Sebastiano era andato a trovare il padre senza precisare quanto si sarebbe fermato, e Amedeo vedendolo uscire con la solita tracolla immaginò che lo avrebbe rivisto in casa la mattina successiva.
Trascorse quasi una settimana; Sebastiano rispondeva in modo sintetico ai messaggi evitando del tutto le telefonate, e saltava le sue lezioni senza dare motivazioni. Ludger sosteneva che fosse meglio lasciarlo fare: sapevano che si trovava a casa di Jacopo e che sarebbe tornato spontaneamente prima o poi, ma Amedeo diventava sempre più irrequieto. Quel pomeriggio, ascoltando l’ultimo disco dei Radiohead, pensò che suo fratello forse non l’avrebbe definito stucchevole come il precedente, e gli scrisse un ennesimo messaggio che restò senza risposta. Seguendo il testo del brano How to Disappear Completely si alzò, prendendo le chiavi della macchina prima di uscire.
– sto venendo a casa di tuo padre, ti prego solo di avvertirmi se te ne sei andato, se non ti sento ci vediamo tra un po’.-
Jacopo era a letto per un banale raffreddore, e Amedeo fu accolto da un infermiere che lo accompagnò fino alla sua porta aperta. Sebastiano lo salutò distrattamente, lasciandolo subito dopo per andare a prendere qualcosa da bere in cucina; Amedeo rimase bloccato al centro della stanza grande e spoglia, arredata con pochi mobili scarni e alcune incisioni che evitò di studiare nei dettagli, per non distrarsi. Si sentiva completamente fuori luogo, convinto di essere entrato in uno spazio privato, inadatto ad ospiti occasionali come lui.
Jacopo lo guardava sorridendo, leggendo chiaramente il suo imbarazzo e usò un tono più morbido per invitarlo a sedere su una poltrona posizionata a fianco del letto. Apprezzava molto gli amici di suo figlio, ed era affascinato dalle profonde differenze che li caratterizzavano. In quel momento lo divertì il forte contrasto che coglieva tra l’aspetto aggressivo di Amedeo e le sue espressioni da bambino disorientato. Non voleva metterlo in difficoltà, ma contemporaneamente non intendeva sprecare il poco tempo che avrebbero trascorso da soli. “Portalo via con te, stasera.”
Amedeo, che aveva preso tra le mani il libro abbandonato sulla seduta, alzò di scatto la testa nella sua direzione restando in silenzio.
“Non so cosa gli passi per la testa. Io non sono moribondo, non ancora, ma certe volte prende un’aria funerea, come se fossimo già nella camera ardente. O meglio, come se fosse già lì in compagnia del mio cadavere. Gli ho detto che se sta così è meglio che vada altrove. In queste condizioni la sua presenza per me è doppiamente inutile. Non ce ne facciamo niente di altro tempo sporco. Tu sei meno loquace di Ludger, almeno con me. Con te mio figlio parla ancora delle sue paturnie?”
Amedeo alzò uno sguardo sofferente verso il vecchio, che aspettava pazientemente una risposta. Guardò quel viso consumato dal tempo, che stava iniziando a ricordargli suo fratello: sia per l’ironia fredda che l’atteggiamento da cavaliere sfuggito a una catastrofe. Si chiese se con il tempo la porcellana del viso di Sebastiano sarebbe arrivata a spaccarsi così profondamente; non gli sembrava possibile.
“Dal tuo silenzio devo dedurre che no. Non più. Che occhi che hai, ragazzo. Probabilmente mio figlio ti ha avvicinato per quegli occhi.”
Il sorriso di Amedeo era bello e triste mentre spostava lo sguardo sulla copertina del libro che teneva ancora tra le mani, sfiorandone delicatamente la costa liscia. “Gli occhi di Luca.”
“Che palle però ‘sto Luca.” Quel commento alleggerì molto l’atmosfera. “Devi convincerlo a incontrarlo e farlo fuori una volta per tutte, penso gli basterebbero pochi minuti.”
Amedeo sorrise, continuando ad accarezzare metodicamente il cartoncino liscio sotto la mano minuta. Jacopo pensò che fosse incantevole; era convinto che Amedo fosse il pilastro portante dal quale era partita la costruzione del presente di Sebastiano, anche se sicuramente suo figlio non era restato soltanto per il suo aspetto.
“Crede davvero che io abbia questo potere sulle decisioni e sui suoi comportamenti?”
Jacopo reagì accennando una risata, subito trattenuta per non avere un attacco di tosse. “Ne hai molto di più di quanto credi. Se non ci fossi stato tu Sebastiano sarebbe altrove. Sei tu che lo hai fatto diventare quello che è adesso. Prima di tutti gli altri, sei stato tu. E non ti potrò mai esprimere la mia riconoscenza. Questo è il momento in cui dovresti fare ancora un passo, sbloccare quel qualcosa che gli si è messo storto. Devi forzare la linea di confine, come non lo so, ma sono sicuro che tu possa farlo. Forse puoi farlo soltanto tu. Pensando a voi due mi vengono in mente le dinamiche di tante leggende e favole di ogni tempo. Il ragazzo di cuore puro inconsapevole dei suoi pregi, in grado di compiere magie o profezie impensabili per chiunque altro. E il fatto che tu non ti riconosca nel personaggio rientra nell’archetipo… che bel sorriso hai… Quell’anello che porti, quello lo ha dato solo ai suoi fratelli. Lui non conosce la storia ma io sì, e mi piace vederlo sulla tua mano, anche se è il dito sbagliato… sei talmente esile tu. Quello era di un assassino, di una bestia, un condottiero sanguinario. Ho passato la vita a odiarli tutti, e sono felice del fatto che scompariranno definitivamente con me e che quell’oggetto sia tuo, che sei buono. Portalo via stasera, e fallo parlare. Non aspettare che sia lui a muoversi, è pigro. E ha sempre paura. Tornate a trovarmi quando starò meglio, voglio farti assaggiare un vino e berlo con te.”
Sebastiano aveva accostato al bivio per Roma e chiese ad Amedeo se era possibile fare una deviazione; dopo aver accettato lo seguì fino alla costa. Sebastiano parcheggiò la sua moto nello stesso posto occupato tante volte dalla virago di Giulia. Erano arrivati in tempo per guardare il tramonto e sedettero vicini, restando in silenzio. La tensione di Sebastiano non arrivava ad increspare la superficie liscia del viso, ma i suoi gesti avevano perso la loro melodia di base per diventare veloci e spezzati, e lo sguardo che non si fermava mai a lungo.
Amedeo fu il primo a parlare. “Questa scogliera è molto bella. Perché sei voluto venire qui?”
“Questo è uno dei posti di Giulia. Prima era solo mio, adesso è nostro. Ti ho seguito solo pensando di passare qui. Andiamo a Firenze?”
Amedeo aveva annuito, voltandosi verso il mare.
“Se vuoi chiamo anche Ludger. C’è un posto dove vorrei tornare con te. Andiamo a Firenze?”
Amedeo sorrise, chiedendo se anche quella destinazione fosse collegata a Giulia, e Sebastiano mosse appena la testa in segno negativo in risposta.
“Andiamo dove ti pare, ma vorrei che tu mi parlassi. Sembriamo separati in casa. Sono contento che parli con Ludger, credimi. Mi riempie di gioia pensare al vostro rapporto, ma mi manchi. E non mi devi proteggere da nulla. Io sono di un pessimismo cronico, lo sai. Sto peggio se non so, perché la mia immaginazione lavora sempre in negativo. Per me è una tortura vederti così e sentirmi tagliato fuori. Se c’è una battaglia voglio essere al tuo fianco, non mi devi risparmiare niente, perché non serve e non lo voglio. Anche se non posso fare niente, non devi tenermi al sicuro, voglio stare nel caos con te. Hai idea di quanto tu sia importante per me? Certe volte penso che sia una misura così grande che non posso averla neanche io. Ti prego, portami con te.”
Sebastiano teneva la testa affondata tra le braccia, appoggiate alle ginocchia, e tornò a sollevarla con un cenno affermativo della testa: aveva gli occhi lucidi. Amedeo prese il telefonino e chiamò Ludger senza formulare una richiesta, limitandosi a raccontare di aver raggiunto Sebastiano e che pensavano di andare insiema a Firenze. Lui ne fu entusiasta, come ogni volta che riuscivano a ricavarsi uno dei loro spazi, ed era convinto ne avessero un gran bisogno. Credeva che Sebastiano stesse evitando un confronto con Amedeo, nascondendosi nella trama di un quotidiano sempre più serrato.
“Da quando siamo stati a vedere l’oceano, con te, con Giulia, questo posto ha perso potere. È già memoria.”
“Perché vuoi andare a Firenze, fratello?”
La sua voce era dolce, mentre quella di Sebastiano suonò completamente priva di intonazioni, rendendo evidente fin dalle prime parole che stava citando qualcun’altro.
“Il movimento della figura si conclude in posa attraverso la modulata melodia della linea, sicché quell’attimo del soffermarsi e del volgersi si prolunga indefinitivamente, fuori del tempo: il moto trapassa in stasi, l’azione diventa memoria. Sono parole di un anonimo, voglio andare a trovare Botticelli. So che non ti piace, ma vorrei tornare lì con te. Mi abbracci?”
Amedeo si avvicinò posizionandosi secondo le indicazioni che gli aveva dato; si sedette alle sue spalle e divaricò le gambe, rendendo quell’abbraccio diverso da quelli di Giulia, che erano meno avvolgenti. Sebastiano si lasciò andare alla stretta fino a poggiare la testa al lato della sua, e chiuse gli occhi: voleva essere lì e in nessun luogo. Sapeva di aver accettato di parlargli ma sperava sarebbero rimasti in silenzio: aveva la piacevole impressione di perdere peso, di svuotarsi di ogni pensiero.
Amedeo gli baciò la testa. “Vuoi parlare con me… puoi?”
Sospirò per la mancanza di una risposta, ma si accorse che Sebastiano era più rilassato e si pentì di averglielo chiesto.
“Non adesso, non è il momento giusto.”
“Non è mai il momento giusto. Ma non preoccuparti.”
Sebastiano ruotò lentamente il viso per baciargli il bordo delicato della mandibola. “Hai ragione, non lo è mai. Ma adesso non siamo neanche nel luogo giusto. Stasera, va bene? Ti sono grato per questo momento, neanche sapevo di averne così bisogno. Stavo cercando di pensare a qualcosa che mi piace… sto così bene ora. Ho fatto momentaneamente tabula rasa del groviglio di pensieri che mi pungono costantemente le pareti craniche. Volevo sostituirli con qualcosa di carezzevole. Ludger che prende la sua acustica e suona in casa, cantando per te i pezzi che ti piacciono con il suo vocione un po’ rauco. Mi piace tanto quando lo fa.”
Sebastiano gli aveva dato appuntamento in una stradina del centro irraggiungibile in macchina, precedendolo in moto; lo trovò davanti al portone di un albergo ricavato in una palazzina antica. Mentre attraversavano l’atrio nessuno li fermò, e vennero salutati perfino con eccessiva cortesia. La stanza era grande e lussuosa.
Amedeo si guardò intorno stupito. “Come hai fatto a trovarci questo posto senza neanche prenotare? Potevamo anche aspirare a qualcosa di più modesto… non credi?”
Sebastiano si sdraiò sul letto dopo aver scaraventato il copriletto a terra, come faceva sempre. “Mi passi una sigaretta? Voglio riposarmi prima di uscire, guidare la moto mi piace ma è stancante. Questo albergo è di mio padre. Credo fosse la dimora degli avi in città. Lui non ci ha mai vissuto. Posso venire qui quando voglio, anche se non lo faccio quasi mai. Fra poco usciamo, ci prendiamo un calice da qualche parte e parliamo di quello che vuoi. Hai fatto bene a rapirmi, sto già meglio.” Stava fumando ad occhi chiusi quando sentì il tocco morbido delle labbra di Amedeo sulle proprie. Sorrise. “Mio principe, lasciami riposare ancora un po’.”
Amedeo gli diede una carezza leggera sul viso. “Tutto il tempo che vuoi, io sono già mezzo incantato.”
Sebastiano si tirò a sedere massaggiandosi energicamente il viso, perché non voleva dormire; raggiunse un angolo della stanza in cui sapeva di trovare il mobile bar. Dopo aver aperto una bottiglia tornò al bordo del letto, porgendo ad Amedeo la mano libera, e lui lo seguì arrampicandosi per raggiungere il tetto.
“Credimi, non penso di aver mai visto quella cupola così, neanche di essere riuscito a immaginarla. È davvero grande… è emozionante, capisco meglio diverse cose adesso.”
Sebastiano diede diverse sorsate dalla bottiglia prima di passargliela; non ricordava quanto tempo fosse passato l’ultima volta che era salito lì. Era certo di esserci stato da solo, perché era accaduto in uno dei tanti periodi di solitudine estrema. Si voltò ancora verso il profilo delicato di Amedeo, rivolto alla mole della cupola di Santa Maria del Fiore. Sorrise dolcemente, pensando che in quel momento tutto ciò che lo circondava fosse perfetto, al punto da potersi anche considerare pronto all’ennesima caduta. “Fratellino caro, sei bellissimo e vederti in questa cornice mi permette di rassegnarmi a riaffrontare le brutture dell’esistenza, perché tu le bilanci. Questo è il momento, e anche il posto che volevo vivere con te. Spara.”
Amedeo era emozionato da quelle visioni sovrapposte: non molto tempo prima Sebastiano aveva definito Giulia autoportante, e si chiese quanto fosse specifico quel riferimento. Non sapeva più se quel parallelismo fosse stato raccolto da lui o da Ludger, ma non gli sembrava importante. Ricordò le parole di Jacopo a proposito di condottieri sanguinari, e provò ad ambientare i suoi vaghi racconti in quello scenario. Scosse la testa ammettendo di essersi incantato. “Ok. sparo… parlami di Ludger.”
Sebastiano increspò lievemente le sopracciglia per la sorpresa. “Ludger?”
Amedeo rise. “Sì, dai. Iniziamo da una cosa facile. Prima pensavo che vi baciate quasi ogni mattina, quando non c’è Giulia e io dormo. Invece io e te non ci siamo più baciati dal viaggio in Irlanda. Potresti fare un viaggio anche con lui a un certo punto. Ma forse le dinamiche di questi contatti sono diverse e io, mentre mi incantavo e pensavo che ti saresti addormentato, mi chiedevo come…. Sono tanto felice che vi siate legati così tanto. Per me è impossibile essere obiettivo, vi amo troppo, e vedervi insieme, sapere che vi sostenete a vicenda, mi fa impazzire di gioia. Il suo punto di vista lo conosco bene, ma non ricordo l’ultima volta che ne ho parlato con te. Abbiamo un legame forte, ma non telepatico.”
Sebastiano riprese la bottiglia, sorridendo. Non si aspettava un inizio così piacevole. “Ne sono innamorato. Così come sono innamorato di te e di Giulia. Sono tre condizioni diverse. Ludger lo percepisco più simile a me. Mio padre, che si è scoperto vecchio saggio, sostiene che Ludger è il tipo di persona con cui mi avrebbe immaginato in un rapporto di coppia, in senso tradizionale. E secondo il babbo ha colto un’affinità particolare che anche io sento con lui. Ma ad averlo come compagno in senso tradizionale, a scoparci tanto per essere chiari, non ci ho mai pensato. Davvero, il perché lo sai. Anche potendo scegliere avrei scelto così. Ludger è il tuo uomo. Ne abbiamo già parlato, e sarò stronzo su tante cose ma sono completamente sincero. E sai? Sono convinto che il vecchio non ci abbia preso del tutto. Perché credo che senza di te, io e Ludger come coppia saremmo stati… non so, una perenne esplosione. Una di quelle cose che bruciano troppo forte. Lui è saggio e ha sempre ragione, ma lo è grazie a te. È chiaro anche a lui e lo ha detto in diverse occasioni. Grazie a te è diventato come voleva diventare. Però è vero che mi piace tantissimo, e credo che così come stiamo io riesca a gustarmelo appieno. Sono felice di essere il vostro parassita, insieme mi avete dato qualcosa che assomiglia a un ideale. Qualcosa che non avevo mai neanche osato immaginare. E sto bene. Le mie nevrosi non sono paturnie. Di base, per quanto riguarda me, io sto bene.” Si concesse una pausa volgendosi di nuovo verso la cupola, che spiccava illuminata contro il cielo scuro. “Niente di nuovo, immagino.”
Amedeo gli prese la mano ripetendo le sue parole, confermando che non c’era niente di nuovo, ma continuava ad essere preoccupato, poi gli chiese di parlare di Giulia.
“Giulia è come te. Per me. Siete luoghi di perenne meraviglia, fuori dai bordi di qualsiasi definizione. Con voi non c’è niente che non possa realizzarsi nell’esserci. Ricordi il giardino italiano? È sempre valido, fuori dalle costrizioni di una qualsiasi struttura rigida, fuori dai limiti di qualsiasi definizione. Le diversità vengono da voi, dalla mia prospettiva siete molto simili. Vi amo, ma non ha niente a vedere con il possesso e con il desiderio. Come bambini fuori dal tempo, una condizione così autentica che posso finire letteralmente da un’altra parte quando sono con voi. Lei cammina sul bordo di un abisso, lo sappiamo tutti, quindi non si sa come andrà a finire, ma la vedo sempre più in equilibrio. Per questo non voglio venire con voi a Berlino il mese prossimo. Me lo hai chiesto solo una volta, non farlo più. Non voglio spingere in nessuna direzione, non voglio conoscere Jo. Poi me la racconti. Quello è un territorio che deve restare solo suo. Sono andato già a Berlino e non è andata bene, e ora la mia presenza lì potrebbe essere inutilmente ingombrante. Più della prima volta. Io non voglio niente di diverso da quello che ho già. Ci sono volte in cui mi addormento fra le sue braccia e, credimi, nessuna donna mi ha mai fatto sentire così. Forse potrebbe sentirsi così un bambino fra le braccia della madre, o forse è lei la mia bambola bambina. Non me ne importa niente. Come con te, potrei ammazzare qualcuno per difendere quella condizione. Come con Luca quando eravamo ancora piccoli, prima delle lumache in bocca. Non vorrei mai andarmene da lì, così come vorrei non dover mai uscire dai confini delle tue braccia. Perché sono pigro, e il mondo lì fuori mi fa abbastanza schifo. Ho fame.”
Amedeo sorrise, divertito dal suo modo di cambiare registro. “Anche io, ma non vorrei ancora scendere da questo tetto. Il tramonto da qui è stupendo, e vorrei parlare ancora con te… perché una volta scesi mi piacerebbe dedicare il resto della sera a un sano cazzeggio da ubriachi.”
Sebastiano annuì con gravità, giocando, con un viso più disteso. “Ottimo proposito. Adesso spara senza pietà, altrimenti ci facciamo notte qui sopra.”
“Non hai le paturnie, sei solo nervoso. Dalla fine dell’estate. Non è per Giulia dici, e io ti credo… anche se non vi vedete né sentite da quasi un mese e non capisco proprio perché. Quando stai con lei stai meglio, anche adesso stai meglio. Perché non puoi fare in modo che questi contatti siano più frequenti?”
“Perché adesso non dico più che potrei andarmene in qualsiasi momento. Adesso ci sono quasi sempre. E voglio che siate voi a gestire l’intensità di questa cosa. Io sono sempre un mezzo fantasma, non voglio dare il ritmo, voglio che venga da voi. A un certo punto lei mi ha detto che posso chiederle di raggiungermi in qualsiasi momento, di fare in modo che non sia mai troppo tardi. A me va bene così. Amedeo, ti prego, arriviamo al dunque. Non va di parlarne, ma neanche di stare in attesa per ore.”
“Ok, hai ragione. Ti dico un po’ di cose che mi girano in testa. Quello che ci rende infelici spesso è un’aspettativa sbagliata, non credo che sia il tuo caso… ma penso che dovresti ricordarti che non puoi nulla contro il tempo. Nessuno può. Tuo padre c’è ancora, ma se passi le tue giornate con lui a soffrire per non averlo fatto prima, rendi inutile anche quello che hai. Così come rendi inutile me, Giulia o Ludger se non ci usi quando ne hai bisogno, prima che sia troppo tardi. Con questo non dico che devi venire con noi a Berlino, ma almeno scrivile ogni tanto, una delle infinite volte che pensi a lei. Perché anche lei c’è ancora. Noi non siamo fantasmi.”
“Giusto, poi?”
Sebastiano gli sorrise restando in attesa. Amedeo si aspettava una reazione diversa, e scosse la testa prima di riprendere a parlare.
“Poi dovresti mettere a posto un paio di Luca. Ci sono cose su cui non possiamo fare niente, se non accettare che la nostra idea potrebbe aver preso una strada sbagliata… portandoci a credere di dover subire un dolore o un’ingiustizia, mentre invece le cose stanno semplicemente seguendo il loro corso, né giusto né sbagliato. E questo vizio interpretativo inevitabile per tutti mi fa pensare al modo in cui subisci la vecchiaia di tuo padre, che ti ha regalato un tempo bonus che dovresti assaporare il più possibile. Poi ci sono cose che invece possiamo cambiare, anche in peggio, ma se proprio non ne possiamo più dobbiamo essere coraggiosi e passare all’azione. Perché rompere un equilibrio che per noi è una tortura, potrebbe essere una liberazione. Lo so che percepisci entrambi i Luca in posizione statica, cristallizzata in una tua idea intoccabile perché li hai resi così nella tua testa. Ma anche loro sono vivi, quindi ancora dinamici… in pieno caos di possibilità. Ludger mi ha detto che vuoi essere lasciato in pace a macerare, e io lo rispetto come accetto tutto ciò che è tuo… ma diventa più faticoso per me quando qualcosa ti fa male. Non so cosa potresti fare, e neanche se rischi perderli definitivamente o se sia possibile recuperarli. Ma ci stai fermo sopra, a soffrire da troppo tempo… quindi penso che dovresti rompere le gabbie in cui li hai rinchiusi e buttarti nella battaglia.”
“Ho fame. E tu hai ragione. Hai ragione in modo spietato. Luca, il mio amico di infanzia, per me è già morto. Mi porto dietro il suo cadaverino solo per comodità, perché nei miei giochi autoerotici non voglio scomodare niente di vivo. Neanche l’ultimo cadavere, troppo autentico. Voglio vedere Botticelli, perché la sua grazia è talmente falsa che tela dopo tela mi ipnotizza. Il mondo delle idee che frana travolto dal caos. Ma tu hai ragione, io ci sono ancora dentro e dovrei far ordine, prima di arrivare a rovinare anche quello che ho. In queste cose sono un disastro. Pigro e vigliacco. Adesso metto in circolo anche le tue parole, idee giuste che faranno il loro lavoro. Dammi tempo e non preoccuparti. Io sto bene. Baciami, e andiamo a mangiare.”