A Berlino Amedeo e Ludger incontrarono spesso Giulia, e si inserirono con facilità nel suo nuovo gruppo di amici; lei si unì a loro nel viaggio di ritorno.
La posizione di rifiuto assunta da Ludger nei confronti di Steinar era stata talmente netta da mitigare l’ostilità del ramo di parentela materna, con cui si era incontrato senza attriti. Steinar non era stato mai nominato, e i suoi zii gli avevano proposto di portare con sé il suo ragazzo alla prossima visita. Lui ammirò le doti diplomatiche di Helga, che aveva ripreso a sentire costantemente.
Jo si era rivelata straordinariamente loquace con Ludger; parlavano  sempre in tedesco, e la prima volta che uscirono tutti insieme gli diede più informazioni sulla loro relazione di quante ne avesse raccolte da Giulia. Jo dichiarava di esserne innamorata, e soffriva della loro difficoltà nel comunicare; stava studiando con molta fatica l’inglese, ma non riusciva a ottenere miglioramenti apprezzabili. Avrebbe voluto visitare Roma e conoscere soprattutto gli amici della sua compagna, in particolare Sebastiano. Giulia non ne era contenta, e Jo cercava di non contrariarla perché quando si arrabbiava con lei si  trasformava in una furia degli elementi. Ne parlava ridendo, ma i suoi racconti restituivano a Ludger ed Amedeo una visione completamente diversa da quella che avevano immaginato. Vederle insieme ricordava a entrambi qualcosa di già visto, in modo inquietante: Jo era alta, magrissima, con lineamenti minuti che diventavano affilati a causa delle proporzioni allungate; aveva la pelle chiara e i capelli lisci, molto lunghi. Quando erano abbracciate, entrambi non potevano evitare di pensare a Sebastiano. Jo si vestiva e truccava pesantemente di nero, muovendosi con lentezza e grazia malgrado i chili di ferraglia che portava addosso, ma la dolcezza dei suoi gesti contraddiceva il suo ostentare l’atteggiaemnto da metallara.

Sebastiano convocò con un messaggio i suoi amici, anticipandogli che era necessaria una riunione di famiglia. Ludger si era liberato appena possibile, e pensò a Jo trovando Giulia e Sebastiano sdraiati su un divano a leggere, scambiandosi tenerezze. La bellezza di Jo non era strardinaria come quella di Sebastiano, ma con lui l’unica differenza significativa consisteva nella mancanza di sesso tra loro. Gli sembrò una coincidenza singolare il fatto che fosse stata Jo ad avvicinare Giulia, e non viceversa, offrendole esattamente quello che mancava nella relazione con lui. Purtroppo Jo non aveva una posizione stabile in quel rapporto, e probabilmente ne costituiva l’elemento debole; era insoddisfatta dall’impossibilità di comunicare con Giulia, e desiderava di far evolvere la loro storia forzando i limiti in cui era stata incasellata. Per Giulia l’aspetto emotivo era pesantemente squilibrato, a favore di Sebastiano. Le allusioni di Jo alla rabbia che Giulia manifestava quando veniva contraddetta gli confermava che il loro rapporto non fosse alla pari. Si chiese quanto avrebbe retto quel triangolo amoroso e immaginò, che nell’instabilità di quell’intreccio, il nodo fosse diventato Jo. Amedeo gli baciò le labbra, scherzando sul suo essersi incantato, e lo strappò alle sue riflessioni.
Sebastiano sentendoli parlare allentò l’abbraccio, ruotando nella loro direzione per sedersi. Sorrise, e ringraziò Ludger per essere tornato così presto. “Stamattina ho chiamato Nina, è stato come far saltare una diga. Mi ha annegato di parole, sparava così veloce che forse neanche respirava. Alcuni erano insulti generici, altri più puntuali. Bastardo – egoista irresponsabile – vigliacco. I più apprezzati. Vi risparmio i dettagli dei passaggi preliminari della prima ondata di rabbia.”
Erano seduti intorno alla penisola con l’immancabile tè caldo; Sebastiano si interruppe per bere alcune sorsate, ma Amedeo era impaziente e gli domandò come aveva risposto a quella tirata di insulti.
Sebastiano alzò lo sguardo, e rispose senza cambiare espressione. “Nina, ti prego, una virgola.”
Ludger e Giulia risero, ma il nodo tra le sopracciglia di Amedeo non si distese.
“Amedeo, se mi guardi così mi bruci la retina, stai calmo, non è ancora successo niente. Invece, qualcosa di importante c’è stato un po’ di tempo fa, poco dopo la mia scomparsa. Sempre carine le coincidenze. Per questo aveva preso a cercarmi in modo così insistente. Le ho ricordato che non aveva mai chiesto il mio parere o il mio aiuto, in dieci anni. E che non mi aveva mai dato gli strumenti neanche per immaginare se la mia presenza fosse significativa. Già definirla ‘presenza’ mi sembra un’esagerazione. Lì è partita con la seconda ondata. Bugiardo – irriconoscente – stronzo/insensibile. Amedeo, ti anticipo, le ho chiesto una virgola ancora una volta. Per favore.” Si fermò un attimo per sorridere, divertito. “Lì ha sbroccato del tutto, e non è stato più divertente. Mi conosce abbastanza da capire che sto bene. Lei, evidentemente, invece no. E questo non mi piace per niente. Io non sono saggio, ma sono preparato a dover affrontare ben altre difficoltà. Non mi sono trattenuto, avrei potuto almeno iniziare incassando in silenzio. Comunque anche lei vuole parlarmi, ci vediamo stasera a cena. Ha messo in moto marito e baby sitter e si è liberata subito. Non so cosa mi dirà, ma la mia posizione è chiara. È sempre la stessa, solo che ho deciso di mettere in pratica tutta una serie di buoni consigli, dati da voi tre in momenti diversi. Posso scomparire definitivamente per loro, ma prima voglio provare a vedere se posso cambiare la situazione. A lei non l’ho mai chiesto. Vediamo come va. So già che il ragazzo è difficile. So già che Nina, nella migliore delle ipotesi, mi chiederà di fare un giro preliminare nei miei territori. Per valutare se sono degni di accoglierlo. Lei è un’anticonformista, non vi sto chiedendo nessuna recita perché non serve. Non ho intenzione di approfondire con lei la natura dei rapporti che ho con voi, così come non lo farei con Luca. I nostri comportamenti devono restare autentici, altrimenti neanche varrebbe la pena iniziare. Volevo soltanto dirvi che c’è questa possibilità, e sapere se siete davvero disposti ad esserci.”
Provò a portare la tazza alle labbra ma fu costretto a posarla di nuovo sul tavolo, perché Amedeo bruciò in pochi passi la distanza che li separava per abbracciarlo, quasi con furia; lo strinse così forte  da far chiedere a Sebastiano di farlo più piano. Giulia restò immobile a guardarli con un sorriso stupito, mentre Ludger parlò con una nota dolce nella voce.
“Certo che ci siamo. Spero solo che Nina sia davvero all’altezza delle tue descrizioni. So che non vorresti mai andarle contro, quindi posso solo sperare in lei. Non credo che nessuno di noi abbia esperienza con gli adolescenti, difficili o facili. Ma sarei felicissimo di avere la possibilità di impegnarmici.”

Quella sera decisero di cenare fuori senza separarsi, per aspettare il ritorno di Sebastiano. Amedeo e Giulia erano nervosi, ma la tensione fu alleggerita dall’ottimo umore di Ludger, che non gli permise di scivolare nella tristezza. Sebastiano li raggiunse in piazza Farnese, e propose di spostarsi in una piccola vineria: il suo viso era completamente inanimato e aveva evitato di baciarli ed abbracciarli.
“Fratello, se non inizi a parlare penso che morderò il tavolo.”
Gli rivolse un sorriso stanco. “Sì, Amedeo. Scusami, sai sono un egoista, eccetera. È andata bene, se ci limitiamo a quello che ci interessa. In una visione più ampia, però, mi sento stravolto. Quest’estate Nina è stata male, e Luca per alleggerirla ha dato di matto. Non neanche lei sa da quanto il ragazzo ha capito che la storia di zio Sebastiano è finta. Non le ha detto niente. Luca ha interpretato la preoccupazione della madre per cose sue, che non è il caso di approfondire adesso, collegandola alla scomparsa dei miei regali ed è arrivato alla conclusione che mi fosse capitato un accidente. Non ha mai capito il motivo dei regali e bugie che gli sono stati propinati in questi anni, ma si è reso conto che qualcosa era cambiato. Ha distrutto una stanza, la sua, ed è scappato di casa. Nina non sa cosa ne sia stato di lui per due giorni. Poi si è riconsegnato, ma il suo umore si è stabilizzato sul cupo oppositivo. Nina dice di avergli raccontato tutto, se lo dice deve averlo fatto. Luca litiga con chiunque, ha preso ad insultare sistematicamente il tipo che chiama padre, e che cerca di svolgere quella funzione come può. Non si sa cosa desideri. Cosa vorrebbe. Nina gli ha detto che mi avrebbe incontrato oggi… mi manda affanculo.” Rise, massaggiandosi la fronte con le dita. “Lei è esausta, non sta bene e anche fisicamente non riesce a stargli dietro come vorrebbe. Non ho dovuto fare nessuna richiesta, è stata lei a chiedermi aiuto. Domani pomeriggio passa da noi, a conoscere la mia famiglia. Il vecchio ce lo risparmiamo, lo conosce già, e lui si attacca alla lupara se gliela metto di fronte. Non ho nessuna richiesta da fare, forse tu, Giulia, dovresti consigliarmi qualche tomo di psicologia dell’età evolutiva. Se poi ti fermassi a dormire da me stasera te ne sarei davvero grato. Ludger, a te la scelta del vino e la rianimazione di Amedeo.”

Il giorno successivo Nina si presentò all’ora del tè, e Sebastiano la condusse direttamente in soggiorno, per farle conoscere i presenti; introdusse Giulia definendola la propria ragazza, e Ludger ed Amedeo la coppia di amici con cui divideva l’appartamento. Nina affermò di essere incantata dalla bellezza di tutto ciò che lo circondava. Sorrideva costantemente, usando un tono particolarmente dolce quando si rivolgeva a Giulia, che era rimasta rigida sotto il braccio di Sebastiano durante la presentazione; aveva passato ore a curare ogni dettaglio del proprio aspetto ed era splendida, ma si sentiva sotto esame, una prova per cui non sarebbe stata mai abbastanza preparata. Ludger mantenne la sua solita disinvoltura, partecipando costantemente alla conversazione, arrivando a scambiare con Sebastiano le loro abituali battute ironiche. Amedeo cercava di tenersi in disparte carezzando il gatto e tenendo spesso lo sguardo basso; era così emozionato da sentire i muscoli delle spalle in tensione, come se aspettasse un segnale per affrontare la battaglia. Ogni volta che alzava il viso ad osservarli, gli sembrava di avere davanti una scena incredibile: Sebastiano e Nina sorridevano spesso, ed era evidente che ogni dettaglio, sia gli scambi verbali che gesti, si fondavano su radici antiche che credeva ormai estinte. Amedeo aveva odiato tanto quella donna, e temeva di farlo trasparire involontariamente; era terrorizzato dal potere che continuava ad avere, e di quanto era ancora in grado di distruggere, anche soltanto tirandosi indietro. Allo stesso tempo non si capacitava del perché quell’incontro non fosse avvenuto prima: non riusciva ad accettare la chiusura ottusa di Nina, che aveva devastato Sebastiano tagliandolo fuori dalla sua vita. Vedendoli seduti vicini, a parlare e scherzare con Ludger, non riusciva a far a meno di pensare che qualcosa fosse sbagliato. Focalizzò l’attenzione su Nina: era di corporatura minuta, e aveva un aspetto molto curato; ogni dettaglio dell’abbigliamento, così come degli accessori che indossava, era scelto con attenzione. Osservarla gli confermò i racconti di Sebastiano; tutto in lei sembrava il manifesto di una personalità che intendeva affermare la propria originalità. Infine mise a fuoco che se non fosse stata una figura che conosceva bene, l’avrebbe percepita sicuramente più vicina ad Helga che a loro. Ma anche questa analisi non era soddisfacente, perché sapeva che una delle ferite più profonde del suo amico era stata causata da quella distanza. Sebastiano l’aveva definita ‘anticonformista’, e ancora non riusciva ad accettare che fosse stata soltanto la loro differenza d’età a portarli alla separazione. Queste riflessioni lo portarono a una conclusione che era tentato di far restare sepolta nella coscienza: forse Nina non era autenticamente fuori dalle convenzioni, e a confronto di Ludger e Sebastiano gli appariva come un’ipocrita. Questa rivelazione poteva essere una spiegazione anche a uno dei dubbi di Sebastiano: come Nina avesse potuto crescere un figlio in quella menzogna atroce. Continuò a guardarli sorridere e parlare, provando per Ludger un’ammirazione così profonda da fargli bruciare gli occhi; già pregustava il momento in cui avrebbero parlato quella sera, una volta rimasti soli, e provò molta simpatia per il piccolo Luca. Nina si era presentata a lui con la stessa cordialità che riservata agli altri, scherzando sul fatto che sembrava particolarmente giovane, prima di essere distratta dall’intervento di Ludger.
Anche Giulia non partecipava alla conversazione; era truccata pesantemente e indossava uno dei vestiti che Sebastiano le cuciva addosso: con l’espressione concentrata, la schiena dritta e i capelli raccolti dimostrava alcuni anni in più. Registrava ogni sfumatura di quello che veniva detto, e come Amedeo si sentiva sul bordo di un tatami, pronta a scendere in battaglia; lo sforzo di non far trasparire la tensione le dava un’aria altera, e quella stasi autoimposta rendeva la sua bellezza quasi aggressiva.
L’atteggiamento di Nina nei confronti di Sebastiano, ora che aveva conosciuto le motivazioni della sua sparizione, era completamente cambiato: non rimaneva traccia dei toni aggressivi che aveva usato durante i primi contatti telefonici, e dal loro comportamento quello non sembrava essere il secondo incontro in dieci anni. 
Sebastiano e Nina iniziarono a sentirsi spesso; era sempre lei a chiamarlo, perché in quelle telefonate poteva parlargli con una libertà che la alleggeriva. Invece Luca non voleva incontrarlo né sentirlo nominare, e rimase barricato in quel rifiuto radicale per diverso tempo. Sebastiano era più sereno, e nei giorni successivi ironizzò spesso sul carattere del figlio riferendo ai suoi amici i racconti di Nina, con un piglio soprattutto divertito.

Sebastiano stava aspettando appoggiato a un muretto; l’aria del pomeriggio era mite e non riusciva a focalizzare con precisione la tonalità del suo stato d’animo, come fosse composto da un pigmento destinato a separarsi prima ancora di essere steso. Lo sorprese il suono di un portone sbattuto, seguito da una bestemmia pronunciata da Luca prima ancora di aver alzato gli occhi da terra.
Sebastiano sorrise perché il ragazzo era ancora piccolo, poco più di un bambino; non era riuscito a capire la sua statura dalle ultime foto che aveva visto. “C’è un posto particolare dove vorresti andare?”
Il suono della sua voce fece alzare gli occhi del ragazzo, verdi come quelli di Nina e di Jacopo anche se con un taglio decisamente orientale.
Per pochi secondi Luca sembrò stupito, ma le sue sopracciglia tornarono subito a contrarsi. “Non in questa zona, non voglio incontrare gente che conosco con te. Adesso capisco perché mi chiamano il cinese.”
Sebastiano continuò a sorridere girando su se stesso, e iniziò a camminare. “Anche a me succedeva a scuola, ma non era del tutto corretto perché mia madre è giapponese.”
Luca lo seguì tenendo le mani in tasca e camminando a testa china; i capelli che stava facendo crescere avevano una forma approssimativa, ed erano sporchi. “E ‘sti cazzi.”
Sebastiano si fermò, cancellando qualsiasi espressione del viso. Alzando gli occhi Luca lo osservò con attenzione per la prima volta, e non poté evitare di rimanerne affascinato malgrado la profonda irritazione che provava: gli sembrava di avere di fronte un attore pagato dalla madre.
“Volevo tanto vederti, Luca, ma può bastare. In genere non mi disturba il dialetto romano o il linguaggio colorito. Ma per oggi credo sia sufficiente. Torna a casa.”
L’assenza di musicalità nella voce di Sebastiano, e il significato di quello che aveva detto, allontanarono in Luca l’idea di star parlando con un impostore, ipotesi che somigliò a una consolazione. Sebastiano si allontanò con falcate veloci mentre Luca restò immobile. Sapeva che quell’uomo doveva avere circa trent’anni e che aveva lavorato come fotomodello, ma ancora non riusciva a credere del tutto che fosse suo padre: niente in Sebastiano poteva essere associato all’idea di un genitore. Luca lo osservò allontanarsi, provando una frustrazione bruciante che gli offuscò la vista; si era torturato per anni provando a immaginare che tipo di persona potesse essere il padre assente. Aveva accettato quell’incontro lottando contro paure inaffrontabili. Le lacrime gli impedivano di metterlo a fuoco, riducendolo a una sagoma nera sempre più distante, e per un istante ebbe l’impulso di corrergli dietro e si odiò per questo.

La sera stessa Nina chiamò Sebastiano: era furiosa e lui la lasciò sfogare restando in silenzio, fino a quando gli chiese spiegazioni.
– Non ho un piano. Oggi pomeriggio me ne sono andato perché si stava comportando male. Lui ne era consapevole, ed io sono convinto che restando avrei giustificato i suoi modi. Vorrei costruire qualcosa con lui, ma penso di dover provare a correggere le modalità sbagliate, altrimenti ogni tentativo è destinato a crollare. So che posso permettermelo perché sono fuori dalla dinamica delle necessità. Del resto non l’ho scelto e non voglio rimanere in questa posizione. Ma devo seguire le mie idee, altrimenti non servirebbe a niente. Questo dovrebbe essere chiaro. Pensavo lo fosse. E se tu non mi dai la piena libertà che mi avevi promesso chiudiamo subito, perché sarebbe solo un errore.”
Nina stava piangendo chiusa in bagno, e annuì come se lui fosse stato in grado di vederla; era ferita dalla sicurezza di Sebastiano, che le toglieva la possibilità di controllare una situazione che ormai stava rompendo i suoi argini. Era molto spaventata. Sebastiano era cambiato e non era in grado di prevedere le sue mosse, ma non poteva evitare di farlo muovere liberamente. Ammirava profondamente la sicurezza con cui aveva gestito il primo impatto con le spigolosità del figlio. Sebastiano domandò se poteva passarglielo, e lei gli chiese alcuni minuti: dopo essersi soffiata il naso e asciugata gli occhi attraversò la casa, dove suo marito e gli altri figli giocavano aspettando l’ora di cena. Bussò alla camera di Luca, entrando prima di ottenere qualsiasi risposta. Il ragazzo indossava delle cuffie, e sembrava soprattutto seccato quando gli annunciò che Sebastiano voleva parlargli, anche se prese il telefono restando in silenzio.
– Luca. C’è una cosa che voglio dirti subito. Non mi importa niente dei saluti. Non mi danno fastidio le bestemmie e le volgarità, se il contesto le giustifica. Però non sopporto il linguaggio inutilmente aggressivo. Uno dei miei più cari amici, quando si arrabbiava, diventava un’autentica cloaca. E io lo apprezzavo molto. Lo apprezzavo anche per questo. Rendeva la sua rabbia una vera esplosione. Ma, normalmente, non posso permetterti di rivolgerti a me così. Non lo sopporto, e non voglio imparare a sopportarlo perché penso che sia sbagliato. Capisci quello che dico? –
– No, non bene. –
Sebastiano provò a spiegarsi usando una formula diversa. – Chi grida sempre è come se non gridasse mai. Se ti incazzi con me per qualche motivo che ha a che fare con quello che posso controllare, non ti censurare. Ma non puoi permetterti di rivolgerti a me in quel modo senza motivo. È più chiaro così? –
Luca stava trattenendo il respiro, era convinto che non avrebbe avuto la possibilità di sentirlo tanto presto. La sua voce e il suo modo di parlare gli piacevano, soprattutto perché non si rivolgeva a lui trattandolo come un bambino.  – Sì. –
– Bene, anche io dovrò imparare molto, e ce la metterò tutta. Ora lavati i capelli e fammi sapere quando possiamo rivederci. Passami Nina. –
Il saluto che sentì arrivare da Luca che si allontanava dalla cornetta gli sembrò una conquista, e non credeva importante il fatto che non gli avesse dato la possibilità di rispondere.
Nina rise. – Non so cosa gli hai detto, ma si sta spogliando davanti alla doccia e non ha neanche messo in pausa la partita. Potresti parlarci un paio di volte alla settimana? –

Nelle settimane seguenti si incontrarono una sola volta, e Luca mantenne un atteggiamento a tratti scontroso, anche se non usò più un linguaggio volgare. Sebastiano lo andò a prendere in moto e Luca era rimasto davanti alla sua Triumph, mentre gli veniva spiegato in modo sintetico il modo di comportarsi per non rischiare incidenti. Luca non fece domande: non era mai salito su moto o motorini perché sua madre ne era terrorizzata, ma non lo disse. Cercò di seguire le poche istruzioni in modo impeccabile;  durante il tragitto si aggrappò alla vita di Sebastiano con una tenacia eccessiva, restando sorpreso da quanto fosse sottile sotto la giacca. Guardò il traffico sfrecciare da una prospettiva diversa, a tratti spaventato ed eccitato dagli slalom; a volte aveva l’impressione di arrivare pericolosamente vicino alle macchine che, per contrasto, gli sembravano ferme. Ancora non era in grado di associare Sebastiano a una figura paterna. Nina aveva preso a parlargliene costantemente e suo marito, che Luca aveva sempre chiamato papà, si riferiva a Sebastiano chiamandolo per nome con naturalezza; affrontavano l’argomento anche di fronte ai suoi fratelli più piccoli, dandogli l’impressione di essere l’unico a non riuscire ad accettarlo.
Una volta fermi Sebastiano gli mise una mano sulle sue stringendole, prima di togliersi il casco e chiedergli di scendere. Lo aveva portato in uno dei parchi più grandi della città, e Luca restò ad osservarlo legare la moto, invidiando i suoi capelli lunghi.
Sebastiano stava chiudendo il lucchetto. “Ti sai arrampicare sugli alberi?”
A Luca sembrò una richiesta incomprensibile. “Lo facevo da piccolo, ma la mamma non era contenta.”
Sebastiano gli sorrise, e Luca corrugò energicamente le sopracciglia, non capendo se parlasse sul serio o lo stesse prendendo in giro.
“Camminiamo, e vediamo se ne troviamo uno facile.”
Lo seguì restando a lungo in silenzio, disorientato e curioso. Per il ragazzo era insolito stare con un adulto che non si affannava ad intrattenerlo, o a comunicare. Aveva deciso di non parlare con lui, ed era irritato che fosse stato così facile mantenere quel proposito. Individuato l’albero adatto Sebastiano gli chiese di aspettarlo e si arrampicò agilmente fin quasi alla cima, lasciandolo letteralmente a bocca aperta. Quando Sebastiano tornò giù, con la stessa velocità, gli porse la mano da uno dei rami più bassi: quell’immagine si impresse indelebilmente nella memoria di Luca: restò fermo per alcuni secondi sicuro che non lo avrebbe mai dimenticato, a prescindere da quello che sarebbe successo in seguito, e dall’odio che avrebbe potuto provare.
“Sebastiano, io non voglio parlare con te.”
“Va bene, ma vuoi salire su quest’albero o no?”
Afferrò con rabbia la mano che gli tendeva, raggiungendolo con uno slancio che si perse subito; non era in grado di seguirlo fino all’altezza che gli aveva visto raggiungere, ma aveva un carattere orgoglioso e prese quell’invito come una sfida. L’impresa si rivelò più facile di quanto avesse previsto perché Sebastiano lo aiutava in ogni passaggio, mostrandogli ogni singolo appiglio. Si fermarono a metà dell’enorme platano, dove i rami ancora grandi offrivano un buon sostegno. Sebastiano si accese una sigaretta con la stessa disinvoltura che avrebbe avuto se fosse stato seduto su un divano, guardando le cime mosse dal vento che li circondavano. Luca fu costretto a concentrarsi per mantenere l’equilibrio, evitando di guardare in basso per non essere sopraffatto dalle vertigini.
Sebastiano colse il suo disagio. “Se vuoi possiamo scendere anche subito.”
Luca pensò che quella condizione instabile somigliasse al proprio stato d’animo. “Sei davvero mio padre?”
“Certo, altrimenti non saremmo qui.”
“Sei troppo giovane. E troppo strambo.”
Sorrise con ironia. “Lo pensava anche la tua mamma. E io sono contento che abbia cambiato idea.”
“Mi regali una play?”
“Non so neanche cos’è, ma per ora non ho nessun motivo per farti regali.”
Luca aveva l’impressione di essere finito in un altro mondo: il disagio fisico sommato alla stranezza della situazione gli fece completamente dimenticare il proposito di non rivolgere domande. “Perché, prima sì?”
“Perché prima non potevo fare molto altro, anzi, non potevo fare nient’altro. Ti piacciono i dolci? Quando scendiamo vorrei mangiare una fetta di sacher.”
Era il dolce preferito di Luca, ma non lo avrebbe mai ammesso per evitare di somigliargli anche nei gusti. “Io no.”
Sebastiano annuì, e restò ancora un po’ a fumare, gustandosi quel momento.

“Jo mi ha chiesto il tuo numero di telefono, non gliel’ho dato. Mi sono incazzata come una bestia. Quando perdo la pazienza parlo in italiano, e il fatto che non capisca mi fa strillare ancora più forte. Se Sebastiano potesse sentirmi mi sopprimerebbe.”
Giulia stava parlando con allegria, e Ludger sorrideva restando in attesa; erano seduti alla penisola da soli, Amedeo doveva ancora rientrare mentre Sebastiano era al telefono con Nina.
“Non credo che la nostra storia durerà. Per me sta diventando noiosa e lei è sempre, sempre, triste. Le voglio bene, ma non posso fare proprio niente per la sua tristezza. Ti immagini come sarebbe parlare con un interprete in una relazione così? La sua amica che ci aiuta a capirci, poi, inizia a odiarmi. E lo capisco. La maggior parte delle volte che scompaio, quando non mi vedete, sto qui a Roma. Anche se non vado a Berlino voglio stare da sola, vado all’università e ho ripreso ad allenarmi sul serio. Il fatto che in questo periodo nessuno dipenda da me mi da un bellissimo senso di libertà. Ma mando messaggi a Sebastiano quasi ogni giorno, non lo chiamo perché potrebbe fondersi il lobo con altre telefonate. Gli bastano le filippiche di Nina… Jo invece da questo punto di vista mi pesa. Lei vorrebbe venire qui ma io non glielo permetto. Vorrebbe conoscere Sebastiano. Ti rendi conto? Per farci cosa se neanche possono parlare? E poi a lui non voglio dare altri impicci, ne ha già abbastanza. Lei non è così importante da sopportare tutte queste difficoltà, è diventata solo una fatica in più per me. Io per Sebastiano voglio solo essere un sostegno, soprattutto adesso. Non gli parlo mai di Nina, e quando me ne parla lui faccio uno sforzo assurdo per non sputare veleno. Devo essere diventata una brava attrice, perché lei mi trova adorabile… io le salterei al collo, non le farei neanche una delle tante mosse con cui potrei stendere un bisonte. Quando l’ho vista la prima volta avevo proprio voglia di saltarle al collo, come una bestia. Ma pure questo me lo tengo per me, ne parlo con Amedeo o Elisa ma non con lui, con lui cerco sempre di essere neutrale perché non gli sarebbe d’aiuto la mia ostilità… invece con Jo… Cosa dovrei fare secondo te?”
Ludger si alzò chiedendole una pausa, per raggiungere Sebastiano che era sul terrazzo dal lato delle sue stanze, indossando un cappotto. Quando gli mise una mano sul braccio lui sospese la conversazione telefonica, e si voltò a guardarlo con un’espressione interrogativa.
“Che accade? Devo salutare Nina?
“Al contrario, puoi prendertela comoda, ti avverto quando ho finito.”
“Ok. Poi vienimi a ripescare. Finito cosa ?”
“Nina è in ascolto?”
“In attesa, non può sentirci. Le ho detto che Giulia mi sta aspettando per uscire. La saluterò e me ne starò qui, un po’ in silenzio a riposare le orecchie. Per tutto il tempo che vuoi. Se stai parlando con Giulia scaricala per bene, credo che io non parlerò per qualche ora.”
Ludger sentiva freddo in terrazza; Sebastiano usciva per le telefonate con Nina, perché la temperatura bassa lo aiutava a mantenere la concentrazione. “È proprio necessario stare così a lungo al telefono ogni volta?”
Sebastiano gli sorrise: nella penombra il suo viso bianco risaltava come quello di uno spettro. “No, non per me. Infatti la sto convincendo a riprendere le sue sedute dallo psicoterapeuta. A me interessa soltanto Luca, lei mi stanca inutilmente. Ma me la devo sorbire per arrivare a lui, ed è così poco interessante. Credo sarebbe giusto essere pagati per tanta noia. Ci vuole uno specialista, della noia. Ci sto lavorando. Luca per ora non mi vuole vedere, ma devo tenere aperto questo ponte. Ludger, stai prendendo freddo.”
Si tolse la sciarpa per avvolgergliela sulle spalle. Sebastiano non poteva vedere il viso di Ludger perché era controluce, e parlava con voce inespressiva.
“È sempre stata così… noiosa? Ricordo che l’avevi definita una mia pari, devo offendermi?”
Sebastiano sorrise, aveva abbandonato il telefono in equilibrio precario sulla ringhiera; accese una sigaretta con gesti lenti, come se Nina non fosse stata in attesa. “No. non lo era per niente. In questi anni ci siamo sentiti così poco che neanche me ne ero accorto. E sai? Avevo in background l’idea che sarei voluto restare lì, con lei, per tutto il tempo.” Rise, facendo uscire dalla bocca una nuvola di fumo. “Mi sentivo come cacciato dal mio paradiso.”
Un’altra risata, così piena da far sorridere anche Ludger.
“E invece adesso, per me, si stanno mettendo a posto un bel po’ di cose storte. Questo deserto di noia mi sta facendo molto bene. Lei aveva un potenziale enorme, ma a un certo punto deve aver deciso di non utilizzarlo. Qualcosa deve averla spaventata. Traumatizzata. Forse Luca, gestire un bambino da sola, forse io. Ma non mi interessa. Lei non mi interessa più, e tu sei decisamente un fuoriclasse. Ora devo aggirare questi ostacoli e i colpi di sonno per arrivare a Luca. O meglio, per permettere a lui di arrivare a me, se vorrà. Dai, rientra.” Gli diede un bacio sulle labbra, riprese la sciarpa e il telefono prima di voltarsi, tornando a parlare con Nina.
Giulia si era spostata sul divano con in mano il libro che stava studiando, ma lo sguardo era fisso su It con il muso appoggiato sulle sue gambe piegate. Indossava dei vestiti di Sebastiano e non era truccata: i capelli chiarissimi risaltavano sulla stoffa scura in modo netto, in onde morbide. Ludger sedette di fronte a lei; quella era una delle sue versioni preferite di Giulia. Sembrava una bambina imbronciata: con il viso pulito, persa nel suo mondo.
“È ancora sotto sequestro acustico?”
Ludger annuì accendendo la prima sigaretta della giornata. “Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Amedeo non tornerà a cena, e Sebastiano resterà di là a riposare fino a che non lo chiamiamo. Ti va di riprendere? Parti da dove vuoi, ma cerchiamo di mantenere separati i due discorsi.”

“Ludger, caro. Mi sei diventato davvero tanto caro, tu. Credo che con Jo non ci sia molto da fare. Devo lasciarla. Non mi va per niente, ma non posso costringerla a sopportarmi. È ingiusto, e lei non se lo merita. Non sono brava in queste cose, ma forse non esiste un modo bello per fare qualcosa che porta solo dolore. Il fatto che non mi capisca non rende la cosa più facile.”
“Vai da lei, parla molto lentamente, usa parole semplici senza interprete. Lei vuole capirti. Penso non ci sia molto altro da fare. Perché non ti va di farlo?”
Giulia alzò gli occhi verso di lui, divertita. “Lo sai. Perché è un’amante perfetta. Perché senza di lei avrò un problema da risolvere, più difficile che avere a che fare con la sua tristezza, che poi passa sempre con una scopata. Ogni volta che proviamo a parlare finisce sempre così, è l’unica cosa che sappiamo fare bene insieme. Solo che a lei non basta, non le basta più. E io non posso darle altro. Dovrò lasciarla dopo l’ennesima scopata.”
“Meglio di no. Hai detto di volerle bene, risparmiale questo strazio. Non penso che avrai grossi problemi a trovarti un’altra amante.”
Giulia guardò i fiori con gli occhi spalancati, le iridi avevano il colore chiaro e freddo che prendevano quando si vestiva in nero. “Ho già provato, ed è andata a finire esattamente così. Ma devo essere più determinata. Poi hai ragione, può essere facile trovare una storia di una notte, ma devo allontanarmi dalle mie riserve, perché i postumi delle vittime mi disturbano. Questa cosa del sesso è davvero una grossa seccatura, inizio a invidiare Sebastiano, anche se io non riuscirei mai a gestirla come lui. Dice che è una questione di volontà… forse non voglio. E qui mi incarto, puoi invidiare qualcuno perché ha qualcosa che non vorresti? Credo di poter vivere questo paradosso solo perché sono disorientata. Devo fare attenzione a non far scontare a lui il peso della mia confusione… anche se lo so che è lui l’origine del mio turbamento.”
Alzò gli occhi con un sorriso triste, che Ludger ricambiò senza manifestare sorpresa o curiosità. Le sembrava di vederci soltanto una sfumatura di tenerezza.
“Mi consigliavi niente omissioni o bugie consolatorie con lui, e io ce la metto tutta, vorrei estirpare ogni possibile fonte di difficoltà dalla radice. Tu sei sveglio, abbiamo parlato poche volte ma sempre senza censure. Con Elisa e Amedeo non posso, non posso più… sono bravissimi ma anche troppo emotivi, ho l’istinto di doverli proteggere. Invece quando parlo con te mi sembra di dirti cose che già sai, per questo è più facile. Per me Sebastiano è la cosa più preziosa che ho, e voglio preservarla. Voglio solo stargli vicino ed essergli d’aiuto.”
“Anche a costo di censurarti, come con Nina?”
“Anche lui è sveglio, ci arriverà da solo. Ci mette di più perché sta demolendo uno dei suoi idoli storici. Se forzassi le cose con le mie osservazioni potrei influenzarlo male, e non ne ha bisogno. Per me è più facile, non ne sono mai stata innamorata. Raccolgo solo quello che mi viene dato adesso, smonto e rimonto nella memoria tutte le informazioni… lo sai, è uno dei miei passatempi, e il quadro che ne viene fuori crolla mentre si definisce. E quanto mi fa incazzare quella tipa. Le morderei la faccia. Come pensa di potersi permettere di definire lui vigliacco e egoista! Lei lo ha preso e mollato assecondando i suoi bisogni, le sue masturbazioni mentali. Stronza megalomane. Aveva montato le cose per rendergli Luca irraggiungibile, facendo leva sul suo senso di giustizia, fregandosene del resto. Adesso che gli serve lo ammorba senza pudore, e si incazza quando non asseconda i suoi copioni. Testa di cazzo!” Aveva gli occhi spalancati, i piedi a terra e le mani poggiate sulla seduta come se stesse per saltare in avanti e picchiare qualcuno.
Ludger le sorrise chiedendole di abbassare la voce, e Giulia chinò la testa scusandosi. Era colpito dalla similitudine che vedeva tra lei e Amedeo, nel modo di reagire alle difficoltà che doveva affrontare il loro amico.
“Sfogati quanto vuoi, solo non gridare, Sebastiano è dall’altra parte di quel muro e la musica non è così alta. Penso che per lui sia una grande fortuna averti vicino, tu però non dovresti ignorare niente che per te è importante. Una censura di questo tipo non ti porterebbe lontano.”
Giulia tornò ad appoggiarsi sulla spalliera, sembrando come svuotata. “Tu, Ludger, come la vedi quest’impresa con Luca? Io sono così preoccupata.”
“Io no, credo che si stia muovendo bene. Hai ragione, sta ridefinendo il disegno di una delle sue sacre icone, ma è lucido e coraggioso. Anche io lo lascio soprattutto parlare, e a volte lo provoco un po’, sai, è il nostro modo. Intanto ho ricollegato la mia PlayStation a quel televisore, dimenticato vicino allo stereo. Quando stavo nel sarcofago ci giocavo parecchio. Spero di poterla usare con Luca prima o poi, visto che è l’unico interesse che abbia manifestato finora. Intanto sono in attesa e sono fiducioso, perché da quando lo conosco Sebastiano non fa che migliorare, e quello che sta facendo è importante. E spesso è riuscito in imprese impossibili. Pensa soltanto a come stiamo qui a parlare, io e te.”

“Voglio vedere il posto dove vivi.”
Luca gli parlò dopo aver sbattuto il portone, come liberandosi di una necessità trattenuta a lungo. Alcune sere prima lo aveva detto anche alla madre, senza aggiungere motivazioni. Pensava sempre a Sebastiano, ma non voleva parlarne con quelli che definiva i propri genitori; lo aveva assimilato all’universo in espansione di argomenti esclusivamente suoi, che non voleva condividere con loro. Ne era affascinato e spaventato: ormai non credeva più che potesse essere un attore, ma non voleva cedergli del tutto lo spazio che aveva sempre occupato l’idea del proprio padre. Era terrorizzato dalla prospettiva di una sua sparizione molto più di quanto sarebbe mai riuscito ad ammettere.  Si tratteneva dal chiedere a Nina di poterlo vedere perché aveva paura che rifiutasse, o che scomparisse di nuovo. Nei loro pochi incontri tutto quello che si erano detti, ogni aspetto di quello che gli sembrava più un ragazzo che un adulto, componevano un insieme caotico. Si chiedeva spesso come potesse un tipo così originale essere interessato a passare del tempo con lui. In quel momento lo stava guardando sorridere, mentre aspettava una risposta corrugando le sopracciglia. Luca si era appena fatto una doccia; aveva iniziato a mandare i capelli dietro le orecchie cercando di emulare il proprio idolo, e si era messo la felpa del gruppo che preferiva, sotto un giacchetto che non aveva scelto e che odiava. Sebastiano sorrideva, ma lui si sentiva giudicato e iniziò a non poterne più di quell’attesa, malgrado fosse durata poco.
“Si potrebbe fare. Prova a formularla meglio. Vorresti. Non vuoi. Ti riesce?”
Luca si trattenne, stringendo i pugni nelle tasche troppo piccole. “Che differenza fa?” Le labbra scandirono un commento senza suono: che palle. Per alcuni secondi la sua espressione cambiò, rivelando una preoccupazione che svanì una volta constatato che l’interlocutore era del tutto indifferente a quel commento. Si trovò ad concludere tutto di un fiato. “Sebastiano vorrei vedere casa tua.”
“Bene. Fa una grande differenza. Non dare mai niente per scontato. Il modo in cui chiedi le cose può cambiare radicalmente il risultato che otterrai. Soprattutto con me. Non so se troveremo qualcuno ma non importa. Vivo con due amici, due persone eccezionali. Normalmente non sono in casa a quest’ora, ma sono sicuro che sarebbero felici di conoscerti. Andiamo.”
Luca iniziò a seguirlo, cercando di elaborare le informazioni che gli aveva dato; immaginava vivesse da solo, o con la fidanzata che Nina aveva definito una bellezza fuori dal comune. Decise di non fare domande. Nel movimento che fece nell’infilarsi il casco le maniche del giacchetto si alzarono sugli avambracci. Le riabbassò con un gesto rabbioso.
“Luca, questo giacchetto ti sta piccolo.”
“E fa schifo. Posso dirlo schifo? Lo ha scelto mio padre e già sto al secondo inverno che lo devo portare… scusa…” Aveva sempre associato quella definizione al marito di sua madre, e chinò la testa nascosta nel casco per l’imbarazzo: la parola padre gli sembrò destinata a restare in una posizione sbagliata.
Sebastiano rise per il casco abbassato sulle sue spalle da bambino, imbottite in un colore vivace che lo faceva sembrare una specie di pupazzo sproporzionato. Gli disse che non doveva scusarsi di nulla, chiedendogli che tipo di giacchetto gli sarebbe piaciuto avere. “A patto che questo non lo butti, non voglio irritare tuo padre. Ci serve bendisposto. Dai! Scherzo.”
Sebastiano si impose di smettere di ridere, perché il frammento di viso rivolto verso di lui era attraversato da troppe emozioni che si sovrapponevano senza escludersi. Gli chiese di nuovo cosa avrebbe voluto, e una volta ottenuta l’informazione salì sulla moto invitandolo a fare altrettanto.

Luca sapeva esattamente che tipo di giacchetto avrebbe voluto, e nel negozio lo indicò in silenzio; era incredulo che quel desiderio senza speranza si stesse concretizzata. Il commesso lo definì un ragazzo fortunato ad avere un fratello tanto generoso, e Sebastiano non aveva detto nulla per correggere quell’errore né cambiato espressione. Lo indossò subito, ringraziandolo con una voce così bassa da essere appena udibile; sperava che il vecchio piumino, legato in vita, andasse perduto durante il tragitto in moto.
Erano davanti alla porta di casa quando Sebastiano iniziò a parlare, dopo un lungo silenzio. “Qui siamo di fronte a un bivio, da un lato ci sono le mie stanze, che potrebbero non piacerti. Non le ho mostrate neanche a tua madre. Dall’altro c’è il resto della casa, gli spazi dove passo la maggior parte delle mie giornate e le stanze dei miei amici. Per me puoi andare dove ti pare. Da dove iniziamo?”
Restarono fermi nel breve corridoio, che in origine era un pianerottolo.
Luca guardò la cornice della porta di Sebastiano, che era stata rimossa come quella che portava al disimpegno dell’altro appartamento. Ebbe l’impressione di trovarsi dentro un labirinto. “Voglio… vorrei vedere la tua stanza. Tu non ci verrai mai a vedere la mia?”
Sebastiano iniziò a camminare lentamente verso l’ingresso alle sue stanze. “Di mio non ho molta voglia di venire lì, ma se tu ci tieni ne parlerò con Nina. Pensavi di mostrarmi il posto o di farmi conoscere la tua famiglia?”
Luca fece spallucce, e cercò di modulare la voce per renderla più bassa. “Non mi importa niente di farti conoscere gli ariani. Anzi, potrebbe essere una lagna tremenda.” Aveva parlato senza riflettere e lo spaventò la sensazione di non essere in grado di gestire le dinamiche di quell’incontro.
Sebastiano cercò un modo neutro di affrontare un termine che non gli era piaciuto ascoltare. “Perché li hai definiti ariani?”
Erano entrati nel primo ambiente, e il ragazzo stava osservando a bocca aperta il disegno della bambola rotta che scendeva dal soffitto: il fatto che fosse sospeso nei pressi di un lavandino da cucina glielo fece sembrare ancora più straniante. Sebastiano ripetè la domanda ritrovandosi a sostenere l’ennesimo sguardo torvo.
Luca in quel momento era seccato di dover fare attenzione scelta delle parole. “Non mi romperai come la prof di italiano adesso! Se devo fare le squadre so bene dove piazzarmi. Quella degli sfigati. Li chiamo così perché sono tutti biondi. Tutti biondi. Nel gioco trova l’intruso non sbaglia neanche un daltonico. E meno male che mi ricordo qualcosa di quando ero piccolo sennò mi credevo adottato.” Subito dopo cambiò tono, tornando a rivolgersi alla parete. “Ti piace l’horror? Io leggo tanti fumetti, questo disegno sembra uscito da un fumetto… è disegnato troppo bene. Chi te l’ha fatto?”
Sebastiano lo lasciò da solo davanti alla parete per sedersi sul materasso in terra, e accendersi una sigaretta. Cercò di valutare quanto di quello che li circondava fosse adatto a un ragazzo della sua età, ricordando di aver sempre sfogliato i libri del padre senza censure. Sorrise, constatando di aver avuto una libertà che per Luca era inimmaginabile, e che nessuno lo aveva mai fatto sentire un intruso. Il ragazzo aveva rinunciato ad aspettare una risposta, e osservare ogni cosa come fosse stata aliena: il pianoforte a coda, i libri a terra con molte pagine poggiate sulle copertine, la chitarra classica sul suo sostegno e una tela enorme con sovrapposizioni di quadrati grigi semitrasparenti. Le pareti erano scure e vuote, a parte una libreria ricolma di libri che sembravano esplosi perché le pagine erano strappate. Corrugò ancora le sopracciglia, cercando di individuare almeno un dettaglio normale secondo i propri parametri; si concentrò sul posacenere poggiato a terra, vicino a quello che sembrava un letto lasciato in mezzo alla stanza. “Ma tu, vivi qui?”
Sebastiano si guardava le scarpe e rispose senza intonazione. “Non ci sto quasi mai di giorno, te l’ho detto. Soffro di insonnia, la notte suono, dipingo e leggo stando qui. Per dormire mi sposto nell’altra stanza. Vuoi vederla o andiamo subito di là?”
Si era alzato mentre formulava la domanda, pensando che forse non era stato saggio portarlo nelle sue stanze. Se voleva mostrarsi a lui senza censure qualsiasi strategia educativa era destinata a franare, ma era determinato a farlo anche per dargli una possibilità di odiarlo per motivi concreti. Lo lasciò entrare nella stanza che Giulia definiva l’acquario, appoggiandosi allo stipite della porta che aveva fatto rimontare quando avevano tolto quelle all’ingresso. Per quel diaframma aveva scelto un colore identico a quello delle pareti che proteggeva, tracciandoci sopra delle linee ondulate e bianche, interrotte per lasciare emergere in negativo la silhouette di Giulia. Non aveva voluto trovare metafore per lei, le sue forme erano state ricavate facendola appoggiare a quella superficie satinata: in alto le onde si fondevano con l’inizio dei suoi capelli, e aveva lasciato intatta la superficie esterna della porta che restava visibile da aperta. Pensò a lei e a quell’unico disegno che Luca non poteva vedere; il ragazzo continuava a girarsi lentamente, con le labbra socchiuse e gli occhi spalancati, perdendosi nel groviglio di linee. Sebastiano si stringeva le braccia al torace guardandolo, sorridendo mentre tratteneva le lacrime; non si domandò che impressione gli stesse facendo e non gli importava se ne avrebbe parlato a Nina, consapevole che in quel caso quella mossa avventata si sarebbe trasformata in un errore irreparabile. Era felice e non voleva preoccuparsi delle possibili conseguenze, pregustando il momento in cui ne avrebbe parlato a Jacopo, che ancora non sapeva nulla. Ricordò la sua passione per la storia che si perde, e interpretò il momento che stava vivendo come una perfetta realizzazione di quel proposito.
Luca continuava a guardarsi intorno, mettendo a fuoco dettagli sempre diversi. Era affascinato dai rettili e dagli insetti; mosse alcuni passi verso una lucertola prima di cercarne velocemente altre, per controllare se tutte fossero prive di coda. Non riusciva a mantenere a lungo la concentrazione: la luce del pomeriggio d’inverno iniziava a scendere e lo sfondo scuro metteva in risalto il disegno bianco, dando l’impressione che fosse sospeso rispetto alla base. Chiuse gli occhi e se li stropicciò energicamente sentendosi disorientato, come quando ruotava su se stesso troppo a lungo nelle gare di resistenza con i suoi compagni. “L’hai fatta tu ‘sta roba? è allucinante. Ma vuol dire qualcosa? Ma non è che sei matto davvero?”
Sebastiano sorrise con gli occhi lucidi, lasciando sospese quelle domande come le precedenti, senza smettere le braccia al torace. Luca osservò la sua figura sottile incorniciata dell’arabesco delle pareti, straniante come tutto quello che lo circondava. Pensò di non aver mai visto una stanza tanto rappresentativa del proprietario, una persona che non sarebbe stata in grado neanche di immaginare.  Ricordò che Sebastiano gli aveva detto di non averla mostrata a sua madre, e ne fu turbato. Era consapevole di non poter capire i disegni da cui era circondato, esattamente come l’autore, ma lo emozionava sapere che lo avesse mostrato soltanto a lui: era convinto fosse un particolare importante e lo faceva sentire orgoglioso. In un modo sotterraneo, quella figura ambigua che continuava a restare in silenzio era riuscita a entrare nel suo mondo nascosto, senza chiedergli nulla. Sentì arrivare un’ondata d’odio ma capì che Sebastiano era sulla soglia del pianto, malgrado il suo sorriso irritante: Luca capì che poteva interpretarla come una prova di fiducia, perché non gli aveva chiesto di evitare di parlare con la madre di quel luogo. Nessuno lo aveva mai messo in una posizione simile. Stopicciò di nuovo gli occhi, era stanco, e per sbloccare la situazione chiese un bicchiere d’acqua. La voce incerta con cui formulò la richiesta fece rianimare la statua che ostruiva l’unica via di fuga; Sebastiano lo invitò a seguirlo, offrendogli un bicchiere di carta riempito d’acqua del rubinetto, preso dalla confezione che usava per preparare i colori. Luca non aveva davvero sete e glielo restituì dopo una sola sorsata, guardando la bambola sospesa sul lavandino.
“Perché queste cose non le fai sulla carta?”
“I disegni su carta li uso per accendere il camino. Li faccio, ma non restano.”
“Tu sei troppo strano. Puoi farne uno per me? Una lucertola, con la coda però… perché prima sembrava che piangevi?”
“Perché ero felice. Non sono in grado di spiegarti perché, non ancora, ma era una cosa bella. Vuoi vedere il resto della casa? Di là abbiamo un frigo piuttosto fornito, e io mi prenderei volentieri un tè. Questa cucina non la uso mai. Andiamo o vuoi tornare a casa tua?”

Sebastiano cercò di ricordare le domande rimaste in sospeso, specificando che non avrebbe mai voluto lasciare le sue richieste ignorate. Avvicinandosi al soggiorno sentirono una delle musiche che Amedeo ascoltava quando era solo, inospitale e a volume troppo alto. Erano in corridoio, nei pressi dell’ampia stanza, e Sebastiano aveva quasi finito l’elenco delle domande a cui rispondere. La luce del tramonto stava prendendo tonalità più calde e molte luci basse erano già accese, creando un’atmosfera accogliente contraddetta dalla musica opprimente. Quando It iniziò ad andargli incontro Luca restò immobile, e quando gli fu molto vicino si rifugiò dietro Sebastiano stringendogli le braccia con le mani, usandolo come scudo. Amedeo aveva portato a casa delle foto a cui stava lavorando, per chiedere un parere, perché era un progetto a cui teneva molto; le aveva stese sul tavolo da pranzo che restava quasi sempre inutilizzato, continuando a cambiarne la disposizione per poterle presentare al meglio. It era saltato dal divano verso l’ingresso come faceva sempre per accogliere uno di loro, ma Amedeo non vide nessuno entrare. Si allontanò dal tavolo per affacciarsi nel corridoio, dove trovò Sebastiano rivolto verso Luca che si nascondeva dietro di lui in cerca di protezione: la testa del ragazzo arrivava alla spalla del suo amico, che stava sorridendo con dolcezza. Ad Amedeo si bloccò il respiro, non aveva immaginato di trovarli lì. Sebastiano era chinato ad accarezzare la testa di It ma, anche se lo stava descrivendo come una creatura buonissima, Luca non mollò la presa. Amedeo notò le mani piccole e bianche che stringevano con forza sul cappotto elegante, e il viso straordinariamente somigliante a quello di suo fratello malgrado la mandibola più definita sotto i capelli scuri e lucidi. Era la prima volta che aveva di fronte il figlio di una persona che gli era cara, e ogni somiglianza contribuiva a dargli un senso di vertigine. Ripensò alle sovrapposizioni temporali che tanto lo avevano angosciato in passato; il ragazzo alzò gli occhi verdi, e quando lo vide lasciò andare Sebastiano. Luca aprì la bocca per parlare, ma non emise suoni; La sagoma nera di Amedeo controluce era straordinariamente sottile. Luca notò ogni suo particolare: gli anfibi, le braccia magre e scolpite abbandonate ai lati del corpo, la cinta con le finiture metalliche e la maglietta nera aderente fino alle spalle, dove poggiavano i capelli vaporosi. Gli sembrò appena sceso da un palco dopo un concerto, un’impressione alimentata  dalla musica assordante in sottofondo.
Sebastiano gli si rivolse con naturalezza. “Luca, sono felice che tu non voglia separarti da questo giacchetto, ma qui siamo in un microonde. Togliti anche la felpa. Lui è Amedeo, il mio amico più caro, ogni tanto si incanta. Ma è ancora più buono del gatto. È più grande ma è comunque un gatto.” Passò una mano sulla sua testa; era il primo gesto di tenerezza che gli rivolgeva, spontanea conseguenza del suo stringersi addosso a lui in cerca di protezione.
A quel tocco Luca si rianimò, e si tolse la giacca con gesti nervosi. Evitò di togliere la felpa, anche se lo avrebbe fatto sudare, perché ne era orgoglioso e pensava che sarebbe stato difficile sfoggiarla con altrettanta soddisfazione altrove.
Sebastiano rise. “Amedeo caro, respira. E magari togli il signor Gira che il ragazzo ha già parecchie cose difficili da digerire. Gli Angels of Light glieli risparmierei.”
Amedeo si scosse presentandosi, ma Luca rispose con un saluto non udibile. allora reagì al suo silenzio chinandosi appena verso di lui per riprendere a parlare.
Amedeo sorrise chinandosi alla sua altezza, per poi alzare l’indice verso la stampa che risaltava sul cotone nero. “Qual è il disco, o il pezzo che preferisci di questo gruppo?”
Stavolta la sua voce arrivò più nitida, e Amedeo apprezzò l’abitudine di Ludger di tenere i dischi in ordine alfabetico. Il ragazzo iniziò finalmente a guardarsi intorno, aiutato dalle prime note di Smells Like Teen Spirit, e dal sentirsi momentaneamente ignorato da entrambi.
Sebastiano si mosse verso la penisola ma si fermò davanti al tavolo, sollevando alcune stampe per guardarle meglio. “Erano queste le foto di cui ci parlavi ieri sera. Belle ma manierate, qui la modella non è all’altezza. Questa foto sarebbe bellissima, ma lei non regge.”
Amedeo lo raggiunse, dichiarandosi completamente d’accordo. “Ma sai, lei è la bassista. E l’unica donna del gruppo. Quella potrebbe essere la base per la copertina… gli piace che ci sia una figura femminile, ma non hanno altro.”
“Chiediamo a Giulia. Non credo si farebbe problemi, considerando che il viso resterebbe nascosto e saresti tu a scattare.”
A Luca sembrava di essere finito in una di quelle case che gli era capitato di vedere sulle riviste d’arredamento della madre, o nei film. Non aveva mai visto tante piante, dischi e libri dentro un appartamento: tutto gli sembrava fuori misura. Osservando Sebastiano e Amedeo da lontano pensò al racconto di un suo compagno di classe, che aveva fatto visita alla sorella più grande quando si era trasferita a vivere con alcune coinquiline; poteva essere una situazione simile, ma la descrizione del suo compagno era lontanissima da quello che lo circondava. Sarebbe voluto diventare come loro, e invidiò quei ragazzi stravaganti che parlavano disinvoltamente in uno scenario tanto ricercato. Fu un pensiero doloroso, perché aveva già deciso di non continuare a studiare per potersene andare di casa il prima possibile, anche se non ne aveva parlato ancora con nessuno. Si avvicinò a loro per osservare le foto; i tratti del viso di Amedeo avevano una delicatezza che gli era sfuggita al primo impatto, e anche le stampe furono una rivelazione. Sapeva che servivano per un disco, ma fino a quel momento non aveva avuto contatti diretti con quel contesto che tanto lo affascinava. La ragazza di cui parlavano aveva il seno scoperto, e trovò strano che gli permettessero di vedere i suoi scatti. “È la tua fidanzata?”
Sebastiano sorrise. “Parlavamo di Giulia, la mia ragazza sì, ma non è questa. La foto mi piace ma lei no. Giulia è molto, molto più bella.”
Amedeo guardò i loro profili, trovandoli straordinariamente simili: il ragazzo aveva lo stesso naso del padre di Sebastiano, anche se più delicato; gli occhi a mandorla mostravano un accenno di palpebra superiore, e la mandibola era più marcata, ma la somiglianza si rivelava soprattutto nell’espressione. Luca era di nuovo stanco; dopo aver chiesto di poter usare un bagno si allontanò verso il corridoio, ma si fermò di fronte a un martello incorniciato in una cornice a cassetto profondo, attaccato di fronte al bagno di Sebastiano. L’impugnatura era sporca di un nero incrostato che sembrava sangue rappreso, e il martello restava sospeso su una carta da parati celeste pallido, con piccole nuvole infantili. Luca gridò il nome di Sebastiano senza neanche accorgersene e lui lo raggiunse velocemente, accompagnato da Amedeo.
“Che cazzo mi dici che non ti piace l’horror e poi ci sono queste cose. Questa cos’è?”
Sebastiano scoppiò a ridere: aveva montato quell’oggetto dopo aver trovato il martello sporco nella cassetta degli attrezzi, associandolo all’ultima crisi nervosa di Ludger; quella risata bloccò ancora una volta Amedeo e sciolse il nodo tra le sopracciglie di suo figlio, che accennò finalmente un sorriso.
“Qui è tutto troppo strano. Ma mi sa che tu sei la cosa più strana di tutte.”
“Quella cosa è una burla, uno scherzo per Ludger. Sta lì da un po’, prima c’era una maschera rituale, quella sì che faceva paura. Doveva essere una cosa momentanea, ma Ludger lo ha voluto tenere. Prendila come un ready made. Poi ti spiegherò cos’è, ricordamelo. Forse mi piace l’horror, mio malgrado. Amedeo ogni tanto mi chiama The ring, un altro amico fantasma. A questo punto posso solo sperare che il genere horror piaccia a te. Dai, vai in bagno.”

Amedeo domandò a Sebastiano se poteva chiamare Ludger, e lui gli ricordò, con indifferenza, che quella era casa sua e poteva andare e venire liberamente.
Amedeo prese subito il telefonino, ma senza usarlo. “Credimi, mi emoziona tanto vedervi insieme, faccio fatica a non incantarmi tutto il tempo. Tu come stai?”
“Bene. Nella mia stanza ho avuto una specie di epifania. Uno di quei momenti in cui tutto ruota e si ricompone intorno a un cardine, in questo caso inconsapevole. Ho pensato a mio padre. Luca era circondato dalla mia storia, per lui incomprensibile, quindi già perduta. Questo disco mi innervosisce, ma hai fatto bene a metterlo per lui. Almeno ha qualcosa di familiare.”
Luca si era fatto coraggio e, tornato dal bagno, si chinò ad accarezzare It. Entrando Ludger li vide seduti a terra e provò un senso di sovrapposizione temporale; quella scena appariva come il fotogramma di un futuro possibile, ma difficilmente realizzabile. Amedeo stava raccogliendo le stampe dal tavolo, e lo salutò da lontano; Ludger valutò il sorriso un po’ assente con cui gli aveva risposto abbastanza vicino alla norma, e quindi sedette vicino agli altri. It gli puntò le zampe anteriori sul torace per salire come sempre ad annusargli il viso, mentre Sebastiano pronunciò con tono atono i loro nomi, per presentarli.
Ludger nascose dietro un sorriso l’emozione provocata dal viso, turbato e curioso, che Luca alzò verso di lui. “Che bello vederti qui, sono tanto contento di conoscerti. Hai fatto amicizia con il nostro buffo gattone? Quando gioca è strepitoso. Ti piacciono i gatti?” Il tono di Ludger era dolce e la semplicità di quello che diceva ammorbidì l’espressione inquieta dell’adolescente.
“Mi piacciono tutti gli animali, anche se non ne ho mai avuto uno. I miei non li vogliono perché siamo già in troppi, dicono. Lo dicevano anche quando eravamo in tre.” Portò lo sguardo di nuovo sul gatto. “E già nessuno poteva sbagliare al gioco trova l’intruso.” Concluse, con una lieve alzata di spalle.
Ludger non era in grado di capire il riferimento, che invece fece corrugare le sopracciglia di Sebastiano: era la seconda volta che sentiva quella definizione in meno di un’ora, e valutò la vastità del sottotesto che poteva sottintendere.
Ludger notò il cambiamento sul viso del suo amico, e riprese a parlare con disinvoltura, rivolgendosi esclusivamente a Luca. “Sai che dopo non so quanto tempo ho ricollegato la Play, sperando di poterci giocare con te? Sono fuori allenamento, ma un giro me lo farei volentieri. Preferisci i picchiaduro, i puzzle o i giochi di corse?”
Il viso del ragazzo si illuminò. “Magari! Io me la sogno la Play! Posso vedere che giochi hai?”
Amedeo e Sebastiano si stupirono per la sua reazione entusiasta: l’atteggiamento di Luca era completamente cambiato da quando Ludger lo aveva portato su un territorio che gli apparteneva. Una volta attaccati alla console restarono a giocare fino al momento di separarsi. Si sfidarono molte volte, ostacolandosi con toni scherzosi, secondo una modalità comunicativa non del tutto comprensibile agli altri, ma che aveva messo il ragazzo a proprio agio. Ludger aveva calibrato il modo di giocare per dargli soddisfazione senza esagerare, e al momento di separarsi Luca lo guardò con una sfumatura di malinconia.
“A te spero di tornare presto a stracciarti.” Abbassò il capo dispiaciuto di doversene separare, prima di rivolgersi ad Amedeo. “Le tue foto sono fighissime, anche con quella modella lì… sembrano già un disco.”

Dopo essere usciti di casa Luca si chiuse in un mutismo ostinato, che sciolse soltanto quando  vide che Sebastiano lo stava lasciando davanti al proprio portone senza salutarlo.
“Mi dai il tuo numero… cioè, mi daresti il tuo numero?”
“Certo. Mi dici dove sei stato quando sei scappato? Non è una condizione, ti do il numero comunque.”
“In soffitta. Ma non lo dire a… a Nina.”
“Non glielo dirò. Puoi chiamarmi ogni volta che vuoi.”
Luca rispose con un’alzata di spalle, prima di prendere il foglietto strappato dal taccuino. 
“Grazie per il giacchetto. Mi piacciono i tuoi amici. Allora ciao.”
Sebastiano rispose al saluto, e aspettò che entrasse nel portone. La giacca che Luca aveva scelto era di una delle marche che Giulia aveva usato in modo ossessivo nel suo periodo benzinaio, e anche il modello ricalcava lo stesso stile. Luca accompagnò il portone con la mano per non farlo sbattere, rivolgendogli un sorriso indeciso prima di voltarsi e uscire dal suo raggio visivo. Sebastiano restò fermo ancora diversi minuti; pensò ai legami sotterranei che scorrono intorno a una persona, mentre ricordava suo figlio incantato dentro l’acquario.