Giulia entrò con disinvoltura nel soggiorno inondato di luce; portava i capelli sciolti e indossava un abito scuro e leggero, lungo fino alle caviglie. Si muoveva con la sicurezza di un animale da corsa, e sorrise ad Amedeo con una serenità apparentemente senza ombre. “Da quanto è partito?”
Era superfluo per entrambi specificare il soggetto; altri i fattori confondevano Amedeo.
“Ma… non vi siete sentiti?”
Lo raggiunse per baciargli una guancia prima di proseguire verso il frigo, e gli rispose dandogli le spalle, mentre sceglieva una bibita fresca da versarsi.
“Certo che ci siamo sentiti, altrimenti non mi sarei presentata così.” Si voltò e rise. “Amedeo! Sembra che stai vedendo un fantasma.”
Lui annuì, sorridendo. “Sei cambiata così tanto… in pochissimo tempo. Sono stupito, ma anche contento. Stai bene vestita così.”
“Appena sono scesa dall’aereo gli ho mandato un messaggio e lui mi ha chiamato. Anche se sta dall’altra parte del mondo, e lì era notte fonda. Stava davanti un mare che non posso neanche immaginare. Mi ha detto che era tanto felice di sentirmi, e che ha in programma di tornare la prossima settimana perché vi siete organizzati i viaggi per non lasciare solo It. Mi ha parlato dei regali che mi aveva lasciato nella casa a fianco e mi ha invitato ad usare le sue stanze, perché se torno a casa mia rischio di distruggermi l’umore, e lui lo sa. Si è proposto di anticipare anche la partenza se solo lo avessi voluto, ma io non voglio, perché mi fermerò a Roma due settimane e non ce n’è bisogno.” Dopo aver finito in poche sorsate un bicchiere d’acqua gli si avvicinò, e nel farlo ruotò su sé stessa, sorridendo della seta che si alzava leggera per quel movimento. “Abito perfetto per andare in moto. Non vedo l’ora di farmi un giro con la mia ragazza, magari stanotte. Ci spostiamo in terrazzo?”
Amedeo la seguì ammirandone la figura perfetta in controluce, certo che la scia del profumo che gli arrivava fosse quello di suo fratello. Giulia sedette su uno dei divanetti, sollevando i piedi scalzi sulla seduta e lui prese posto davanti a lei, incantato.
“Amedeo caro, con questa luce il blu dei tuoi occhi diventa di cristallo, ma sembri ipnotizzato. Stai bene? Da quanto tempo è partito il nostro eroe?”
“Sì, scusa. Sebastiano è partito l’altro ieri… certo che sfiga… che farai in questi giorni? Io sono spesso libero e ho una lunga lista di mostre da vedere prima di partire, se ti va di accompagnarmi ne sarei felice. Passeremo quasi tutta l’estate così, a darci il cambio… abbiamo in programma anche un viaggio noi due insieme, senza Ludger… sicuramente saremo tutti qui a fine agosto per un concerto della Galas a Ostia Antica. Credo che il fratello, quando sarà a Roma da solo, si prenderà It e lo porterà da suo padre… mi ha detto che non gli piace stare in questa casa quando non ci siamo, invecchiando sta diventando romantico, sente troppo la nostra assenza.”
Giulia rise, e poi si guardò un po’ intorno: le piante di Ludger erano splendide e rendevano quel terrazzo un giardino pensile; il manto di it sdraiato vicino ad Amedeo era lucido come se fosse stato appena pettinato, e la musica scelta da Amedeo le piaceva così tanto da ripromettersi di chiedergli il nome del gruppo. Capì con facilità perché Sebastiano non riuscisse a stare a lungo lì da solo.
Lui iniziò a rollarsi una sigaretta, sperando che tenere occupate le mani lo avrebbe mantenuto più attento.  “Sai che quel vestito lo ha cucito Sebastiano? Ha deciso di imparare anche a cucire… si lamentava solo che doveva mantenere il modello approssimativo, perché non aveva le tue misure. Però ti sta benissimo, il colore poi è spettacolare su di te. Mi chiedo come faccia a non impazzire dormendo così poco, però sono contento che riesca a fare così tante cose. Elisa lo ha picchiato, scherzando, quando ha detto che vorrebbe farsi fare un manichino con le tue misure. In effetti sarebbe un po’ troppo Bellmer, ma se a te non dà fastidio… te ne parlerà, immagino.”
Giulia pensò all’espressione elefante nella stanza, e sorrise divertita perché la stranezza del proprio rapporto con Sebastiano era talmente evidente da rendere il ritmo delle parole di Amedeo incostante. Apprezzò che non si censurasse parlando con lei, rendendo in questo modo il pachiderma più leggero. “Vediamo come e se me ne parla… ma no, me ne parlerà sicuramente, figurati, mi parla di qualsiasi cosa… vediamo come. Se dovesse presentarmela come la seconda bambola rotta nell’acquario non accetterei. Per fortuna che Aline non mi somiglia per niente… Se a te e Ludger non dispiace accetterei il suo invito e userei la casa a fianco. In quella che era casa di mia madre ho affittato tutte le stanze, tenendo libera solo la mia per tornarci quando voglio. Ma non voglio. Però non preoccuparti, anche se lui la usa come se fosse una stanza e bivacca sempre qui, io posso organizzarmi meglio. La cucina e il bagno sono perfettamente funzionanti. Comunque uscirò volentieri con te e Ludger. Oggi pomeriggio vedrò anche Elisa. I vostri amici mi sembrano carini, Tommaso in particolare. Davide un po’ meno, ma è una cosa così, senza fondamento. Se dovesse capitare posso vedere anche lui.”
Amedeo sapeva che Davide era geloso del rapporto che lei aveva con Sebastiano; gli era capitato di parlarne diverse volte, e Giulia doveva aver colto qualcosa anche se cercava di non renderlo evidente. I propri pensieri turbinavano senza dargli la possibilità di focalizzarsi su nessuno in particolare.
Ludger li raggiunse, dopo essersi liberato di scarpe e tracolla; non si aspettava di trovare anche Giulia, e prima ancora di salutare Amedeo le si fermò di fronte sorridendo. “Che bello trovarti qui. Sei abbracciabile?”
Lei stava ancora rannicchiata sulla seduta, e tenendosi i piedi con le mani lo guardò dal basso con un’espressione da bambina nel piccolo triangolo chiaro del viso. Il sorriso di Ludger, e la sua gioia nel rivederla l’avevano stupita. Si alzò di scatto sollevando le braccia: anche lei era felice di quell’incontro e lo strinse con gratitudine, abbracciandolo per la prima volta.
“Sono contentissimo di trovarti qui, fatti vedere… questo vestito ti sta benissimo. Devo regalare a Sebastiano una macchina per cucire.”
Lei arrossì tornando a sedersi, e poco dopo Ludger portò un vassoio con prosecco e patatine. Le chiese come si fosse trovata a Berlino, e lei raccontò di essere entrata in contatto con una comunità queer che le aveva fatto apprezzare il cross-dressing.
“Del resto, con il fidanzatino che mi ritrovo mi pare il minimo.”
Risero insieme e Giulia immaginò un elefante piroettare leggero tra le piante che li circondavano. Parlò con entusiasmo del senso di libertà e accettazione trovati, confermando di avere avuto un’impressione simile a quella descritta in precedenza da Amedeo. Ludger notò che il compagno stava partecipando al discorso in modo distaccato, e gli chiese se stesse bene carezzandogli i capelli.
“Sì Ludger, pensavo a una cosa che ha detto Giulia prima del tuo arrivo. Che non somiglia ad Aline. E non riesco a non chiedermi come fosse l’aspetto di questa ragazza… il disegno di Sebastiano non credo possa essere considerato somigliante, e non gli ho mai chiesto di mostrarmi delle foto. Mi è sempre sembrata una curiosità troppo infantile. Ma mi è rimasta, tutto qui. Lù, tu l’hai vista?”
“Anche troppo. Quando sono stato a Parigi con Sebastiano abbiamo passato parecchio tempo in quella casa. Molto bella, anche se c’erano dei dettagli morbosetti. Lei aveva fatto rivestire i corridoi di gigantografie di loro foto. Scatti poco autentici, esageratamente belli, roba legata al loro lavoro. Sebastiano le ha strappate dalle pareti e buttate, dicendo che non gli era mai piaciuto quel mausoleo, ma che aveva dovuto concedere qualcosa al suo modo di aggrapparsi sempre e solo alla superficie. Erano un’esagerazione… a un certo punto l’ho anche aiutato. Sai, ricordo bene di aver pensato al tuo modo di incantarti spegnendo lo sguardo. Gliene ho parlato e lui mi ha detto che siete completamente diversi perché tu, quando ti incagli sulla superficie delle cose, scavi in profondità altrove. Ed è vero. È stato un bene che tu non sia venuto lì, ormai ne sono assolutamente convinto, ma adesso potresti anche chiedergli di mostrarti qualcosa, no?”
Amedeo si mosse sulla seduta per cambiare posizione, tenendo gli occhi chiusi; non era nervoso o in imbarazzo, perché avrebbe potuto seguire quel percorso di pensieri con entrambi. Si rese conto che parlava in quel modo di Sebastiano con loro per la prima volta, e non voleva fermarsi. Riaprì gli occhi guardando Ludger, che aspettava una risposta alla quale non aveva ancora pensato.
“Lo so… ma temo che per lui potrebbe essere triste, così mi faccio bastare i disegni.”
Giulia si alzò in silenzio, muovendosi con leggerezza verso la porta-finestra; il vestito blu petrolio scuro rendeva la sua pelle ancora più bianca: la stoffa le scivolava come liquida sulle forme, e per contrasto il suo corpo sembrava solido come marmo. Camminava con la schiena perfettamente dritta, le braccia e le spalle scolpite ammorbidite dalle rotondità dei fianchi, e dai seni alti e separati senza sostegno. Amedeo si era nuovamente incantato, e non smise di guardare nella direzione in cui si era allontanata. Ludger sorrise per il suo sguardo vuoto, e per le labbra scure socchiuse che adorava; pensò che quella visione era una creazione di Sebastiano e trovò bello che Amedeo la raccogliesse al suo posto. Giulia tornò, schivando con grazia le piante grasse per tornare a sedersi, e Amedeo riprese a seguirne i movimenti; quando mise a fuoco il telefonino che lei teneva sull’orecchio tornò del tutto presente, non fece in tempo a reagire perché lo stava già usando.
– Dormivi? Certo che no… ti disturbo? –
Certo che no… frase costruita per riempire la mia insonnia? Dammi spunti migliori la prossima volta, te ne sarei grato. –
Giulia rise, e Amedeo fu attraversato da un forte senso di irrealtà: ebbe l’impulso di fermarla e sollevò appena una mano, che Ludger intercettò per riabbassarla con dolcezza, un segnale che lo invitava a non interferire.
– Sono con i tuoi uomini, e si parlava di bambole più o meno rotte… è venuto fuori che Amedeo non ha mai visto una foto di Aline, posso mostrargli quelle nella scatola viola? Adesso tuo fratello ovviamente è in apnea, e Ludger sorride ieratico. È ovvio che è una mia iniziativa, vero? –
– Giulia cara, per quanto mi riguarda puoi mostrargli anche le mie mutande. Se per voi hanno un qualche interesse. Sono contento che tu sia lì. Hai qualcosa di più significativo da dirmi? Ad esempio. Come ti sta il vestito? –
Lei arrossì sorridendo, il suo modo di parlare la divertiva sempre. – Così bene che Ludger vuole regalarti una macchina per cucire. –
Per alcuni secondi restarono in silenzio: era certa che stesse provando a immaginarlo indossato, e aspettò che riprendesse a parlare.
– Per le cose che devi fare a Roma… quanti giorni ti servono? Vorrei portarti in un posto. –

Giulia si svegliava sempre con le prime luci del giorno, per poi lottare contro il flusso di pensieri che avrebbero potuto tenerla sveglia, una battaglia che riusciva a vincere con facilità solo quando non dormiva abbastanza. Normalmente il risveglio era graduale come l’aumentare della luce, ma quella mattina al primo strato di sonno che si lacerava era seguita un’accelerazione, e precipitò velocemente in una condizione di completa vigilanza. Sentendola irrigidirsi Sebastiano strinse appena più forte per poi allentare la presa gradualmente: stava abbracciando Giulia da dietro, e lei sentiva il suo corpo scorrerle lungo la schiena e in parte sulle gambe, il viso affondato fra i capelli, e il respiro regolare del sonno le arrivava vicino all’orecchio. Entrambi i suoi avambracci erano incrociati sui seni e vedeva  le sue mani rilassate davanti al proprio viso. Giulia continuava a ripetersi che Sebastiano era completamente abbandonato nel sonno, e aspettò che il cuore tornasse a batterle a un ritmo normale. Ogni volta che l’abbracciava nel sonno si svegliava in questo modo, e anche se quella posizione era inedita la sua paura restava sempre la stessa. Un timore che non era mai riuscita a condividere con qualcuno, mentre aveva raccontato ad Elisa di quegli abbracci, omettendo il terrore che la assaliva finché non era certa che ogni parte del corpo di Sebastiano fosse rilassata. Era esasperata dalla propria condizione, dal non riuscire neanche a parlarne se non usando termini ridicoli; si era sempre disinteressata alla sessualità maschile, e adesso quell’ignoranza non faceva che alimentare la paura. Le era capitato di chiedere a Sebastiano come funzionassero le erezioni notturne, e lui con la solita indifferenza le aveva risposto che erano completamente incontrollate, come i sogni. In quell’unica occasione l’autorizzò a scaraventarlo fuori dal letto nel caso fosse accaduto quando dormivano insieme, evitando di evirarlo o di fargliene una colpa, perché sarebbe stato come incolpare lei di avere le mestruazioni.
Le porte-finestre che davano sul terrazzo erano state sostituite da infissi scorrevoli: non c’erano tende e gli avvolgibili rimanevano perennemente sollevati fino a scomparire. La luce continuava a crescere. Dal materasso a terra Giulia guardò il terrazzo completamente sgombro, a eccezione del materiale per dipingere ammassato in un angolo non visibile. Pensò all’enorme giardino pensile di Ludger confinante con quel piccolo deserto, e guardando gli alberi lontani oltre la ringhiera mentre gli uccelli iniziavano a svegliarsi, prese a carezzare gli avambracci con cui Sebastiano la tratteneva a sé. Il libro che stava leggendo la sera prima, nel tentativo di aspettarlo restando sveglia, era poco distante. Notò un foglio poggiato sulla copertina, e si chiese cosa contenesse ma non voleva ancora spostarsi. In momenti come quello la mancanza di Laura le provocava un dolore quasi fisico: sembrava passato tanto tempo dalla sua morte, mentre percepiva straordinariamente vicini altri ricordi di sua madre, come se il tempo fosse esploso. Ogni frammento che le veniva restituito dalla memoria non poteva più seguire un ordine cronologico. La madre era sempre stata l’unica persona con cui parlare in piena libertà, soprattutto degli argomenti che la mettevano in difficoltà; il suo ruolo in quel momento apparteneva alla strana creatura che la stava abbracciando nel sonno. Sotto alcuni aspetti le sembrava paradossale, perché era lui più di chiunque altro a mandarla in confusione. Il gioco di immaginare come sarebbero andate le cose tra loro se Sebastiano fosse stato donna, l’aveva stancata. Giulia frequentava diversi altri uomini meno ambigui di lui, più o meno proiettati verso l’affermazione della loro femminilità, ma lui era palesemente diverso: Sebastiano le piaceva esattamente così come era, ma non riusciva a capire e ad accettare la sua sessualità. Il ruolo di fidanzato era  iniziato come una recita di pochi episodi, che invece si era protratta fino a sfumarsi nella condizione indefinita che stavano vivendo. Ricordò le occasioni in cui si era presentato ai suoi parenti definendosi il suo ragazzo, proteggendola con quel titolo in molte occasioni, in particolare negli scontri con il padre. Quella situazione non l’aveva mai infastidita: a volte ne era stata felice, altre addirittura orgogliosa. 
Sebastiano la lasciò andare, ruotando fino a sdraiarsi sul dorso; Giulia si sollevò sui gomiti, sapendo che guardarlo non avrebbe attenuato il proprio turbamento. I segni bianchi, che ormai sapeva leggere senza il suo aiuto, avevano iniziato a emergere dal buio sulle pareti scure; ormai conosceva quelle storie, e sapeva di non farne parte. Le piaceva vedere i rami di Ludger fondersi con le onde di Amedeo; non avrebbe mai ammesso che le causava un dolore acuto sapere di non aver lasciato traccia in quella trama di segni. Indugiò a lungo con lo sguardo sul corpo bianco di Sebastiano, cercando di spegnere i pensieri senza riuscirci. Dalla morte di Laura, ogni volta che guardava una persona tanto abbandonata nel sonno da sembrare inanimata, finiva sempre con il pensare a come nessuno potesse essere concepito, considerato e contenuto se non dentro ai confini del corpo che abitava. Si domandò quanto della splendida forma che stava contemplando fosse scolpita dal suo pensiero, quell’universo unico che continuava a causarle emozioni contrastanti. Arrivava inevitabilmente sempre alla stessa conclusione: lui, come tutti, era destinato a dividersi in modo irreversibile per diventare un contenitore vuoto. Ancora sollevata sui gomiti, con la luce crescente, girò il viso bagnato di lacrime verso la finestra e vide il contenuto del pezzo di carta. Lo afferrò immediatamente portandoselo davanti al viso, c’erano poche righe di testo e un disegno. Il cuore le accelerò di nuovo: su quel foglio si vide disegnata, addormentata, emergere dal buio grazie alla luce della piccola lampada lasciata accesa. Il corpo era ruotato, le gambe piegate da un lato e le spalle da quello opposto; si schermava con un braccio il viso dalla luce, mentre l’altro teneva il libro aperto al centro del letto. Nel disegno, il vestito blu petrolio che ancora indossava, le drappeggiava le gambe tendendosi sulla vita, che sembrava ancora più sottile grazie alla rotazione e alla rotondità di un seno semiscoperto. Il suo cuore non decelerava; i tratti veloci e quasi scarabocchiati, negli angoli bui, diventavano minuti nel definire il capezzolo chiaro leggermente eretto. La superficie della sua pelle era trattata nello stesso modo delicato, anche le labbra socchiuse e il mento che si affacciava da sotto il braccio piegato. Non riuscì a staccare gli occhi da quel dettaglio; si diede della stupida perché Sebastiano aveva dipinto la sua pelle tante volte, e ormai l’imbarazzo per la propria nudità era completamente scomparso. Quel disegno, però, le rivelava che il suo sguardo acuto era in grado di osservarla con più attenzione di quanto non facesse lei stessa. Si ritrovò di nuovo a piangere, per una frustrazione che non riusciva a definire e che avrebbe voluto far sparire senza lasciare traccia, perché non si era mai vista così sensuale.
Decise di leggere il testo, scritto con la stessa matita grassa in uno stampatello maiuscolo, veloce.

DORMIRÒ, SPERO TANTO. 
CENIAMO INSIEME STASERA?
TI CHIAMERÒ QUANDO RIEMERGERÒ DAL LETARGO, 
SPERO NEL POMERIGGIO, 
PER PARLARE DEL POSTO DOVE VORREI PORTARTI.
 
SEI DI UNA BELLEZZA FUORI MISURA CON QUESTO VESTITO.
 
NON DORMO DA SECOLI, MA NON POTEVO NON DISEGNARTI, SPERO NON TI DISPIACCIA. 
STRACCIALO SE TI INFASTIDISCE, A ME NON IMPORTA. 

GRAZIE PER AVERMI ACCOLTO COSÌ. 
DORMO.

Giulia passò la giornata in uno stato di sospensione che rese inutile anche il solo pensare di intraprendere qualsiasi attività. Non aveva più sentito Sebastiano dopo le telefonate che si erano scambiati appena tornata da Berlino; il giorno precedente le aveva scritto un messaggio per annunciarle che sarebbe arrivato quella notte. Lei aveva concluso tutto quello che voleva o doveva fare a Roma, e quella mattina non rispose al messaggio di Amedeo che la invitava a raggiungerlo nella casa a fianco: dopo aver raccolto il libro si spostò sul divano della loro casa, dove spesso trascorreva molte ore a leggere. Raccontò ad Amedeo di aver provato ad aspettare Sebastiano senza riuscirci, e che si sarebbe potuto svegliare in qualsiasi momento; lui non fece domande, e dopo averle versato un tè freddo e si sistemò sul divano di fronte al suo a leggere. Giulia indossava una delle tante bluse di seta nera di suo fratello, quelle che Andrea definiva affettuosamente palandrane. Su di lei facevano un effetto molto diverso, anche perché rimaneva con le gambe nude, senza associarle ad altri indumenti. Per lui era normale vederla in casa con i vestiti di Sebastiano, come avveniva quando viveva a San Lorenzo e gli capitava di incontrarla a qualsiasi ora, spesso con addosso i vestiti di Elisa. Gli sembrava l’ennesima sovrapposizione temporale ritrovare quella familiarità in un contesto tanto diverso.
Sebastiano entrò senza fare rumore, i piedi scalzi sul legno producevano un suono così lieve da restare coperto dalla musica; restò a guardarli entrambi, assorti nelle loro letture, e provò una profonda gratitudine per quella visione che lo faceva sentire tornato a casa. Stordito dal sonno, non si fermò ad analizzare il fatto che quella sensazione fosse alimentata da un soggetto diverso da Ludger, presentandosi in una combinazione inedita. Aveva sperato di trovare Giulia in casa, e assaporò la scena senza farsi domande. Amedeo teneva i capelli dietro le orecchie per leggere, e alzando il viso dalla pagina lo vide immobile vicino a loro; saltò immediatamente in piedi per raggiungerlo, allargando le braccia. Sebastiano lo accolse sorridendo, con il viso leggermente gonfio per il sonno che gli dava un aspetto vagamente infantile; anche Giulia si era alzata con movimenti lenti, e restò in attesa del proprio turno, gustandosi la scena. Le piaceva quando si scambiavano gesti affettuosi: le facevano percepire Sebastiano più umano, rendendo quelli che rivolgeva anche a lei parte di un mondo alieno che ormai la includeva. Era deliziata da quel lungo abbraccio, dal viso di Sebastiano  ammorbidito dal sonno e da quell’espressione dolce.
Appena si separarono le si rivolse sorridendo. “Posso abbracciare anche la mia ragazza?”
Lei lo travolse con uno slancio insolito, e parlò con un tono fintamente serio stringendolo. “Il mio uomo.”
Scoppiarono a ridere mantenendosi stretti e anche Amedeo sorrise trattenendo il fiato, prima di scuotere la testa dirigendosi verso il frigorifero, per versare un altro bicchiere di tè freddo. Si chiese perché provasse una tensione e delle emozioni tanto forti quando quei due erano a contatto, soprattutto dopo una separazione. Pensò a Ludger, che gli aveva detto di percepire un specie di collegamento sotterraneo e difficilmente definibile tra lui e Sebastiano. Forse questa connessione poteva arrivare a fargli provare stati d’animo che sarebbero dovuti appartenere esclusivamente a Sebastiano; Amedeo restò in attesa mentre lo raggiungevano alla penisola, ancora abbracciati guardandosi e sorridendosi con semplicità.
“Giulia cara, ho visitato il deserto. Le piramidi, le tombe a camera e un bel museo. Troppo grande. Anche il deserto è troppo grande. Ma pensavo sempre al mare. Tremila anni di reiterazioni possono risultare noiosi anche per me. Come chilometri e chilometri di sabbia. Mi è capitato di apprezzare di più gli egizi lontano dall’Egitto, i frammenti sparpagliati nei vari musei del mondo non riuscivano ad essere così pallosi. Voglio tornare a Mont Saint-Michel, verresti con me? Ho ancora una settimana di tempo prima del mio turno con It, ma vorrei partire presto. Se riesco a prendere i biglietti, anche domani.”
Lei lo guardò con la bocca lievemente aperta: si era immaginata un itinerario più vicino, e un viaggio meno impegnativo. Amedeo, stupito, chiese a Giulia se conoscesse il posto, ma prima che potesse descriverlo Sebastiano lo pregò di non anticiparle troppo, per non attenuare la sorpresa. Tornò a rivolgersi a lei senza interrompersi, affermando in modo vago che era il luogo ideale per chi ama pensare guardando le onde; le chiese se le andava di accompagnarlo, altrimenti sarebbe comunque partito da solo.
Giulia sorseggiò il tè per prendere tempo. “Sei passato da Roma solo per chiedermelo?”
“Era di strada. Ti sta bene quella blusa, te la regalo, ma il vestito ti sta meglio. Poi avevo bisogno di dormire, ero esausto. Che gioia stanotte trovarti così. Hai fatto bene a metterlo senza reggiseno, hai un seno fantastico. In quella posizione sembrava una cupola bianca. Hai mostrato il disegno ad Amedeo?”
Sentendosi arrossire si alzò velocemente per andarlo a prendere, dicendo di non averci pensato.
Appena rimasti soli, Amedeo parlò a bassa voce. “Fratello, perché non le dici che sei tornato per lei?”
Sebastiano piegò leggermente la testa di lato. “Perché, non l’ho detto? Senza di voi non riesco a dormire abbastanza. Poi il disegno. Non mi sembra di aver omesso nulla… sei… nervoso?”
Amedeo sorrise, ammettendo di essere nervoso, mentre il foglio con il disegno planava sul tavolo di fronte a lui. Giulia intanto proseguì fino ai divani per recuperare le sigarette e tenersi lontana dal foglio sul quale Amedeo si stava incantando, al punto da dissociarsi completamente dal momento che stava vivendo. Sul foglio vide Giulia: non aveva niente a che fare con una bambola rotta, e non avrebbe mai avuto dubbi anche solo guardando la porzione del viso, seminascosto dal braccio. Fu la maestosa evidenza del suo corpo a stordirlo.
Sebastiano vedendo quella reazione rinunciò a chiedergli un parere, e si alzò per raggiungerla e abbracciarla di nuovo. “Allora Giulia cara, vieni in Normandia?”
“Perché vuoi andarci con me?”
“Perché adoro guardare il mare con te. L’ultima volta che sono stato al mare con i miei uomini ti pensavo guardando le onde. Il prossimo viaggio lo farò con Amedeo, per vedere le scogliere del nord. Questo vorrei farlo con te, se ti va. Se non vieni mi fermo qui un paio di giorni per stare insieme, e poi vado da solo.”
La lasciò per sdraiarsi su un divano da cui vedeva Amedeo ancora immobile, e Giulia che gli rivolgeva un’espressione vagamente interrogativa. Allungò in silenzio una mano verso di lei, con l’indice e il medio tesi; Giulia gli diede la sigaretta che aveva appena acceso prima di prenderne un’altra.
“Insomma, a me va bene tutto. Come sempre. Se partiamo insieme vorrei andare a prendere i biglietti al più presto. Potrebbe essere bello. Mi piacerebbe trovarci nella condizione di poter improvvisare. Perché non ti siedi?”
Lei lo raggiunse sedendoglisi vicino, e lui si sollevò per poggiarle la testa sulle gambe.
Sebastiano le sorrise fumando, e sussurrò diverse volte di essere tanto felice di rivederla. Pensò che aveva bisogno di tempo per rispondere a quell’invito, e restò in silenzio; si tirò su a sedere, scusandosi di essersi appoggiato in quel modo senza averglielo chiesto. Giulia gli mise una mano sullo sterno e spinse con decisione, facendolo tornare nella posizione appena lasciata. Rise chiedendogli se si stesse censurando per suo fratello, invitandolo a non essere ridicolo. Era stata molte volte nuda su quei divani con Sebastiano addosso per dipingerla, e le sembrò strano che si stesse facendo degli scrupoli.
Amedeo aveva trascorso gli ultimi minuti contemplando il disegno che ancora teneva tra le mani: la posizione gli ricordava un dipinto ottocentesco di una venere ma il corpo di lei, solido e sottile, gli appariva molto più bello. Quando alzò lo sguardo vide la mano di Giulia sul torace del fratello; lei stava tenendo le gambe piegate con i piedi rivolti verso lo schienale, con le cosce nude che accoglievano la testa di Sebastiano. Lui sorrideva con dolcezza, sdraiato con una gamba piegata sulla seduta del divano, mentre teneva un braccio abbandonato verso il pavimento e l’altro parallelo al proprio corpo. Amedeo non aveva sentito le loro ultime battute e non gli importava, ma iniziò a chiedersi perché quei due fossero impossibilitati a stare insieme, con una frustrazione nuova per lui. Era certo che Sebastiano percepisse il suo vetro con il solito spessore, e recentemente aveva detto di non voler neanche provare ad assottigliarlo. In Puglia gli era capitato di vedere per pochi istanti lui e Ludger, premuti l’uno contro l’altro in un’insenatura molto riparata: la scena non aveva turbato Sebastiano, perché sapeva che prima o poi sarebbe accaduto. In seguito raccontò ad Amedeo di aver distolto subito lo sguardo, ma di non aver fatto in tempo ad evitare di mettere a fuoco il suo volto. Una visione che avrebbe potuto immaginare, ma che sperava di dimenticare. Quella particolare espressione di Amedeo non gli apparteneva come il contesto che l’aveva provocata: entrambi avrebbero dovuto essere riservati a Ludger. Malgrado l’amore che provava per Amedeo Sebastiano restava convinto che tra loro sarebbe andata così, in qualsiasi versione possibile, e gli andava bene.
Lasciò il foglio sul tavolo abbandonando quei pensieri per sedersi sul divano di fronte a loro, iniziando a seguirne i discorsi. Sebastiano carezzava la mano di Giulia ancora appoggiata sul torace; lei stava raccontando di un gruppo di attivisti queer con cui era venuta a contatto, che l’aveva accolta senza riserve: le avevano procurato un posto letto, partecipava alle loro attività e quando era con loro parlavano sempre in inglese. L’affitto era talmente basso da farle sembrare esorbitante quello che chiedeva alle ragazze che occupavano le stanze della sua casa a Roma.
Giulia si lasciava accarezzare la mano, sorridendo mentre guardava il viso di Sebastiano. “Mi piace stare con loro… malgrado si parli tutto il tempo di sesso, e si giochi con i generi fino all’inverosimile, sono così disinvolti. Se penso alle mie amichette di Roma, come le chiama Elisa, mi sembra un altro pianeta… anche se poi, quelle che sono davvero amiche hanno accettato anche te. Ma in gruppo sono così chiuse, lì invece non c’è niente di rigido, di definito… le persone si lasciano libere di essere e di provare tutto quello che gli passa per la testa, senza temere la scomunica della comunità. Quando organizzano le feste per raccogliere fondi è uno spasso, ho partecipato a una sola, e a un certo punto mi sono ritrovata vestita da sposa con una collana di sex toys al collo.”
Amedeo, accendendosi una sigaretta, si chiese se non sarebbe stato meglio lasciarli soli, anche se loro non manifestavano fastidio per la sua presenza; notò che i racconti che Giulia aveva condiviso con lui e Ludger non erano stati tanto dettagliati. In quel momento alzò lo sguardo verso di lui senza che il ritmo del dialogo ne risentisse.
Sebastiano era divertito. “Devi rimorchiare parecchio.”
“Niente storie di sesso con loro, voglio poter tornare lì senza inciampare nei cadaveri.”
“Giulia cara, inizi ad assomigliarmi. Potrebbe essere il primo passo per costruire il tuo vetro.”
Lei rise, mettendogli una mano sul viso e scuotendolo, lo stesso gesto che facevano con il It per farlo giocare. “Ma non ci penso proprio, piuttosto l’eutanasia!”
Sebastiano le afferrò il polso per toglierselo dal viso. Poi velocemente prese anche l’altro, alzandosi per immobilizzarla con un gesto agile. Rideva di gusto. “Peggio per te, è decisamente comodo, soprattutto in estate.”
Amedeo era concentrato sul viso di Giulia fra la tenda dei capelli di suo fratello, proiettato verso di lei con un ginocchio sulla seduta e le braccia tese per tenerle i polsi fermi.
“Sebastiano io preferisco sudare, grazie. E ti ricordo che sono alcuni gradi sopra la cintura nera… in diverse arti marziali di cui non vuoi fare neanche la fatica di memorizzare il nome.”
Lui non la lasciò. “Sai che adoro fare a botte, soprattutto con chi è più forte di me.”
“E se poi sudi? Ti si potrebbero spettinare i capelli… e poi non siamo su un tatami.”
Sebastiano affondò il viso nel collo di Giulia per mordere piano l’orecchio, e lei reagì lanciando un grido prima di scivolare via con una rotazione, mettendosi in piedi.
Sebastiano si lasciò cadere sdraiato sul divano. “Vigliacca.”
“Si chiama prudenza. La porcellana se cade si rompe. Vieni qui.” Sedette di nuovo, offrendogli le gambe come cuscino.
Amedeo credeva di non averla mai vista ridere e scherzare in quel modo, e non riusciva a smettere di incantarsi. La voce irritata di Sebastiano lo scosse, malgrado si trattasse di un gioco.
“Insomma! Ci vieni o no? Dovrei nutrirmi e andare a comprare i biglietti.”
“Ci vengo, ma vuoi passare lì una settimana? Mi sembra tanto, ti annego molto prima.”
Continuando a sorridere, guardandosi.
“No, poi andiamo da qualche altra parte, se ti va. Scegli tu.”
“Anche il luogo?”
“Mi sembra democratico.”
“Berlino.”
“Berlino, ma senza cazzi di gomma al collo, grazie.”
“Non erano… mi sa che faccio prima a corcarti!”
Amedeo se ne andò mentre riprendevano a picchiarsi scherzosamente, chiedendosi come il loro rapporto potesse essere tanto cambiato anche se non si erano visti e sentiti per intere settimane. Quando Sebastiano si era avvicinato a lei per morderle l’orecchio, aveva sperato la baciasse; sapeva che Giulia non lo avrebbe voluto, ma non riusciva a capire perché fosse l’unico ad avvertire quella mancanza. Si trasferì nello studio per lavorare distrattamente a delle foto, e li sentì ridere da lontano fino a quando passarono a salutarlo. Sebastiano propose di cenare tutti insieme quella sera, chiedendogli se poteva avvertire lui Elisa e Lorenzo. Appena rimasto solo preferì telefonare per primo a Ludger, che lo ascoltò senza fare commenti fino a che Amedeo domandò cosa ne pensasse.
– Per Sebastiano un nostro giudizio, anche positivo, può essere condizionante. Anche in negativo. Quindi hai fatto bene a non parlargli della tua inquietudine. –
– Lù, penso sia la prima volta che mio fratello mi veda nervoso e lasci correre. Non mi sono dovuto impegnare, era come se non ci fossi. E non lo dico perché mi sento trascurato, sono anzi felice che siano così contenti di vedersi, e so che con un altro non sarebbero stati così disinvolti… erano euforici… e poi quel disegno… –
Glielo descrisse dettagliatamente: Amedeo gli spiegò che il punto in cui la sua attenzione finiva per fissarsi era il seno parzialmente scoperto, rappresentata con un tratteggio così fine da dare una sensazione quasi tattile della sua forma piena.
– Amedeo? Ti eri di nuovo incantato… non capisco perché sei così turbato. Io credo che a modo loro siano innamorati, non dovrebbe stupirti che non ti sia del tutto comprensibile. Non è da te. Ricordo quando mi parlavi di Warhol, del suo definirsi asessuato e come ti infastidiva il fatto che tutti, anche i suoi amici, congetturassero sulla natura delle sue relazioni. Le incongruenze ci sono, e sono inevitabili, ma non credo valga la pena preoccuparsi, soprattutto se stanno bene. Tu e Sebastiano avete un rapporto così viscerale, che ti spinge a proiettare la tua visione dell’innamoramento su di lui. Probabilmente perché senti in modo diverso tutto ciò che lo riguarda, lo senti in modo talmente intenso da confonderti. E non dovresti aver bisogno di sentirti dire che lui è altro da te. Io vi amo entrambi, ma non vi confonderei mai, e amo anche il vostro rapporto, lo sai. Per non parlare del fatto che Giulia non vuole essere baciata, non in quel modo. Ma soprattutto Sebastiano non vuole rompere il vetro. Loro sono felici, cosa potresti augurargli di meglio? Cos’è che non ti torna? –
Amedeo lasciò cadere il disegno sul tavolo, allontanandosi.
– Ho fatto bene a chiamarti, sono più sereno. Hai ragione, mi coinvolge tanto vederli così… quello che provo per Sebastiano è davvero forte, così forte e vicino che ho fatto un errore che non mi sarei mai immaginato… l’ho sentito e misurato con i miei strumenti. Me lo hai fatto capire benissimo, non è da me. Chiamo Elisa, ti va bene se le propongo Trastevere? –

Ludger e Amedeo avevano i gomiti appoggiati sul parapetto di Ponte Sisto; guardavano i gabbiani e l’acqua mentre il sole era ancora alto. Amedeo amava quel luogo e non si stancava di portare Ludger al centro del ponte, dove si era immaginato a lungo di vedersi con lui al fianco. Aveva prenotato in un ristorante non lontano; era rilassato, e stava assaporando quel momento senza più pensare al pomeriggio. Ludger a volte si girava per guardarlo sorridendo, con il vento che gli spostava i capelli schiariti dal sole, liberandogli il viso. Le foglie dei platani sullo sfondo erano di un verde brillante, simile a quello dei suoi occhi.
“Sai, pensavo a Sebastiano e Giulia che giocano ridendo. Mi piace tanto l’immagine che me ne hai dato… mi ha fatto pensare a due bambini e ho ricordato, purtroppo in modo vago, quando lui mi ha descritto la sua amicizia con Luca, da bambini. Era un’immagine molto lirica, qualcosa tipo… che vivevano fuori dalle dinamiche di una morale, perché non era stata ancora inventata. Sono convinto che lui adesso stia bene, perché ha più di quanto avrebbe osato chiedere non molto tempo fa. La situazione però non è stabile, forse per questo eri così nervoso…  non si capisce cosa voglia fare Giulia, e forse non si capisce perché neanche lei lo sa. Non solo dove voglia stare tra Roma e Berlino… penso che non abbia una visione chiara anche nel riconoscere e gestire i suoi sentimenti. Pensa al casino che era riuscita a fare con Elisa, senza darle neanche la possibilità di capire cosa stava accadendo. Spero che con Sebastiano riesca ad essere meno omertosa, ma fino a quando non metterà a fuoco cosa vuole non c’è molto da fare. Io non la capisco, probabilmente perché siamo davvero tanto diversi. Sicuramente ha fatto e sta facendo un lavoro straordinario per non lasciarsi abbattere dalla morte della madre, e la ammiro. Credo che invece Sebastiano abbia già tutto quello che vorrebbe dal loro rapporto, ma l’instabilità di Giulia non rende facile fare previsioni… ovviamente spero riescano a stare così bene insieme il più a lungo possibile.”
Parlando si era girato, ma Amedeo stava sfiorando il travertino del parapetto con l’indice, e gli occhi non mettevano a fuoco nient’altro che quel movimento. Quando Ludger pronunciò il suo nome si girò a guardarlo, dando voce e forma ai pensieri che quelle riflessioni avevano generato.
“Lei non vuole finire dietro un vetro, lo ha detto anche oggi. Lui non ha nessuna intenzione di uscirne… che poi, anche se volesse, non credo si possa risolvere così facilmente. Per quanto sia anticonformista e androgino, mio fratello ha sempre ribadito che anche il solo travestirsi da donna non lo realizza, e in passato lo faceva solo per gioco… e intanto Giulia ha smesso di avere storie occasionali… ma tanto, non possiamo farci nulla…”
Amedeo cambiò espressione e Ludger si girò seguendo il suo sguardo, vedendoli arrivare. Si tenevano per mano, parlando e ridendo: sembravano due turiste o modelle, completamente vestiti di nero. Sebastiano indossava una delle sue bluse sopra a dei pantaloni aderenti, con i grandi occhiali da sole che lo facevano sempre sembrare una diva in incognito; Giulia teneva i capelli sciolti, e portava un vestito che le lui aveva appena regalato che le aderiva addosso fino ai fianchi, prima di cadere svasato a metà polpaccio. Calzava dei sandali molto elaborati con la zeppa, le prime scarpe femminili che le vedevano indossare. Rideva coprendosi la bocca con la mano libera, e continuò a farlo anche quando gli furono di fronte.
Anche Sebastiano era allegro, e continuò a sorridere. “Scusatela, non è abituata alla volgarità del mondo.”
Le lasciò la mano per abbracciare Ludger, che non aveva ancora incontrato dal suo ritorno. “Bentrovato, mio sovrano, adesso passiamo al divino fanciullo.”
Lo lasciò per stringere tra le braccia Amedeo, chiedendogli se stesse bene, mentre lui annuiva in risposta. “Eri un po’ strano, prima, mi stavo preoccupando. Giulia cara, torna in te, smetti di ridere. Adesso che siamo con due uomini non dovremmo più aver problemi. Magari abbraccia Ludger, così ti passa la crisi di riso e ti metti al sicuro.”
Ludger le passò un braccio sulle spalle e lei gli baciò lo zigomo, trattenendo a stento le risate. 
Si spostarono a Piazza Trilussa per bere qualcosa mentre aspettavano gli altri; durante il breve tragitto raccontarono di aver ricevuto apprezzamenti di ogni tipo, quel pomeriggio, e di avere riso molto per le risposte surreali di Sebastiano.
Giulia intervenì spesso con una vivacità insolita. “Quando sentono la sua voce bassa fanno delle facce assurde. E poi non mi sarei mai immaginata che potesse parlare così, in dialetto… a certi tipi ha suggerito di fare cose che neanche so cosa siano.”
“Potrei farti dei disegnetti, non penso ti piacerebbero.”
Spesso Giulia e Sebastiano si toccavano senza necessità, come se le loro mani cercassero autonomamente di ristabilire un contatto. Lei per molti versi appariva cambiata in modo straordinario, dando l’impressione che quel processo si fosse compiuto in modo accelerato, portandola a raggiungere un risultato completamente imprevedibile.
Ludger aveva l’impressione che il loro rapporto si fosse evoluto malgrado la separazione, trovandosi a pensare che forse quello sviluppo era stato alimentato proprio dalla distanza. Era curioso di vedere il disegno descritto da Amedeo, convinto che fosse stato quello il primo contatto tra loro, abbandonato con indifferenza non appena la sua funzione si era esaurita. “Sei tornato tardi stanotte, non dormivi da una vita, ma ti sei messo a disegnare.”
Ludger era sereno, e Sebastiano dietro agli occhiali contrasse gli occhi cercando di decodificare il senso autentico della sua domanda.
“Non potevo non farlo. Ho scattato anche una fotografia, ma io non sono bravo come Amedeo, potrebbe venire troppo scura. Tu lo sai Ludger, io vivo soltanto per la bellezza. Posso anche morire di sonno, ma non vorrei mai essere indifferente a un’immagine del genere. Sarebbe come dichiarare di essere già nella tomba. A proposito, voglio essere cremato.”
Giulia si era distratta pensando di aver capito almeno un particolare della loro strana relazione: per lui il suo aspetto era determinante come quello di Sebastiano per lei, anche se questo dettaglio non la turbava affatto. Non avrebbe mai immaginato di poter accettare una situazione del genere, ma in quel momento non ne fu infastidita, perché Sebastiano era profondamente diverso da qualsiasi stereotipo. Era certa che Sebastiano non la oggettificasse manifestando quelle attenzioni nei confronti del suo corpo, ma se fosse accaduto avrebbe un senso opposto a quello comune. La passione che Sebastiano nutriva per la bellezza era opposta alle dinamiche che infastidivano le sue amiche femministe: lui non avrebbe mai messo in secondo piano la personalità di Giulia, alla quale aveva sempre dedicato fin troppe attenzioni. L’arrivo di Elisa fece alzare tutti, interrompendo le sue riflessioni; l’amica non riusciva ad allontanarsi da lei per salutare anche gli altri, e continuava a girarle intorno manifestando la propria incredulità.
Elisa non aveva dubbi sull’artefice che aveva scelto e curato quella metamorfosi. “Ho sempre detto che somigli alla Bardot, ecco. Adesso sei anche meglio. E non devo neanche sopportare film insulsi per poterti vedere.”
Giulia si stancò in fretta di essere il centro delle attenzioni rumorose dell’amica, e se ne allontanò per salutare Lorenzo con un bacio. Elisa le si sedette a fianco, mentre ricordava il desiderio di Sebastiano di possedere una bambola; vederlo realizzato le sembrò meno disturbante di come avrebbe immaginato. Era determinata a non manifestare inquietudine, soprattutto in quel contesto. Si rivolse a Sebastiano, ironizzando sulle scarpe e lo smalto ai piedi di Giulia, e chiedendogli come avesse fatto a convincerla.
Fu Giulia a risponderle. “Gli ho già detto che gli avrei fatto guidare la mia moto in ogni caso, ma così non ho scampo… mi ha messo lo smalto su una panchina, dopo aver comprato le scarpe. Cos’è che hai consigliato a quel poveraccio che ha provato a rimorchiarci durante la pedicure?” Rise, prendendogli la mano prima di continuare. “Non avrei mai pensato che questo fighetto potesse tirar fuori tante bestialità, in un romanaccio pesante poi. Quei viscidoni restavano scioccati!”
Sebastiano sorrise. “Ho avuto un ottimo maestro. E sono portato per le lingue.”
Lorenzo ricambiò il sorriso, perché era l’unico a poter cogliere l’allusione. Alzò il proprio calice per brindare. “Ai sublimi cattivi maestri e agli inestimabili doni che ci hanno lasciato.” Diede alcune sorsi di prosecco prima di riprendere a parlare, mantenendo un’espressione serena. “Certo, è un momento importante. Credevo non saremmo mai arrivati a parlare di Adriano in questa maniera… ridendo tra amici. Penso che l’avrebbe gradito.”
Sebastiano si alzò per entrare nel locale. “Soprattutto se adesso facessimo un altro brindisi. Fatevi offrire qualcosa di adatto alla commemorazione. Grazie, Lorenzo.”
Lorenzo concluse con un tono scherzoso. “Grazie a te mio caro, anche per lo champagne.”

“È singolare vedervi così… siete incantevoli e lei sembra essere esplosa… un albero in aprile… il più crudele dei mesi. Come fosse un’altra persona. Quali intenzioni hai con lei?”
Lorenzo aveva proposto a Sebastiano una camminata per smaltire l’ubriachezza prima di guidare, erano seduti sul parapetto del Lungotevere, vicino al ristorante dove gli altri stavano aspettando il caffè.
“Nessuna. Non capisco la domanda… non ho nessuna intenzione nei confronti di Giulia, come potrei? Lei va e viene come le pare. Stiamo bene insieme, adesso parla anche della madre. Domani partiamo per la Normandia, poi vuole portarmi a Berlino. Poi fine. È lei a decidere, e ancora non sa dove vuole stare. Perché lo chiedi a me? Io faccio solo quello che mi viene di fare, senza tante pippe. Ho smesso di farmele, grazie a un consiglio prezioso. Sto bene, stiamo tutti abbastanza bene. Cos’altro dovrei desiderare?”
Lorenzo sospirò, aspirando la sua sigaretta. “Non ti spiace separartene?”
“Neanche ci penso, non sapevo che saremmo stati insieme. E fino a ieri neanche che avremmo fatto questo viaggio. Se proprio devo pensare, voglio pensare a questo. A quello che il caos mi regala ogni volta.” Sebastiano era seduto, lasciando scendere un polpaccio dal lato del Tevere, incurante dell’altezza; stava fumando con lo sguardo rivolto verso l’acqua che rifletteva la luce dei lampioni.
Lorenzo non trovava il modo per aggirare la sua diga di indifferenza, senza capire fino a che punto fosse autentica, confuso anche dalla sua serenità. Lo trovava esageratamente bello, come sempre, e conservava l’impressione che su di lui il tempo non avesse lasciato segni. “Ti infastidisce parlarne con me?”
“Non fare il coglione. Lorenzo caro, credimi, non mi infastidisce parlare di niente con te. Su questo argomento non ho niente da dire. Anche Amedeo oggi pomeriggio era nervosetto mentre noi giocavamo mezzi nudi sul divano. Ma non capisco questa agitazione. Io sono completamente fuori dai giochi. Lei lo sa anzi, Giulia mi ha accettato solo per questo. Accettato fisicamente. E non le sembra vero di aver trovato qualcuno con cui poter vivere il suo corpo e la sua bellezza non come una condanna. Io me ne nutro e poi, in qualche modo gliela restituisco. Sta avendo storie anonime con delle tipe. Se una delle tipe dovesse diventare meno anonima spero solo che non si ingelosisca. In quel caso mi arroccherei in una posizione più convenzionale. Per ora non vedo motivi per non lasciarci vivere così come viene. Accetta i miei regali, sta bene e io mi diverto tantissimo a giocare con lei.”
Lorenzo scese dal parapetto con una strana espressione sul viso. Sebastiano gli chiese a cosa stava pensando, e prima di rispondergli lui accennò un segno negativo con la testa.
“Non so bene come dar forma a questo pensiero… Giulia non ha mai avuto una vera relazione, e dubito che in questo momento riesca ad iniziarne una. È molto presa da te. D’altra parte tu hai ragione, perché lei sa di essere libera, ed entrambi dovreste avere il pieno diritto di lasciarvi vivere spontaneamente.”

“Giulia cara, dobbiamo alzarci.”
Sebastiano le stava accarezzando la testa, affondata tra un lato del suo viso e il cuscino, cercando ancora un po’ di buio.
Giulia lo strinse debolmente, ma abbastanza per fargli capire di essere sveglia. “Non vorrei alzarmi… non vorrei partire… non vorrei fare niente di niente.”
La sua voce arrivò a Sebastiano con un sussurro tiepido sul collo, ancora morbida di sonno. Le rispose con dolcezza, continuando a sfiorarti i capelli.
“Possiamo anche non partire. Per me non è importante, ci tornerò da solo. Non sei obbligata a fare questo viaggio. Non sei obbligata a fare nulla. Restiamo qui.”
Giulia sentì il corpo di Sebastiano perdere la tensione che precedeva il movimento, e lo strinse più forte respirando profondamente. Il profumo che usava le piaceva, non dimenticava mai che era un regalo fatto da Ludger. “Vorrei farlo, il viaggio… non vorrei farlo iniziare perchè non vorrei che finisse. Ancora non so com’è, e già vorrei che non finisse. Perché non possiamo fermare tutto… sono così stanca.”
Lui si sollevò appoggiandosi su un gomito, mentre gli occhi di Giulia si contraevano facendo uscire delle lacrime. Prese a carezzarle il viso caldo, lo zigomo alto, l’orecchio piccolo e completamente sgombro: gli piaceva che non avesse mai forato le orecchie, e che e non indossasse gioielli a parte l’anello che le aveva regalato, perché l’assenza di ornamenti rendeva le sue linee nette e pulite.
“Tutto scorre, anche se ti ostini a restare immobile. Me lo diceva uno dei miei uomini, non molto tempo fa. A me non piaceva. È vero, e brutale.”
La stretta delle braccia di Giulia si fece più forte, riportandolo verso di sé; e lui non fece resistenza: gli piaceva sentire quel corpo aderire al proprio, ed era contento di quei contatti perché credeva rappresentassero il crollo di un’ennesima barriera. Non percepiva differenze tra gli abbracci di Giulia e quelli di Amedeo, e tornò a farle scorrere le dita fra i capelli restando in attesa. Sebastiano aveva perso molti aerei negli ultimi anni, e non si preoccupò di quello che avrebbero dovuto prendere.
“Sebastiano, vorrei che tu… non te ne andassi mai. Penso spesso alla tua morte… penso sempre alla morte, ma è un’altra storia. Quella di cui parlo è la tua… sei tu, tu e soltanto tu. La tua morte è inconcepibile e non la voglio vedere… non la voglio vivere.”
Lui rise: una reazione fisica, un riflesso nervoso con un tempo di reazione quasi immediato. Le sue parole lo avevano colpito in modo violento, perché nessuno aveva mai manifestato di tenere a lui usando una formula di quel genere, impressionantemente simile ai circuiti dei propri pensieri.
Giulia spalancò gli occhi rossi di pianto, cercando di allontanarlo per potergli guardare il viso, ma in quel momento fu lui a stringerla. Restò abbandonata tra le sue braccia, senza capire il momento. “Perché… ridi?”
“Perché mi hai pugnalato il petto così, appena sveglio. Una bella mattina di sole, piena estate, e tu mi uccidi. Io ti adoro.”
Sebastiano si tirò a sedere asciugandosi gli occhi bagnati per le risate, e lei osservò sorridendo la sua figura bianca e nera sullo sfondo dell’acquario, inondato dalla luce.
“Quanto sei matto?”
“Quanto sei bella?”
“Andiamo a fare colazione, poi ci metteremo in viaggio. Buongiorno Sebastiano.”

Giulia stava camminando sulla distesa di sabbia che sfumava con il cielo all’orizzonte: era bagnata e molle con una consistenza che Sebastiano aveva definito argillosa, che lei non poteva riconoscere perché non aveva mai maneggiato l’argilla. L’acqua ristagnava in pozzanghere poco profonde riflettendo il cielo, e loro si muovevano senza meta, mantenendosi poco distanti. Sebastiano portava uno zaino capiente nel quale avevano ammassato scarpe e vestiti; a entrambi sembrava un deserto bagnato, impressione alimentata dalla mancanza di altre persone. Lui indossava soltanto con i pantaloni arrotolati sui polpacci, mentre Giulia portava un vestito che le aveva regalato da poco, caratterizzato da un complicato gioco di lacci, annodati per mantenere torace e gambe nudi. Sebastiano la guardò muoversi controluce, scavare con i piedi nella sabbia, e girarsi intorno per poi fermarsi spesso ad osservare lui o sul monte. Era incantata dall’abbazia di Mont-Saint-Michel che avrebbero visitato in seguito, per rendere omaggio al permaloso santo guerriero dal quale prendeva il nome. Lui era felice di averla lasciata libera di muoversi senza zavorra, e sorrideva fotografandola spesso; aveva tanto desiderato vedere la sua silhouette in quello scenario, e la sua nudità era un ennesimo regalo inatteso. Avevano tempo, la marea sarebbe arrivata dopo parecchie ore.
Lo sguardo di Giulia cambiava spesso direzione, tutto ciò che la circondava era di una bellezza straordinaria e nessun dettaglio riusciva a catalizzare a lungo la sua attenzione. Sorrideva ogni volta che si rivolgeva a lui. “Stiamo camminando sul fondo del mare, è stupendo pensarlo. Quando saremo là sopra, riusciremo a ritrovare il punto in cui siamo adesso… quando sarà sott’acqua?”
Le sorrise abbassando la sua reflex, e rispose di non averne idea, ma che potevano provare.
“Smetti di fotografarmi e vieni vicino a me?” Gli prese la mano e la baciò. “Questo posto mi sembra assurdo al punto che mi viene da pensare che non può essere reale, anche mentre sento questa poltiglia sotto i piedi. Mi viene da pensare al tuo non parlare delle onde per non dire banalità… qualsiasi cosa io possa dire sulla bellezza che ci circonda sarebbe miserabile. Poi, mi viene da chiedermi come possa essere legale stare qui a pascolare, come sia possibile che ce lo permettano… con le maree che arrivano e spazzano via tutto… lo so, lo so che gli orari si conoscono, però mi sembra tutto impossibile. Come se fossimo finiti dentro un sogno. Questo posto, per certi versi, è come te. Mi stordisce, mi confonde, ma è irrinunciabile. Grazie per avermici portata.”
Sebastiano si domandò il perché lo avesse baciato sulla mano; chiuse gli occhi fermandosi di fronte a lei, e la baciò. Le labbra si sfiorarono per pochi secondi e Sebastiano restò fermo un istante respirando profondamente l’odore del mare, come se volesse riempire i polmoni di quel momento. Tornato al suo fianco riprese a camminare. “Grazie a te per essere venuta qui con me. È uno dei miei luoghi preferiti. Averti qui, sapere che vedremo arrivare la marea, è sublime. Ti sto lontano perché vederti pascolare su questo suolo precario, svestita come una dea, è un’immagine che mi inebria. A diversi livelli. Quasi una pera estetica.”
Lei rise per il finale, lo abbracciò per poi restargli davanti, riflessa sulle sue lenti scure. “Quanto tempo è che non prendi i tuoi pilloloni?”
Non c’era nessuna traccia di accusa nella domanda, e Sebastiano aspettò alcuni secondi prima di rispondere, gustandosi il primo contatto con i seni nudi premuti contro il proprio torace; aveva immaginato quella solidità da come la loro forma semisferica sembrava non reagire alla forza di gravità, se non spostandosi appena. Si perse sul suo viso minuto e delicato, ma scolpito con decisione nei confini verso il cranio; gli occhi grandi, in quella luce, erano di un grigio freddo e quasi luminoso al punto da sembrargli poco realistici, come succedeva con quelli di Amedeo in acqua: sfere di vetro trasparente. Lei stava aspettando una risposta.
“Non capisco perché me lo chiedi. Ora. E neanche lo ricordo con esattezza. Abbiamo smesso insieme, dopo la morte di Laura. Non ricordi? Non li volevi più.”
Continuava a tenerlo stretto per la vita, con le braccia infilate sotto lo zaino che lui portava sulla schiena; gli aveva proposto alcune volte di dargli il cambio, ma inutilmente.
“E da solo non li hai più presi, anche se non riesci a dormire?”
Sebastiano era completamente privo di espressione, e a Giulia non piaceva riflettersi sulle sue lenti: avrebbe voluto vedere i suoi occhi, perché non riusciva a rassegnarsi alla frequente impossibilità di poter avere l’impressione di riuscire a capirlo. Lui scosse leggermente il capo in segno negativo e nient’altro.
“Sebastiano a cosa pensi?”
“Adesso a Ludger, che era tanto preoccupato che diventassi dipendente dai suoi sedativi. Sono stati utili, ma non una soluzione. Adesso preferisco dedicarmi a qualcosa, la notte. La solitudine non mi pesa. Con loro a fianco, con te che vai e vieni. Sto bene. L’eroina è un’altra cosa. L’ultima volta che l’ho provata non è andata per niente bene. Ci sono persone che si fanno ogni tanto… Mi sarebbe piaciuto ed ho provato. Ma l’esperimento è andato male, e ormai non posso più permettermi esperimenti che vanno male. Per loro, per te. Forse una volta in una situazione controllata, con Lorenzo pronto a prendermi di peso se le cose dovessero andare storte. Probabilmente non vede l’ora di passare una serata a vedermi sospeso fra la vita e la morte. Temo non sia un’attività per la quale possa aspirare a chiedere la compagnia dei miei amici.”
Si strinse a lui appoggiandogli la testa sulla spalla, e restò in silenzio rivolta verso quella distesa che non poteva essere né acqua né terra che a tratti rifletteva il cielo. La loro pelle stava iniziando a bagnarsi di sudore, nei punti in cui aderiva. Sebastiano si chiese fiaccamente se non sarebbe stato meglio censurarsi, ma gli piaceva parlare e pensare liberamente e non non avrebbe avuto senso rinunciarci.
La voce di Giulia gli arrivò priva di intonazioni. “Chiama me, fai in modo che abbia il tempo di arrivare. Quando vuoi farlo, io ci sto. Se è per una volta. Se ti piace così tanto. Scusami se ti sto facendo sudare, devo avere una sindrome da marsupiale.”
Lui rispose all’abbraccio, appoggiando un lato del suo viso sulla testa di Giulia, calda per il sole. “A volte parli come me. A volte dici cose che non mi ha mai detto nessuno. A volte, Giulia, anche tu sei impossibile. Grazie, me lo ricorderò. Per me possiamo anche farci venire un eritema. E aspettare qui, che quell’onda che corre come cavalli al galoppo, ci travolga.”
Giulia sorrise stringendolo più forte. Ricordò una delle loro prime corse in moto, quando aveva canticchiato un pezzo degli Smiths che esprimeva un concetto simile. Il fatto che fosse stato Sebastiano ad esprimere quell’idea, le diede l’impressione che alcune delle loro stranezze fossero perfettamente allineate in quel preciso momento. Lei non aveva niente a cui tornare fuori dai confini di quell’abbraccio, ma per Sebastiano non era lo stesso. “Magari la prossima volta.”

“Ci hai portato anche Amedeo qui?”
“No. Verrà qui con Ludger. Alcuni luoghi sono molto forti, e voglio lasciargli la possibilità di viverseli insieme. Amedeo assorbe gli ambienti fino a rifletterli. Alcune esperienze penso sia meglio lasciargliele vivere integralmente. Ogni persona può essere un dono o una condanna… io con loro cerco sempre di restare dal lato giusto. Li amo profondamente, lo sai. Ma loro sono amanti, devo lasciarli liberi di amarsi anche in scenari come questo. Penso al racconto che mi ha fatto di alcuni baci. Sotto il muro di Berlino, al concerto dei Radiohead. Emozionante anche solo a sentirglielo raccontare. Se ci fossi stato io sarebbero durati pochi secondi. E non sarebbe stato giusto.”
Erano ancora seduti sul muretto da cui avevano visto arrivare la marea; lei aveva scelto la posizione, facendo sedere Sebastiano verso l’orizzonte a cavallo di un muro basso e spesso, prima di sedersi tra le sue gambe divaricate. Giulia si era portata le sue braccia davanti, incrociandole come le maniche di una felpa appoggiata sulle spalle. Restarono in silenzio mentre l’acqua avanzava. Giulia pianse, pensando a Laura che non avrebbe mai visitato quella piccola cittadella di pietra destinata a diventare ciclicamente un’isola, né guardare l’avanzare della marea che la separava dalla terra. Quell’unica onda le sembrò contenere tutto il potenziale delle onde viste altrove. Entrambi, in modo diverso, pensarono al tempo e al momento che stavano condividendo. Sebastiano immaginò di essere su un’imbarcazione, con il movimento del mare che equivaleva al tempo. 
Ripresero a parlare soltanto quando l’acqua riconquistò stabilmente il suo spazio. Sebastiano continuava a cingerle le spalle delicatamente, assaporando ogni contatto: era felice di non avvertire tensione in quel corpo, che aveva preso a cercare il suo in continuazione. Pensava che Giulia avesse trovato una  maniera per entrare nel suo universo affettivo.

“A te piace sempre parlare di qualsiasi cosa con me?”
Giulia aveva esordito dopo un lungo silenzio; erano seduti davanti a due calici, che avevano deciso di consumare aspettando l’ora di cena.
“Non è evidente? Non credo saremmo qui adesso, se non fosse così.”
“Ci sono una serie di cose che mi chiedo sulla tua sessualità. Io conosco poco tutto quello che ha a che fare con la sfera maschile, e ogni tanto ti chiedo qualcosa. Ma tanto, anche se la conoscessi non penso che farebbe molta differenza. Perché è ovvio che non sei uomo normale.. vorrei provare a capirti, anche se sei talmente diverso da me… però andiamo avanti soltanto se anche parlarne non ti sembra una seccatura evitabile. È così che definisci il sesso no?”
Sebastiano restò immobile, mentre lei aspettava la sua risposta sorseggiando il vino.
“Ricordo di averti sentita autodefinire una bestiaccia affamata riguardo al sesso. Quando è iniziata quest’ultima fase della mia vita mi divertiva parlare di queste cose. Adesso non mi interessano più, ma va bene. Prendiamola come un gioco, a patto che sia alla pari e senza censure o ipocrisie. Com’è sempre fra noi. Così potrebbe non diventare una seccatura.”
“Tu sei impotente?” Giulia sparò la domanda appena lui aveva esaurito la premessa.
“No, potrebbe somigliare a una soluzione allettante. Però no.”
Si sporse appena sul tavolo per avvicinarsi a lui. “L’ultima volta è stato con quel ragazzo a New York? È andato tutto liscio?”
Sebastiano rise, poi si scusò e riprese a parlare. “Dipende, forse sì. Lui era bellissimo e molto disinvolto. Mi ha fatto fare un buon ripasso di una serie di combinazioni possibili. Funzionavano tutte, ma poi ho iniziato a vomitare e non sono più riuscito a smettere. Avevo bevuto molto e mangiato niente. Poco furbo da parte mia farlo prima di quel balletto. Ma mi è sembrato abbastanza significativo che sia andata a finire così.”
Giulia continuò a guardargli il viso: Sebastiano era una bambola indecifrabile, anche senza gli occhiali scuri. Gli prese le mani sul tavolo.
“Ma il passaggio. Dopo Adriano sei stato sempre solo… fino ad aver incontrato Amedeo e Aline?”
Lo vide annuire. Le aveva già detto che quel periodo era stato uno dei più pesanti della sua vita, quando si era strappato violentemente da tutto, senza concedersi consolazioni. Lei riprese l’interrogatorio, passando al punto successivo.
“Amedeo, ti è sempre piaciuto molto… all’inizio, quando lo hai conosciuto, non sei mai stato attratto da lui?”
Sebastiano sorrise, abbassando lo sguardo sulle loro mani intrecciate. “Tu studi queste cose, sicuramente conosci la dinamica che ti spinge a fare l’opposto di ciò che può essere utile a quello che vorresti ottenere. Ho provocato Amedeo, quando ancora il vetro mi sembrava una gabbia soffocante, desiderando che non reagisse e sperando lo facesse. Non lo ha fatto. Se avesse risposto a quel bacio forse non lo avrei lasciato in quella piazza sotto la pioggia, come avevo minacciato di fare. Forse. Ma è stato meglio così… quanto l’ho amato in quel momento potrebbe riempire una vita. Quella faccia da bambino venuto da un’altro mondo, quegli occhi limpidi e le labbra sporche del mio rossetto. Mi commuovo ancora se ci penso.”
Sebastiano aveva gli occhi lucidi, ma sorrideva; lasciò le mani di Giulia per prendere una sigaretta che le porse appena accesa, prima di accenderne un’altra.
“Portavi il rossetto. Quando hai smesso di farlo?”
“Avevo già smesso, avevo smesso con tutto. Quella sera era stato un gioco. Se vuoi posso mettermelo ancora. Mi presti il tuo.”
Giulia sorrise perché non ne aveva mai avuto uno. “Mi piacerebbe vederti con il rossetto.”
“Giulia cara, anche a me piacerebbe vederti con il rossetto, ma di un colore diverso. Ci compreremo altri trucchi, mi piacerebbe da pazzi truccarti. Ma solo soltanto se mi assicuri che non ti faccia sentire snaturata.”
“Con te, Sebastiano caro, ogni mia struttura può sgretolarsi come se fosse di sabbia. Per questo, anche per questo, mi piace stare con te. Con Aline? Anche con lei hai giocato?”
“Si parla sempre di sesso, giusto? Sì, con lei però ho fatto una cazzata irreversibile. Somigliava tanto a Luca, anche per il suo corpo da adolescente asessuato. Eravamo fatti, e lei ha reagito. Lei è stata la persona più vicina alla morte che abbia conosciuto. Dalla prima volta che ci siamo incontrati, su un set, parlava con partecipazione solo della sua attrazione per la morte. Probabilmente è per questo che ha bucato la mia indifferenza. Queste premesse suonano come una giustificazione, però costituiscono la struttura su cui ha attecchito il resto, tutto il resto, fino alla fine. In poco tempo ho stabilito la mia base a Parigi a casa sua. Una sera sono tornato in piene paturnie, l’ho trovata che si stava preparando il suo cocktail tossico, ancora con i vestiti da uomo che aveva indossato per una festa a cui non ero voluto andare. Mi ha offerto di unirmi a lei, e quei veleni hanno amplificato la mia inquietudine invece di sedarla. Sono un vigliacco, perché ancora cerco di giustificarmi aggrappandomi alla cornice. Come lei mi rifugio sulla crosta sottile delle cose, tornando indietro. Era bella, era tanto bella, somigliava a Luca ma non aveva la sua innocenza. Una versione delirante di Luca restituita dal caos, ma non era lui, e questo purtroppo non l’ho dimenticato neanche per un istante. Parlava di morte mentre le scioglievo il nodo della cravatta. Di come tutto si perde. Ma era lì. Eravamo lì. La spogliavo e contemporaneamente non avrei mai voluto varcare quel confine. Lei mi aveva sempre desiderato e io ho fatto il contrario di quello che avrei voluto, forse anche solo per mettermi alla prova. L’ho chiamata con quel nome non suo, in una lingua che non conosceva, e le ho detto di baciarmi. Non siamo arrivati fino in fondo, forse non ci siamo riusciti perché eravamo troppo fatti. O forse perché non sono riuscito a usarla per il mio giochino stronzo fino in fondo. Se non ci fosse stata quella sera le cose fra noi sarebbero potute andate in modo diverso. Perché era lì che Aline voleva tornare. Voleva tornarci e non uscirne più. Me lo ha detto tante volte, non posso avere dubbi.”
Giulia si alzò e girò intorno al tavolo fino a raggiungerlo, per sedersi sulle sue gambe. Lo abbracciò, dopo avergli asciugato le lacrime che aveva visto scendere oltre il confine degli occhiali.
Usò una voce ferma. “Sebastiano abbracciami, torna qui.” Lo strinse baciandolo vicino all’orecchio, sussurrandogli dolcemente. “ Non è stata colpa tua. Io ne sono sicura. Tu l’hai trovata che era già su quella strada, e sarebbe arrivata allo stesso epilogo anche con un uomo diverso al suo fianco. Ci sarebbe arrivata anche da sola, e probabilmente sarebbe stato molto più triste per lei.”
Sebastiano rispose finalmente all’abbraccio, riprendendo a parlare senza intonazioni nella voce. “Il desiderio è una corrente circolare, parte, si riflette, si amplifica e torna indietro. Aline mi desiderava e Amedeo no. Ci sono tantissimi livelli e non è corretto semplificare così, ma sono felice che sia stato lui a rimanere. Per me sarebbe meglio non contenere pensieri come questo. Voglio stare fuori da queste cose.”
Giulia pensò che sarebbe stato inutile ribadire che non doveva prendersi tutta la responsabilità. Poteva allontanarlo dal suo nodo soltanto continuando a navigare in quel flusso. “Io sono convinta che tu non abbia nessuna colpa, con qualcun altro avrebbe avuto una storia con molto più sesso, ma il finale non sarebbe cambiato. Lei ti ha scelto come tu hai scelto lei. Non mi sembra giusto che adesso credi di essere stato l’unico a poter causare gli eventi.”
“Il dolore non smette mai di scorrere. A volte trova delle strozzature in cui si condensa, ma non cambia niente. Tendo ad accanirmi contro il desiderio perché facendolo fuori, mi sembra di aver estirpato una fonte di dolore inesauribile.”
Si separò da lui, per dargli il tempo di soffiarsi il naso e asciugarsi il viso, guardandosi intorno senza spostarsi dalle sue gambe. Pensò a quanto fossero separati dalle altre persone che continuavano a camminare, su quel belvedere di una delle località più turistiche della Francia: Sebastiano riusciva a costruire contatti tanto coinvolgenti da darle l’impressione di trovarsi in una realtà parallela. Credeva di aver imparato a scivolare dall’altra parte del vetro per raggiungerlo, ma le bastò guardare le sue labbra, e chiuderle dentro una cornice blindata di attenzione per allontanare quella sensazione. Tornò sulla sedia, rivolgendo il viso verso il mare. “Adriano non ti desiderava?”
A Sebastiano piaceva che i propri fantasmi, perennemente presenti, riuscissero a vivere anche nei pensieri delle persone che non li avevano conosciuti. Pensò a Ludger, e a come la sua ragazza morta non venisse nominata spesso, senza essere assolutamente dimenticata; la sua presenza era stata assorbita soprattutto da Amedeo, al punto da fargli esporre sul tavolo dello studio una polaroid, rimasta nel suo portafogli per molto tempo. “Ho conosciuto Adriano in un momento tremendo, te l’ho raccontato. Adriano era una persona straordinaria, in lui convivevano opposti potenti. Quella notte gli ho fatto pena, e si è creata una situazione che ha bloccato la sua perenne fame di sesso. Interrotto il circuito, neutralizzata quella corrente, abbiamo trovato uno spazio alieno in cui poterci incontrare. Lui ne aveva bisogno come me. Qualche approccio c’è stato, era inevitabile, ma finivamo sempre a ridere e giocare. Anche se ci siamo visti scopare con le moltitudini ci siamo sostenuti in qualsiasi modo possibile, in quel tempo così violento, disperato. Non smetterà mai di mancarmi. So che puoi capirmi. Ma il tema della serata, non del tutto adatto a uno dei posti più romantici del mondo, era il sesso. Ti parlavo del desiderio come di una corrente circolare. Io funzionavo così. Una delle mie opere d’arte preferite esprime, in modo esploso, questo concetto molto bene. E si chiama Grande vetro, ironico no? È di Duchamp, forse il mio cervello preferito di sempre. Se vuoi te ne parlerò, ma non adesso. Tu ti cibi di concetti crudi, non ti servono le allegorie. Adriano era una puttana, non ho mai avuto una grande attrazione per le puttane, forse proprio perché possono simulare il desiderio per alimentarlo. Rompendo il mio circuito circolare. Ho fatto poche eccezioni, distruttive. Hai freddo? Hai fame?”
Lei rise di gusto. “Entrambe le cose, ma vorrei che non smettessi mai di parlare.”
“Troviamo un ristorante e riprendiamo. Abbiamo ancora alcuni giorni, cerchiamo di mantenerci interi. Stasera ho voglia di prendermi una poderosa sbronza, ci stai?”

Quando tornavano a contatto con quello che li circondava, Giulia trovava il mondo stranamente ospitale, al punto da darle l’impressione di trovarsi in una realtà parallela. Non capiva il francese, ma dal tono e dai sorrisi che ogni persona rivolgeva ad entrambi, le era evidente che ispirassero tenerezza, simpatia e ammirazione. Sebastiano parlava come emettendo musica dalle labbra, con la sua voce bassa che articolava i suoni melodiosi di quella lingua, animando il viso mentre rispondeva ai sorrisi: recitava. Ludger gli aveva insegnato ‘la gentilezza gratuita’ con gli sconosciuti, ma per lui praticarla equivaleva a un balletto vagamente rococò. Venivano scambiati per una giovane coppia in vacanza, e il ristoratore arrivò a chiedergli se fossero in viaggio di nozze.
“E tu cos’hai risposto?”
“Ho risposto in un certo senso, che il sesso sia solo parlato non credo faccia molta differenza.  Soprattutto se ci fa ottenere un tavolo come questo. Sei stupenda stasera. Non sai quanto mi fai felice indossando i vestiti che ti regalo. Da dove vuoi riprendere?”
Poggiò i gomiti sul tavolo per sporgersi verso di lui, con le mani distese ai lati del viso. “Tante, troppe idee. Allora, vediamo. La tua sessualità, ora, quindi esiste ancora in qualche modo. Non capisco in che modo.”
Il viso di Sebastiano tornò di porcellana: non distolse lo sguardo malgrado risultasse evidente che non stava più recitando. “In un modo molto nascosto. Sepolto. Quando tutte le porte si chiudono. Avrai notato che non chiudo mai del tutto neanche la porta del bagno. A volte chiudo tutto. Abbastanza spesso da non avere polluzioni notturne. Una volta mi hai chiesto come funzionano le erezioni notturne. L’attività onirica può essere influenzata da un bisogno fisiologico che non è controllabile. Cerco di non arrivare mai ad avere le mestruazioni, perché svegliarsi nel letto inzuppato è davvero spiacevole. Sarai d’accordo.”
Si fermò mentre un cameriere presentava la bottiglia che aveva ordinato; riprese il balletto, assaggiò il vino, e sorrise.
Giulia aspettò che fossero di nuovo soli. “A cosa pensi, quando chiudi tutte le porte?”
Le lanciò uno sguardo obliquo, divertito. “Poi però mi vendico.”
Lei rise, prendendogli la mano sul tavolo mentre si sporgeva verso di lui. “Puoi ritenerti formalmente autorizzato. Dai, sono curiosa.”
“Cose che non esistono, che non possono esistere. Certe volte simili a qualcosa che ho provato in un passato lontano, ma è come se fosse stato vissuto da un’altra persona. Potrebbero essere immagini viste in un film. Luca. Non penso di essere un pedofilo perché avevamo la stessa età. Probabilmente torno lì perché è così lontano da essere un contesto sicuro. Non esiste più dal secolo scorso. Poi. Particolari di corpi, più che dettagli quasi ritagli senza contesto. Costrizioni. Limiti. Mai a persone o cose reali. È come una discesa in un pantano tutto mio, ormai quasi astratto. E tu? A cosa pensi.”
Le costrizioni e i limiti le accesero ulteriori curiosità, che sperava di aver modo di poter soddisfare in seguito. Pensò che bere potesse essere d’aiuto, e diede diverse sorsate al proprio calice. “La maggior parte delle volte alle ragazze che ho avuto, o a quelle che avrei voluto avere. Non ci metto i nomi perché li conosci. Sono banale, lo so. Per niente astratta.”
Pensava di aver esaurito l’argomento, ma lui non le diede tempo di riprendere fiato.
“Quali sono le parti del corpo femminile che ti piacciono di più, e quali contesti?”
Pensò a un elenco da snocciolare con piglio quasi scientifico, ma si sentì comunque arrossire; finì il bicchiere minacciando vendetta, e lui rise invitandola a riprendere.
“La parte di pelle all’interno della coscia che porta all’inguine, solo se depilata. I seni ma non troppo grandi. Anzi, piccoli, quelli di Elisa sono la perfezione. E poi l’orgasmo, una donna che perde completamente il controllo per un orgasmo. Cosa intendi per costrizioni e limiti?”
“Dettagli che non includono nessun tipo di sofferenza. Anzi, limitano la possibilità di raccogliere piacere, amplificandola. Arti bloccati con la muscolatura tesa. Erezioni contenute in pantaloni aderenti.” Sebastiano sorrise perché, malgrado l’inespressività di Giulia, era certo che quell’elenco si fosse completamente scollato da un sentiero condivisibile. “Piedi in scarpe belle e scomode che piegano l’arco fino al limite. Non da ballerina, o scarpe punitive che esteticamente sono agghiaccianti. Corsetti che stringono la vita e sollevano i seni. I segni delle cuciture sulla pelle. Cose così. Il mio immaginario produce feticci molto distanti dal tuo. Però sono d’accordo con le donne che perdono completamente il controllo durante l’orgasmo. Non sono immagini che uso, ma alcune hanno qualcosa di davvero primordiale, travolgente.”
Lei scosse la testa ridendo, continuando a pensare che fosse una pazzia portare avanti quella conversazione, in quel contesto: circondati dalle candele accese, dai fiori, e dai sorrisi destinati a una coppietta durante una serata romantica.
“Alcune cose non le conosco o non le capisco… come le scarpe punitive. Puoi farmi dei disegnetti?”
“Meglio di no.”
Giulia disse che si stava divertendo, e lui ne fu felice. L’arrivo dei piatti li mise sospese momentaneamente la conversazione, perché avevano saltato il pranzo ed erano affamati.
“Peccato tu non abbia voluto assaggiare le ostriche, sarebbero state decisamente appropriate.”
“Quindi potrei entrare in bagno quando lasci la porta accostata?”
Sebastiano alzò leggermente un sopracciglio. “Se ti va. Non terrò le mutande per fare la doccia. I miei amici sono sempre entrati e usciti dal bagno mentre mi lavo. Con Amedeo facciamo dibattiti interessantissimi. Per altre cose chiudo la porta.”
Giulia pensò che fosse una giornata perfetta: adorava parlare con lui, soprattutto per quel suo modo di gestire ogni argomento con lo stesso registro. “Ti posso fare un’altra domanda? Quando eri ancora umano qual era il genere che preferivi… e con gli uomini quale ruolo?”
La parola ‘umano’ non gli piacque, ma decise di non dargli peso. Si asciugò le labbra, diede un altro sorso di vino e rispose. “Non avevo generi preferiti, mi sono accoppiato anche con creature che non appartenevano a entrambi. Ed erano persone straordinariamente affascinanti. A me piacciono le armonie che attraversano i corpi, come se fossero brani musicali. Alcune tipologie potevano piacermi più di altre, ma non ero così selettivo. Ho sempre amato le contaminazioni. Anche con gli uomini non riesco a fissare un ruolo preferito. I ruoli sono noiosi. Forse potremmo prenderla da un altro lato. Statisticamente, quando ero con un uomo, la maggior parte delle volte avevo un ruolo attivo. Ma su un dettaglio sono costretto a correggerti. Potevo essere disumano. Non sono solo io a pensarlo, e non mi piace ricordarlo. Una tipetta interessante sosteneva che solo chi ha fatto tantissimo sesso può diventarne completamente indifferente. Come antidoto preferisco pensare a una domanda che mi hai fatto poco fa, ‘quando eri ancora umano’. La definizione non mi piace, ma apprezzo che calchi il cambiamento. Dimostra che possiamo davvero piegare il destino con una dose sufficiente di volontà. Come diceva quel vecchietto oppiomane tanto simpatico.”

Arrivarono in albergo ubriachi, e risero mentre si appoggiavano alle pareti dei corridoi per mantenere l’equilibrio. In camera Sebastiano scaraventò a terra il copriletto e Giulia andò velocemente in bagno. Si lasciarono cadere sul letto vestiti, perché qualsiasi sforzo ulteriore sarebbe stato inaffrontabile.
“Domani mattina Berlino, che bello che vieni lì.”
“Se mi avessi invitato sarei venuto anche prima. Pensi… hai idea se resterai a vivere lì?”
Solo una lampada da lettura era accesa, e bruciava il profilo dolce di Giulia. Le valigie che non avevano mai aperto restavano sullo sfondo neutro sfumato nel buio; Sebastiano pensò che avrebbero potuto trovarsi in qualsiasi parte del mondo. Lei era sdraiata sul dorso sorridendo al vuoto, e le sue labbra avevano un disegno pieno. Sebastiano guardandola non aspettava più una possibile risposta.
“Non lo so. Sto preparando due esami per settembre. Forse torno il venti agosto per una cosa, ma solo se mi inviti. Mi sto allenando in una specie di stanzone, dove gli amici che ho lì provano i loro spettacolini… da sola però è molto limitante. Tutto il palazzo è occupato. A volte me ne vado sui tetti pur di non incontrare nessuno. Non mi sembra di avere un posto dove tornare. Non mi sembra di avere nessun posto dove stare. Forse dovrei affittare anche l’ultima stanza a casa di mia madre, non voglio tornare lì per nessun motivo. A volte mi manchi da impazzire, ma non voglio diventare dipendente da te, da niente e da nessuno. Mi gira la testa. Dove starai in questi giorni? Il mio letto è in una stanza di un ragazzo che vive stabilmente lì, non sta quasi mai in stanza, ma sarebbe sua. È un divano letto singolo, mezzo sfondato. Sai… le cose di recupero.”
Sebastiano rise, immaginandola avvolta in un vestito di seta su quel letto.
“Perché ridi?”
“Ci sono le cimici?”
Giulia si tirò sui gomiti, in controluce, e lui riprese subito a parlare.
“In un passato non troppo remoto ho dormito in posti di ogni tipo. Possono capitare anche le piattole, se ti scambi i sacchi a pelo. Andrò in albergo, mi sono imborghesito. Spero di non metterti in imbarazzo con la tua crew. Per non correre rischi ricordiamoci di comprare il rossetto.”
Gli sorrise lasciandosi cadere vicina, appoggiando la testa sul suo torace ma lui si scivolò via, perché voleva continuare a guardarla.
“Anche oggi, sulle sabbia era così. Io ti volevo vicino, e tu mi volevi lontana per potermi vedere.”
“Ti invito ad agosto, però dove? Davvero non mi ricordo… Amedeo ha il calendario di tutti i nostri spostamenti, io fisso nella memoria solo le date di partenza e di ritorno. Già così mi fa fatica, mi viene la nausea a pensarci adesso.”
“Saranno le ostriche, verrò ad agosto. A Berlino andiamo a dormire dove vuoi.”
Sebastiano prese un tono più deciso. “Scegli tu cosa farmi vedere. Anche se devo recitare, a me non importa. Voglio solo stare con te.”
Giulia riprese a parlare, con dolcezza. “Non devi recitare più per me. Mai più. Per favore. Già così sei tanto difficile da capire, almeno questa cosa archiviamola definitivamente. Recita solo se è a te che va di farlo.”
Le mise entrambe le mani sul viso, mantenendo le braccia tese per coprire la distanza che li separava; le fece scorrere lentamente i polpastrelli sotto gli occhi fino ai lati del viso, ripetendo più volte lo stesso movimento. Sebastiano assaporò la consistenza della sua pelle da bambina, e lei chiuse gli occhi.
Riprese a parlare poco dopo. “Innamorarsi sempre delle persone sbagliate. Così hai detto. Una maledizione condivisa.”
Rise, perché sentendola parlare riconobbe un’eco del proprio linguaggio. “Pensavo che tu non avessi avuto a che fare con persone, donne… distruttive… avevo capito solo che non ti ricambiavano, o forse non come avresti voluto. Quindi sì, sbagliate pure loro. Giulia cara, siamo sbagliati noi, forse… ma chissenefrega.”
Risero ancora, a lei girava la testa, a lui il letto.
“Perché ci pensavi adesso.”
“Perché ho imparato tanto, ogni volta che mi sono innamorata. E non vorrei mai rinunciare a tutto quello che ho raccolto… nella mia sfiga. Anche se nella maggior parte dei casi ho fatto tutto da sola. Certe volte mi chiedo se per me sia possibile imparare senza farmi a pezzi.”
Lui sorrise nella penombra. “Adesso, questi graziosi pezzetti, raccogliamoli tutti fra le mie braccia. Vuoi dormire?”
Gli si avvicinò, lasciandosi avvolgere. “Sì. Sto già sognando.”

Si svegliò da sola nella stanza. Sebastiano dormiva sempre con le imposte aperte, e lei non gli aveva mai detto che appena il sole invadeva le stanze le bruciavano gli occhi. Si sollevò a sedere: aveva un sapore orribile in bocca, si sentiva sporca e le pulsavano le tempie. Sentì il suono dell’acqua che scorreva, e vide la porta del bagno accostata. Alzandosi con fatica cercò di ricordare il giorno precedente, ma i ricordi le arrivarono esplosi come frammenti senza trama. Aveva sete, e la porta del bagno era accostata; dopo averla aperta con una manata raggiunse il lavandino per sciacquarsi il viso con l’acqua fredda, calpestando i vestiti di Sebastiano ammassati sul pavimento. Lo scroscio della doccia si fermò e la sua voce ancora rauca la raggiunse, facendole capire che doveva essersi svegliato da poco.
“Giulia, stai bene?”
“Avevo sete, mi scoppia la testa, e i pensieri. Pera di Sebastiano.”
Lui rise e riaprì il getto d’acqua, e lei sedette sul water abbassando la tavoletta: l’acqua fredda l’aveva fatta sentire meglio.
Voleva restare lì, e aspettare che uscisse dalla doccia per farla anche lei. Sentì il cuore accelerare, ma era decisa a farlo. Riaprì il rubinetto del lavandino e fece scorrere di nuovo l’acqua fredda sul viso cercando di ignorare il fastidio, ma non resistette a lungo. “Appena hai finito mi voglio fare anch’io una doccia.”
“Ho finito.”
Iniziò a spogliarsi mentre la porta della doccia si apriva. Lo vide uscire di profilo e voltarsi verso la parete dandole le spalle, prima di avvolgersi con movimenti fluidi nell’accappatoio.
Giulia lo aveva visto nudo in diverse foto, e non le fece un’impressione molto diversa in quello spazio stretto: continuava a trovarlo incantevole, malgrado ci fosse in lui una parte anatomica sbagliata. “Ti sta bene il bianco, stamattina sto un disastro… fammi passare, spero che la doccia mi restituisca una parvenza di umanità.”
Lui rise di gusto, con il viso morbido di sonno.
Giulia si mantenne completamente inespressiva. “Perché ridi? Fammi passare.”
“Giulia, parli come me. Sembri posseduta.”
“Postumi, si chiamano postumi anche per le droghe pesanti? Non potrei mai definirti una droga leggera. Forse intossicazione… non sono pratica di queste cose. Mi sarei dovuta fare almeno le canne da giovane.”
Lui rise di nuovo, avvolto nell’asciugamano bianco; lei tenne la mano sulla porta della cabina doccia per chiuderla, mantenendo il viso spento.
“Giulia, tu sei giovane.”
“Ci ho provato, ma mi è riuscito solo a tratti. Di essere giovane.”
Sebastiano era molto divertito, e la guardò con dolcezza. “Dai, basta! Se continui così dovrò cercare un esorcista.”
Giulia gli baciò le labbra con un movimento veloce, prima di chiudersi nella doccia e aprire l’acqua al massimo, senza neanche regolare la temperatura. Rivolse il viso verso il getto, lasciando scorrere le lacrime insieme alla sua confusione.

Quella mattina Giulia rimase silenziosa; anche se rispondeva ai sorrisi di Sebastiano e camminavano tenendosi per mano, nelle attese riapriva uno dei suoi libri per riprendere a studiare. Indossava di nuovo i suoi vecchi vestiti, e Sebastiano pensò che quei pantaloni Carhartt calati, le Puma consumate e la maglietta sformata costituissero una specie di protezione. Si chiese se quella insicurezza fosse causata da un’incertezza riguardo la loro destinazione. Visitare le capitali europee era stata per lui una routine associata al lavoro: avrebbe voluto rivedere un museo, anche se tornare a Berlino non lo interessava in modo particolare.
In aeroporto le disse che avrebbero fatto ancora in tempo a cambiare itinerario; usò la solita mancanza di inflessioni nel rassicurarla, aggiungendo che avrebbe potuto tornare a Roma.
“Tu mi hai detto che ogni posto ti sarebbe andato bene, volevi solo stare con me. Per questo ho scelto Berlino. Ma se hai cambiato idea possiamo cambiare destinazione. Se poi vuoi tornare a Roma, vai.”
“Non ho cambiato idea. Mi chiedevo se l’avessi cambiata tu. Sei malinconica.”
Lei sorrise, abbassando lo sguardo al libro che aveva sulle gambe, con una mano fra le pagine a tenere il segno come un’interruzione temporanea.
“È vero, lo sono. Il mio umore è così. È un’altalena perenne. Da quando ci siamo rivisti sono sempre stata bene, anche benissimo. Adesso ho un po’ di down. Puoi avere un po’ di pazienza?”
“La pazienza è qualcosa che devo costantemente imparare. Vorrei parlare con te. Mi limiterò a guardarti fino a che non ti passa.”
Sebastiano non aveva voglia di leggere, e ascoltava la musica in cuffia ogni volta che lei si rifugiava nei libri; aveva l’impressione di sprecare quella vicinanza isolandosi, ma cercò di masticare l’idea di pazienza così come aveva fatto molte altre volte con lei. Dovevano trascorrere diverso tempo in aeroporto; lui era abituato a farlo, ma se lei avesse avuto un umore diverso quell’attesa sarebbe stata sicuramente più piacevole da riempire. Sospirò quando lei appoggiò la testa sulla sua spalla, emettendo un suono più forte di quello che avrebbe voluto. Giulia aveva gli occhi rossi, e lui si tolse un auricolare aspettando sue reazioni.
“Scusami. Ogni tanto prendo e piango.”
“Poi mi dirai come stai?”
“Non lo so, non lo voglio sapere.”
“Vuoi ancora che venga con te, lì?”
Lo guardò senza rispondere, ricordando la loro ultima conversazione.
“Giulia, io non ho cambiato idea.”
“Neanche io. Grazie. Però adesso preferisco leggere piuttosto che piangere.”
Lo seguì per ore senza manifestare interesse a quello che li circondava; arrivati a Berlino soffocò l’imbarazzo di prendere un taxi per raggiungere l’albergo, in un quartiere centrale dove non era mai stata. Nella stanza Sebastiano tolse il copriletto e si lasciò cadere sul lenzuolo, mentre lei sedette lontano, osservandolo a lungo. Avrebbe voluto allontanare tutte le sue inquietudini, e si detestava per come stava consumando il poco tempo che gli rimaneva. Capì di dover abbattere momentaneamente una diga, dando sfogo a un caos emotivo che non voleva analizzare, ma reclamava spazio.
“Sebastiano, posso abbracciarti?”
Lui tolse il solo auricolare che aveva tenuto, spegnendo il walkman. “Sono qui apposta.” La avvolse tra le braccia, lasciandola piangere senza farle domande: non era più accaduto dai primi giorni dopo la morte di Laura. Le carezzò la testa assecondando i suoi cambi di posizione, e le diede tutto il tempo di cui aveva bisogno.

“Questa cosa è incredibile.”
Giulia era incantata e Sebastiano, guardandola, restò deliziato dalla sua reazione. Respirò a fondo prima di rivolgere lo sguardo alla porzione di ceramica invetriata che avevano di fronte.
“Sono d’accordo, ho sempre amato la porta di Ištar. A volte mi sono chiesto perché nella nostra cultura, nel nostro tempo, la guerra e l’amore siano diventati impossibili da riassumere in una stessa divinità. Leoni e margherite per Ištar. Mi sembra una divinità perfetta per quel processo che descrivevi ieri sera. Innamorarsi, imparare, facendosi a pezzi. Amore e guerra. Costruzione e distruzione, o distruzione e costruzione nel medesimo flusso. Essere qui con te, adesso, è perfetto. Ares e Afrodite sono due entità separate, si innamorano, si uniscono, ma restano distinte. Ištar è una sola. Sono contento che tu sia tornata. Negli ultimi giorni mi eri mancata tanto.”
La notte precedente, dopo essersi finalmente lasciata andare al pianto, era tornata più presente: grazie a quello sfogo avevano completamente recuperato la connessione tra loro. Giulia non aveva parlato delle proprie inquietudini, ma la libertà di poterle manifestare le dava un senso di leggerezza. In quel momento si tenevano per mano, osservando la ricostruzione maestosa della porta di Babilonia. Sebastiano ritagliava i frammenti originali per focalizzare la propria attenzione, mentre Giulia invece lasciò lo sguardo libero di vagare, pensando alla storia e al tempo; si sentiva insignificante e la trovava una sensazione straordinariamente piacevole. Lo abbracciò per baciargli il collo, sussurrando un ringraziamento. Avevano visitato il museo iniziando e finendo il giro davanti alla porta di Ištar.
All’uscita si spostarono in taxi verso Friedrichshain, un quartiere che a Giulia piaceva molto.
“Mi imbarazza muovermi così, qui la metro funziona benissimo.”
Sebastiano le sorrideva, sapendo che diversi aspetti di lui riuscivano a metterla in imbarazzo. Le disse di non voler prendere i mezzi pubblici ma che, se per lei fosse stato inammissibile, avrebbero potuto spostarsi separatamente. Quella mattina, nel vestirsi, Sebastiano aveva evitato tessuti e tagli elaborati scegliendo un vecchio paio di pantaloni modello jeans di Amedeo, indossando poi gli anfibi e una maglietta piuttosto aderente. Fasciato nel cotone scuro e integralmente in nero, era sembrato a Giulia adatto a mimetizzarsi in qualsiasi contesto avesse deciso di portarlo.
“Stai benissimo vestito così.”
Sapeva che lui teneva in valigia dei vestiti di Amedeo: il loro amico indossava esclusivamente capi neri, ma su Sebastiano quel colore assumeva una nota dominante più forte, probabilmente per i capelli e per il contrasto con il bianco della pelle. Giulia pensava che il nero lo isolasse maggiormente da ciò che lo circondava, evidenziando le forme sottili.
“Mi vestirò così anche domani, ho un ottimo deodorante. Prenderai la metro da sola? Dove pensi di dormire stanotte?”
“Fino a che sei qui starò con te. Non so se portarti subito nel mio rifugio, o aspettare domani. Iniziamo a berci qualcosa. Mi parli di Ištar? Cos’altro vorresti vedere?”
Stavano camminando in una via piuttosto affollata, la strada era quasi interamente occupata dai tavolini all’aperto dei locali. Giulia sedette su una panca, e iniziò a sfogliare il menù come se non ci fossero state risposte in sospeso.
“Akhenaton e Nefertiti. Dopo quella sconfinata noia in Egitto vorrei passare a salutare Akhenaton. Il più figo di tutti in tremila anni, il primo anticonformista. Ma l’ho visto tante volte, non è indispensabile. Ištar era una figura complessa, dea delle tempeste, dei sogni e delle premonizioni.  Distribuiva agli uomini potere e conoscenza, ma era anche molto crudele, uccideva i suoi amanti. A un certo punto torna dalla morte nel corpo del suo ultimo uomo. Alcune sue caratteristiche, poi, confluiranno in Afrodite. Che è un mito più antico di quello dello stesso Zeus. La seduzione, la fertilità, roba indispensabile da sempre, a quanto pare. Quanto devo essere gay con i tuoi amici?”
Lei rise, lui invece sorrise appena, accendendosi una sigaretta e assaporando l’atmosfera che li circondava. Ordinò due calici di prosecco alla ragazza che si era avvicinata al loro tavolo con un taccuino; tutto sembrava molto rilassato, e pensò che quell’atmosfera potesse essere uno dei motivi che aveva spinto Giulia a fermarsi lì.
Lei stava gradualmente riprendendo le pose da ragazzaccio che i vestiti femminili avevano allontanato momentaneamente. “Quanto ti pare, anche per niente… resta come sei, per me non devi più recitare, te l’ho già detto. E non sono miei amici. Sono d’accordo con molte delle loro cose, mi hanno accolto e gliene sono grata. Ma è un po’ come se ognuno di noi lì fosse intercambiabile… molta comunità e poca individualità. Almeno per me, che sono straniera, con cui parlano solo in inglese, e alcuni neanche lo capiscono bene. Se poi ti diverte puoi recitare quello che ti pare. Lì lo fanno tutti. Ti ricordi? Mi hanno vestita da sposa. Ma non avevo i… avevo cose che neanche conosco al collo, ma non con quella forma lì… stasera non c’è niente, forse è meglio andarci adesso che è più tranquillo. Domani c’è una festa, poi tu te ne andrai.”
Sul viso di Giulia tornò un’espressione malinconica; diede un tiro alla sigaretta e si rivolse verso la strada, guardando il fumo che si allontanava. Osservò i ragazzi che passavano da soli o in piccoli gruppi: si muovevano con disinvoltura con il loro aspetto poco convenzionale, dandole l’impressione che tutti stessero occupando esattamente il posto che gli spettava. Capitava spesso che avesse pensieri di quel tipo, ma non le piaceva sentirsi tanto sola, persa, con Sebastiano al proprio fianco.
“Giulia, stai bene?”
Lei si voltò nella sua direzione, sorridendo con poca convinzione. “Non lo so. Il problema sono io, perché non so cosa voglio. Mi dispiace che vai via. Mi dispiace talmente tanto che non riesco a gustarmi la tua presenza. E mi sembra inutile portarti lì. Temo il tuo giudizio. Forse, come al solito, ho paura di tutto.”
Sebastiano si alzò per sedersi al suo fianco, le passò un braccio sulle spalle cercando di renderlo un gesto da amico, decisamente meno invasivo dei suoi.
“Sono qui perché lo hai deciso tu, poi voglio tornare a casa. Tornare a casa.” Sebastiano sospirò, perché Giulia stava di nuovo piangendo. “Tu puoi e devi fare quello che vuoi, il problema è che non lo sai neanche tu. A me non importa niente di niente. Non voglio giudicare, non mi interessa ora e sempre. Quando sparo sentenze lo faccio per cazzeggio, ormai dovresti saperlo. Se dipendesse da me non andrei mai in un posto così, li evito da tanto tempo. Non per antipatia. Ma perché affermare la propria sessualità non è un’attività del tutto filosofica, per la maggior parte delle persone. So difendermi bene, ma non sarebbe divertente se corressi il rischio di metterti in imbarazzo. Mi spacci per il tipo con cui hai una strana storia, e mi sembra una definizione abbastanza realistica. Se per te è importante andiamo, tu stammi vicino, demarcami, così potremo evitare situazioni spinose.”
“Sebastiano, io lo so che rovinerò tutto. Non sei tu, il problema sono io. L’ho sempre fatto. Mi fa una rabbia il tuo vetro. Forse è invidia. Probabilmente mi sopporti soltanto perché sei un viscido masochista. Ma chissenefrega. Intanto ubriachiamoci, gustiamoci il momento, il resto si fotta.”

– Ludger. –
Alcuni secondi di silenzio, che Sebastiano interpretò come una breve sospensione.
– Sebastiano. Tutto bene? –
– Forse. Volevo sentire la tua voce. E sottoporti un dubbio alchemico. Sei solo. –
– Sì, momentaneamente… sono lusingato, pensavo fosse Amedeo il tuo punto di riferimento per questo genere di questioni. Spero di riuscire ad esserti utile. Dimmi. –
– Anche io sono momentaneamente solo. Non voglio rovinare l’umore di Amedeo. Mi chiedevo. Quanto può essere alto il prezzo del sublime. Il cielo e il fango si mescolano. Qui è la norma. Il caos. Non mi spaventa, anzi, trovo adorabile che alla mia età possa ancora vivere contrasti tanto netti. Ma è una grande fatica, e non solo per me. Per la bellezza posso tutto, lo sai, me ne frego integralmente delle fratture di coglioni. Il problema sono i picchi, non in alto, in basso. Giulia è pazzesca. Le sue nigredo, come fratture di coglioni, sono straordinarie. Così come le aperture. –
Ludger restò in attesa dopo averlo sentito sospirare, ma Sebastiano restò in silenzio.
– Se mi stai chiedendo il prezzo del sublime posso dirti che non sarà mai abbastanza alto. Però dovresti tener conto che dal mio punto di vista il quesito probabilmente prende un’inquadratura diversa. Spero che l’altalena sia ben bilanciata anche per Giulia, che ai bassi corrispondano anche alti altrettanto significativi. Credo che questo potrebbe essere un buon criterio per stabilire se è il caso di restare a oscillare, o invece abbandonare la partita. –
– Gli alti dovrebbero compensare i bassi. Equilibrio nel caos. E se i bassi dovessero prendere il sopravvento scendere dall’altalena. Prima che si trasformi in una forca. –
Ludger rise. – Non ho detto esattamente questo… o forse sì. Dove siete? –
– Non è importante, mi sembra più significativo il fatto che non riusciamo a… devo lasciarti. Non far preoccupare inutilmente il fanciullo. Gli parlerò poi. Grazie. –