Sebastiano e Lorenzo erano rimasti a lungo in piedi vicino alla porta, osservando le ragazze scegliere abiti nella stanza di Elisa. Ricavarono uno spazio sul letto per sedersi e continuare a guardarle, tra gli abiti e gli accessori scartati: quell’attività era diventata un gioco che non si sarebbe esaurito in fretta. Il giorno precedente Giulia aveva scritto un messaggio a Sebastiano, chiedendogli di passare la serata insieme e andare a trovare Amedeo al lavoro perché voleva ballare; lui aveva proposto di coinvolgere anche i loro amici, e si erano incontrati nel tardo pomeriggio a San Lorenzo. Sebastiano e Lorenzo parteciparono alla conversazione ironizzando sulla loro età, inadatta a quel tipo di svaghi, sulla fatica inutile che quelle due gli avrebbero fatto fare, e sull’eventualità di farsi un giro di tango lasciandole in pasto alle creature della notte. Elisa era felice dell’atmosfera gioiosa che si era creata, e di condividerla con la sua amica: non si sarebbe mai immaginata di condividere un contesto simile. Giulia era talmente disinvolta da ridere e scherzare senza imbarazzo, anche quando rimaneva quasi nuda. Strappava dalle labbra di Sebastiano ogni sigaretta che lui accendeva, e lo aggrediva giocando ogni volta che opponeva un minimo di resistenza. Lorenzo mise in salvo l’ennesima sigaretta accesa mentre loro rotolavano ridendo in un groviglio di arti scomposti tra gli abiti di Elisa; poi si affiancò ai piedi del letto per assistere all’incontro, mentre fumava l’oggetto della contesa. L’espressione divertita di Lorenzo conteneva una nota di tristezza, che Elisa interpretò immaginò collegata ad avere assistito a scene simili in contesti diversi.
Sebastiano e Giulia continuavano a portarsi dietro stoffe e orpelli, ridendo di gusto; era sempre lei a decidere quanto far durare le lotte, che finivano invariabilmente con Sebastiano immobilizzato mentre lei scandiva sempre la stessa formula.
“Osae komi waza.”
Sebastiano rispose, dandole della pedante. “Lo sai che mi sta sul cazzo tutto quello che ha a che fare con l’oriente.”
“Con la faccia che ti ritrovi mi sembra molto appropriato.”
“E dai! Mollami che mi stropicci la camicia.”

Durante la cena Sebastiano raccontò il suo ultimo incontro con Luca con toni scherzosi; Elisa notò l’attenzione con cui Giulia seguì quel resoconto ironico: l’espressione della sua amica si distese soltanto ascoltandolo parlare dei giochi che aveva fatto con Ludger.
Sebastiano era completamente rilassato. “Sto pensando di organizzare un incontro con il mio vecchio… ancora non gli ho parlato di questa novità. Sarei tentato di fargli una sorpresa se non temessi di fargli prendere un colpo.”
La mano di Giulia strinse la sua, abbandonata sul tavolo.
“Andiamo a trovarlo domani. Vorrei farmi un giro sulla tua moto, mi segui con la mia?”
“Se proprio vuoi fare la coatta, la tua la lasciamo a riposare. Preferisco fare il koala piuttosto che mangiare la polvere. Va bene. Meglio nel pomeriggio, credo che passerò la mattina a rotolare nel letto. Grazie.”
Quella sera Giulia e Sebastiano erano incantevoli; Amedeo vedendoli ballare rischiò di saltare la fine di un pezzo. Lei passò molto tempo in pista, togliendosi progressivamente strati di abiti fino a restare con un vestito a sottoveste nero che, grazie ai capelli raccolti e al solito contrasto con la collana pesante e gli anfibi alti, risultava sofisticato. Sebastiano ballò poco, e non tolse neanche la giacca; nessuno li infastidì, soprattutto perché erano sempre scortati dai loro amici. In particolare Andrea restò accanto a Sebastiano come una guardia del corpo, contento di vederlo finalmente partecipare a una delle sue serate, scherzando sul fatto che senza preavviso non avrebbe potuto fornirgli il cubo promesso da tempo.
Tornarono a casa tardi, esausti e ubriachi, e non riuscirono a smettere di scherzare neanche  facendo la doccia. Non si erano visti per alcune settimane; Giulia cercava di valutare se quella parentesi fosse durata troppo a lungo, ma Sebastiano era sereno e quella sera l’entusiasmo nello stare insieme sembrava inesauribile. Scivolarono nel sonno con dolcezza, abbracciati sotto le coperte; Sebastiano ripeteva i soliti movimenti leggeri con il viso sul collo di Giulia, gustando la consistenza della sua pelle calda e pulita.

Aprendo gli occhi Giulia li sentì bruciare per la luce, e cercò istintivamente  Sebastiano che dormiva poco distante, di schiena. Fece scorrere i polpastrelli sulla seta, sorridendo per la sua ossessione di sentire esclusivamente quel materiale a contatto con la pelle. Lasciò scivolare le dita fra i capelli ormai lunghissimi, facendoseli ricadere addosso; Sebastiano non li aveva mai tagliati da quando si conoscevano. Quando le chiese di abbracciarlo gli si avvicinò fino ad aderire a lui completamente.
Sebastiano non si mosse. “Deve essere ancora presto… sei sveglia da tanto?”
“No, tu dormi ancora.”
Allentò la presa per lasciarlo ruotare verso di lei, e Sebastiano la avvolse tra le braccia; restò immobile per diversi minuti a gustare il tepore che la avvolgeva, e il suo profumo. Lo aveva sempre preso in giro per l’abitudine di spruzzarsi di profumo prima di andare a dormire, ma le piaceva tanto sentire quell’odore sofisticato e dolce quando erano vicini nel letto.
Giulia immerse il viso al lato del suo, fino a raggiungere il collo liscio. “E tu, sveglio da tanto?”
“Sì. Ma non importa, sto così bene. Se vuoi possiamo stare così anche tutto il giorno.”
Ricordò di essersi proposta di accompagnarlo dal padre quel pomeriggio, e fu il primo dei pensieri che iniziarono a strapparla da quello stato di grazia: pensò di seguirli a voce alta per rendere il ritorno di coscienza meno spiacevole condividendolo con lui. “Credi che sia stata via troppo a lungo?”
“No. Tu lo credi? Per me, lo sai, non c’è nessun ritmo scandito da necessità. Puoi e devi fare come è meglio per te. Puoi anche scrivermi meno messaggi, o non mandarmeli per niente. Ricordo bene quella cosa che mi hai scritto tempo fa… non preoccuparti, cercherò di far in modo che non sia mai troppo tardi. Adesso lo farei anche se non fossi del tutto convinto di volerti con me. Anche solo per dirti che preferirei stare solo. Perché mi interessa sempre la tua opinione, perché per me sei importante. Prendila come una promessa.” Nel dire queste parole pensò esclusivamente alla morte del padre.
Giulia gli premette la fronte sul collo. “Grazie, questa cosa mi faceva paura… perché chiudi quella porta quando dormiamo?”
La prima volta che aveva visto la sua sagoma emergere dalle onde bianche a completare l’acquario si era commossa, ma era raro vedere quel disegno di giorno. Le spiegò che lo faceva per non ritrovarsi con It in mezzo loro, perché spesso si risvegliava per il gatto.
“C’è una cosa che devo dirti anche se non ne ho molta voglia. Ho lasciato Jo. Non è stato facile e neanche bello.”
“Quindi stavate insieme. Non lo avevo capito. Mi dispiace che la fine sia stata spiacevole, me ne avevi parlato sempre bene. Cosa è cambiato?”
Giulia pensò che in quel momento si trovava a scontare un’omissione che non permetteva a Sebastiano di comprendere la situazione. “Io non ne ero innamorata, invece lei iniziava a voler fare le cose sul serio. Questa disparità ha creato degli attriti, litigavamo spesso, non stavo più bene con lei e mi dispiaceva vederla star male.” Seguì un silenzio, in cui immaginò che lui stesse elaborando quelle informazioni inedite.
“Come potevate litigare se non parlate nessuna lingua in comune.”
Giulia sospirò. “Beh, lei studiava inglese, ma sai com’è quando le persone si arrabbiano. Io strillavo in italiano e lei in tedesco. Lei piangeva e io bestemmiavo divinità in cui non credo. Avresti trovato quelle scenette adorabili, non ho dubbi. Poi si finiva a scopare, ma dopo stavamo uno schifo. Insomma, non poteva durare. Non era giusto soprattutto per lei, che non aveva altro. Dovevo lasciarla libera. Non sto male per questo, ma neanche mi piace pensarci. Avrei dovuto farlo prima, ma… è difficile da dire, con lei avevo messo a posto una cosa che adesso dovrò gestire in qualche altro modo.”
“Mi dispiace.”
Sebastiano si tirò su un gomito, per accarezzarle i capelli; guardava il suo profilo chiaro risaltare sulla federa scura del cuscino: i colori di Giulia gli davano l’impressione che fosse modellata in materiali impropri e gli occhi, come quelli di Amedeo, gli ricordavano il vetro.
“Credi che questo cambiamento potrebbe intaccare anche noi?”
Lei si voltò, rivolgendogli uno sguardo deciso. “Non glielo permetterò. A tutti i costi. Piuttosto uccido qualcuno.”
Le sorrise con dolcezza. “Non uccidere niente di tuo però. Per me sei perfetta esattamente così come sei, non soffocare mai la tua natura.”
“Ma se sono un disastro.”
“Sei bellissima. Meravigliosamente viva. Non spegnerti mai.”
Alzò una mano per sfiorarle il viso, facendo seguire a quella carezza un leggero contatto di labbra prima di alzarsi, sollevare le braccia e stirare la schiena prima di andare in cucina. Guardando le sue gambe bianche e perfette, la schiena che si inarcava sotto la tenda di capelli lucidi, quell’odore sofisticato e dolce pensò che avrebbe fatto di tutto per proteggere il loro rapporto da qualsiasi interferenza.

“Sebastiano caro, nell’ultimo anno è stato un vero spasso avere a che fare con te. Mi fai pensare che sia valsa la pena farmi annoiare dalla vita per qualche decennio, pur di avere questo colpo di coda.”
Senza girarsi lui sollevò lievemente le spalle, ridisponendo i ceppi nel camino: aveva sempre amato prendersi cura del fuoco, e faceva fatica ad allontanarsene anche quando non ce n’era bisogno. “Babbo caro, non credevo di essere stato così noioso prima.”
La risata di Jacopo ormai suonava molto simile a un motore che non riusciva ad avviarsi. “Dal mio punto di vista un tossico sessuomane è mortalmente prevedibile, quindi noioso. Poi, dopo la storia di Adriano, eri come morto. E un morto non è mai divertente. Mi chiedo come tu sia arrivato a cambiare idea. È una virata piuttosto netta rispetto all’ultima volta che ne avevamo parlato.”
Sebastiano raggiunse il pacchetto di sigarette appoggiate sulla seduta del divano, vicino a Giulia che si era rannicchiata dopo aver tolto gli stivali; malgrado la posa rilassata, che suggeriva fosse vicina al sonno, era invece straordinariamente vigile. Le carezzò la testa, le baciò i capelli e prese una sigaretta, il suo calice, prima di tornare a sedersi nei pressi del camino.
“Ne ho parlato con tutti quelli che potevano avere suggerimenti significativi. Io, lo sai, ho una digestione lenta. Le idee le mastico a lungo. Alcune cose non riesco a digerirle, e mi mandano fuori fuoco. Adesso ho la grandissima fortuna di essere circondato da persone così significative che, a volte, sono costretto a chiudere i canali per attraversare la mia nigredo. Anche a costo di intossicarmi di bile nera. Ero in questa condizione quando il più mite fra i miei amici ha forzato le mie linee difensive. Il fatto che sia stato proprio lui mi ha fatto capire che dovevo rimettermi in movimento, con la mia lentezza congenita. Ma almeno ho preso una direzione e ho iniziato subito a stare meglio. Però volevo essere di nuovo del tutto in asse prima di parlartene.”
Il vecchio annuì con un sorriso ambiguo che nascondeva una profonda soddisfazione. Avrebbe preferito restare su quel sentiero che si stava snodando senza ostacoli, ma non riusciva gustarsi pigramente quel momento perché non poteva allontanare la consapevolezza di avere poco tempo. Si concesse alcuni minuti per dare poche sorsate al calice che il figlio aveva preparato per lui, mentre guardava quei ragazzi straordinariamente belli che sembravano prendere possesso di uno spazio vuoto, così persistente da sembrargli quasi solido. Jacopo non era angosciato dalla sua condizione, era piuttosto felice di aver avuto la possibilità di incontrare finalmente suo figlio e il fatto che fosse avvenuto così tardi, gli faceva apprezzare di più quel dono del destino.
“Qualche giorno fa è passato l’altro Luca. Quello arcaico. Adoro avere in casa i tuoi amici, e sono felicissimo di rivedere Ludger e Amedeo domani a pranzo. Ma il vecchio Luca me lo leverei volentieri dalle palle. Voleva sapere se ti eri preso quella busta, stavolta non ti ha lasciato nessuna letterina colorata. Perché non lo fai fuori definitivamente? Per me puoi pure sposartelo, lo sai che non me ne importa niente. Ma sono sicuro che ti basterebbero pochi minuti per congedarlo definitivamente. Dovresti farlo almeno come gesto altruistico.”
Sebastiano fumava rivolto verso il camino, dirigendo il fumo in una direzione che poteva essere aspirata insieme a quello prodotto dalle fiamme per non farlo arrivare al padre. Parlò con un tono annoiato. “Lo sai che non sono portato per la beneficenza. Non capisco perché dai tutta questa importanza a quella vecchia storia. Per me adesso non varrebbe neanche la fatica di fissare un appuntamento.”
“Non ti credo. Non hai motivi per raccontarmi balle, piuttosto non dirmi nulla. Io sono convinto che dovresti farlo.”
Notò che suo padre stava cercando di mantenere toni concilianti; non voleva approfondire con lui quel discorso, ma sapeva che aveva ragione e anche se non la condivideva capiva sua impazienza.
“Ti prometto che lo farò. Non adesso, ma prima o poi lo farò, non ho nessuna fretta, ma puoi starne certo. Non ho mai tradito una promessa.”
Giulia si alzò chiedendogli di lasciarle il posto per fumare, e si diedero un bacio leggero prima di rimettersi a sedere; al vecchio non era sfuggito il loro scambiarsi tenerezze ogni volta che venivano a contatto, e ne era deliziato. Credeva fosse un’evoluzione naturale del loro rapporto, e lei gli piaceva malgrado continuasse a sembrargli giovanissima. Aspettò che si fosse seduta per rivolgerle una domanda che avrebbe riportato il discorso sul percorso momentaneamente abbandonato.
“E tu, Giulia cara, cosa ne pensi di questa storia? Hai conosciuto Nina e Luca? Che ne pensi di loro?”
Sorrise per il suo modo di introdurre le frasi: lo stesso usato da Sebastiano e che anche lei aveva adottato. Era divertita. “Luca non l’ho mai incontrato, mi piacerebbe, e sarei disposta anche a stordirmi di videogiochi, anzi, domani chiedo a Ludger se mi aiuta a fare pratica… ho incontrato Nina una sola volta e preferisco non parlare di cosa ne ho pensato. Per diversi motivi. Detesto le femmine che parlano male delle ex dei loro ragazzi, lo trovo un comportamento disgustoso. Però non voglio neanche essere ipocrita… soprattutto non voglio influenzare Sebastiano. Era una figura così importante per lui, e deve poterla digerire senza interferenze. E sono sicura che ce la farà… sono sempre e comunque dalla sua parte. La cosa più importante dal mio punto di vista è che Nina abbia ceduto, che la diga sia crollata. E Sebastiano è bravissimo a danzare sulle macerie.”

“Tempo fa mi hai chiesto un regalo, giocando con Ludger mi hai dato modo di capire quanto ti piaccia quella console. Ti propongo uno scambio. Ti farei comunque un regalo per Natale, ma c’è una cosa che puoi regalarmi tu, solo tu, che per me avrebbe un valore inestimabile. Se sei disposto a concedermela ti regalerò quello che mi hai chiesto. Da quello che ho capito, in questo momento è il tuo desiderio più grande. Mi sembra uno scambio alla pari.”
Luca era seduto sul letto della propria stanza, piccola, tappezzata di poster di gruppi che a Sebastiano non piacevano; lo consolava pensando che il figlio non ascoltasse spazzatura, e non era tifoso. Si era guardato intorno mentre ripensava al racconto di Nina, quando Luca aveva distrutto la sua stanza; quasi tutto quello che lo circondava sembrava dargliene conferma: in alcuni oggetti riconobbe un passato che li faceva apparire appena usciti da una scatola dopo un trasloco. In particolare lo colpì un coniglio di legno che gli aveva regalato molti anni prima, e sopravviveva sopra una mensola. Gli aveva fatto quella proposta fissando gli occhi vagamente accusatori del pupazzo.
Luca alzò le spalle con noncuranza. “Parli sempre troppo difficile tu.” Quella richiesta contorta lo incuriosiva, e si chiedeva perché avesse aspettato che Giulia e Nina fossero uscite prima di  rivolgergliela.
Sebastiano era rimasto colpito dal suo desiderio di mostrargli la propria camera, e aveva organizzato quell’incontro con Nina in una fascia oraria che consentisse di non rimanere in compagnia dell’intera famiglia per tutta la durata della visita. Il marito aveva portato fuori i bambini per una passeggiata, ma sarebbe tornato in tempo per conoscerlo. Giulia, che aveva avuto modo di conoscere Luca in precedenza, insistette per accompagnarlo. Si era preparata passando molto tempo attaccata alla PlayStation, prima in compagnia di Ludger e poi da sola, studiando le varie combo che le erano state insegnate con una concentrazione inattaccabile. Quell’accanimento le aveva permesso di gestire il primo incontro con Luca così bene che il ragazzo, anche in quella circostanza, non sarebbe voluto andar via; prima di salutare Sebastiano gli disse che avrebbe potuto innamorarsi di Giulia, perché era difficile trovare una ragazza così figa.
Sebastiano fissò gli occhi del coniglio di legno, cercando di calcolare il numero di anni passati da quando lo aveva tenuto tra le mani. Non riuscì a calcolarlo con esattezza: la memoria gli restituì l’immagine di Adriano che scuoteva quel giocattolo dentro un negozio con un nome che sembrava un titolo di Calvino. Adriano sorrideva, divertito dal suono che producevano le giunture dinoccolate. Luca rimaneva in silenzio, e Sebastiano prese il giocattolo scuotendolo con un sorriso triste, perché era più leggero di quanto immaginava e non riusciva a ricordare il suono della voce di Adriano.
Luca non riusciva a capire lo stato d’animo di Sebastiano, ma sentì il bisogno di parlare per sbloccare la situazione, e cercò di usare un tono neutro. “Mi piaceva tanto, quel coso. Non gli ho mai permesso di buttarlo o regalarlo, neanche gli ariani ci hanno mai messo le zampe sopra. Non mi piace che lo tocchi neanche tu. Grazie. Scusami… lo so che è strano come sono con te. Ma… boh, non lo so neanche io. È tutto difficile. Mi ripeti quello che mi hai detto, in parole semplici così ti capisco? A parte la Play… sono proprio curioso, anche se non me la regali va bene lo stesso.”
Sebastiano appoggiò il coniglio sulla mensola nella stessa posizione in cui lo aveva trovato, maneggiandolo con cura. Ebbe l’intuizione di vivere una condizione genitoriale capovolta: ogni gesto, ogni dettaglio e anche la memoria venivano acquisite nel momento in cui si sarebbero dovute ridefinire certezze che crollano. Avrebbe preferito avere a che fare con un bambino, ma era comunque contento di trovarsi lì in quel momento, malgrado si sentisse completamente separato da ciò che lo circondava. Tornò a sorridere, pensando al fatto che quel varco si era aperto proprio grazie alla stanchezza di Nina per le paturnie adolescenziali del ragazzo.
Luca iniziava ad essere impaziente. Quell’appuntamento lo aveva molto emozionato e gli costava molta fatica apparire del tutto indifferente, come avrebbe voluto. “Lo sai che mi stai… mi dai ai nervi… quando sorridi così e non capisco che ti passa per la testa. Una cosa l’ho capita. Ho capito che non mi vuoi trattare come lo scemo che sono e mi piace. Ma ancora non mi hai detto cosa vuoi da me, solo che è importante. E io te l’ho già detto che vorrei capirla ‘sta cosa, altrimenti come faccio a risponderti?”
Sebastiano si rivolse a lui, continuando a sorridere. “Spesso ho i pensieri in disordine. Cioè penso più cose contemporaneamente, e non riesco a decidermi a sceglierne una sola. Sorridevo così perché stavo ricordando di quando ho comprato quel coniglio. Ero con un amico molto caro, e pensavo a te, ovviamente. Lui era come un fratello, come Amedeo. Sono stato felice di ricordarlo con in mano il tuo coniglio. Ma anche triste, perché i ricordi perdono definizione, come se i contorni sfumassero. Temo sia normale quando passa tanto tempo. Mi stupisce che mister coniglio sia ancora qui, e di poterlo toccare allungando la mano. Come una specie di magia. Ma non mi hai chiesto questo, e io vorrei rispondere a tutte le tue domande. Non pensare mai che le ignori.”
Luca sapeva di avere ancora poco tempo da passare con lui; fu grato a Giulia per essersi proposta di tenere compagnia a sua madre preparando il tè, ma era consapevole che quella parentesi stava per esaurirsi. Spesso era infastidito anche solo all’idea della presenza di Sebastiano, e a volte lo odiava per non essersi opposto alle condizioni che li avevano tenuto separati: ne era spaventato e attratto. In momenti come quello avrebbe voluto riuscire a parlare con lui alla pari, senza limiti di tempo, e con gli strumenti per poterlo capire senza chiedere spiegazioni.
“Che ne è stato del tuo amico? Non ne parli come una cosa allegra… e riecco che sorridi, ma sembra che non sei per niente allegro… quanto sei faticoso… dici che vuoi rispondere, perché non lo fai?”
“Quel mio amico è morto da diversi anni. Penso spesso a lui. Mi piace quando sto con una persona e penso ad un’altra. Poi, a distanza di tempo, sto con l’altra e penso alla prima. È come un ponte temporale. Il tuo coniglio è stato un ponte temporale. Invece mio padre è ancora vivo, e vorrei portarti da lui. Prima parlavo di questo. Saresti disposto ad incontrarlo, una volta? Puoi anche stare in silenzio, anzi, forse sarebbe meglio. Vorrei che ti vedesse. Lui è un tipo straordinario. Purtroppo non credo che avrai tempo e modo per capirlo. Ma insomma. Potresti farlo?”
Luca si incupì, abbassando il capo; sentiva su di sé lo sguardo di Sebastiano mentre valutava quella richiesta, espressa con passaggi che aveva trovato irritanti. Trovava detestabile la prospettiva di incontrare una persona sapendo di non potersene neanche fare un’idea, e il fatto che quell’uomo fosse a tutti gli effetti suo nonno. Il termine gli sembrò inutilizzabile in quel contesto, come qualsiasi appellativo di Sebastiano ormai associato a un’altra persona; termini svuotati di significato e consumati su un soggetto approssimativo: il marito di sua madre. “Per te questa cosa è davvero così importante? Cioè pensi che lo è per lui, perché mi hai fatto capire che tanto io non posso capirci niente. Che poi non è una cosa gentile da dire, ma pazienza. Mi piace che sei sincero perché ne ho le palle piene delle storielle. Sei sempre andato d’accordo con tuo padre?” Avrebbe voluto concludere il discorso prima che li interrompessero e guardava la porta con astio.
Sebastiano capì che Luca non poteva gestire con autonomia quella linea di confine. “No, la maggior parte del tempo no. E adesso mi sembra un gran peccato. È molto vecchio. Comunque sì, per lui sicuramente sarebbe molto importante. E quindi anche per me e potresti farmi un grandissimo regalo accettando di vederlo.”
“Ha sempre saputo che esisto?”
Sebastiano scosse la testa. “No, per molto tempo non gliel’ho detto. Non parlavamo abbastanza.”
Luca restò in silenzio; aveva molte informazioni ricavate da fonti diverse, che lo portavano alla stessa conclusione: dovevano esserci stati cambiamenti molto importanti nella vita di Sebastiano, e si chiese se ne avrebbe mai conosciuto l’origine. Sebastiano gli appariva come la sua stanza, una metafora impossibile da esplorare in profondità. Lo consolava sapere che almeno era sempre sincero, una qualità scomoda che diventava un appiglio solido in un universo scivoloso e sfuggente. Stanco di controllare la porta decise di chiudere lo scambio. “Va bene, ci sto. Andiamo da tuo padre quando ti pare.”
Si era completamente dimenticato della PlayStation.

“Come hai fatto a resistere tutto quel tempo in cucina con Nina senza saltarle al collo?”
Giulia posò il calice sorridendo con soddisfazione. Stava guardando di lato come una bambina, a cui era stato chiesto in che modo fosse riuscita a ottenere un risultato insperato. Rivolse a Sebastiano uno sguardo da compagno di giochi. “Senza neanche usare una delle tante tecniche con cui potrei affondare un bisonte?”
“Lo sai che mi piace che, a volte, tu sia decisamente poco raffinata. Specialmente in alcune circostanze. E sai anche che le uniche parole giapponesi che sopporto di memorizzare, per colpa di Ludger, mi servono per prevedere che tipo di pesce morto mi ritroverò nel piatto.”
Si trovavano in una vineria vicino a piazza Navona; erano andati via poco dopo l’arrivo del marito di Nina. Luca si era rifugiato nella propria stanza per evitare di assistere al loro incontro, perché non sarebbe stato in grado di gestirlo senza attriti; li aveva salutati velocemente prima di sbattere la porta. Nina non aveva nascosto un certo imbarazzo, condiviso dal marito, che non era riuscito a trattenere l’entusiasmo dei due bambini che portava con sé.
Giulia continuò a sorridergli. “Sebastiano caro, pensavo a Elisa… lei mi ha chiesto per anni come potessi, con la mia evidente sociopatia, gestire i contatti con gli esseri umani quando non posso evitarli. Stavo ricordando di una volta. Ero piuttosto giovane e stavo andando a scuola, e ho avuto una specie di epifania guardandomi intorno… in quel momento ho capito che dovevo essere in grado di mimetizzarmi con gli altri, un essere umano qualsiasi come un pesce fra i pesci. Dovevo imparare, perché era l’unico modo per conquistare la mia libertà. Nessuno poteva aiutarmi. Adesso, quando serve, lo posso fare. Metto una parte del mio cervello in stand by e stringo i denti, neanche troppo metaforicamente. Non ho ascoltato tutto quello che ha detto ma, nel rumore bianco, erano mescolate anche informazioni interessanti. Luca ti aveva chiesto di mostrarti la sua stanza e quel tempo doveva essere vostro, le chiacchiere da femmina me le sono sorbite come un sacrificio necessario. Poi mi basta vedere la faccia che hai adesso per averne conferma. Com’è andata?”
Si sporse verso di lei per baciarle le labbra. “Direi bene, parla sempre poco. Quando siamo soli sembra sempre in trincea, ma mi piace il tipo di spazio che sta ricavando per me. Credo sia uno spazio esclusivo, nettamente separato da quello di Nina, ed è un grande sollievo… e soprattutto che sia ancora in tempo per diventare qualsiasi cosa, anche se ancora non ha le idee chiare. Avere a che fare con lui ha inventato la mia idea di speranza. Credo che per ora ci sia un solo punto certo in comune: non ci fidiamo più di lei. Ma anche questa cosa la devo maneggiare con attenzione, non posso appoggiarmici, non deve emergere. Quanto ti fermerai stavolta?”
Giulia non aveva ancora deciso dove passare il Natale, Elisa era stata l’unica persona a chiederle di restare. Avrebbe voluto da Sebastiano una richiesta diretta ma sapeva che l’anno precedente, in quella circostanza, una base di inquietudine lo aveva portato a stordirsi fino a stare male. In quei giorni lo aveva accompagnato a comprare molti regali per i loro amici, senza affrontare direttamente l’argomento. Giocò con il calice ripensando al loro incontro il Natale precedente, a casa sua mentre Laura si trovava in ospedale: lui che non la guardava in viso e lei che lo trovava detestabile. “Quanto tempo è che non ti tagli i capelli?”
Sebastiano rise, per poi dare alcune sorsate. “Mi diverte sempre quando parli come me. Non lo so. Da quando non mi faccio più mettere le mani addosso per lavoro, soltanto l’idea di sedermi su una di quelle poltroncine mi dà la nausea. A te piacciono lunghi, no? Anche i tuoi stanno crescendo, se li tagli ti lascio. Quando non ci sei, a volte, mi chiedo dove ti trovi. E mi piace non saperlo, perché posso immaginarti ovunque. Se mi riesce vorrei portare Luca dall’orco la prossima settimana, sperando non lo traumatizzi definitivamente. Verresti con noi?”
Lei aveva continuato a guardarlo sorridendo: c’era una sfumatura nella sua espressione in cui si sommavano la soddisfazione, al divertimento a una velatura di tenerezza che Sebastiano non riusciva a interpretare. Pensò ad Amedeo e al sorriso arcaico, ma Giulia non aveva nulla di ieratico, e quello che gli sfuggiva avrebbe dovuto essere cercato altrove: le simbologie complesse non potevano aiutarlo.
“Sorridi così perché ho minacciato di lasciarti o perché mi diverto a immaginarti come un’entità astratta?”
Giulia sospirò. “Ora che mi mandi un messaggio ogni tanto, per me è più facile. Hai iniziato alla fine dell’estate… prima, quando non mi scrivevi mai, avevo l’impressione che quando non ero presente era come se scomparissi completamente dai tuoi pensieri. Sono contenta di esserci anche quando non ci sono, anche di essere comparsa su quella porta che non chiudi quasi mai, ma è sempre lì. Non credo che tu possa lasciarmi anche se mi raso i capelli. Pensavo ad altro, però non te l’ho mai detto, ma il fatto che stiamo insieme per me può essere solo uno scherzo. Non sono una di quelle che aspettava il principe azzurro, è ovvio. Ma quando io sto insieme a una persona, in quella definizione includo cose che tra noi non ci sono. Questo non vuol dire che non mi piaccia il nostro rapporto, anzi, credo sia il migliore che abbia mai avuto. Perché c’è qualcosa che ci unisce che sfugge a ogni definizione e mi sembra magico… come ci siamo trovati e scelti… qualcosa di solo nostro, importantissimo, ma altro.”
Giulia parlava con lentezza, e Sebastiano si gustò la serenità che le donava eleganza nei gesti e un’espressione dolce; era come se il significato delle sue parole fosse uno sfondo alla sua figura luminosa, una base altrettanto gratificante anche se su un piano diverso.
Lei non si aspettava una risposta, e riprese a parlare dopo una breve pausa. “Non potrei mai immaginarmi come un’entità astratta, ma tu puoi farlo, se è il tuo modo. Sono contenta che mi hai chiesto di accompagnarvi, non mi chiedi mai niente in modo diretto, e per me è molto faticoso. Se puoi cerca di farlo più spesso. Verrò sicuramente. Ormai sto quasi sempre a Roma, ho tenuto la stanza ma fa troppo freddo a Berlino. Poi ho gli allenamenti e l’università qui, e in palestra ho iniziato a fare delle sostituzioni per i corsi dei bambini, mi piace tanto. Però, anche se sto qui, sono d’accordo con te… non voglio costruire una routine. Mi piace stare fuori dalle dinamiche delle necessità.” Lo guardava con dolcezza. “Mi hai insegnato così tante cose. Che mi sono piaciute al punto che adesso sono mie. Vorrei parlarti di Luca. Posso? O vuoi scavarti questo sentiero tutto da solo?”
Sebastiano allargò il sorriso. “Magari a colpi d’ascia? Ma no, tu sei con me. O preferisci il machete? Tutto quello che scopro lo condivido con te, e ammiro la tua discrezione nel gestire questa storia. Ma non è necessaria. Vorrei ti esprimessi sempre in piena libertà, la tua opinione mi interessa quasi quanto la mia.”
“Bene, ti fornisco le informazioni raccolte in cucina. Luca era un bambino molto mite, accettava tutto e aveva un forte senso protettivo nei confronti di Nina. Poi è cambiato. Secondo lei il cambiamento è stato generato dal sospetto che la storia dello zio Sebastiano fosse una cazzata. E nell’ultimo anno ha avuto un vero e proprio tracollo. Adolescenza. Dice lei, e forse il fatto che i pacchi che gli spedivi partivano da Roma. Quando non sono più arrivati ha iniziato a dare di matto, e ha iniziato a chiederle tutti i giorni se ti sentiva. Chissà, avrà immaginato che eri morto, o che ti fosse successo qualcosa di grave… si è rifiutato di partire per il mare, e poi è scappato. Nina non ha idea che si nascondesse in soffitta, e ancora si angoscia a pensare a cosa possa aver fatto in quei giorni. Si è riconsegnato perché aveva la febbre alta, e ha completamente smesso di parlare con lei. Si rivolge a lei solo gridando. Però quando torna dai vostri incontri le sembra più sereno. Fine.”
“Mia bellissima non fidanzata, ho fame. Resteresti con me a cena? Sono felice di averti a fianco in quest’impresa. Perché ti infiocchetti ogni volta che devi incontrare Nina?”
“Lo sai benissimo. Dammi un bacio e andiamo.”

Giulia si chinò davanti al vetro, dal lato del passeggero; il viso di Luca, da adolescente imbronciato, le causò un dolore al petto ma sorrise salutandolo: lui rispose con un lieve cenno con la testa mentre lei prendeva posto sul sedile posteriore. Giulia era preoccupata per l’incontro con Jacopo e non riusciva a capire quanto lo fosse Sebastiano, perché ne aveva parlato solo in modo superficiale.
Il ragazzo parlò con voce appena udibile. “Da quanto tempo state insieme?”
Sebastiano le girò la stessa domanda, e il suono della risata di Giulia fece voltare Luca per guardarla, un movimento spontaneo che infranse la sua rigidità.
“È difficile rispondere. Da marzo? Non stiamo sempre insieme, ma non è importante. Ad aprile è morta mia madre. E Sebastiano c’era. Da allora il tempo scorre in modo strano. Ma lui c’è sempre, anche quando non stiamo insieme.”
Lei scosse la testa continuando a sorridere, pensando di aver parlato in modo contorto ma anche Luca le sorrise. Sebastiano registrò quell’espressione sul volto di suo figlio come la prima sfumatura di dolcezza sui suoi lineamenti.
“Se sei la sua donna devi essere pure tu strana.”
“Lo prendo come un complimento. Sei emozionato per questo incontro? Io molto. Quell’uomo è straordinario, sicuramente strano pure lui… ma insomma, potrebbe essere una di quelle cose che capitano una sola volta nella vita.”
Luca, restando voltato, scosse lievemente la testa in risposta alla domanda, e divenne inespressivo. “Sì. Se lo spavento è una cosa emozionante per te. Ma tanto mi spaventa quasi tutto, inizia a essere normale per me. Tu dici che ci dovrei parlare?”
Giulia provò un dolore dolce rivolgendosi a quel viso da bambino, dai tratti tanto familiari, che la stava puntando in attesa di una risposta. Era la prima volta che chiedeva la sua opinione, escludendo i suggerimenti di gioco con cui sconfiggere Ludger, ma per qualcosa di così importante da spaventare anche lei. “Certo. Perché me lo chiedi?”
Luca rivolse uno sguardo obliquo a Sebastiano, che aveva seguito con attenzione quello scambio; sospirò, abbassò ulteriormente il volume e iniziò a parlare senza distogliere lo sguardo dalla strada.
“Ti avevo detto che non è necessario, o forse che sarebbe meglio… non ricordo. Puoi fare come preferisci. Certe volte parlare con lui è difficile, ma ha ragione Giulia, è anche molto interessante. Sicuramente non è uno che racconta storielle, non mi ha mai detto bugie, anche a costo di essere brutale. È anche vero che potrebbe non esserci un altro incontro. Quindi questo giocatelo come preferisci.”
“Non mi chiedi di farti fare bella figura?”
Sebastiano rise, e Giulia notò lo stupore sul viso di suo figlio per quella reazione; Luca aveva usato una delle formula tipiche usate da sua madre per rivolgergli ordini camuffati da richieste, cercando di ripeterla con un suono canzonatorio. Era rimasto spiazzato dall’allegria che aveva suscitato.
“La ‘figura’ la fai tu, non la faccio io. Non sono responsabile dei tuoi comportamenti. Non ho curato io la tua educazione. Adesso che posso esserci, mi interessa soprattutto farti capire le cose, non darti istruzioni. Abbiamo visto che sei in grado di esprimerti senza vomitare veleno inutile, e te l’ho chiesto perché quando è inutile suona falso. E io odio le falsità come tu odi le storielle. E poi non mi sembrano posizioni così distanti. Fino ad ora non penso di aver fatto molto altro. Confido nel fatto che tu sia intelligente, che tu riesca a valutare il modo di gestire al meglio il vecchio orco per te, soltanto per te. Io ormai me la cavo a meraviglia.”
Luca si girò verso il finestrino restando in silenzio, sentendosi stanco e forse già pentito per aver accettato quell’incontro. Quando gli capitava di a che fare con Sebastiano, oscillava spesso tra l’incertezza e la fascinazione; aveva sempre desiderato conoscerlo, e gli era stato descritto superficialmente perché Nina parlava con difficoltà di lui, ma in modo compatibile con il difficile personaggio col quale faticava a rapportarsi. In quel momento gli alberi che scorrevano veloci oltre il finestrino alimentarono il senso di pericolo: si trovava con due semi sconosciuti in corsa verso una destinazione ignota, per affrontare una sorta di orco che nella sua immaginazione non aveva niente a che fare con il termine rassicurante di nonno. Era esaltato contemporaneamente dal potere che la sua determinazione dimostrava nel riuscire a modificare gli eventi. Lontano da casa e da tutto ciò che conosceva: si trovava lì perché aveva lo aveva deciso, ed era deciso a sfruttare il più possibile l’apertura verso un mondo che avrebbe potuto essere il suo.

Entrando nel salotto Sebastiano raggiunse velocemente Jacopo, che li stava aspettando seduto su una poltrona di fronte al camino acceso. Giulia e Luca lo seguivano mantenendosi dietro di lui.
Si rivolse al padre con una nota di allegria nella voce. “Eccoci. Come stai oggi?” Sembrava indossasse soltanto vestiti nuovi, e in quel  momento Sebastiano ricordò di avergli sentito dire che i giovani erano destinati a provare una naturale repulsione per tutto quel che appare vecchio e consumato. Sorrise, aspettando una risposta prevedibile.
“Bene, oggi non posso permettermi di stare male.”
Jacopo non cambiò espressione mettendo a fuoco Luca che si stava avvicinando guardandosi intorno con evidente stupore; restava vicino a Giulia in cerca di sicurezza, perdendosi nel tentativo di mettere a fuoco i tanti oggetti che riempivano la stanza ampia.
Il vecchio era molto divertito dal suo aspetto ma cercava di non farlo vedere. “Certo, non si può dire che non ti somigli.”
Sentendogli pronunciare quella frase Luca si fermò, voltandosi nella sua direzione; Giulia gli mise una mano sulla spalla invitandolo ad avanzare, e percorsero insieme i pochi passi che li separavano.
Jacopo sorrideva con affetto. “Luca caro, riesci a parlare con me?”
In quel preciso momento era pentito di essersi lanciato in quell’impresa, percepiva la mano di Giulia sulla sua spalla come l’unico appiglio stabile. Tutto quello che lo circondava gli appariva inospitale, antico e scarno, e non sapeva come rispondere a quella domanda. “Devo darle del lei? Non so neanche come chiamarla.”
“Jacopo, chiamami con il mio nome. Evita qualsiasi formalismo con me, non mi importa niente della forma. Tu, invece, mi interessi molto. Vuoi sederti qui con me per un po’?”
“È un ordine?”
“No. Un invito. Gli ordini li voglio dare soltanto ai miei domestici. Per il resto sono inviti, richieste… te lo chiedo come chiederei a Sebastiano di andare a provare quel vecchio pianoforte, che ho fatto accordare, per capire se è il caso di tenerlo… e a Giulia di andare a chiedere di prepararsi un tè. Se preferisci puoi andare con loro… nel caso decidessero accontentarmi. Ma anche a correre nei boschi. Insomma, per quanto mi riguarda sei libero.”
Sebastiano e Giulia si allontanarono subito mentre Luca prese posto su una poltrona vicina, concentrando lo sguardo imbronciato sulle fiamme che ardevano. Quando Jacopo gli chiese a cosa stesse pensando non si voltò.
“Al nome, al tuo. È strano, non conosco nessuno che si chiama così.”
“I nomi si ripetono sempre uguali, sono i singoli individui che possono essere invenzioni straordinarie.”
Luca rispose con una lieve alzata di spalle. “Ho un nome banale, e dovunque sto mi sembra sempre che sono un errore.”
Il vecchio sospirò rumorosamente; aveva riconosciuto le note di Satie che arrivavano nitide da un angolo lontano del soggiorno. Trovava quell’esecuzione perfetta. “Ti sbagli, non sei un errore. Me li ricordo bene. Sebastiano, tutto sommato, era poco più grande di te, e tua madre era più o meno come Giulia ora. È difficile descrivere quanto amore c’era fra loro, erano mezzi matti, forse era anche troppo… io non posso sapere esattamente com’è andata, ma avendoli visti in quelle circostanze sono certo che non puoi essere un errore. Gli sbagli ci sono stati, ma sono altri, e non dovresti portarne tu il peso.”
Lo sguardo che Luca gli rivolse era duro e curioso: non avrebbe mai immaginato potesse presentarsi quello scenario, era convinto che nessuno sarebbe stato in grado di  restituirgli un’immagine dei suoi genitori insieme e innamorati. Il modo in cui Jacopo parlava gli ricordò quello di Sebastiano, imprevedibile e brutalmente sincero. “Hai conosciuto Nina?” Il suo interlocutore sorrideva impassibile, con un’espressione che pareva scolpita nel legno, anche se straordinariamente vigile.
“Chiami tua madre per nome?”
“Non si risponde a una domanda con un’altra domanda. La chiamo così solo con Sebastiano. Con lui va tutto a… insomma, hai capito. Se la chiamo la mamma come lei mi ha insegnato mi sento ridicolo.”
Jacopo rise con cautela, per evitare di tossire, mentre Luca lo guardava cercando di capire se stesse ridendo di lui.
“Tu non immagini quanto mi fai tenerezza. Hai ragione. Sebastiano è complicato, ma puoi essere sicuro che non è falso. Ho conosciuto Nina, certo. Lui mi ha sempre fatto conoscere le sue persone, quelle importanti. Tranne la ragazza morta, ma penso che fosse perché anche lui non era più del tutto vivo, e non andavamo molto d’accordo. Sono stati anni difficili. Sono felice che siano passati.”
Luca restava immobile, cercando di occupare meno spazio possibile e, concentrato sulle fiamme, ripensava alle parole di Giulia, percependo quel momento come una straordinaria apertura verso una prospettiva diversa. Aveva finalmente la possibilità di capire cosa era accaduto nell’ultimo anno di vita di Sebastiano, l’origine dei cambiamenti che avevano portato al loro incontro poteva essere collegata alla morte di una ragazza. Era frustrato dalla difficoltà di non avere abbastanza strumenti per poterlo sfruttare al meglio, ma non voleva concedersi tregua. “E di me. Cosa ne pensavi?”
“Non sapevo di te, e questo incontro non sarebbe stato immaginabile fino a non molto tempo fa. Comunque, torniamo indietro… Nina mi piaceva, e non li ho mai ostacolati, non è il mio stile. La situazione era difficile soprattutto per lei, soffriva per la differenza d’età, tanto. Era innamorata come una pazza, e credo che il disastro sia nato proprio da questi due fattori. Aveva un carattere mite, ma si è lasciata travolgere. Poi è andata com’è andata.” Si concesse una pausa per riprendere respiro, gustando la visione del viso di Luca che lo guardava con una concentrazione assoluta restando in attesa. “Sebastiano non mi ha detto di te fino ad ora, ma posso assicurarti che per lui non è stato facile. Quando si sono lasciati è stata una catastrofe. Non conoscevo il motivo e quindi non ho avuto la possibilità di capire cosa stesse passando… però credimi, ancora oggi mi meraviglio che ne sia uscito, non solo vivo… ma anche intero. Non posso dirti di più, magari te ne parlerà lui quando lo riterrà opportuno.”
Luca era emozionato e non gli sembrava possibile poter affrontare argomenti tanto dolorosi con qualcuno. L’atteggiamento di Jacopo nei suoi confronti era straordinariamente bendisposto e si rapportava a lui come avrebbe fatto con un proprio pari. La madre, un tempo la sua unica alleata, si era ridotta a un idolo sgretolato, travolto dalle bugie. In quel momento un estraneo era riuscito a superare tutte le sue barriere in pochi minuti, fino a posizionarsi a fianco a lui al centro della sua trincea. Gli rivolse uno sguardo che sembrava un’accusa, non voleva fermarsi o censurarsi. “È lei che lo ha lasciato.”
Jacopo sorrise. “È lei che lo ha lasciato. Vero, non gli ha dato scelta. Non ti dirò la mia opinione. Non importa, perché ora sei qui, e a me interessa solo questo.”
Luca tornò a guardare il fuoco con gli occhi lucidi, constatando che immagazzinare quelle informazioni gli risultava difficile esattamente come il dover accettare di riceverle da uno sconosciuto. Provò a proiettare su quell’individuo l’appellativo nonno ma non lo aiutò. Pensò di cambiare registro per recuperare un po’ di stabilità. “Hai una moglie, fratelli, altri figli… insomma il resto della tua famiglia è qui?”
Jacopo continuava a sorridere a quel profilo familiare, illuminato dal fuoco. “No, sono solo. Ho fatto fuori tutta la mia famiglia e la sua storia, da tanto tempo. La madre di Sebastiano è tornata in Giappone prima ancora che lui imparasse a camminare, lo ha scelto lei ed è stato meglio così. Era una persona incapace di essere felice, gli avrebbe fatto solo male. Io l’ho capito quando eravamo già in tre… mi piace pensare di non essermene accorto troppo tardi, perché ero io a volere un figlio e lei non ha fatto fatica a separarsene… perché ridi?”
Quello di Luca era una specie di ghigno. “Perché non riesci a dire niente di facile, tu. Deve essere una cosa che avete nel DNA… Mi sta venendo il mal di testa.”
Jacopo si fermò a riflettere: il ragazzo aveva ragione, gli stava parlando come avrebbe fatto con un adulto. Avrebbe voluto usare quel tempo lasciando i pensieri vagare in piena libertà con lui, almeno una volta. Ma non voleva appesantirlo. “Dimmi solo cosa vorresti fare se avessi la possibilità di desiderare senza limiti.”
Si voltò quasi di scatto, sorpreso. “È una specie di gioco?”
“È quello che vuoi.”
“Due cose, ma non vanno d’accordo tra loro. Mi piace la casa dove vive Sebastiano con Ludger e Amedeo, mi piace come vivono e quando sto lì vorrei essere come loro, tra qualche anno. Studiare e vivere con persone che mi piacciono, che fanno cose fighe. Ma io non potrò perché non sono capace di avere amici così. E perché quello che voglio, forse più di tutto, è andarmene di casa presto e quindi non potrò studiare, mi farò un Professionale e andrò a lavorare.”
“Luca, cerca di capire cosa pensi e condividilo con gli amici, se restano sono amici e lo diventeranno sempre di più. Potrai studiare, anzi devi. Per capire dovrai allenare le idee e potrai farlo solo studiando. Fino a che Sebastiano ha studiato, non ha avuto bisogno di lavorare. Non ho mai esagerato. Sarà lo stesso anche per te, troverò il modo. Adesso, per favore, va da lui e chiedigli di cambiare musica o di smettere.”
Luca si alzò in modo automatico, per poi fermarsi dopo il primo passo. “Perché lo faresti?”
“Perché non dovrei farlo? Una domanda con un’altra domanda… ho solo voi, per lui non posso più fare molto ormai, per te vorrei fare molto molto di più, ma temo che non ne avrò modo. Quindi, forse, lo voglio fare per me. Ora, prima di andare da loro, mi dici cosa trovi di figo in Sebastiano e i suoi amici?”
Il ragazzo restò in piedi rivolto verso il camino; gli sembrava inutile specificare, e rispose con un tono annoiato. “Ludger è il più figo di tutti. Tutti i dischi che mi piacciono lì sono suoi, studia informatica e gioca come un dio. Giochiamo con i videogiochi. Amedeo fa foto fighissime e mette la musica nei locali, sembra supercattivo, ma invece è diverso, quello che studia non l’ho capito bene. Ma quello che capisco di meno è tuo figlio, fa un sacco di cose ma ne parla come se non fossero importanti, anzi, non ne parla se non gli faccio domande. Neanche capisco perché vuole vedermi… Cosa è successo a Sebastiano un anno fa?”
Jacopo si stava divertendo, era deliziato da quel contatto anche se capiva la difficoltà del ragazzo nel gestire quel momento. “Ha perso una persona che gli era molto cara.”
Luca voleva sfruttare quella fonte per rimettere in ordine le poche informazioni di cui era in possesso. “Il suo amico che quando si arrabbiava diventava una cloaca?”
Jacopo sospirò, ignorava quanto Luca conoscesse di quelle storie, e non avrebbe voluto turbarlo ma si rifutava di ignorarlo. “No, Adriano è morto sei anni fa, ormai… lo scorso settembre è morta una ragazza a cui Sebastiano teneva molto. Sembra che per la maggior parte della sua vita abbia dovuto affrontare perdite importanti, questa è stata l’ultima… credo che sarebbe impazzito se non avesse avuto vicino Amedeo e Ludger. È incredibile tutto quello che ha riconquistato in così poco tempo, grazie al modo in cui ha superato questa cosa. Lo ammiro molto. Mi ha dimostrato di essere in grado di affrontare dolori così grandi senza scappare, per uscirne più forte. E pensare che lui è convinto di non essere coraggioso, ci pensi? Noi non potremmo essere qui. Ora.”
“Viveva a Parigi con quella ragazza.”
Jacopo non capiva quel collegamento. “E tu come lo sai? Pensavo non conoscessi questa storia.”
“Leggevo tutte le cose sui pacchi che mi mandava, da ogni parte del mondo, ma soprattutto da Parigi. Poi sempre da Roma, e questo mi faceva incazzare, perché non lo capivo. Perché mandarmi tutta quella roba se neanche mi conosceva, se non gliene fregava niente di me? Avevo capito che quelli erano regali di mio padre, ma Nina non lo sapeva. Poi non sono arrivati più e io mi sono rotto delle sue storielle. Ho fatto il matto, sono scappato di casa, ho distrutto tutto. Adesso non ci sono più storielle. Per questo sono qui. Ma io non ci capisco niente, quasi niente. Vado da loro.”
Jacopo era molto soddisfatto del loro scambio, e ne apprezzava la conclusione: gli sembrò che Luca avesse voluto dimostrare che quell’incontro era stato possibile anche grazie alla sua determinazione. Era felice che avesse un carattere forte. Continuò a sorridere mentre lo osservava allontanarsi, e sovrappose la sua figura a quella di Sebastiano: per lui si era chiusa una linea importante, e anche se non poteva vedere la forma che definiva per intero, credeva fosse giusto così.

Ludger era rientrato da poco, e dopo essersi liberato dei vestiti aveva preparato il tè; di tanto in tanto rivolgeva lo sguardo a Sebastiano, che era restato immobile per tutto il tempo. Erano passati molti mesi dall’ultima volta che lo aveva trovato sdraiato sul divano e stordito di sedativi.  Ludger non riusciva a capire se si fosse addormentato malgrado la musica abbastanza alta, o se avesse di nuovo preso delle pillole. Il CD finì e ripartì: Sebastiano aveva definito quel disco una delle sue musiche del paradiso, perché avrebbe potuto ascoltarlo in qualsiasi stato d’animo. Ludger sedette sul divano di fronte, e dopo avergli avvicinato una tazza fumante iniziò a sorseggiare la propria. Rimase per alcuni minuti in attesa di una sua reazione, decidendo di prendere uno dei propri libri abbandonato aperto sul tavolino.
Sebastiano era sdraiato sul dorso: aveva un un volume aperto appoggiato sul viso, una gamba piegata accostata alla spalliera, una distesa, un braccio scivolato a terra e l’altro sollevato sulla testa. “Mi trovo mortalmente noioso.”
Ludger rise. “Sei la cosa noiosa più bella che abbia mai visto.”
Rispose senza accennare movimenti. “Pensavo fossi Amedeo.”
“Posso sentire per intero Pornography una sola volta, poi, se dovesse ripartire lo butto dal terrazzo. La tua tendenza alla ripetizione riuscirebbe a rendere noioso anche uno dei miei dischi preferiti.”
Un respiro profondo gonfiò i polmoni nel torace bianco e nudo di Sebastiano, poi scaraventò il libro a terra sollevandosi a sedere con un movimento veloce, protendendosi leggermente in avanti con gli occhi vigili. Era evidente che non aveva preso pillole. “Ludger caro, è quasi Natale, di nuovo Natale, miodiocheppalle. Mio padre è felice, mio figlio mi detesta il giusto, la mia non-fidanzata si è data alla macchia senza preavviso. Come da copione. Faccio tutto quello che posso per riempire il mio tempo, e a volte inciampo in qualcosa di interessante. Ma resta questo senso di ardere a vuoto. Come tutto quello che tocco. C’è chi dice che sono bravissimo a danzare sulle macerie, forse perché sono stato concepito per questo e non ho mai fatto altro dal secolo scorso. Ma brucio senza fiamma. Il vecchio sostiene che sarei impazzito se non vi avessi avuti vicino, sicuramente non sarei riuscito a sopportarmi ancora. Chissà. Forse è possibile impazzire anche così, arrivando a una completa intolleranza per ciò che ci compone. Dovrei chiedere a Elisa, l’unica psicologa che vedrò presto. Allergico a me stesso come le mie amate mucche. Ma che palle. Potrei chiederglielo mentre ci contorciamo come insetti stecco intossicati sul pavimento. Ecco sì, la danza scemocontemporanea che stiamo facendo adesso mi da parecchio gusto, quella donna ha un corpo pazzesco. Ma, soprattutto, non mi stanco mai di guardarvi. Il contatto che ho con voi, con te e mio fratello, è la cosa più vitale che mi resta.”
Ludger lo aveva ascoltato tenendo con la tazza sospesa vicino al viso, alzandola come per un brindisi per poi portarsela alle labbra. “Buongiorno Sebastiano.”
Sebastiano lo imitò dando soltanto poche sorsate, perché quel tè era troppo caldo per lui. I suoi movimenti erano fluidi, troppo veloci: presa una sigaretta appoggiò la schiena e la testa alla spalliera del divano e rivolse il fumo verso il soffitto, disattivandosi.
Ludger riprese a parlare, dopo averlo osservato per un po’ in silenzio. “Mi piacerebbe vedervi ballare, potrei assistere una volta? Da quanto hai le paturnie?”
Abbassò solo lo sguardo verso di lui. “Stamattina. Il letto era vuoto. Puoi venire a vederci quando vuoi. Però non dirci che dobbiamo fare qualcosa, come il poveretto che ci segue. Il maestro non si capacita che non ci vogliamo esibire. Detesto questa mentalità che porta molti a pensare che ogni cosa vagamente significativa debba essere mostrata. Come se in mancanza di un pubblico si perdesse il valore della cosa in sé. Sulle lenzuola Giulia ha lasciato il solito biglietto con cui mi invita a chiamarla in caso di bisogno. Neanche fosse una guardia medica. Quella ragazza ultimamente mi preoccupa.”
Prese di nuovo la tazza tra le mani, la sua preferita, trovandola ancora troppo calda. Si stava prendendo una pausa, come Ludger; sorrise divertito al pensiero di aver adottato anche lui, grazie alla vicinanza quotidiana, atteggiamenti e modi che un tempo non apprezzava. Ludger si era seduto più comodamente e guardava il pomeriggio piovoso attraverso i vetri, schermato dalle piante; sembrava come sempre straordinariamente sereno, e spostò lo sguardo verso di lui appena riprese a parlare.
“All’inizio mio padre credeva Giulia poco realistica. Non lo convinceva il fatto di trovarla troppo vicina alla sua idea di perfezione. Forse adesso anche io la vedo così, troppo vicina alla mia idea di perfezione. Riesce a starmi a fianco come se fosse una cosa assolutamente normale. È davvero perfetta in qualsiasi contesto la trascini, e mi chiedo dove abbia nascosto la bestiola incazzata che conosco tanto bene. Temo che la stia soffocando, e non mi piace. Come potrebbe. D’altra parte mi sta sostenendo in modo eccezionale, e questo mi impigrisce. Poi prende e scompare e in questo la riconosco. Ma mi ha viziato e adesso trovo irritante non sapere quando ricomparirà. Ma non voglio una crocerossina. Ricordo quando hai gridato ad Amedeo che lui non dovrebbe mai diventare la tua terapia. Amedeo che non ha più avuto le paturnie. Però potrebbe esserci una comoda via di mezzo. Sarebbe comodo avere una vaga idea se lei ci sarà mentre cerco di sopravvivere all’ennesimo Sol Invictus. Le avevo già comprato dei regali che adesso mi sembrano topi morti.”
Finalmente Sebastiano riuscì a bere il tè, ma il sorriso di Ludger gli fece corrugare le sopracciglia. “Perché sogghigni, malefico?”
“Hai chiesto a Giulia se avrebbe voluto passare con te questi giorni?”
Sebastiano abbandonò la tazza, lasciandosi ricadere sul divano.“Ovviamente no.”
“Forse ti trovi noioso anche perché fai sempre gli stessi errori. Le hai parlato di queste cose?”
“Non del tutto, perché le metto a fuoco soprattutto quando lei non c’è. Mi sto imborghesendo. Però sono sicuro di averle detto che non dovrebbe mai soffocarsi. Secondo te dovrei procurarmi un calendario del prossimo anno per pianificare con lei le sue fughe. Magari con dei simpatici adesivetti colorati.”
Ludger si alzò per accendere le luci basse del soggiorno, prese una delle sue sigarette e cambiò disco. Iniziò a parlare quando era ancora davanti allo stereo, rivolgendo le spalle a Sebastiano. “Non proiettare su di me la tua irritazione. Non attacca.”
“Peccato, mi sarebbe piaciuta una bella rissa. Luca mi ha chiesto se può passare con noi le vacanze, quindi con te. Gli ho detto che ne avrei parlato con i coinquilini. Lo so che partite il ventisei, ma penso farebbe di tutto per scappare da casa sua. D’altra parte non credo che mi sopporterebbe in versione integrale per più di un giorno. Senza Giulia poi forse anche meno. Da una parte vorrei dirgli di sì per accelerare il processo. Mi sembra quasi innaturale che non sia mai esploso con me. Però non vorrei bruciare quello che ho conquistato con tanta fatica, la fatica di farmi friggere le orecchie da Nina. Per fortuna adesso molto meno. Insomma, tu che faresti?”
Ludger si era di nuovo seduto di fronte a lui, e gli si rivolse con una dolcezza che sembrava impermeabile al nervosismo del suo interlocutore. “Non lo so.”
Sebastiano si sollevò a sedere, sporgendosi sul tavolo che li divideva: era incredulo. “Cosa?”
Ludger avrebbe riso, ma non voleva irritarlo ulteriormente. “Davvero, entrambe le ipotesi mi sembrano non del tutto giuste o sbagliate. Sicuramente ugualmente pericolose. Credo sia la prima volta che ti abbia chiesto qualcosa in modo così diretto. Non un giocattolo o un regalo. Hai ragione, nel suo stare qui è come trattenuto… Ad esempio in corridoio arriva al martello, usa il bagno e torna indietro. Gli hai detto che hai chiamato quel giocattolino padre?”
Con un sorriso storto Sebastiano rispose che non intendeva fornirgli un manuale di istruzioni. Sorseggiò il tè prima di concludere. “Dovrebbe venire qui domani pomeriggio. Cerco sempre di rimanere vigile anche quando vi attaccate a giocare per ore. Domani mi impegnerò di più e dovrò prendere una decisione. Parlane stanotte con Amedeo, e fatemi sapere se per voi andrebbe bene averlo fra i piedi in quei giorni. Mi preparo e vado da Tommaso.”

Ludger tornò a sentire la sua voce quando immaginava che Sebastiano fosse già uscito.
“Tristemente come allaccio le mie scarpe.”
Non si mosse per raggiungerlo, limitandosi ad abbassare il volume dello stereo. “Sai, a volte credo che tu usi il linguaggio per non essere capito.”
“Forse Amedeo però lo avrebbe fatto. I bless you madly, sadly as I tie my shoes. Un pezzo di Bowie. Vestendomi ho pensato ad Adriano. Penso sempre a lui, come ad Aline. Ma ci sono differenze sostanziali, e stavo pensando esattamente a quelle, anzi a una in particolare. La differenza spietata che consiste nel doversi separare da una persona che non ha ancora concluso la sua parabola. Aline è arrivata a compimento come un’opera sublime, e il punto è stato messo esattamente dove sarebbe dovuto andare. Il vuoto e il dolore è tutto mio. Con Adriano non è così e non lo potrà mai essere. Un amico saggio una volta mi ha detto che ciò che non è finito non finisce, ed aveva ragione, al punto che neanche la morte può chiudere completamente quella porta. Penso tu possa capirmi. E poi il paradosso. Quando Nina mi ha lasciato è rimasta con me come un’ossessione, Nina è stato il veleno più potente che mi scorreva nelle vene. Adesso la sento e la vedo, ma lei non c’è più… quella ragazza meravigliosamente unica non c’è più. E grazie alla possibilità di vederla, adesso non ne sento più la mancanza. La vita è stronza. Vuoi parlarmi di Nobuko. Perché non parli mai di lei.”
Ludger nel frattempo lo aveva raggiunto davanti alla porta. Nella poca luce il suo viso restò completamente inespressivo. “No. Sono contento che tu stia andando da Tommaso.”
“Lo so, Tommaso è perfetto per le paturnie. Tommaso è perfetto per qualsiasi stato d’animo. Forse riesce ad essere così perché è come un santo, sente senza bagnarsi. Perché non parli mai di Nobuko.”
“Perché non ne ho bisogno. Se potessi scegliere potrei dire che vorrei non avere il bisogno di parlare di niente. Quando ho questa necessità è perché sto male, e non mi piace stare male. Con il suo ricordo, fortunatamente, sto benissimo. Ti può bastare?”
“Devo. Altrimenti ti picchio. Vado. Grazie Ludger, riesco ad amarti anche perché sei insopportabile. Salutami Amedeo, stanotte probabilmente non tornerò.”
 
Sebastiano quel pomeriggio si mantenne sveglio a fatica: la notte precedente aveva dormito meno del solito, e seguire le partite di Luca con Ludger risultava un’attività straordinariamente narcotica. Era evidente che loro si stavano divertendo: ridevano spesso scambiandosi battute e minacce. Luca in quelle circostanze continuava a manifestare una vivacità che ne arricchiva la gamma di espressioni, assente in qualsiasi altra occasione. Per intrattenersi Sebastiano paragonò quello scambio a un modo diverso di comunicare: i loro occhi erano perennemente attaccati allo schermo; c’erano dei contatti fisici, si  davano leggere spinte per gioco e si mettevano mettevano le mani sulle spalla, ma mentre le astronavi correvano o i picchiatori erano in azione, solamente Ludger si voltava ogni tanto verso il suo avversario, soprattutto nei momenti in cui il ragazzo rimaneva in silenzio, forse per controllarlo. Iniziava a temere di aver sbagliato a regalargli la stessa console, che teneva ancora nascosta nell’armadio insieme ad alcuni dei suoi giochi preferiti, ma non possederla avrebbe soltanto rallentato un processo già in atto.
Ludger si prese una pausa dirigendosi verso la cucina, e la voce di Sebastiano suonò leggermente rauca nel chiedere al figlio quale fosse la tipologia di gioco preferiva.
Luca stava seguendo con lo sguardo Ludger e gli rispose mentre si alzava per andare nella stessa direzione, rivolgendo verso di lui lo sguardo anche mentre rispondeva a Sebastiano. “Mi piacciono di più le avventure, tipo Tomb Raider, ma non ci si può giocare un pezzo ogni tanto con un amico. Quindi boh, dipende…”
Luca sedette vicino a Ludger e Sebastiano rinunciò a seguirlo; chiuse gli occhi masticando la definizione amico applicata da un adolescente riguardo Ludger. Suo figlio non definiva in quel modo nessun coetaneo, anche se incontrava dei compagni di classe ogni tanto per giocare, che definiva tipi con cui non si può parlare. A Sebastiano piaceva quella formula e ignorava fosse un’elaborazione delle tante cose che si erano detti con Jacopo nel loro unico incontro. Trovava quella precisazione fosse paradossale, perché per lui parlare e giocare erano attività molto distanti. Aveva una compagna che definiva diversa dagli altri, con cui invece parlava molto, e soprattutto ascoltava le sue interminabili lamentiti. Mentre portava avanti questi pensieri stava ascoltando distrattamente i loro dialoghi dalla penisola: Ludger e Luca bevevano succhi di frutta scambiandosi strategie di gioco. Immaginò giorni interi da solo con Luca in casa, attaccato alla PlayStation, senza Ludger e Amedeo, e pensò che avrebbe dovuto stabilire delle regole. Stilò un elenco mentale di film da fargli vedere e libri da leggere, ma fu costretto a riaprire gli occhi per non scivolare nel dormiveglia. Li raggiunse per prepararsi un caffè e dedicargli maggiore attenzione; nel frattempo la loro conversazione si era spostata sulla musica dei videogiochi. Ludger stava parlando dell’importanza delle colonne sonore, e Sebastiano gli fu grato per quelle riflessioni che poteva condividere, proiettandole su altre forme di intrattenimento, anche se restò in silenzio armeggiando in cucina.
Luca si era animato descrivendo la colonna sonora delle sue giornate, snocciolando gruppi grunge e metal che piacevano anche a Ludger. “Ho cambiato la mia stanza quest’estate, ma non è facile trovare i poster. Mi piacerebbe fartela vedere… lui ha detto solo che poteva andare peggio. Mi mette paura pure chiedergli che musica ascolta.”
Sebastiano prima o poi avrebbe dovuto spiegargli che non era piacevole sentirlo parlare di lui come se non fosse stato presente, ma quello non sembrava il momento adatto e preferì continuare ad ascoltarli restando in silenzio.
“E la tua stanza Ludger… com’è? Mi piacerebbe vederla.”
Ludger si alzò rispondendo che era abbastanza vicina. “Anche se per me, il mio posto, ormai coincide con tutta la casa. Ti auguro che accada anche a te prima o poi. Vieni.”
“Subito dopo il bagno che usi di solito c’è lo studio, possiamo partire da lì, se vuoi. La maggior parte degli strumenti li tengo in sala, però quando mi metto a fare qualcosa sto lì. Poi possiamo anche proseguire fino alla mia stanza.”
Ludger non aveva fatto partire la musica perché il videogioco era stato lasciato in pausa. Sebastiano restò in cucina a bere caffè, avvicinandosi al corridoio per riuscire a distinguere le loro voci. Luca si fermò prima alla scrivania di Amedeo, che era molto ordinata: il computer portatile chiuso, le penne nel barattolo a fianco a libri con i quaderni perfettamente impilati, e sulla parete vide una bacheca con stratificazioni di foto e foglietti che non lesse. Si fermò per diversi secondi davanti alla polaroid che ritraeva Ludger giovanissimo e sorridente con lo sguardo fisso su Nobuko; all’inizio aveva creduto che fosse di Sebastiano, ma la frangia e alcuni dettagli del viso gli resero evidente che non si trattava di lui. Rinunciò a far domande a Ludger quando capì che in quello scatto era ritratto insieme a una ragazza. Il fatto che quella foto fosse insieme al caos di immagini e foglietti appesi da Amedeo lo confondeva, perché era palesemente diversa da tutto quello che la circondava. Si voltò verso il centro della stanza verso il tavolo da lavoro di Ludger, molto più grande e ricolmo di oggetti di ogni tipo. Lo colpirono soprattutto i molti libri lasciati aperti, e un monitor che era il più grande che avesse mai visto. Ludger ammise di essere piuttosto disordinato, ma di aver imparato a contenere le barricate di ciarpame che produceva per non invadere gli spazi comuni. Luca guardò le pareti ricoperte di librerie prima di fare qualche passo verso la chitarra appoggiata vicino a una poltrona, sulla quale It dormiva acciambellato. Si avvicinò per accarezzarlo con molta cautela, e fece scorrere la mano sul manto del gatto mentre raccontava a Ludger che anche lui aveva suonato a lungo la chitarra.
Ludger lo ascoltò con attenzione. “Perché hai smesso?”
Luca alzò le spalle, poi si decise a parlare. “Mi ero incazzato e ho fracassato tutto. Adesso mi dispiace solo per la chitarra… anche se era un cesso.”
“Potrei prestartene una delle mie, non questa, una di quelle che non uso mai… neanche me ne accorgerei.”
Sebastiano sorseggiava il suo caffè ascoltando le note di un pezzo dei Nirvana dal corridoio, felice al pensiero che Luca avrebbe ripreso a studiare lo strumento che aveva scelto, a prescindere dal repertorio. Quando loro uscirono dallo studio li guardò dirigersi verso la stanza da letto, restando in ascolto.
Il pomeriggio piovoso rendeva l’atmosfera di quella stanza particolarmente fredda; Luca inizialmente restò sorpreso per lo spazio dilatato, valutando che la superficie sgombra fra il nastro di finestre e il letto doveva essere molto più vasta della sua stanza. Ogni cosa in quel luogo gli appariva fuori misura, al punto che aveva l’impressione di essere tornato più piccolo, ed ebbe il dubbio di non riuscire a misurare correttamente gli spazi. Pensò che la tavola bianca fosse una parte di parete diversa, ma il fatto che non arrivasse a terra lo costrinse a catalogarla come un dipinto appeso. Spostò lo sguardo sul letto, talmente grande e basso da definire la propria funzione soltanto grazie ai due comodini ai due lati: uno sgombro, a parte la lampada da lettura e un libro allineato al mobile, e l’altro ingombro di oggetti e alcuni libri lasciati aperti gli uni sugli altri. Ludger seguiva il suo sguardo stupito sorridendo, quando Luca gli chiese se la stanza di Amedeo fosse in quella direzione, puntando verso le mensole aeree del guardaroba. In quel momento Sebastiano e Ludger capirono di non avergli fornito abbastanza elementi per comprendere una situazione, che per loro era così naturale da non dover neanche venire menzionata.
Luca continuò a guardare Ludger che restava in silenzio, distinguendo nel suo viso un’espressione diversa, forse preoccupata, che ne induriva ulteriormente i lineamenti. Sovrappose a quella visione l’immagine del viso di Amedeo, il comodino ordinato e quello invaso dal caos, arrivando all’inevitabile conclusione. “Tu e Amedeo state insieme?”
Suonava come un’accusa, quasi gridata. Ludger rispose con voce inalterata.
“Scusami per non avertelo detto, pensavo fosse così ovvio… mi dispiace.”
“Ovvio! Che c’è di ovvio?”
Urlò una bestemmia mentre Sebastiano entrava nella stanza, per paraglisi di fronte.
“Ludger, non devi scusarti o dispiacerti di niente. Luca, abbassa la voce.”
“Sennò che fai? Che cazzo fai? Mi meni?”
Il tono di voce di Sebastiano restò fermo. “Non dire assurdità. Usciamo di qui.”
Gli mise una mano sulla spalla ma Luca la scaraventò via con rabbia.
“Non mi mettere le mani addosso! Porca troia non mi toccare! Non c’è una cosa normale con te. Una. A ‘sto punto non mi stupisco se sei mezzo frocio pure tu.”
Sebastiano serrò i pugni detestando quel momento, come il fatto che stesse avvenendo nel luogo che per lui era sempre stato un rifugio, e Ludger gli strinse delicatamente un avambraccio, come per trattenerlo; in risposta a quel tocco gli chiese scusa.
“Non devi scusarti di nulla. Davvero.”
Sebastiano scosse la testa, rivolgendosi di nuovo al figlio. “Ascolta con attenzione quello che sto per dirti. Spero per te che tu non voglia diventare una persona ‘con cui non si può parlare’. Non per me, per te. Quello che sono o non sono, in questo caso specifico, non ha nessuna importanza. Stiamo parlando di libertà, riuscire a concepire l’idea che possa esistere. Hai una testa, usala, cerca di capire cosa sia giusto o sbagliato, non perché te lo ha detto qualcuno, non perché lo dicono tutti, ma perché lo pensi tu. Se poi vuoi vivere come un cretino, circondato e condizionato da idioti, è affar tuo. Prendi le tue cose, passiamo di là a prenderne altre e ti riporto a casa.”
Sebastiano si diresse verso la porta, mentre Luca continuava a restare immobile di fronte a Ludger: il fatto che nella sua espressione non ci fossero accuse o rimproveri lo fece sentire ancora peggio. Come reazione difensiva proiettò il difetto sull’altro: lo irritò al pensiero che proprio Ludger, la persona migliore conosciuta nel naufragio, avesse una caratteristica che catalogava come una stortura. Luca si trovava lì perché lo aveva chiesto in modo diretto, ma qualsiasi pensiero che riusciva a seguire non faceva che alimentare la sua rabbia. Sebastiano lo chiamò con una voce talmente incolore da sembrargli meccanica.
In quel momento Luca era infastidito perfino dal nome che aveva scelto per lui, e arrivò a pensare potesse essere il nome di un suo ex amante. Le lacrime iniziarono a rigargli il viso, mentre ripensava a una frase di Jacopo: ‘tu non sei un errore’. Strizzò gli occhi, ritrovandosi a gridare più forte che poteva. “Io ti odio! Perdìo quanto ti odio. Ma chi cazzo ti credi di essere tu… se c’è una cosa che voglio, una sola, avrei voluto che tu fossi sterile. Mandami uno dei tuoi pacchetti… io me ne vado prima che mi molli un’altra volta. Lo so prendere il bus, non ho bisogno di te, di tutte le pippe che mi attacchi, non me ne faccio niente di te. Maledetto presuntuoso testa di cazzo.”
Sebastiano non replicò e lo seguì, vestendosi per uscire con lui; Luca tirò su con il naso puntandolo con astio, mentre lui restava impassibile. “Sei stato molto chiaro. Non ti accompagno, chiamo e pago un taxi. Non ho mai tradito una promessa e non voglio iniziare ora. Concedimelo, per favore. Non ti cercherò più. Se vuoi quelle cose prendile ora, sono tue, o finiscono nel cassonetto. Hai il mio numero, non lo cambierò. Capisci cosa vuol dire? Puoi usarlo anche fra un secolo o due, se sarò ancora vivo ci sarò anche per te. E poi, se tu avessi bisogno di aiuto, cerca di ricordarti che io ti aiuterei anche se non fossi d’accordo con te. Non dimenticarlo.”
“Tuo padre l’ha fatto?”
“No, e se n’è pentito. Scendiamo o vuoi passare da me?”
A Luca sfuggì un singhiozzo immaginò i suoi regali nella spazzatura.
Sebastiano assorbì il suo dolore, rendendosi conto che la sofferenza del figlio lo feriva più della propria. Sorrise mormorando una delle sue imprecazioni. “Porco il creato. Allora?” Anche lui aveva ormai gli occhi bagnati, che tenne rivolti al soffitto. “Ti prego, è una situazione atroce, prendi una decisione in fretta.”
Guardando quel viso di porcellana completamente impassibile bagnato di lacrime, Luca sentì per la prima volta di volergli bene, a prescindere dal suo ruolo. Sebastiano gli sembrava terribilmente giovane, e malgrado tutte le complicazioni ebbe quasi l’istinto di proteggerlo. Si chiese come fossero arrivati a trovarsi in quelle condizioni, ma in quel momento era convinto di non riuscire a sostenere ancora quello scambio. “Prendo i pacchi. Non cambiare numero, mai. Prendo il taxi. Ci togliamo dai coglioni a vicenda. Salutami Giulia, con Nina te la vedi tu. Tu l’hai scelta, io no. Non dire più una parola o corro via.”

Sebastiano trovò Ludger ad aspettarlo nell’atrio: era immobile, con la mandibola serrata e gli parlò appena rientrati.
“Non sai quanto mi dispiace.”
Sebastiano gli rivolse un sorriso spento. “Non devi dispiacerti di nulla. Non ne abbiamo mai parlato, probabilmente sarebbe dovuto venire in mente a me. Ma non riesco a pensare in questo modo, mi fa raccapriccio la normalità. Non è colpa sua. È naturale che non mi somigli, a prescindere dalla crosta sottile che lo ricopre. Io non ci sono stato, anzi, ero stupito che non avesse ancora trovato il modo per far vincere l’odio. Non gli è servito il martello.”
Si era fermato davanti alle finestre chiuse in soggiorno, e Ludger non riuscì a distinguere sfumature espressive sul suo viso, a parte gli occhi lucidi.
“Cosa vuoi fare adesso?”
“Niente. Assolutamente niente. Dovrò parlare con Nina, che palle, anche se non vorrei. Poi basta. Torneremo come prima. Sentirò i suoi racconti ogni tanto. Se non mi cercherà lui io non farò più un passo. Ma resterò sempre disponibile, gliel’ho detto. Potrà chiamarmi quando vuole e in qualsiasi situazione, io ci sarò. Non posso fare di più. Non ci riesco.”
Un braccio di Ludger gli cinse le spalle.
“Posso spedirgli una chitarra?”
“Puoi fare quello che vuoi, sai che potrebbe distruggerla insultando i froci come noi. Se ti diletta fallo pure. A me dispiace che tu abbia dovuto subire questa miseria.”
Ludger lo strinse lievemente a sé, invitandolo a non dire sciocchezze. “Sebastiano, cosa posso fare per te?”
“Prendiamoci una bella sbronza, sono disposto anche a ingoiare pesce morto fra un calice e l’altro. Poi, se puoi, vorrei dormire con Amedeo stanotte. Vorrei stare nella mia stanza. Infine lasciami partire da solo, anche domani. Non mi importa dove, andrò all’aeroporto e farò scegliere al caso. Vorrei poter staccare completamente per un po’. Non andrò a morire ammazzato dall’altra parte del mondo. Non vi dovete preoccupare di niente. Voglio stare da solo. Forse tornerò in un deserto, con una guida afona. Ce la puoi fare?”
Ludger riprese a stringergli la spalla ruotando verso di lui, per abbracciarlo con forza.
“Certo. Se pensi che sia quello di cui hai bisogno, lo posso accettare. Portati il telefono e accendilo ogni giorno, puoi anche non rispondere ai messaggi se non ne hai voglia, ma controllalo. Ok?”
Al suono della sua voce le lacrime iniziarono finalmente a scendere, senza suoni. Ludger lo sentiva disattivato fra le braccia e valutò l’importanza da dare all’ultima frase prima della richiesta finale, che sottindendeva la necessità di restare in silenzio. Non aveva difficoltà a immaginare quanto gli sarebbe costato raccontare agli amici l’epilogo con Luca, avrebbe dovuto ripeterlo a ogni incontro, senza scampo.
“Se vuoi ne parleremo noi agli altri, adesso sentiti libero.”
Amedeo rientrò in quel momento; si aspettava di essere accolto dai suoni di una partita in corso, e raggiunse il soggiorno indossando ancora sciarpa e giacchetto, insospettito dal silenzio insolito. Il viso di Sebastiano era rivolto verso di lui, ma piangeva ad occhi chiusi. Amava vederli così vicini, ma capì immediatamente che doveva essere andato storto qualcosa; restò in attesa, e il tempo gli sembrò immobile.
“Fratello, stanotte sarà il tuo turno, ora lasciami ancora un po’ così. Fra poco usciamo. Devo chiamare Nina, ma ci starò poco. Parleremo quando sarò un po’ meno sobrio.”
Amedeo stava sorridendo ma con un viso così triste che Sebastiano strinse Ludger ancora più forte, e lo vide annuire prima di tornare sui suoi passi per liberarsi dei vestiti lasciandoli soli.

Amedeo era incantato davanti ai tasti lucidi del citofono: non riusciva a ricordare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui era stato davanti a quel cancello che, in quella che gli sembrava ormai un’altra vita, aveva trovato sempre accostato. Vedevano spesso Helga ma non in casa; quel pomeriggio Ludger gli aveva mandato un messaggio per farsi raggiungere lì, perché Ravi voleva dargli un piccolo regalo. Per non presentarsi a mani vuote aveva seguito scrupolosamente le indicazioni di Ludger, ma in quel momento si era dimenticato per quale motivo si trovasse davanti a quel giardino curatissimo. Amedeo era profondamente turbato dalla sera precedente e ancora non sapeva dove fosse finito Sebastiano, malgrado avesse promesso di inviargli un messaggio appena atterrato. Il suono elettrico dell’apertura del cancello lo fece sussultare. Ravi si fermò appena lo mise a fuoco, confuso dallo sguardo spaesato che gli aveva rivolto, e riprese a muoversi non appena Amedeo sorrise. Ravi lo salutò con il solito inchino e lo invitò a seguirlo; Amedeo conosceva bene il percorso, che portava all’entrata laterale dov’era l’appartamento di Ludger. Ravi si scusò per il disturbo che gli stava causando, e gli porse un pacco avvolto in una sciarpa di seta indiana. Erano fermi nell’atrio, e Amedeo si mosse in modo rigido nel porgergli il suo regalo, sussurrando frasi di circostanza che non gli sembravano sue.
Ravi colse la sua difficoltà, dispiaciuto di avergli causato del disagio. “Mi dispiace di aver chiesto a Ludger di scomodarla. Non mi capita mai di incontrarla quando vengo ad occuparmi della casa, e ci tenevo a farle un piccolo regalo. Ludger mi ha assicurato che anche lei apprezza molto il tè, spero le piaceranno le miscele che ho selezionato.” Concluse con l’ennesimo inchino.
Amedeo era confuso: registrò che il nome Louis ormai non veniva più usato anche in quel contesto, e rassicurò il suo interlocutore. “Invece le capita spesso di incontrare mio fratello?”
Sorrise, risollevandosi. “Certamente, ogni volta che non esce di casa per un intero giorno. E quando viene qui a trovare Helga. Nutro una profonda stima per lui. Parla poco, mi ha prestato libri molto interessanti e mi intrattiene suonando meravigliosamente il pianoforte. Le persone che sentono la musica in quel modo hanno sempre qualcosa di bello. Vuole che le faccia strada?”
Amedeo si chiese come quell’uomo dalla fisicità imponente riuscisse ad apparire sempre così mite. Scosse la testa rispondendo negativamente, in modo così asciutto da dover aggiungere subito dopo un ringraziamento. Portò la mano destra alla radice del naso premendo mentre riordinava le idee, consapevole di star gestendo quel colloquio in maniera poco lineare. Riconobbe una condizione che gli era estranea da molto tempo: le paturnie. “Ravi, vorrei farle una domanda. Non è una domanda facile, non mi aspetto nessuna risposta. Può anche non darmene e andare direttamente da Ludger e chiedergli di raggiungermi nella sua stanza. Vorrei aspettarlo lì, penso di aver bisogno di stare un po’ da solo… la domanda. Mi è piaciuto molto come ha descritto Sebastiano, così, in poche parole. Tra non molto dovremmo incontrare Steinar, so che non è più del tutto… presente… ma com’era quando stava bene?”
Ravi restò fermo per alcuni secondi; per Amedeo era impossibile decifrare i suoi pensieri, e temette di essere stato grossolanamente invadente. Fu sollevato nel sentirlo rispondere con la solita voce calma, che seguiva la melodia di un accento diverso.
“Anche per lei nutro una profonda stima. Le sono riconoscente. Steinar era una persona buona, forse la più buona. Un santo ha detto che nessuno potrebbe tenere sulle sue spalle tutta la sofferenza del mondo. Questa frase lo descrive bene.”
L’ennesimo inchino era un chiaro segnale di congedo, e Amedeo lo ringraziò chinando in modo automatico la testa, come per rispondere a un saluto. Si incamminò lungo il corridoio, talmente familiare da ritornare spesso nei propri sogni. La porta della stanza di Ludger era accostata, in passato nessuno poteva aprirla o chiuderla senza una sua richiesta diretta. Varcando la soglia Amedeo tenne lo sguardo a terra e chiuse completamente quel varco, appoggiando le spalle sul legno fino a sentire lo scatto della maniglia. Ricordò di essere stato lì con Andrea l’ultima volta, quando Ludger era in viaggio; il suo amico aveva affermato che stavano smontando un mausoleo, per alleggerire quel momento difficile. Amedeo era stupito dai cambiamenti fatti in quella stanza: la parete, un tempo quasi interamente occupata dalla tavola bianca, ora era dipinta di blu oltremare, un colore simile a quello dei suoi occhi; negli scaffali i libri avevano trovato posto altri libri; una chitarra classica nell’angolo vicino a un nuovo stereo e sulla scrivania a ridosso delle finestre, che avevano come base una teoria di orchidee, un computer. 
Ludger andava spesso da Helga il pomeriggio, ed evidentemente in quelle occasioni usava quella stanza. Amedeo sedette ai piedi del letto, lasciandosi cadere indietro ad occhi chiusi. Cercò di valutare la distanza percorsa dall’ultima volta in cui si era trovato lì senza paturnie o inquietudini, ma era troppo ampia per riuscire a misurarla.
Ludger vedendolo in quella posizione si fermò sulla porta, ricordando una sera di molto tempo prima; in quel momento i capelli sciolti nella caduta si erano ricavati uno spazio più ampio, e il viso di Amedeo era diverso: la pelle tesa sulle ossa non aveva più traccia di morbidezza infantile. Gli tornò in mente il contesto al quale si sovrapponeva quella visione, il desiderio di baciarlo e le paure che lo avevano frenato. Ora il suo corpo magro e scolpito, disegnato nella stoffa scura, aveva proporzioni più longilinee; malgrado quelle differenze rivederlo nello stesso posto continuava a fargli lo stesso effetto. Provò una tenerezza travolgente, ma la linea netta delle sopracciglia corrugate del compagno lo preoccupava. La notte precedente si erano salutati in corridoio mentre stava per raggiungere Sebastiano nella sua stanza, ubriaco e ancora allegro per la serata passata in giro a divertirsi. Non lo aveva rivisto da allora, e durante il giorno si erano sentiti soltanto per organizzare l’incontro di quella sera. Amedeo non aprì gli occhi, restando immobile mentre Ludger si avvicinava fino a  fargli sentire il suo profumo e i suoi capelli sul viso.
Ludger gli diede un bacio leggero. “Che bello rivederti qui. Tesoro, stai bene?”
Amedeo sorrise. “No, paturnie.”
Ludger sedette a terra mantenendo il viso vicino al suo, lo sorprese con una breve risata. “Sebastiano te le ha tirate o ti ha contagiato?”
Amedeo aprì gli occhi girandosi verso di lui con un’espressione vagamente interrogativa; il viso di Ludger era talmente felice che anche i suoi lineamenti cominciarono a distendersi.
“Non mi aspettavo di ritrovare questa stanza così… chissà perché nella mia testa era rimasta svuotata, come saccheggiata. Non ti mette tristezza stare qui?”
La sua voce profumava di caffè, e Ludger tornò a provare l’impulso di baciarlo. “No, per niente. Non ci passo mai molto tempo… a volte vengo qui a studiare. Anzi, mi mette di buon umore potermi muovere qui dentro stando in piedi. Il posto è lo stesso, ma la prospettiva è completamente diversa. Come il colore di quella parete, adesso ho la conferma di averlo scelto bene. Entrando mi è venuta in mente quella sera che siamo stati qui con Elisa, ricordi? Quando sono uscito dal bagno ti ho trovato esattamente dove sei ora. Non sapevo se eri sveglio o no, ero così… travolto, confuso. Avrei voluto baciarti.”
Ludger tenne il mento poggiato sulle mani intrecciate, vicinissimo ad Amedeo che, ripensando alla notte passata insieme ad Elisa, osservava il suo viso luminoso schermato dai capelli chiari: gli sembrava uscito da un sogno.
“Abbiamo parlato di baci, lo ricordo. Ma non lo hai fatto… però poi ci siamo baciati. Ti ricordi di quella sera? Dio, quanto eri diverso. Ogni sorriso che facevi era un’epifania, o il regalo di una qualche pillola… adesso sorridi sempre. Io non capivo niente, quasi niente, ma anche adesso sono confuso. Perché non mi hai baciato, Ludger?”
Ludger gli sfiorò il contorno asciutto della guancia, disegnando la linea d’orizzonte che gli offriva stando rivolto verso di lui di tre quarti. Amedeo sentì la pelle del polpastrello fredda, come sempre.
“Avevo paura, e sai? Avevo paura soprattutto per te. Non mi importava molto di me, lo ricorderai… non capivo quali fossero i confini dentro i quali potevo muovermi senza farti male. Tu eri dietro il vetro e io non ero intero, non pensavo di essere in condizioni di poter provare a trascinarti fuori. Non pensavo neanche che quello che provavo per te fosse in grado di tirarmi fuori dal sarcofago. Ma queste cose le sai. Ancora adesso penso di aver fatto bene a frenarmi quella volta, quello che è seguito mi ha fatto capire tante cose. Se ti baciassi adesso?”
Amedeo sorrise malgrado l’espressione inquieta. “Con tua madre che ci aspetta e le paturnie? Non mi sembra una buona idea.”
Ludger si sollevò appena a baciargli le labbra, per poi accucciarsi di nuovo. “Quando avevi le paturnie tendevi a fare e dire l’opposto di quello che desideravi… mi chiedo se sia ancora così. Penso sia la prima volta in assoluto che ti tiri indietro.”
Amedeo rise girando il viso verso il soffitto, e tornò ad essere completamente inespressivo riconoscendo la plafoniera di design che era sul soffitto. “Quanto ti amo… è vero, non può che essere la prima volta, ma non mi sento a mio agio qui. Lo so che nessuno apre mai quella porta, altrimenti non mi sarei sdraiato, però… non so… tu sai che non credo in niente, ma alcune cose mi provocano una specie di rispetto religioso. Andrea definiva questo posto il tuo mausoleo, eri tu e non eri del tutto il Ludger di adesso. Io amo ancora quel ragazzo perso, naufragato in un altro dove. E se penso a come ero io… oddio! Quel nostro trovarci qui è stato la cosa più vicina al miracolo che io abbia vissuto.”
Ludger lo ascoltava con estrema attenzione, restando immobile, e Amedeo ruotò ancora il capo per guardare la testata del letto, in particolare il lato dove lo trovava ogni volta.
“Amore mio. Mi sento come se fossimo due viaggiatori che hanno la possibilità di tornare dove è stato compiuto un rito di passaggio, mistico e fisico… che li ha cambiati per sempre, creando quello che siamo adesso. Sarà la mia passione per la storia, che per me lo sai è materia viva. Il tempo che si ricongiunge nelle volute del labirinto delle idee. Questo posto è il centro del nostro dedalo, qui abbiamo affrontato il nostro Minotauro, e amandolo siamo diventati noi.”
Ludger si sollevò a sedere sul letto e non fu sorpreso nel vedere il suo viso bagnato di lacrime; si abbassò ad abbracciarlo sull’orlo della commozione. Ricordò che Sebastiano pochi giorni prima aveva sottolineato, con una sfumatura di rimpianto, il fatto che Amedeo non avesse più le paturnie, e in quel momento riuscì a capirlo. “Potrei ascoltarti all’infinito, potrei fare e rifare qualsiasi cosa con te all’infinito. Sei tu che rendi la storia viva, come tutto quello che ha la fortuna di entrare in contatto con te.”
Amedeo rispose all’abbraccio sorridendo. “Stasera ti salterò al collo appena varcheremo la porta di casa, e domani mattina dovrai metterti un maglione a collo alto. Quanto posso ubriacarmi stasera? Adesso restiamo un po’ così, senza fare niente, come facevamo allora… quanto tempo abbiamo prima di dover andare da tua madre?”
“Dopo cena ci andremo a fare una passeggiata in centro e potrai bere quanto ti pare ma, ricorda, non sei obbligato a restare con noi. Puoi anche andartene… possiamo rivederci dopo.”
Amedeo lo strinse a sé con forza. Era abituato a sentirgli le ossa della gabbia toracica sotto i vestiti; pensò a quanto Ludger detestasse il proprio aspetto quando si erano conosciuti, perché la determinazione a muoversi in autonomia aveva modificato il suo torace fino a renderlo muscoloso come quello di un atleta. “No, preferisco restare. Dammi qualche minuto, poi mi lavo il viso e andiamo da lei.”
Ludger lo invitò ad usare il proprio bagno, e Amedeo si rese conto di non essere mai entrato in quell’ambiente soltanto dopo aver aperto la porta. Focalizzò lo sguardo sui tanti supporti che in passato avevano permesso a Ludger di usarlo da solo, e cominciò a sfiorarli con il polpastrello dell’indice.
Ludger lo raggiunse, e lo superò per mettersi di fronte a lui. “Ti proibisco di intristirti per questi sostegni. Sai, ho lasciato tutto così proprio per per ricordarmi che è passato… ma la storia per te è viva, e vuoi ancora bene al disadattato che ero. Ok, è arrivato il momento di farlo diventare un bagno normale, ci farò giocare Lorenzo.”
L’allegria di Ludger lo fece sorridere, e riprese a guardarsi intorno. “Quella foto è bella… è insolito trovare uno scatto così, in un bagno.”
Ludger si era seduto sul bordo della vasca per restargli vicino, e non distolse lo sguardo da lui; non aveva bisogno di guardare il poster di Seiu Ito attaccato diversi anni prima: uno scatto che ritraeva una modella asiatica in bondage.
“È vero, ma questo bagno era già insolito e a me sembrava appropriato. Lo Shibari mi divertiva, e forse per questo mi consolava. A volte mi sentivo un mostro. In quel periodo mi intrattenevo, annoiandomi, guardando varie forme di Body Modification, anche quelle decisamente più recenti e sicuramente meno affascinanti. Posso anche farla togliere ormai, ha esaurito la sua funzione. Mi piacerebbe parlarne con te, farti vedere un po’ di foto e magari fare anche altro, prima o poi.”
“Faremo anche questo, con te potrei fare qualsiasi cosa… ma non in questo bagno e prima di vedere tua madre. La modella somiglia a Nobuko?”
Ludger si alzò per abbracciarlo, sollevato perché il viso di Amedeo era tornato ad animarsi. “Non particolarmente. Sebastiano recentemente mi ha quasi accusato, perché non parlo mai di lei.”
Amedeo sorrise ricambiando la stretta. “Non è vero! Forse non ne parli con lui, o quando siamo con gli amici. O forse si è irritato perché quando parli di lei non dai più l’impressione di essere in un abisso, e di conseguenza non sembra che vivi il suo ricordo come un perenne dolore. Tu parli di lei con più serenità di quando parli di te.”
Ludger gli baciò le labbra. “Esatto, siamo molto diversi nel nostro modo di portarci dietro i fantasmi, e parlo di lei soltanto con chi l’ha conosciuta e con te, che avresti tanto voluto farlo e l’hai accettata come parte di me. Te l’ho detto molte volte. Sono convinto che sia stata proprio la naturalezza con cui tu hai preso l’insieme che mi compone a darmi il coraggio, la forza di accettarlo… come hai fatto tu. Ci fumiamo una sigaretta prima di andare di là?”
Amedeo annuì e lo seguì fuori dal bagno. “Sebastiano è stato spesso qui?”
“Non spesso. Si vede con Helga, ed è capitato che ci siamo incontrati in salotto o a pranzo. A volte ci siamo spostati qui mentre lei si preparava. La prima volta me lo ha chiesto perché era curioso di questo posto, altre perché voleva sdraiarsi, sai com’è lui… si sdraia ogni volta che può. Ieri sera era elettrico, fino a che siamo rimasti insieme è stato divertentissimo, ma immagino che poi abbia tirato fuori i mostri. Me ne vuoi parlare?”
“Ha visto il bagno? Ha reagito meglio di me, immagino. Mi dispiace di essere ancora così rigido con tua madre, lei è sempre deliziosa. Stasera non penso che sarò in grado di migliorare la situazione, ma non me ne voglio andare.”
Ludger si appoggiò con il bacino alla scrivania. “Sì che lo ha visto, e non so come abbia reagito, non mi è arrivato nulla. Si è incollato per un po’ davanti alla foto e poi se ne è allontanato insultando il Giappone. Invece Helga ti adora. Non devi preoccuparti di nulla.”
Amedeo scosse la testa, decidendo di affrontare un discorso che non voleva lasciare in sospeso. “Sebastiano ieri notte ha parlato della morte. Lo fa sempre, però il livello di ossessione è di nuovo alto. È convinto che ci sia qualcosa di sbagliato in lui, ma sai come la pensa. Essendo una sua caratteristica strutturale deve inquadrarla come qualcosa di suo, a prescindere, quindi giusto per lui. Dice che Luca non è sbagliato, Giulia neanche. Sono i suoi tentativi che lo sono. Ma senza tentativi non è in grado di capire e di capirsi. Giulia gli ha insegnato che ogni amore regala conoscenza…  però lui continua sempre a tornare ad Aline, con un’insistenza paragonabile soltanto all’impossibilità di parlarne con chiunque. Perché per nessuno di noi lei è esistita, e quello che ha lasciato non può che sembrarci negativo. Ma per lui non è così. Sebastiano crede che tutto sia destinato al caos, perché ognuno di noi ha una sola idea di giustizia, e ogni alternativa non possiamo che percepirla come un errore. Ma le alternative possono essere infinite, e quindi molto più probabili di una sola combinazione, che per la sua unicità diventa così rara da essere quasi impossibile. Aline gli ha fatto capire che anche lui vorrebbe scegliere come e quando morire. Mi ha detto che tu sei in grado di accettare qualcosa che non è nelle tue corde, se sai che è quello di cui una persona che stimi ha davvero bisogno. Ieri a un certo punto ha sovrapposto le due cose… da una parte Aline convinta che l’unica vera ricchezza consista nel poter scegliere la propria fine, non avendo avuto potere sul proprio inizio. Dall’altra il tuo modo di amare, che ti può portare ad accettare un bisogno autentico che magari disapprovi. Infine, soltanto chi è completamente solo può essere davvero libero. Fine, punto. E io sono stremato, al punto che non penso di poterne neanche parlare.”
Ludger in controluce era una sagoma straordinariamente sottile dai contorni chiari, e per alcuni istanti restò in silenzio fumando. Il resoconto di Amedeo non corrispondeva all’ultimo dialogo avuto con Sebastiano, nel quale aveva ribadito che il nodo del suo rimpianto era Adriano, e la sua incompiutezza. Scosse la testa e sorrise con amarezza, constatando che Sebastiano era in grado portare avanti percorsi paralleli senza però coglierne le contraddizioni. “Il nostro amico è in piena fase di demolizione, e non mi stupisce. Mi ha fatto alcune promesse che sono sicuro manterrà, quindi tornerà intero. Per eventuali mie autorizzazioni ad andare a morire ammazzato aspettiamo che le formuli direttamente con me, intanto grazie per avermene parlato, così mi preparo. Mi chiedo però cosa c’entri Giulia, associata a Luca come tentativo. Temo verrà fuori un altro casino. Pensi si siano sentiti?”
Amedeo scosse la testa. “No, e hai ragione, sicuramente verrà fuori un altro casino. Si è dato alla macchia determinato a non parlare con nessuno, delegando a noi anche la comunicazione con lei. Ma è ovvio che lei si incazzerà come una bestia. Non so che dire e sono esausto, voglio bere, uscire da qui, pensare a quando saremo soli. Adesso andiamo da Helga, voglio essere il più possibile presente, voglio stare qui, con te.”

Jacopo non aveva smesso di sorridere da quando Ludger ed Amedeo erano entrati nel soggiorno. “Quindi Sebastiano sapeva che sareste venuti qui, bene. Sono sempre felice di vedervi.”
Amedeo si sentiva osservato da entrambi, senza esserne infastidito. Quel pomeriggio parlò poco, in quella casa la mancanza di Sebastiano per lui era ancora più dolorosa; avevano preso a frequentarla abbastanza spesso, ma era la prima volta che andava a trovare Jacopo senza di lui. Ludger faceva visita a Jacopo molto spesso, perché si trovava bene a parlare con lui, e pensava che per compensazione quegli incontri equivalessero a quelli che Sebastiano aveva ciclicamente con Helga, anche se con dinamiche completamente differenti.
“Questo vino è ancora meglio dei miei. So che mio figlio continua a ironizzare sul fatto che mi regali vini che non posso bere. Mi stupisce non riesca capire che, per chi vive nella completa privazione di un piacere di cui ha abusato, una fessura possa equivalere a un portale. Che ne pensi?”
Ludger sorrise, portò il calice alle labbra e diede alcune brevi sorsate. “Credo che abbia tutti gli strumenti per capirlo. Forse non vorrebbe che ti istigassi a bere.”
Da Jacopo arrivò una risata rauca. “Come se mi mancasse di che bere! Con lui sono arrivato al secondo calice, a volte. È Sebastiano quello che esagera, e porta a esagerare. Ma non ho niente di cui lamentarmi. Mi dispiace soltanto che abbia questa tendenza a drammatizzare, del resto non riesce a vivere quasi nulla con valori nella norma. Del resto la detesta. E io lo adoro per questo. Ma forse tu lo capisci meglio di me. Inizio a dimenticare come ci si sente quando la vita è ancora carica, quando si è giovani. Frequentandovi, a volte, me ne arriva il riflesso. E mi sento come un vecchio demente che si incanta con la porporina che il nipote versa sul tappeto antico.”
Sospirò rumorosamente per riprendere fiato; quando parlava con Ludger provava un gusto particolare. Negli ultimi mesi si era ritrovato spesso circondato da ragazzi, e a volte giocava a immaginare che fossero fantasmi, e il loro aspetto continuava a sembrargli decisamente poco realistico. Soltanto con Ludger riusciva a lasciarsi andare completamente e questo gli dava spessore; si era imposto di fare maggiore attenzione nel rivolgersi a Sebastiano, perché il figlio dava molto più peso alle sue parole di quanto avesse immaginato per anni.
“Pensavo alla porporina…” Ludger si interruppe per ridere. “Devo procurarmene un flacone o due.”
“Hai tempo ragazzo. Io sono ottimista, comunque. Sto cambiando discorso. Credo che Luca prima o poi tornerà. Non avete sbagliato niente, i bambini imparano di più da un buon esempio che da tante prediche. Cosa pensavi che si dovesse fare? Una confessione? Voi non avete niente da confessare. L’errore è di Nina e di chi sta con lei… i pregiudizi sono animali orrendi, non siete stati certo voi ad aver alimentato questo. Il ragazzo può farcela, ha bisogno di tempo. Come quell’altro che si è dato alla macchia. Invece mi è tornato a trovare il vecchio Luca, quello sì che è uno strazio. Non capisco perché Sebastiano non lo congedi definitivamente. Lui pensa di averlo fatto quando erano ragazzi.” Si fermò per scuotere tristemente la testa. “Quel poveraccio ha scelto la strada sbagliata, e adesso spera di poter recuperare aggrappandosi a un bivio che non c’è più. Inizia a farmi pena, oltre ad annoiarmi mortalmente.”
Il vecchio guardò Amedeo sorridendo, e ricordò lo scambio in cui gli aveva chiesto di portare Sebastiano con sé per sbloccare la situazione. Erano trascorsi alcuni mesi, e non avevano più avuto modo di tornare su quegli argomenti. Nel frattempo però aveva conosciuto suo nipote, e suo figlio gli aveva fatto una promessa. “Amedeo caro, sai di essere la voce che lavora più in profondità nel rovo di spine che Sebastiano ha nella testa? È una grandissima fortuna che abbia scelto voi, ma tutto parte da te. Mi ha promesso che sistemerà anche il vecchio Luca, ma è pigro e se la sta prendendo comoda. Credo possa concederselo, dopotutto il suo amichetto d’infanzia ha fatto passare un abbondante decennio prima di intuire il disastro che si era lasciato dietro. Il tempo lavora in modo imprevedibile, io credo che il male porti solo altro male, soprattutto a chi lo fa.”
Amedeo immaginò che la domanda non avesse bisogno di risposta, ed era d’accordo con Jacopo. Insieme a Ludger aveva avuto modo di parlare con i loro amici, perché lo stesso Sebastiano gli aveva detto di aggiornarli sugli ultimi sviluppi con Luca. La richiesta era stata fatta con ironia, mascherandola con l’intento di rallegrare la cena di Natale a cui non avrebbe partecipato.
Amedeo ricordò di non essersi mai censurato con Luca, malgrado non avessero avuto molti scambi si erano ritrovati più volte a parlare di Ludger con lo stesso entusiasmo. Anche in quel momento immaginare di aggiungere qualsiasi precisazione nelle loro conversazioni gli sembrava una stonatura fuori luogo. Ludger si spostò accanto al camino per fumare una sigaretta, e nel passare vicino al suo compagno sorrise con dolcezza.
Jacopo apprezzava la loro discrezione, come tutto quello li riguardava. Riprese con un tono molto basso. “Sei proprio sicuro che sia il caso di passare da Venezia in questo viaggio?”
Ludger soffiò il fumo nel camino prima di rispondere. Gli piaceva il suo modo diretto di parlare, e ormai lo trovava familiare. “Certo. Per me la questione è risolta, ma mi sento in debito con Anastasia. Lei ha fatto sempre tutto quello che ha potuto per me, certe volte anche l’impossibile. Non sono del tutto d’accordo sulle motivazioni, ma le sono comunque molto grato. Per questa storia si sta logorando, mentre io sono molto sereno grazie all’aiuto di chi mi sta vicino. Helga sostiene che quello che resta di mio padre è meno di uno spettro, e non mi fa paura. Ho passato diverso tempo a contatto con i fantasmi, sono allenato. Se poi dovessi sbroccare darò finalmente ad Amedeo la soddisfazione di potermi trattenere, ma mi sembra un’ipotesi remota. Non credo che un’ameba possa avere questo potere.”
Jacopo rise e tossì. “Sarebbe interessante approfondire il possibile proposito dei protozoi di uscire dal ciclo delle reincarnazioni… alcuni possono essere particolarmente contagiosi, e fastidiosi. Ti auguro non sia il caso della tua ameba. Se hai bisogno di un padre posso adottarti anche subito. Non durerò a lungo, ma sarebbe uno spasso.”
Ludger gli sedette di nuovo vicino, e parlò con un tono divertito. “Grazie Jacopo, mi considero adottato. Non preoccuparti, sono immune ai fantasmi e non credo nella reincarnazione.”
Amedeo lo guardava con una sfumatura di preoccupazione; non voleva tornare a Venezia, con l’idea di sognare fantasmi bianchi. Si consolò pensando che avrebbero dormito in albergo, e sarebbero rimasti un solo giorno.
“E la ragazza dove sta? Amedeo, tu che le sei amico, l’hai sentita?”
Lui alzò gli occhi e rispose senza esitare. “Sì, è a Bologna da una sua amica. Dovrebbe tornare all’inizio di gennaio. Più o meno come Sebastiano.”
Il vecchio annuì, ma vedeva chiaramente che Amedeo non era sereno. “Ragazzo, mi sembri diverso dal solito. C’è sempre qualcosa di cui preoccuparsi, ma oggi hai una tensione diversa. Immagino preferiresti non andare a Venezia, ma non credo sia solo per quello. È per il piccolo Luca? Giulia sta bene?”
Amedeo prese diversi secondi prima di rispondere, non voleva essere ipocrita ma non sapeva come gestire la conversazione. Ludger era sempre una visione rassicurante: associava sempre la sua bellezza e la sua serenità agli ori bizantini, e non soltanto per i colori scaldati dal fuoco. In quel preciso momento lo ammirava anche per la facilità con cui gestiva i vari registri di comunicazione, mantenendo la sua autenticità. Sospirò prima di rivolgersi al suo interlocutore con una voce bassa, ma ferma. “È vero, ci sono sempre tante cose per cui preoccuparsi, ma in questi giorni sono particolarmente nervoso. Con Luca io ho parlato poco, quasi sempre di Ludger e con lo stesso entusiasmo… non mi censuravo, ma era soprattutto lui a sembrare perennemente entusiasta. Sono sicuro che era il suo preferito tra noi tre. Ma lei ha ragione, credo anch’io che non abbiamo sbagliato e che ci saremmo arrivati prima o poi, con risultati simili. E non ho molta voglia di andare a Venezia, non è la mia storia ma io voglio esserci, e sono sempre dalla parte di Ludger. Poi, Sebastiano era molto storto prima di partire, e deve avermi contagiato, ma anche questo mi va bene, anzi, penso sia giusto perché loro due per me sono così importanti che non ho intenzione di mettere filtri, di proteggermi. Tra le altre cose Sebastiano stavolta non ha apprezzato la scomparsa di Giulia… è la prima volta che non trova il suo eclissarsi divertente, perchè si era immaginato di passare con lei questi giorni, credo. E Giulia è amareggiata, diciamo così, perché non l’ha chiamata quando Luca ha sclerato. Sa benissimo che lui non ama parlare al telefono, ma sembra convinta che Sebastiano le dovesse questa chiamata… non so. Fra loro non si stanno sentendo, e temo che qualcosa si sia incrinato.”
Il vecchio gli sorrise con affetto, trovava straordinario avere quei ragazzi con lui. “Non preoccuparti. A suo modo Luca è innamorato di Ludger, come tutti. Questo lo aiuterà molto a superare lo steccato fittizio che ha costruito intorno alle sue idee. Luca è un ragazzo sveglio, ma deve fare tutto da solo e gli ci vorrà tempo. Sono abbastanza sicuro che Giulia resterà. Dicevi che fra quei due c’è una corrente particolare, sono d’accordo. Le cose cambieranno, tutto scorre e cambia, ma credo che lei resterà. Quei due hanno una chimica potente… ci sarà una tempesta, ma non credo sia l’epilogo. Io, Amedeo caro, ti ammiro moltissimo, queste cose vanno dette. Tu sei il medium, il collante che ha unito tante strade, lo vedo chiaramente. Non ti affliggere.”