruotato nella sua direzione e, guardando il suo viso rilassato, si chiese quanto dovesse somigliargli il piccolo Luca. A volte, come in quel momento, i colori, la forma del viso e il taglio degli occhi gli ricordavano Nobuko: era un processo che accettava quasi con dolcezza. Sperò che anche Nina potesse fare percorsi mentali simili, con la stessa leggerezza. Lo osservava chiedendosi a cosa stesse pensando, ma Sebastiano riprese a parlare.
“Giulia si è proposta di starmi vicino, in caso volessi farmi di eroina una volta. Lei ha questa forma di generosità che mi colpiscono in modo davvero forte. Adesso non ho nessuna necessità di farlo. Però quel tipo di offerta, fatta da una ‘bambina’ che non si è mai fatta neanche una canna… non so, mi sembra un approccio davvero fuori dall’ordinario, Perché sorridi così? Devo chiederti il permesso? Mi passi il tuo spacciatore? Dai Ludger! Smetti di ridere e dimmi che ti passa per la testa.”
Lui non rispose, e Sebastiano gli prese le spalle scuotendolo, ridendo con lui. Ludger continuò a farlo coprendosi il viso con una delle mani bendate, rispondendogli di provare ad arrivarci da solo. Lo lasciò andare per tornare ad appoggiarsi alla spalliera. Le risate cessarono.
“Quanti tipi di amore pensi che esistano, Ludger?”
“Molti più di quelli che potrei immaginare.”
“Hai letto quella cosa che ha scritto Amedeo?”
“Il simbolo e la trascendenza… tante volte. Per me è difficile. Ogni passaggio è come un varco dimensionale. A volte gli ho chiesto di parlarmene, e finisco a piangere come una fontana.”
“Anche io la trovo commovente. Unica. Come lui. Prendo la spazzola. Ti serve aiuto per qualcos’altro.”
“Si, grazie. Prima te lo stavo per chiedere.”

Ludger e Amedeo partirono pochi giorni dopo il ritorno di Sebastiano, riducendo il bagaglio a un solo trolley e a due zaini, pur di non rimandare per le ferite di Ludger. Sebastiano invitò Helga a cena; la trovò scossa e determinata a recuperare il rapporto con il figlio, che non rispondeva più alle sue telefonate. Definì Steinar un involucro vuoto, il fantasma dell’uomo che era stato, e gli raccontò che Anastasia se ne sarebbe presa cura; aveva già provveduto a farlo trasferire in un ospedale di Mestre con la speranza di poterlo portare a casa sua, in seguito. Ammise di essersi trovata in difficoltà nel relazionarsi con lei. Ormai era convinta che Ludger avesse ragione, dichiarandosi pronta a chiamarlo con quel nome che ribadiva una distanza facilmente comprensibile. Sebastiano le chiese se avrebbe voluto parlarci, per poi allontanarsi con il telefono e una sigaretta, pregandola di aspettarlo al tavolo per il tempo necessario.
– Helga ha deciso di chiamarti Ludger. In genere le madri si decidono prima. Ha anche deciso che hai ragione… prima o poi ci si rassegnano tutti. Almeno quelli che hanno ancora un cervello funzionante. Che vuoi, ognuno ha i suoi tempi. Se vuoi te la passo. Sta aspettando al tavolo, io sono uscito. Prima però mi finirei questa sigaretta ascoltandoti. –
– Forse in qualche parte del mondo, a un certo punto, due uomini si potranno sposare. Ma tre sarà difficile. So che anche Andrea ti ha fatto una dichiarazione simile, ma ho buone probabilità di vincere, perché a me vai bene esattamente così come sei… e ho in ostaggio tuo fratello. Pensavo saresti andato subito da tuo padre. –
– Dal vecchio ci andrò domani, ho aspettato il ritorno di Helga. Non mi pesa più così tanto stare a Roma da solo. Anzi, le atmosfere desertiche di questi giorni mi affascinano. Ma devo gustarmi il padre finché ce l’ho. Io che un padre ce l’ho, sulla madre faccio il parassita. È tanto bella stasera, non la far piangere. Mi abbracci anche Amedeo? –
– Certo, lo abbraccio sempre volentieri, e non la farò piangere. Voglio soprattutto ascoltarla…  mi stai facendo venir voglia di tornare a trovare tuo padre, mi piace parlare con lui. –
– Fallo. Sono sicuro che ne sarebbe felice, ma sbrigati, non credo che resterà con noi lungo. –

Sebastiano restò dal padre con It per diversi giorni, fermandosi lì anche dopo il ritorno dei suoi amici che decisero di festeggiare con una cena in quella vecchia casa. Riempì quel tempo con lunghe passeggiate nei boschi, giocando a scacchi con lui, bevendo i suoi vini e parlando con lui con una libertà che assaporava come una conquista. Si gustava anche i lunghi silenzi, nei quali suo padre continuava a montare mosse che riuscivano sempre a stupirlo. Sebastiano pensava spesso che ogni stagione poteva essere l’ultima, era una condizione che conosceva da tempo e riusciva ad accettare con tranquillità. Intuiva che quella serenità si sarebbe frantumata nel momento in cui avrebbe dovuto vivere davvero anche la sua morte, ma non voleva preoccuparsene in anticipo. In quei giorni tornava spesso a pensare a come lui stesso si era presentato agli amici negli ultimi anni: qualcuno che sarebbe potuto scomparire senza lasciare tracce in qualsiasi momento. Lo divertiva il paradosso di averlo fatto soltanto con le persone da cui poi era sempre tornato. Guardando suo padre quella formula linguistica gli appariva un balletto insulso, riusciva a vederlo con lucidità perché si sentiva bene, ed era a contatto con qualcuno che viveva quella condizione senza scelta. Un pomeriggio Jacopo gli aveva chiesto se si ricordava di Fabio, una delle persone più importanti di un passato che andava scomparendo. Sebastiano lo ricordava bene: era stato il suo preferito tra gli amici del padre che avevano frequentato quella casa molti anni prima, e gli portava sempre dei regali. Quando era ancora piccolo a volte si svegliava per degli incubi, e in quei casi trovava Jacopo e Fabio in salotto, a parlare avvolti in una nube di fumo e musica, come se fosse ancora pomeriggio. In un periodo lontano lo avrebbe voluto come madre, e in seguito si era chiesto se suo padre e Fabio fossero mai stati amanti; era una supposizione che non aveva fondamento, perché nel loro comportamento avevano sempre e solo rivelato un legame straordinariamente forte. Sebastiano aveva insistito per accompagnarlo a trovare il suo amico che stava morendo, un viaggio breve, ma piuttosto faticoso per quell’uomo che ormai si spostava soltanto per vedere dei medici. Quella visita non aveva provocato reazioni apparenti nel vecchio, che non provò neanche a correggere il continuo errore che portava il suo amico a chiamare suo figlio con il nome della donna da cui lo aveva avuto. Sebastiano gli sorrideva restando in silenzio, mentre suo padre gli parlava come se ancora potesse ascoltarlo, tenendogli la mano. Nel viaggio di ritorno  Jacopo si era chiuso in un mutismo che si sciolse soltanto il giorno successivo quando, citando Fabio, disse una sola frase che poteva essere collegata a quella visita: fino a che puoi hai il dovere di usare la tua vita ed essere coraggioso. Una parentesi che restò staccata da qualsiasi trama.
Gli raccontò dei suoi viaggi e di come, con Giulia, poteva stare così bene da desiderare che il tempo si fermasse, ma anche arrivare a non sopportarla nei suoi crolli. Il padre ne rise e consigliò di ricordare che ogni aspetto era parte di uno stesso insieme, lo definì più adulto e stabile di lei. Jacopo sembrava divertito nel ribadire che, anche se poteva sembrargli paradossale, avrebbe dovuto iniziare a considerarsi un adulto. Concluse consigliandogli di non rompere con lei, fino a quando le parti belle potevano compensare abbondantemente quelle brutte. Gli era difficile immaginarlo così travolto con un’altra ragazza, e pensava che il livello di difficoltà potesse essere un aspetto determinante. 
Amedeo e Ludger piacevano a Jacopo senza riserve, ma era per Ludger che manifestava l’interesse maggiore. Si era fatto un’idea delle dinamiche delle relazioni che Sebastiano aveva intrecciato intorno a sé, nelle quali Ludger aveva un ruolo particolarmente importante.
“Giulia e Amedeo hanno una posizione che ripropone, con le dovute differenze, i tuoi archetipi di amicizie liriche… un ideale che ti porti dietro dall’infanzia. Ludger è andato oltre. Con lui avete costruito qualcosa di nuovo. A parte quel dettaglio… il rapporto che più dovrebbe somigliare a un rapporto di coppia, tu lo hai con la ragazza. Non ho capito perché non ti sia sbloccato con i ragazzi, con loro, ma non posso capire tutto… dicevo, a parte il brindisi più triste della storia, io immaginavo… speravo, che a un certo punto avresti trovato una persona come lui. O meglio, lo speravo e basta. Ma, in fondo, lo hai fatto. E ne sono contento.”

Amedeo era ancora in viaggio con Ludger quando aveva ricevuto l’unico messaggio significativo di Giulia: gli diceva di stare bene e lo pregava di prendere per lei un biglietto per il concerto di Diamanda Galás. Lui le aveva risposto subito, tornando a scriverle anche in seguito, ricevendo soltanto risposte telegrafiche.
Il giorno prima del concerto Giulia scrisse a Sebastiano, chiedendogli se poteva andarla a prendere con la moto nel tardo pomeriggio, per avere il tempo di fare un giro insieme prima di unirsi agli altri. Sebastiano le aveva risposto senza esitazioni, dicendole che sarebbe stato sotto casa sua in tempo per un bicchiere prima di cena, perché Ludger aveva già prenotato un ristorante sul mare contandola tra i presenti; lei accettò con un secondo messaggio estremamente sintetico. Sebastiano era tornato a Roma da poco; si era fermato da suo padre più a lungo di come aveva programmato; si trovava spesso a pensare che il loro tempo si stava esaurendo, questa consapevolezza rendeva il suo umore oscillante. Quel periodo gli sembrava il più bello tra quelli vissuti insieme, l’unico non inquinato dalle trame delle necessità, e dalle frustrazioni che lo avevano contaminato nell’infanzia; il fatto che fosse arrivato così tardi gli appariva uno spreco inaccettabile. Da un lato si sentiva straordinariamente fortunato ad aver avuto quella possibilità, soprattutto pensando a Ludger, ma poi pensava al piccolo Luca affondando nella tristezza: consapevole che, qualsiasi cosa avresse deciso di fare, l’infanzia di suo figlio per lui fosse ormai perduta. Ricordava le parole del padre, che gli suggeriva di non ripetere lo stesso errore se ne avesse avuto un altro: catalogava quell’ipotesi impossibile, ma gli confermava quanto fosse stata importante per lui quella fase della loro vita.
Il giorno prima Amedeo e Ludger erano tornati da un viaggio esausti, ma avevano comunque accettato il suo invito a cena; Sebastiano non aveva condiviso con loro quei pensieri su cui continuava a tornare ossessivamente, come in quel momento, mentre aspettava Giulia appoggiato alla sua moto. In quell’unica notte trascorsa con i suoi amici Amedeo gli aveva chiesto di dormire insieme: era stato grato per quell’invito, che gli permetteva di riposare abbastanza ore da non sentirsi poi stanco. Per la prima volta si trovava in attesa davanti a quel portoncino, e si rese conto che forse non l’aveva aspettata mai: questa constatazione lo riportò al presente. Si chiese fiaccamente perché fosse lì, non provava entusiasmo all’idea di rivederla, né curiosità per quello che poteva esserle accaduto dopo la loro separazione. La luce del pomeriggio estivo era ancora forte, e in quel quartiere poco frequentato le strade semideserte. Alzò lo sguardo per liberarsi i pensieri osservando i dettagli disordinati del barocchetto romano; quel quartiere gli si mostrava come una scenografia in una scala sbagliata, senza contatto con quel nome. Giulia lo trovò seduto sulla moto, con il viso rivolto verso uno scorcio che anche lei amava molto; le apparì come sempre una visione poco realistica. Gli si avvicinò restando in silenzio, sorridendo al suo profilo disegnato e inespressivo. Sebastiano si alzò dalla moto per raggiungerla ma, mettendola a fuoco, prese un’espressione corrucciata: gli tornò il ricordo di Amedeo che lasciava sbattere il portone a San Lorenzo. Da allora era diventato decisamente più agile nell’elaborare i cambiamenti però tornò a ripetere la stessa domanda senza intonazioni.
“Che diavolo ti è successo.”
La reazione di Giulia fu molto diversa da quella avuta da Amedeo: spalancò gli occhi e fece per parlare, restando invece immobile. Sebastiano la vide come una bambina che, dopo aver preparato un travestimento per gioco, era rimasta delusa per una reazione diversa da quella immaginata. L’espressione sul viso di Sebastiano si ammorbidì mentre tornava a chiamare il suo nome con un tono più morbido.
“Non sto bene… così?”
Lui sorrise, soprattutto della sua preoccupazione. “Ma no. Tu riesci a stare bene anche vestita da benzinaio. Sono in pochi ad avere la tua fortuna. Sei soltanto… diversa.”
Gli sorrise con una gioia che cancellò ogni possibile dubbio sul motivo del loro incontro. Sebastiano era lì anche solo per vedere quel sorriso, e il suo lieve sollevarsi sui talloni per poi riabbassarsi, con le braccia tese lungo il corpo e le dita aperte a ventaglio. Notò che sulle unghie corte aveva steso uno smalto nero in un modo che trovava approssimativo, mentre lei gli chiedeva se poteva abbracciarlo. Scosse la testa, continuando a sorridere.
“Giulia cara, questa cosa non l’avevamo superata diversi round fa?”
Lei reagì così velocemente da non permettergli quasi di cogliere il movimento: lo travolse facendolo indietreggiare, le braccia gli avvolsero le spalle mentre con il viso spingeva delicatamente al lato del suo. Si trovò a ripetergli la stessa formula che aveva usato lui diverse volte nell’accoglierla, sussurrando vicino al suo orecchio. “Sono così felice di rivederti.”
Dopo alcuni secondi Sebastiano rispose all’abbraccio cingendole la vita sottile, chiedendole come stava con una voce che aveva recuperato calore, mentre lei continuava a premere al lato della sua testa con leggeri movimenti che spostavano indietro i capelli di entrambi.
“Abbastanza bene. Ora. No, ora proprio bene. Senza abbastanza.”
Se ne separò prendendogli le mani, aveva gli occhi vagamente lucidi ma continuava a sorridere. Sebastiano era incantato dal grigio chiaro dei suoi occhi che risaltava per il contrasto con il trucco pesante e nero: lei dal suo sguardo concentrato sul proprio viso, che sembrava ignorare il resto come a escluderlo completamente dalla sua attenzione. Le piaceva sempre la completa indifferenza che Sebastiano manifestava per il suo seno, intatta malgrado i vestiti che stava indossando. Gli si avvicinò per un bacio veloce sulle labbra.
“Posso guidare io? Muoio dalla voglia di guidare la mia ragazza.”
Le diede le chiavi e osservò il movimento rotatorio con cui salì in sella. Giulia indossava dei pantaloni molto aderenti neri che non le aveva mai visto, che ricalcavano le sue forme perfette più di quelli che le aveva regalato. Il suo corpo così fasciato, con quel movimento, si era animato come in una danza. Il bordo dei pantaloni finiva dentro degli anfibi alti, che dovevano essere nuovi, mentre sopra indossava una canottiera dello stesso colore a costine un po’ troppo grande. Il top evidenziava il punto vita straordinariamente esile, e dalla scollatura usciva il pizzo di un reggiseno sempre in tinta. Per ultima notò una collana d’acciaio grande e pesante, come una catena. I capelli erano arruffati, separati in ciocche, e il trucco faceva diventare i suoi occhi come di ghiaccio nella luce forte del pomeriggio.
“Da dove vengono le cose che indossi? Non tutte sembrano nuove. La collana l’hai rubata a uno dei cani?”
Lo aspettava con il casco tra le mani, la schiena dritta e le gambe tese ben piantate a terra, sorridendo con soddisfazione. “Vengono da una nuova amica, di cui ti parlerò davanti a un calice. Io sono molto contenta che non ti vesti più da becchino, e anche tu spesso metti i vestiti di Amedeo. Intanto sali. Dove ti porto?”

“Si chiama Josephine, ma tutti la chiamano Jo. Metallara. Quei gruppi che a me sembrano tutti uguali, con le scritte così intrecciate che non si leggono… però a casa sente quasi sempre i Depeche Mode. Tinta di nero, mi sa che mi piacciono le tintone nere, forse sono l’unica a non preferire Elisa con i suoi capelli naturali.”
Parlava con allegria condivisa, Sebastiano non aveva avuto il tempo di farle neanche una domanda, perché lei aveva iniziato appena si erano seduti. Le parole scorrevano veloci come un fiume in piena, malgrado i suoi ritmi spezzati.
“E insomma, Jo. quasi non parla inglese, io non parlo tedesco, ma quando lo parla lei è come una musica. Mi ha puntata una sera che ero uscita con il mio compagno di stanza, era molto determinata malgrado non si potesse parlare. Del resto, a una serata metal, parlare non è proprio facile. Ma anche dopo, il linguaggio non ci manca poi tanto. Sto quasi sempre a casa sua, ho imparato a fare il parassita, ma scopiamo in continuazione, nelle pause studio. Darò quegli esami. Mi sembra bellissima, la donna più giovane che ho avuto, la più disinvolta. Non si fa nessuna pippa mentale poi, se se le facesse, non è che potrei capirle. Sai che hai ragione sui tatuaggi? Ha diversi piercing, ma nessun tatuaggio, e la sua pelle così bianca mi piace un sacco, con quella colata di capelli neri. Li ha più lunghi dei tuoi, nero finto, ma pazienza. Tutto quello che ha è nero. Le cose che indosso sono sue o comprate con lei… è una cacciatrice di mercatini instancabile, pomiciamo ovunque. Una cosa pazzesca, mi sta facendo così bene. Sa di te, non è gelosa. Ti puoi immaginare, tutti i tipi del posto in cui sto sono rimasti folgorati da te.”
Era tanto eccitata da avvicinarsi sul tavolo e prendere un colorito rosa ai lati del viso pulito, perché il trucco si limitava agli occhi che erano come un carnevale di espressioni. Si interrompeva solo per bere, aspettando commenti che arrivavano solo in forma di sorrisi che la riempivano di gioia.
“Adesso quindi ho un ragazzo e una ragazza. Ci ho pensato sai? E per me funziona bene, perché siete complementari. A parte i colori. Ma lei di suo sarebbe biondiccia, si tinge solo i capelli e le sopracciglia. Ma insomma, per il resto, e mi piace tanto… vive con una sua amica che a volte ci fa da interprete, a volte partecipa anche alle nostre pomiciate. Ma non si spinge mai oltre, perché di più non le piace, dice. Non hanno neanche vent’anni. Per me tutta questa libertà, questa leggerezza, è una specie di paese dei balocchi. Adoro il fatto che lì, a Berlino, nella mia Berlino, sembra che tutti facciano quello che fanno per sé stessi, non per gli altri. Come a casa di Ludger, potrei andare anche in giro in mutande senza preoccuparmi del giudizio degli altri. Mi rendo conto che mi muovo in uno spazio protetto, una specie di riserva. Ma non me ne importa niente. Se non avessi avuto la fortuna di incontrarti, se tu non mi avessi fatto esplodere la testa senza pietà, non sarei stata in grado di sfruttare questa possibilità. E te ne sono così grata. Penso sempre a te, sei il mio pensiero preferito. Non vedevo l’ora di rivederti… come sei stato in questo tempo? Il viaggio con Amedeo? Tuo padre come sta? E che ne pensi di Jo?”
Scoppiò a ridere, portandosi due dita sulla fronte. “Giulia cara, sono fuori allenamento. Inizio dall’ultima domanda, poi rivediamo le altre. Una alla volta, per pietà. Sono felicissimo di questa ragazza. Da quello che mi dici sembra una situazione molto lontana dalle tue storie sfigate. Per me è fantastico vederti così bene. Dei moralismi degli altri non me n’è mai importato nulla, lo sai. Sono molto contento che ci sia anche Giuseppina.”
Risero per quella traduzione che suonava lontana dal personaggio che doveva evocare. Giulia era felice e quel momento le sembrava perfetto. Pensò alla parola complicità, che si sommava  senza attrito alla sua idea di complementarietà. Erano seduti a ridosso di una scalinata del Rione Monti, una stradina poco frequentata che sembrava fuori dal tempo. Era stato Sebastiano a scegliere quel luogo perché, aspettandola, aveva provato nostalgia di quel quartiere che non frequentava da tempo. Lei diede alcune sorsate e si accese una sigaretta, alzando la testa guardandosi intorno e facendo uscire il fumo con forza. C’era stato un periodo in cui gli aveva chiesto di portarla nei luoghi delle sue storie, quando Laura era morta da poco e non si separavano quasi mai; sapeva a chi collegare quello scenario, ma Sebastiano era completamente presente, con lo sguardo fisso su di lei, e ogni sua manifestazione le sembrava un dono inestimabile. Aveva temuto che non si sarebbero più ritrovati dopo l’ultima separazione.
“Certo che lo so, me lo hai insegnato bene. Non faccio fatica a immaginare la possibile reazione di Elisa, che poi neanche è così moralista… però mi chiederà, per prima cosa, se ne sono innamorata e la risposta la lascerà amareggiata. Perché no. Non lo sono e non potrei mai esserlo. Per innamorarmi devo almeno avere l’illusione che ci sia uno scambio soprattutto di testa. La condivisione di storie, opinioni, prospettive. Lo sai come posso essere attenta a quello che viene detto. Una volta una persona mi disse una cosa che mi ha colpito. Chi fa un figlio con qualcuno mescola il suo DNA con quello di un altro, per creare qualcosa di nuovo. E il figlio  secondo questa teoria doveva essere la massima manifestazione di amore, stima, che puoi rivolgere a un’altra persona. Una banalità, certo, però il finale era interessante… io per innamorarmi devo avere l’impressione di poter mescolare le idee. Che poi faccio tutto da sola, ma almeno un canovaccio su cui improvvisare mi serve.”
L’espressione di Sebastiano scivolò via, distolse lo sguardo, e lei chiamò il suo nome con una vena di preoccupazione, perché aveva l’impressione che il suo viso fosse tornato la maschera inanimata che conosceva bene.
“Non preoccuparti. Pensavo a mio figlio, ci penso spesso ultimamente. Nina, credo, sarebbe stata piuttosto d’accordo con entrambe le modalità di innamoramento. Ho dimenticato l’ordine delle domande che dovrebbero far partire il racconto di come ho passato queste settimane. Improvvisiamo?”
Giulia ricordò ad alta voce le domande lasciate in sospeso.
“Certo, mi piace sentirti parlare a ruota libera. Prima però ti dico un’ultima cosa… mi dispiace per come mi sono comportata nell’ultimo giorno che siamo stati insieme. E forse io, al posto tuo, avrei retto molto di meno. Proiettavo su di te i casini che sono miei, la mia confusione. E lo so che è sbagliato. Ho sprecato quel tempo ed è un gran peccato. Ti sono tanto riconoscente per essere qui con me adesso, e voglio ascoltarti. Parti da dove vuoi.”
Sebastiano respirò profondamente e provò a sorriderle.

Giulia guidò con gusto fino alla costa, senza raggiungere velocità eccessive ma con la solita indifferenza ai cartelli che stabilivano i limiti. Gli altri li aspettavano all’entrata del cancello di Capocotta dove Ludger aveva prenotato. Una volta arrivati Giulia accostò per far scendere Sebastiano prima di parcheggiare, c’era anche Andrea con la sua ragazza; con Sebastiano non si erano più visti dalla sera passata insieme dopo il rientro dall’Irlanda. Andrea lo abbracciò con forza definendolo il suo fantasma preferito, per poi presentarlo alla sua compagna, che restò incantata.
“L’ho avvertita che in questo gruppo di amici io sono il brutto, ma che vuoi, aveva visto solo Amedeo e ancora si deve riprendere da Ludger. Come stai?”
“Meglio. Grazie.”
“Meglio de che? Stai sempre un fiore.”
Risero tornando ad abbracciarsi. Giulia aveva ascoltato i racconti  di Sebastiano restando in silenzio, immagazzinando dati che avrebbe esaminato per chissà quanto tempo. Parlare con lei gli aveva dato l’impressione di aver alleggerito il suo peso. Giulia si avvicinò, gustandosi i loro visi stupiti per la sua ennesima trasformazione, anche se nessuno fece commenti. Amedeo abbracciandola la definì uno splendore, citando la vecchia formula che avevano usato sempre con Elisa. Il suo sorriso rilassato gli confermò che il cambiamento non doveva essere solo esteriore, mentre la ragazza di Andrea, stringendole la mano, quasi balbettò dichiarandosi d’accordo. Giulia la ringraziò con naturalezza prima di continuare a salutare gli altri. Abbracciando Ludger si sollevò sulle punte, per arrivare a sussurrargli all’orecchio una battuta.
“Ludger caro, hai scelto il Settimo cielo e hai portato la ragazza come pensierino per me?”
Lui trattenne un braccio sulle sue spalle iniziando ad incamminarsi verso l’entrata. “Sono felice di trovarti così bene. Sul pensierino però non posso garantire. Che mi racconti?”
“Da un po’ di tempo è come se vivessi in una riserva protetta, lo dicevo prima a Sebastiano, ma i confini sono parecchio più ampi di quello che avrei immaginato. E sto bene. Stare qui così, con voi, conferma questa impressione. Ti saluta tua cugina, non la vedo spesso ma è sempre supercarina. Tu come stai?”
Ludger nel tragitto fino al ristorante le raccontò gli eventi più significativi delle ultime settimane in poche battute ironiche. Non omise la crisi seguita ai cambiamenti nella sua famiglia, e come Sebastiano fosse stato una presenza preziosa per superarla. Lei lo ascoltò con attenzione, contenta di quella conclusione perché capiva che dovesse essere stato un momento importante.
“Sono felice di sentirtene parlare così, e anche del ruolo che ha avuto Sebastiano. Hai ragione Ludger. La sua presenza, nei disastri, può essere un aiuto fondamentale… e questo aiuta anche lui. anch’io penso che sia vero.”
Ludger sorrideva, deliziato dal suo modo di manifestarsi che sembrava acquistare sempre più spessore e fluidità; si chiese quanti altri cambiamenti fossero in atto, e sperò potessero essere solo positivi. “Hai poi deciso dove stabilire la tua residenza a settembre?”
Scosse la testa. “Non ancora, e forse non voglio farlo. Forse, adesso, mi piace essere divisa fra due luoghi, con tutto quello che comporta. Starò un po’ qui per dare degli esami, sto bonificando la mia stanza e adesso riesco a starci. Mi fa bene sapere che posso prendere e andarmene quando voglio. Da qui e da Berlino. Ti ricorda qualcosa? Imparo in fretta, no?”
Durante il tragitto fra le dune Amedeo si era affiancato a Sebastiano che gli aveva preso la mano, iniziando senza preamboli a parlare, dicendogli che Giulia lo aveva stupito ancora una volta. Anche a lui non era sfuggito che, dall’assoluta indifferenza manifestata quel pomeriggio prima di incontrarla, suo fratello era passato ad essere palesemente felice della sua presenza.
“Fratellino, sto per dirti una cosa abbastanza grottesca. Tendo ad essere ottimista, per lei. Perché c’è qualcosa di importante in Giulia, un circuito autoportante, che sta iniziando a definirsi. E mi sembra solido. Ancora restano diverse caverne da esplorare. Ma non so. Quando sta così io sto bene con lei, forse me lo voglio gustare e basta. Brava Giuseppina.”
Amedeo rise sentendogli pronunciare quel nome inedito, immaginando che il contesto sarebbe arrivato in seguito. Al suo rientro, la sera precedente, aveva notato la tonalità cupa che era calata su Sebastiano durante la loro assenza; anche se non gli aveva parlato di nulla lui lo vedeva chiaramente, e per questo aveva voluto averlo vicino quella notte. In quel momento quel grigiore sembrava ridotto a un velo, pronto a strapparsi a ogni sorriso. Giulia e Ludger camminavano sul sentiero pochi passi avanti a loro e lui non le toglieva gli occhi di dosso. Sebastiano le rivolgeva lo stesso sguardo che avrebbe potuto avere in un museo, per un pezzo particolarmente interessante: scorreva sulla linea dolce dei fianchi e sulle rotondità dei glutei, nettamente separati dalla stoffa scura.
Amedeo sorrideva al suo profilo ritagliato dalla linea netta dei capelli lucidi pensando che, malgrado tutte le stranezze, l’aspetto di entrambi dovesse avere un ruolo fondamentale nelle dinamiche del loro rapporto. “Questa sera è così bella, solo a immaginarvi vicini mi incanto preventivamente.”
Sebastiano rise senza fermarsi.“Certo, quello stile è perfetto per te. Ma non credo potrebbe venire a una delle tue serate e passarla liscia, dal suo punto di vista. Può vestirsi così solo restando nei confini della riserva protetta, e lei lo sa. Che peccato.”
Amedeo si incantò davvero quando presero posto al tavolo, e lei posò il mento su una spalla di Sebastiano per leggere il suo menù; lui le si rivolgeva con dolcezza e, scherzando, rievocava discorsi e cibi di una cena in Normandia che non potevano essere riproposti quella sera. Ludger lo abbracciò sussurrando il suo nome, pregandolo di concentrarsi sulla sua ordinazione, e Amedeo iniziò a guardarsi intorno come a seguire un suo pensiero. La luce era quella del tramonto, il mare restava abbastanza lontano ma brillava sullo sfondo, nella spiaggia gay che frequentava anche Davide. Giulia stava baciando la linea dolce dello zigomo di Sebastiano, entrambi avrebbero potuto incontrare qualcuno lì, ma si comportavano come se non avesse più importanza. Il viso di Ludger era rimasto vicino al suo, in attesa, mentre intorno c’erano persone di ogni tipo, liberi di manifestarsi come non potevano concedersi ovunque. Amedeo pensava, con malinconia, alla mancanza di una formula che consentisse a quei due di stare semplicemente insieme, perché in quel contesto arrivava a percepirla come un’ingiustizia. Andrea e la ragazza scherzavano sulle loro amiche cozze, indecisi se ordinarle e Ludger gli restava vicino, perché aveva visto la tristezza della sua espressione. Lo chiamò tesoro chiedendogli se stesse bene, e quella voce così dolce cancellò l’espressione di Sebastiano, che alzò soltanto lo sguardo verso di lui. Amedeo sorrise e annuì, ammettendo di essersi pesantemente incantato, e Sebastiano ricambiò il sorriso riprendendo a parlare con Giulia, mentre lui si girava per baciare Ludger sulle labbra, rimproverandolo scherzosamente per aver usato quel tono in pubblico, dandogli dello spudorato.

Quella sera Giulia e Sebastiano incontrarono molte persone che conoscevano, sia al ristorante che al concerto: con molti ebbero scambi veloci che non cambiavano il tono delle loro conversazioni e i loro atteggiamenti.
Giulia era entusiasta della loro vicinanza, e quando si fermarono a salutare alcune sue conoscenti, uscendo dal ristorante, non ebbe nessuna esitazione nel presentarlo con il suo nome alle ragazze che non avevano mai avuto modo di incontrare Sebastiano. Non la imbarazzava infrangere l’alone di ambiguità del suo aspetto rivolgendosi a lui al maschile, si sentiva anzi stranamente orgogliosa di avere a fianco una persona tanto raffinata. Raccontò della sua esperienza a Berlino, come un’occasione per superare i limiti di un paraocchi culturale che ormai percepiva claustrofobico.
Sebastiano salutava quelle che definiva comparse con una partecipazione molto ridotta, che ai suoi amici sembrava una grande conquista rispetto al rifiuto di uscire di un tempo, o alla freddezza con la quale rispondeva ancora nello scorso inverno. Giulia gli stava vicino, si tenevano per mano e lei si presentava sorridendo: nessuno avrebbe potuto avere dubbi sul suo ruolo. Quando lui troncava di netto salutando e accennando ad andarsene, era sempre lei ad aggiungere un’ultima frase che smorzava la freddezza dei suoi modi. A volte ridendo gli stringeva il braccio tornando ad appoggiare la testa sulla sua spalla, e lui rispondeva a quelle effusioni sorridendole. Gli piaceva averla vicino, si divertiva per come si sovrapponevano senza attrito luoghi e persone, entrando a contatto con la loro relazione: sentiva  quel rapporto come un’invenzione tutta loro, che poteva diventare così forte da allontanare sullo sfondo molte cose, rendendole insignificanti.
Anche Ludger e Amedeo incontrarono diverse amici, si fermavano per brevi chiacchierate, ma ruotando sempre vicino agli altri. Amedeo a volte si incantava guarda Giulia e Sebastiano, e Ludger tornava a sbloccarlo prendendolo in giro.
“Mi dispiace non aver portato la reflex. Forse mi fisso a guardarli perché vorrei trattenere il momento almeno nella memoria.”
Ludger rispose seguendo un’intuizione che non sapeva spiegare. “Sai? Forse è meglio così per loro, ho l’impressione che non vorrebbero essere fotografati… sto improvvisando. Li vedo in un movimento che si ripete a fasi alterne, non sempre uguali ma ciclicamente simili, in un ritmo che sembrava voler sfuggire a qualsiasi definizione, forse anche quella di un’immagine.”
“Lù, sembri mio fratello che parla non parlando delle onde, e probabilmente hai ragione. Anche se a me piace tanto vederli così, come potrebbe vederli chiunque. L’immagine che danno, una coppia bellissima e innamorata. Ma è una visione superficiale e crolla nell’evidenza dei fatti, o forse delle oscillazioni. Ma che dolore mi dà che non riescano a stare sempre come stasera.”
Ludger lo abbracciò parlando piano, vicino al suo orecchio. “Tutto va perduto, la perdita peggiore è non vivere. Ricordi? Sebastiano che non poteva pensare neanche di affrontare un Natale con degli amici, Giulia e la bellezza sprecata. Partendo da queste premesse mi sembra solo una grande conquista vederli adesso. Penso che dovresti fare come loro, passare la mano nell’acqua senza la pretesa di poterla trattenere. Sai, davvero non capisco perché, della loro incompiutezza, tu debba vederne soltanto il lato negativo… quando sei stato proprio tu a insegnarmi a coglierne la bellezza.”
All’inizio del concerto presero definitivamente posto nella cavea del teatro di Ostia antica, Giulia non aveva provato a immaginare come sarebbe stato il concerto. Conosceva il personaggio di Diamanda Galás per il suo passato estremo, che non coincideva con quell’abito da sera e il set di solo pianoforte. Come gli altri, gustò la sua voce straordinaria fino che arrivò il brano Supplica a mia madre, da un testo di Pasolini. Amedeo alle prime note si portò le mani al viso, con le mani distese ai lati del naso: gli tornò il ricordo della prima volta che Ludger era stato nella sua stanza a San Lorenzo, dopo il suo ritorno dalle cure. Lo rivide con indosso la maglietta degli Einstürzende Neubauten che gli aveva dato, e ascoltando quel brano lo aveva definito bellissimo. Gli salirono le lacrime agli occhi pensando che, fin da quel difficile inizio, gli aveva dimostrato di essere pronto ad accettare il suo ennesimo mondo ricostruito.
Ludger gli passò un braccio sulle spalle stringendo forte e gli raggiunse l’orecchi per farsi sentire prima di tornare a rivolgersi al palco. “Che meraviglia! Speravo lo facesse. Potremmo definirlo uno dei nostri pezzi.
Giulia era seduta tra Sebastiano ed Amedeo e, vedendo la sua reazione si concentrò sul testo. in ogni frase si riconobbe dolorosamente, fino a pensare di aver aspettato quella sera per piangere senza freni un lutto che avrebbe voluto elaborare in silenzio.

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

Sebastiano le tenne la mano per tutto il tempo; lei la stringeva con forza senza distogliere lo sguardo dalla figura al pianoforte e l’attenzione dal testo. La ragazza di Andrea le passò dei fazzoletti che si ritrovò nella mano libera, senza neanche chiedersi come le fossero arrivati. Partecipò agli applausi per poi voltarsi verso Sebastiano ed essere avvolta dalle sue braccia, anche se non piangeva più. Respirò il suo profumo e visse quel momento come una conquista, perché lui le stava accarezzando la testa come sempre, e riusciva ad essere ancora lì.

La moto era parcheggiata a fianco al portoncino che immetteva nel lotto della casa di Giulia. Sebastiano la guardava inespressivo, era tardi e si sentiva stanco; lei gli aveva chiesto di accompagnarla lì, ma aveva anche detto che avrebbe voluto passare la notte con lui. In quel momento gli stava vicina, fumando in attesa.
“Anche io vorrei stare con te stanotte, ma trovo la tua casa inospitale. Non possiamo andare da me come abbiamo fatto sempre? Davvero, non mi andrebbe di separarmi da te. Ma insomma. Perché vuoi stare qui?”
Lei aveva il trucco sfumato per il pianto, alla luce dei lampioni i suoi occhi sembravano chiarissimi, spalancati come se stesse contrattando per ottenere un gioco desiderato a lungo. Sebastiano la osservò chiedendosi perché continuava ad associarla a una bambina, malgrado il trucco e il seno gonfio, sospeso nel pizzo semiscoperto dalla scollatura.
Aveva di nuovo gli occhi lucidi ma la voce era ferma. “Lo so che non ti piace casa mia. Per me è importante. Sono tornata da un po’ di giorni, sono stata chiusa lì dentro da sola, a studiare e sistemare la mia camera. Per renderla di nuovo mia, per farla diventare un luogo in cui tornare e poterti portare. Le ragazze non ci sono, ritornano alla fine del mese. Questo deve diventare il mio posto dove tornare, dove poter stare anche con te. Dovrei usare il condizionale, dove vorrei poter stare con te. Puoi provare a vederla? Poi, se proprio non ti piace ci spostiamo… che ne dici?”
Sebastiano annuì muovendosi verso di lei che, girandosi, iniziò ad incamminarsi nel cortile su cui affacciavano diverse palazzine. La seguiva pensando alla sua ostinazione nel volergli far vedere i suoi luoghi, la stessa necessità che l’aveva spinta a portarlo nel suo rifugio di Berlino, ignorando le premesse non favorevoli. Lei procedeva a passo spedito senza controllare se la stesse seguendo, camminava perfettamente dritta; i lampioni facevano risplendere i suoi capelli che ormai arrivavano alle spalle in onde morbide, senza un taglio netto. Sebastiano si chiese fiaccamente perché sembrava essere l’unico con cui manifestasse quella necessità di condivisione; quanto quel gioco di essere fidanzati, ormai protratto da mesi, si fosse consolidato anche per lei e cosa potesse comportare dal suo punto di vista. Un’altra prospettiva che restava sempre ignorata. Sospirò, ammettendo che anche per lui Giulia era la sua ragazza. C’erano i suoi uomini e lei; fino al giorno prima aveva accettato con superficialità l’ipotesi di perderla, senza soffrirne, come avrebbe sicuramente fatto per un’incrinatura ben più lieve con Amedeo o con Ludger. Erano evidentemente rapporti tanto diversi da quelli che aveva con gli altri, quelli che definiva ‘amici’. Pensò alla sua pigrizia cronica che gli permetteva di lasciarsi vivere quella storia senza farsi domande, così come gli aveva consigliato Ludger. Avevano varcato il portone e lei prese le scale: il movimento alternato delle gambe solide e magre nel salire aveva qualcosa di ipnotico. Sebastiano pensò a Ludger sorridendo, perché credeva che non solo ‘avesse sempre ragione’, ma fosse stato anche molto scaltro nel trovare un suggerimento che gli consentisse di continuare a lasciarsi andare. Quel procedere senza direzione, però, iniziava ad essere una rotta che lo aveva portato molto più lontano di qualsiasi decisione sarebbe stato in grado di prendere. Arrivata al pianerottolo voltò il viso per sorridergli, e lui si fermò alcuni gradini più in basso mentre lei si girava del tutto, aspettandolo.
“Hai una bellissima espressione da quassù, simile a quando ti batto e arrivo prima alla cima di un albero, forse meno giocosa.”
Era bella, palesemente diversa dalla bambina arrabbiata e spaventata che aveva conosciuto, quella si nascondeva dentro vestiti troppo grandi.
“Perché tu, Giulia cara, continui ad arrampicarti dove i rami sono troppo sottili per reggere. E io sono un vigliacco.”
Il suo sorriso dal basso sembrava quasi di sfida, ma era un’impressione data dalla mano appoggiata sul fianco, dalla posa a chiasmo che lei aveva adottato in modo inconsapevole. “Non è vero.”
“Certo che è vero. Sono vigliacco e egoista.”
Giulia non capiva se quel dialogo fosse in relazione con l’atto di varcare quella porta che era al suo fianco: non ricordava l’ultima volta che era stato lì, probabilmente nel periodo in cui non si separavano mai, quando Laura stava morendo, o poco dopo.
“Non capisco del tutto perché dici questa cosa, adesso. La metafora del mio arrampicarmi dove i rami rischiano di non sostenermi è incantevole. Del resto tu ti definisci sospeso da una vita. E forse, Sebastiano caro, la tua unica vigliaccheria consiste nel definirti tale, ed egoista. Però non voglio filosofeggiare su un pianerottolo. Non vuoi neanche entrare?”
La raggiunse in pochi passi. “Non mi riferivo al momento presente. E non capisco, del tutto, niente. Il tuo modo di farmi complimenti è notevolmente migliorato. Varchiamo questo ennesimo diaframma, sperando che i rami reggano.”
Mentre attraversavano la soglia le chiese se avesse qualcosa da bere, e lei si diresse verso la cucina senza accendere le luci. Le porte delle stanze erano tutte chiuse tranne la sua e quelle degli spazi comuni. Accese una lampada da scrivania appoggiata sul frigo e ne estrasse una bottiglia di vino bianco.
Lui restò appoggiato allo stipite. La stanza era abbastanza grande e molto caotica, ma restò sullo sfondo. “A parte tutte le letture che possono sfuggirmi, di base, tu sei sempre un mio amico, giusto.”
Giulia stava aprendo la bottiglia, i capelli le coprivano il viso mentre i muscoli delle braccia lavoravano sotto la pelle bianca, definendosi nella luce radente. “Sebastiano, sei strano stasera… vabbè che tu sei strano sempre… dovrei essere io quella traumatizzata per quel pianto catartico in pubblico… comunque sì, se non fossi tuo ‘amico’ non ci sarebbe nessuna lettura che potrebbe sfuggirti. Non ci sarebbe niente. Perché me lo chiedi?”
“Perché sono stanco e confuso. Mi ipnotizzo su alcuni dettagli, hai un culo spettacolare, ha scelto Giuseppina questi pantaloni? E mi chiedo perché sia così importante per te avermi qui.”
Giulia rise di gusto, e si voltò per prendere i bicchieri senza smettere. “Puoi ipnotizzarti quanto ti pare, succede anche a me con te, e i tuoi pantaloni sono sempre piuttosto generosi, sul culo.”
Rise ancora lasciando i bicchieri su un ripiano, mentre lui aspettava sulla porta sorridendo; quando li recuperò gli chiese di prendere la bottiglia e seguirla. Una volta arrivati in camera accese la lampada sulla scrivania e si sedette in terra incrociando le gambe, e lui la imitò lasciando la porta aperta.
“Sebastiano, per me, sei importante. Come e perché non è facile. Ma non lo rende meno vero. Non sei vigliacco, non sei egoista e attualmente sei il mio essere umano preferito. Ma questo non ti richiede nessuno sforzo aggiuntivo. Per questo mi diverto a definirti il mio uomo. Non potrei mai immaginare nessuno come te, non posso immaginare neanche te, la maggior parte delle volte. Ma insomma. Un uomo, così vicino, oltre a te… penso che non potrebbe esistere in nessun universo immaginabile o inimmaginabile. Per me. Se vuoi concludo con un cioè.”
Lui sorrise versando il vino nei calici, ancora non si era guardato intorno, perché la sua attenzione continuava ad essere esclusivamente focalizzata su di lei. Giulia in quel momento si stava accendendo una sigaretta schermando la fiamma come se la stesse proteggendo dal vento.
Le si rivolse con un tono scherzoso. “Fumi come una coatta.”
Sorrise mantenendo la sigaretta sospesa fra le labbra. “E tu il solito snob del cazzo, fin qui niente di nuovo.” Si fermò per dare alcune sorsate guardandosi intorno. “Ti sembra ancora un luogo inospitale?”
“Non lo sto notando, quindi direi di no. Prima, seguendoti, ho pensato che anche per me tu sei la mia ragazza. Ma riflettevo sul fatto che la definizione, per noi, deve avere una valenza diversa. E forse non è giusto.”
Lei imitò il suo tono, basso e lento. “Sebastiano caro, penso che molte cose abbiano per noi un peso diverso.” Si sdraiò sul pavimento, continuando con una voce normale. “Forse tutto. Ma non importa. Se non ci fosse stato il vetro, il lombrico… forse la mia instabilità, e chissà quanti altri fattori di attrazione e repulsione… non penso che saremmo mai potuti arrivare fin qui. E non mi importano tutta una serie di cose. Non mi importa la posizione che ho nel tuo Olimpo, tra i vivi e i morti… Mi ricordo che dicevi di non affezionarmi a te, che te ne saresti potuto andare in qualsiasi momento, eccetera… ma non posso e non voglio ignorare quanto sei importante per me. Nei giorni che ho trascorso qui ho visto una delle mie amiche lesbiche separatiste, quella che veniva anche in ospedale. Tutta questa storia, tu sei talmente altro che alla fine anche quella frangia più estremista ti ha accettato… potremmo andare in quel simpatico ristorantino e nessuno ti caccerebbe fuori. Forse, alla fine, sei diventato tu la mia bambola asessuata, ma non sono io a riempirti di contenuto. Sei talmente pieno che trabocchi. Esplodi di contenuto. E sì, sei egotico, ma anche molto generoso. Ma forse, la differenza maggiore, è che io ho il terrore di perderti. Tu probabilmente non ce l’hai con me, però ne sono felice perché non è bello. E non ti augurerei mai altre brutture. Preferisco tenerle per me. Vorrei tornare al mare con te, in un futuro aprile… quel pezzo mi ha passato al tritacarne.”
Sebastiano si era avvicinato senza fare rumore e lei, aprendo gli occhi, si ritrovò il viso davanti al suo: la poca luce era schermata dalla tenda di capelli neri, ma le sorrideva con dolcezza. Tornò a chiudere gli occhi e arrivò un bacio leggero, poi lo sentì allontanarsi e sdraiarsi di lato, mettendole la testa sulla spalla. 
Sebastiano stava bene, pensava a come poteva star bene in modi diversi con lei, Ludger e Amedeo. Gli sembrava straordinario avere tre contatti tanto forti e così diversi simultaneamente, ma non aveva dubbi nell’individuare quello che per lui era il più irrinunciabile, ed era evidente per tutti. Da quella posizione vedeva il seno pieno dentro quel pizzo forse un po’ stretto. Si chiese quanto le cose avrebbero potuto essere diverse se anche lei fosse stato un ragazzo. Quel filo di pensieri si estinse velocemente perché, malgrado tutto i suoi sforzi, Giulia per lui era sempre stata straordinariamente femminile. 
Lei prese ad accarezzargli delicatamente la testa. “Vogliamo spostarci sul letto? Posso darti un po’ di cose mie se vuoi cambiarti e lavarti. Domani mattina voglio svegliarmi con te… se ti svegli prima tu, chiamami. Non sei nel tuo posto, non ci sono i tuoi amici vicino.”
“Non me ne vado senza svegliarti. Restiamo ancora un po’ così. Speravo non suonasse quel pezzo ma forse è meglio. Forse ti ha fatto bene piangere finalmente senza nasconderti. Mi piaci tanto Giulia, mi piaci e mi affatichi. È difficile analizzare le dinamiche che ci permettono di incontrarci, e io sono pigro. E se ci penso troppo potrebbe vincere la vigliaccheria, perché tu non hai bisogno di me adesso, e questo mi fa felice. Quando ci incontriamo davvero, fuori dai circuiti avvilenti delle necessità, sono contatti così significativi che mi passa anche la poca voglia che avrei di analizzare come sia possibile. Adoro ascoltarti, adoro starti vicino anche quando stiamo in silenzio per giorni. Vorrei dipingere ancora la tua pelle, anche se non ti vuoi più tatuare. E sono molto contento che tu non ti voglia sfregiare a vita. In un futuro aprile andremo al mare, a prescindere da tutto quello che ci sarà prima, o dopo.”
Giulia ruotò verso il suo lato e lo avvolse fra le braccia, lui si lasciò stringere senza reagire. Lei pensò che sarebbe voluta essere come la descriveva, fuori dalle dinamiche delle necessità e, in momenti come quello, arrivava a sembrarle possibile.